Droga: African connection
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Afrique Asie – luglio 2010
Droga: African Connection
Da qualche anno, il continente africano è diventato il ventre molle del traffico mondiale di stupefacenti, in particolare della cocaina: frontiere porose, autorità corrotte, poliziotti incompetenti… Un gruppo di trafficanti organizzatissimi, dotati delle più moderne tecnologie e di armi ultimo grido, vi portano i loro prodotti per poi distribuirli verso i mercati di consumo, non senza aver creato qualche abitudine in loco. Al punto da mettere finalmente in allarme le organizzazioni internazionali
Della polvere nel tuo attiéké (il piatto tipico della Costa d’Avorio)
Alla mitica strada del sale, che attraversava il Mali lungo il fiume Niger e che fece di Tombouctou la regina del deserto, ricca, in pieno XIV secolo, di qualcosa come 100.000 abitanti, si sostituisce ormai un’altra strada, quella della droga. Allora il sale, vettore di ricchezza per intere regioni, favoriva gli scambi commerciali e culturali. Oggi la polvere bianca porta con sé un fiume di danaro sporco, che reca vantaggio solo ai trafficanti, violenze innumerevoli, miseria morale e sociale per i “muli”, vale a dire i piccoli trasportatori, i rivenditori e i consumatori. Paesi fragili come la Guinea-Bissau o la Guinea-Conakry sono oggi nel mirino dei cartelli latino-americani, messicani soprattutto. Vi si installano ormai più o meno alla luce del sole, utilizzano le infrastrutture nazionali per ricevere e controllare i loro grossi carichi e strumentalizzano le popolazioni povere per servire i loro interessi. Tanto forti stanno diventando che influenzano oramai la vita politica, investendo i loro narcodollari nelle campagne elettorali, favorendo la carriera dei loro complici, beffandosi delle organizzazioni interstatali impotenti. Non sono coinvolti tutti i paesi, molto fortunatamente, e si sviluppa una presa di coscienza tale che la questione droga è oramai dibattuta collettivamente negli incontri interafricani e nel corso dei summit internazionali. Perché da crocevia del traffico internazionale, l’Africa potrebbe vedere svilupparsi un mercato interno, sostenuto dalla forte urbanizzazione e dalla caduta dei valori tradizionali, rimpiazzati da una sottocultura edonista potenzialmente mortifera. I capi di Stato africani ne sono coscienti. La lunga lotta è cominciata.
La via della droga
di Valérie Thorin
Nel corso dei secoli l’Africa ha tracciato la via del sale, quella delle spezie o dell’avorio. Altri tempi, altri costumi, oggi disegna quella della droga. Fino agli anni 1990, il continente sembrava essersi tenuto relativamente estraneo a questo commercio dannoso. Ma nel 1993, qualcosa come 300 kg di eroina sono stati sequestrati in Nigeria, un carico definito “spettacolare” che proveniva dalla Tailandia. Da questo momento, le autorità della lotta contro il traffico di stupefacenti hanno registrato la brutale trasformazione dei piccoli trasportatori per conto terzi, in vere e proprie gang di trafficanti, qualche volta armate di tutto punto, presto diventate capaci di trattare da pari a pari con le analoghe organizzazioni dell’Asia o dell’America latina. Nello stesso tempo il consumo locale si è sviluppato, favorito della urbanizzazione galoppante e dalla caduta dei valori tradizionali.
Traffici in aumento
Da allora e stando ai dati dell’Ufficio delle nazioni unite contro il crimine e la droga (ONUDC), le cifre dei sequestri rivelano l’aumento costante dei traffici, soprattutto nell’Africa dell’Ovest, pur mantenendosi in dimensioni relativamente modeste (per esempio: aumento del 60% dei sequestri di eroina tra il 2003 e il 2004, ma l’Africa non rappresenta che lo 0,3% del totale dei sequestri al livello mondiale nel 2007). Tuttavia le statistiche sono poco affidabili e il livello dei sequestri non rappresenta la realtà del flusso di narcotici che transitano per l’Africa perché le forze di polizia locali non sono ancora bene attrezzate, né intensamente mobilitate per intercettare eventuali carichi. Il mercato sembra così distribuito: l’eroina afghana è destinata ai mercati dell’Asia centrale, dell’Europa, del Medio Oriente e dell’Africa. Una parte crescente è inviata in America del Nord, passando per l’Africa orientale e l’Africa dell’ovest. Quella prodotta nel Triangolo d’oro asiatico alimenta i mercati cinesi, est-asiatici e dell’Oceania. Quella proveniente dall’ America latina serve soprattutto il mercato nord-americano. Quanto alla domanda, essa resta stabile salvo che nei paesi che sono toccati dalla strada della droga, come il Mozambico, lo Zambia, il Kenya, la Tanzania e la Costa d’Avorio. L’aumento è più contenuto nell’Africa del Sud, in Madagascar, in Ghana, in Liberia e in Senegal.
Lotta inefficace
Il dato più preoccupante è l’aumento della quantità di cocaina che transita oramai per l’Africa, al punto che essa è oramai considerata il crocevia di questo traffico nel mondo. Evidentemente la causa di questo interessamento dei cartelli per l’Africa va individuata nell’aumento del consumo di cocaina in Europa, parallelo alla diminuzione in America del Nord. I sequestri si sono moltiplicati per 3 tra il 2003 e il 2004 in tutto il continente e per 6 nella sola Africa occidentale. Capo Verde, l’Africa del Sud, il Kenya, il Ghana e la Nigeria sono alla testa della classifica. Dal 2005, 46 tonnellate sono state sequestrate, mentre fino ad allora si registrava appena una tonnellata all’anno. Riuniti a Dakar il 15 febbraio 2010, i ministri del sette paesi dell’Africa dell’Ovest (Gambia, Guinea-Bissau, Guinea, Capo verde, Mali, Mauritania e Senegal) si sono impegnati a mettere in atto un “dispositivo di risposta” di fronte all’ampiezza del nuovo fenomeno. Al momento gli esperti constatano l’inefficacia della lotta portata soprattutto contro i cartelli sudamericani.
Sono loro infatti che dirigono il flusso di droga più importante. Navi e aerei arrivano in zone portuali o aeroportuali poco controllate. I carichi, nascosti in container, sono poi divisi e avviati, sia nascosti nei bagagli o nei vestiti su dei voli commerciali, sia ingeriti dai trasportatori, pagati anche loro in cocaina. La maggior parte è destinata alla Spagna o all’Inghilterra, ma si fanno consegne anche in Francia e in Portogallo. L’ONUDC stima che la cocaina proveniente dall’Africa dell’Ovest rappresenti ogni anno qualcosa come 2 miliardi di dollari sul mercato all’ingrosso in Europa.
I paesi poverissimi, come la Guinea-Bissau, non riescono a controllare il loro spazio aereo e costiero, e i poliziotti non sono ancora abbastanza addestrati a scovare trafficanti ben equipaggiati e che dispongono di un’efficace rete di informazione. I sequestri, quando si fanno, sono colossali: dal 2005, per caso si è riusciti a sequestrare, in tutto il continente,46 tonnellate di cocaina destinate all’Europa. I trafficanti non ne sono tuttavia granché preoccupati, perché la maggior parte di loro gode di appoggi potenti.
“C’è un vero rischio di destabilizzazione”
Nel suo libro “Africa nera, polvere bianca”, Christophe Champin fa il punto su un fenomeno in crescita, che colpisce in pieno gli Stati deboli
Intervista di Valérie Thorin
Cosa le ha suggerito l’idea e il desiderio di scrivere questo libro?
Quando ero corrispondente di RFI in Africa dell’Ovest, raccoglievo ogni tanto delle informazioni. All’inizio del 2005 si è cominciato a dire che vi erano delle piste di atterraggio di fortuna in Guinea-Bissau, che venivano utilizzate regolarmente dai trafficanti. Io ho fatto diversi reportage in questo paese e in Senegal, in Guinea Konakry e in Mali e mi sono reso conto che il traffico stava assumendo una tale dimensione da meritare un’inchiesta approfondita.
Dunque nessuna fonte particolare, solo inchieste giornalistiche….
Sì, io ho cominciato a tirare il filo e il gomitolo si è sciolto. C’è il lavoro sul campo, le mie interviste ai servizi antidroga, gli incontri fortuiti con gente in contatto coi trafficanti e tutte le piccole informazioni di stampa che costituiscono tanti pezzi di un puzzle.
Alcuni governi africani sono compromessi, è facile portare alla luce questo tipo di informazioni?
Certamente no. Ma paradossalmente era facile in Guinea-Bissau, perché si tratta di un paese senza Stato, con una popolazione scarsa e pieno di rivalità politico-militari. Per merito di queste rivalità – si denunciavano tutti l’un l’altro – e della disorganizzazione del paese, i fatti sono venuti alla luce. Per la Guinea-Conakry, io avevo discusso con degli specialisti della intelligence che si ponevano degli interrogativi a proposito del figlio del presidente Lansana Conté. Quando questi era al potere era difficilissimo trovare delle conferme. All’epoca ho esitato a far uscire la notizia perché non disponevo di sufficienti prove. Solo nei sei mesi che hanno preceduto la morte di Conté si è cominciato a parlare di traffico di droga in Guinea. Io nutro dei sospetti verso altri paesi, ma mi guardo bene dal parlarne perché non dispongo di elementi sufficienti.
Nel suo libro, lei parla molto di cocaina. E’ questo “il” prodotto dell’Africa?
No. La droga transita per il continente africano da molto tempo. Negli anni 1980, si parlava più di eroina perché era molto consumata negli Stati Uniti e in Europa. In quell’epoca i Nigeriani stavano diventando molto potenti tra le organizzazioni transnazionali e avevano assunto un posto importante nel traffico mondiale di eroina. In un primo momento erano solo dei piccoli trasportatori che andavano ad acquistarla nell’Asia del Sud. Poco a poco sono diventati dei veri e propri grossisti e, di colpo, l’Africa è diventata uno dei crocevia del traffico di eroina. Poi è arrivata la cocaina.
All’inizio, dall’Africa passava un quantitativo minimo di questo prodotto perché il consumo in Europa era limitato al jet-set, agli ambienti della pubblicità e dello show-biz , dunque un consumo di elite e marginale. Poi negli Stati Uniti si è registrata una stagnazione del mercato, dovuta sia alla repressione che alla diffusione di droghe sintetiche. Per altro i cartelli colombiani si sono trovati con la nuova concorrenza dei Messicani, Questi ultimi, che all’inizio erano solo degli intermediari, sono diventati più potenti dei loro antichi committenti. L’Europa era un mezzo per i Colombiani di restare autonomi. L’Africa è allora apparsa loro come una idonea filiera di smercio, dal momento che la cocaina transitava per i Caraibi, ma la repressione e la sorveglianza marittima spingeva a trovare altre rotte. L’Africa è geograficamente vicina all’Europa, è una zona di Stati divisi, dove c’è molta corruzione, di qui l’idea di stoccarvi la cocaina, prima di avviarla verso i mercati europei.
La Nigeria è stata fin dall’inizio coinvolta nel traffico, ma non è un paese senza Stato. Oltre al fatto che ha una popolazione immensa di 150 milioni di abitanti. Come si spiega il suo ruolo importante?
C’è una ragione assai specifica: le sue organizzazioni criminali sono delle cooperative di micro-organizzazioni che si aiutano vicendevolmente, cooperano tra loro ma senza che esista una “piovra” nigeriana. E’questo che rende difficile il contrasto, perché ciascuna gode della sua autonomia. Si arriva presto ai capi, ma è impossibile giungere alla testa della rete, per la semplice ragione che non c’è. Alcune regioni sono più coinvolte di altre, soprattutto nell’est del paese, dove c’è la comunità ibo, assai frazionata, con molte lingue diverse. Improvvisamente hanno cominciato a comunicare tra loro attraverso lingue micro-locali. Per controllarli e per capire quello che si dicono, c’è bisogno di specialisti, che sono molto difficili da trovare.
In più c’è una bella quantità di spiagge
La geografia fa la sua parte, ma in questi ultimi anni non sono stati segnalati molti carichi di cocaina sulle coste nigeriane. Questo non significa che non vi siano, il fatto che non vi siano stati sequestri può spiegarsi con la grande corruzione. Inoltre la Nigeria è attualmente tanto considerata sospetta dalle polizie internazionali che ogni viaggiatore o carico in arrivo dalla Nigeria viene controllato.
Sul piano della repressione si sono fatte poche cose
Arriva. La questione è stata oggetto di una discussione a porte chiuse nel corso dell’ultimo summit Africa- Francia a Nizza. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ne ha parlato brevemente nella sua conferenza stampa di chiusura. In Senegal è stato istituito un Ufficio centrale per la repressione del traffico illecito di stupefacenti (Octris), così come In Francia, anche se non funziona ancora bene. Mancano i mezzi e, non bisogna nasconderselo, vi è molta corruzione. I paesi hanno bisogno di denaro, non foss’altro che per i partiti politici. Non dimentichiamo che anche nei paesi sviluppati la lotta contro il traffico di droga è assai difficile.
Vi è stata quanto meno una presa di coscienza della gravità del problema…
Se si è discussa la questione nel corso di un summit così importante come quello Africa-Francia, è stato perché i Francesi e gli Africani hanno compreso che esiste un vero rischio di destabilizzazione. In Messico, potenza regionale emergente, il Ministro dell’Interno ha dichiarato che alcune organizzazioni criminali possiedono mezzi militari potenti quasi come quelli dell’esercito nazionale. Se queste continuano ad estendere le loro ramificazioni nel continente africano, alcuni paesi possono soccombere sotto il loro colpi. Non tutti i paesi corrono questo rischio, ma alcuni sì, per esempio la Guinea-Bissau: le organizzazioni criminali possono influenzare le decisioni politiche e anche le elezioni. Durante la campagna presidenziale, sono state dispensate somme di danaro straordinarie a beneficio di alcuni uomini politici. Da dove venivano? La questione si pone anche in Ghana, dove i diversi candidati si accusavo l’in l’altro di essere coinvolti nel traffico di droga. Probabilmente la cosa non è vera, non vi è prova di ciò, ma bisogna por mente all’ambiente del Ghana, dove ci sono stati già dei politici arrestati per traffico di droga, in particolare sul territorio degli Stati uniti.
L’obiettivo del mio libro è di allertare l’opinione pubblica sul fatto che l’Africa è a un bivio. Si va verso lo Stato di diritto, dove la Giustizia funziona, dove le istituzioni rispettano la Costituzione, dove le visioni politiche non sono dettate dalle organizzazioni criminali, o ci si dirige verso uno Stato “informale”, dove tutto è possibile e si perde ogni credibilità nei confronti degli investitori e dei partner internazionali? Questo libro lancia un grido d’allarme e, benché sia una goccia nel mare del problema, si deve intensificare la lotta contro questo flagello che spinge alcuni paesi sulla cattiva strada.
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