Minareti e identità culturale
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Le Journal Hebdomadaire n. 420
Islamofobia
di Hicham Bennani
La Francia, l’ONU e lo stesso Vaticano hanno condannato il voto degli Svizzeri che hanno deciso di vietare la costruzione di minareti. Anche molti paesi mussulmani hanno denunciato questa scelta. Preoccupato di non alimentare un falso dibattito, il governo marocchino resta estremamente prudente
“Bush e i neocons l’hanno sognato, la Svizzera l’ha fatto”, dice Nadia Yassine, portavoce del movimento islamista Al Adl Wal Ihssane (Giustizia e spiritualità) commentando il recente voto svizzero. Domenica 29 novembre il 57,5% degli svizzeri ha votato, in un referendum, per il divieto di costruzione di nuovi minareti. Il partito della destra populista, Unione democratica del centro (UDC) ed il partito cristiano di destra UDF sono i promotori di questo voto sorprendente. Infatti sul territorio della Svizzera ci sono solo 4 minareti e non più del 4% di mussulmani. Per convincere il 53% dei votanti l’estrema destra è ricorsa a dei manifesti che raffigurano una donna in burqa davanti ad una bandiera svizzera ornata di minareti simili a missili. Le reazioni non sono tardate in Francia, in Svezia, in Germania, in Svizzera, ma anche in Indonesia, in Pakistan, in Egitto e in Libia. Il 30 novembre il Vaticano si è detto “sulla stessa linea degli evangelici svizzeri”, che hanno definito il voto come “un duro colpo alla libertà religiosa”. Anche l’ONU ha denunciato questa “discriminazione”. Il giorno dopo il ministro turco per gli affari europei, Egemen Bagis, ha invitato i mussulmani a ritirare i loro depositi dalle banche svizzere. In Marocco, il 30 novembre, il Consiglio degli ulema ha emesso un comunicato: “Il Consiglio superiore degli ulema condanna questo orientamento, qualsiasi ne sia l’origine, e vede in esso una forma di estremismo e di esclusione”. Dal canto suo la MAP ha riferito dello “stupore” espresso dalla Organizzazione islamica per l’educazione, le scienze e la cultura (ISESCO), ma anche la “sorpresa” di Amnesty International, che condanna il referendum. Nella serata di lunedì 30 novembre, il ministro svizzero degli affari esteri, Micheline Calmy-Rey, si è mostrata rassicurante a Berna con gli ambasciatori mussulmani, precisando si essere “scioccata, dal momento che l’iniziativa non era sostenuta dal governo”. Ed ha aggiunto: “Tutto questo è l’effetto delle paure provocate dalla globalizzazione e dalla crisi economica”.
Estremismo condiviso?
Mentre andiamo in stampa, i principali partiti politici del Regno non si sono ancora pronunciati ufficialmente sul voto svizzero. Per Tariq Ramadan, teologo svizzero di confessione mussulmana, è difficile condannare un popolo: “Prendere atto della paura del popolo svizzero, è questo che la classe politica marocchina deve fare. Ciò che occorre è contrapporre alle paure una visibilità dei mussulmani, che contribuirà all’avvenire di una società”. Secondo Nadia Yassine, i partiti politici marocchini, a parte il PJD, non hanno nulla da guadagnare a pronunciarsi su questa vicenda ed hanno scelto la moderazione per non alimentare la polemica. “Non tutti i partiti praticano l’identità islamica”. Contattato da Le Journal Hebdomadaire, Saadeddine El Othmani, presidente del Consiglio nazionale del PJD (Partito della giustizia e dello sviluppo, principale partito islamista del Marocco, ndt) ha confessato che la vicenda svizzera non è al centro delle preoccupazioni del suo partito. E’ andato più oltre: “Il contesto del voto è molto importante. Il comportamento dei mussulmani europei non è esemplare, ci sono dei giovani delinquenti, bisogna che cambino il loro atteggiamento”. Anche il Ministero degli esteri è rimasto muto. A microfono spento un alto responsabile del ministero confida: “Constatiamo di non avere il monopolio della radicalizzazione, perché questo è un atto radicale. Un atto di intolleranza grave. Certo le relazioni non ne risentiranno, ma è un atto grave per l’immagine della Svizzera”. La stessa fonte ritiene che si va approfondendo il fossato tra il mondo arabo e l’Occidente, perché l’estremismo non è solo “del mondo mussulmano”. In termini più diplomatici, Ahmed Abbadi, segretario generale della Rabita Mohammedia degli ulema, spiega che gli argomenti della destra hanno avuto un impatto sull’identità degli Svizzeri. Parla di “agire comunicazionale”, per riprendere l’espressione del sociologo tedesco Jurgen Habermas . “La donna in burqa è stata assimilata a Al-Qaida” dice Abbadi. Dice ancora che la Svizzera è un paese democratico e che i mussulmani devono rispondere manifestandosi. “Non si dimentichi che il 43% ha in ogni caso votato contro il divieto”.
Il caso saudita
Nadia Yassine preferisce riferirsi ad un sociologo francese: “Pierre Bourdieu diceva: la violenza simbolica è più forte della violenza tout court”. La fondatrice e dirigente della sezione femminile di Al Adl Wal Ihssane si dice stupita che la bomba sia arrivata dalla Svizzera. “Mi sarei meravigliata di meno se fosse stata la Francia. E’ uno schiaffo che non mi aspettavo”. E aggiunge: “I mussulmani in Svizzera non sono estremisti. Non sono come quelli del Belgio o dell’Olanda, che sono più sensibili ai discorsi estremisti”. Una riflessione che l’islamologo Mohamed Darif stronca sul nascere. “Questa cosa non sarebbe mai potuta accadere in Francia o in Olanda, dove le procedure di voto sono assai più complicate”. Se il voto c’è stato in Svizzera, è perché il sistema costituzionale del paese facilita questo tipo di referendum. Darif aggiunge che la Svizzera è il solo paese dell’Europa e del mondo ad avere un sistema assembleare, perché è il Parlamento che governa. E’ giocoforza constatare che il Marocco si mostra vigile.
Si potrebbe immaginare in Marocco un voto che fosse favorevole alla costruzione di nuove cattedrali o al suono delle campane? “Noi abbiamo deciso di non suonare le campane perché siamo una minoranza” dice un certo signor Landel a Rabat. Si tratta del vescovo che rappresenta la più alta autorità religiosa francofona del Marocco e dichiara di essere “stanco di essere tollerato, perché vuole essere accolto”. Il signor Landel si domanda perché nessuno cita il caso dell’Arabia Saudita che non permette ai cristiani di pregare sul suo territorio. “L’Arabia saudita non è un esempio in materia di libertà politica e sociale. Questo non dovrebbe essere fatto in nome della mia religione. Il regime saudita tradisce l’islam molto più che rappresentarlo”, ha risposto Tariq Ramadan su France Info il 30 novembre scorso, cercando anche di invitare ad un rispetto reciproco tra le religioni. Dall’11 settembre 2001 i neoconservatori hanno strumentalizzato la religione per alimentare un discorso che è stato legittimato dagli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004. Il referendum svizzero in fondo non è che l’espressione delle idee della destra estremista europea. La destra svizzera non ha però valutato appieno l’impatto di questa scelta, perché una gran parte delle risorse finanziarie che finiscono in Svizzera è di colore verde.
Il dibattito su minareti e identità a rischio - Profanata la moschea di Castres
L’Expression, 15 dicembre 2009 - Mohamed Touati
E’ il primo luogo di culto musulmano, situato nel Tarn nel sud della Francia, ad essere preso di mira dopo che in Francia è divampato il dibattito sull'identità francese e i minareti.
Era prevedibile che il martellamento mediatico sui minareti dopo il successo del voto svizzero sarebbe arrivato in Francia. Facendo anche dei danni. La Francia fa rivivere i suoi vecchi demoni del razzismo e dell'islamofobia. I circa trecento fedeli della mosche di Castres sono rimasti scioccati dall’ignobile, indicibile, terribile spettacolo che si è offerto ai loro occhi, quando si sono ritrovati domenica alla loro moschea per la tradizionale preghiera del mattino. C’erano dei piedi di porco appesi alla maniglia della porta, mentre delle orecchie erano state collocate proprio all'ingresso dell’edificio ed altre appese alla porta, come ha raccontato Abdelmalek Bouregba, presidente e portavoce dell'Associazione islamica di Castres. Insulto supremo per ogni musulmano che si rispetti! La comunità musulmana non chiede vendetta. E’ semplicemente sotto choc . Silenziosa. Indignata. Una forma di risposta. Espressa con dignità come ogni volta che si ritrova ingiustamente attaccata. Il suo luogo di culto sacro e comune è stato insozzato nella notte tra sabato e domenica 13 dicembre da sconosciuti. Sono state disegnate svastiche sulle pareti esterne, accompagnate da scritte naziste. Xenofobe e razziste. "La Francia ai francesi", "Sieg heil" e "White Power". Un rosario di espressioni già note, e proprie dei gruppuscoli di nazillons, dei simpatizzanti di estrema destra francese e dei nostalgici dell’Algeria francese. C’erano anche disegnate delle bandiere tricolori. Indubbiamente il dibattito sulla identità francese voluta da Nicolas Sarkozy, che ne aveva fatto uno dei suoi temi elettorali, orchestrato ed avviato lo scorso 2 novembre da Eric Besson in un forum, è sfuggito dalle mani. Il ministro dell'immigrazione che lo ha sostenuto, nonostante le numerose opinioni contrarie levatesi anche tra la classe politica e tra la maggioranza degli intellettuali francesi, deve ora porsi il problema della sua utilità, se non mordersi le dita o meglio la lingua. "Lo ha montato come una trovata politica, è sta per ritorcerglisi contro" aveva osservato un collega, quando il ministro dell'Immigrazione era reduce dal fuoco amico sparatogli contro da due ex-primi ministri della maggioranza attuale, Jean-Pierre Raffarin e Alain Juppé.
Il primo aveva denunciato "una mancanza di rigore intellettuale", mentre il secondo si era chiesto: "sui valori, non siamo finalmente d'accordo?" Il presidente della Repubblica francese, che ha fatto proprio il dibattito sull'identità nazionale a tre mesi dalle elezioni regionali, ha mantenuto una sapiente amalgama con l'Islam e ha dato un osso da rosicchiare all'estrema destra che ha usato il successo del referendum svizzero sui minareti per rilanciare il suo tema preferito: l'immigrazione. Il Fronte nazionale ne ha fatto il suo cavallo di battaglia ad ogni appuntamento elettorale. Locale o nazionale. In ogni occasione, e per oltre trenta anni, gli immigrati, per quanto esclusi dal voto, ne hanno pagato il prezzo con la benedizione dei partiti repubblicano soprattutto di destra per ragioni spesso puramente elettorali. È così anche adesso.
Il capo dello Stato francese non ha condannato il voto svizzero, lasciando la porta aperta anche in Francia a questo tipo di reazioni. "Invece di condannare fermamente il popolo svizzero, cerchiamo di capire cosa voleva esprimere e ciò che sentono tante persone in Europa, ivi compreso il popolo francese ... che non vogliono che il loro ambiente di vita, il loro modo di pensare e le relazioni sociali siano snaturati”, ha detto martedì scorso Nicolas Sarkozy, che giustifica con queste parole, di una gravità enorme, il rifiuto degli altri, degli immigrati e dei musulmani. E insiste aggiungendo: "Nel nostro paese in cui la civiltà cristiana ha lasciato una traccia profonda ... tutto quello che potrebbe apparire come una sfida a tale patrimonio e a tali valori condannerebbe al fallimento un Islam di Francia". Per lanciare una religione contro un’altra non poteva fare di meglio. Per risvegliare alcuni istinti razzisti repressi, è stato sufficiente. La moschea di Castres ne ha pagato il prezzo e il Presidente della Repubblica francese, ancora una volta, condannerà con fermezza questo atto razzista contro la comunità musulmana e prometterà la punizione dei suoi autori. La doppiezza che ha caratterizzato il dibattito sulla identità francese e minareti non è sfuggita ad Abdelmalek Bouregba che denuncia: "Si tratta di un episodio. Da qualche tempo la comunità mussulmana è sotto tiro".
Un'osservazione che rafforza la condanna di SOS Racisme, secondo cui questa profanazione "mira evidentemente, nelle intenzioni dei suoi autori, a suggerire che un musulmano non può essere francese." La politica del governo della Francia in materia di immigrazione ne porta la responsabilità.