Turchia: gli attentati si succedono ma non si assomigliano
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 4 aprile 2016 (trad. ossin)
Turchia: gli attentati si succedono ma non si assomigliano
Alain Rodier
L’attentato suicida del 19 marzo 2016, avvenuto nella celebre avenue Istiklal Caddesi, un’importante arteria pedonale di Istanbul, ha provocato cinque morti (tre Israeliani, due dei quali avevano anche nazionalità statunitense, e un iraniano, oltre al kamikaze) e una trentina di feriti, tra cui molti stranieri. Sembra che l’autore dell’azione terrorista avesse un altro obiettivo ma, temendo di essere arrestato, si sia fatto esplodere vicino a un gruppo di turisti che riteneva fossero israeliani.
Resta ancora incerta l’identità vera del kamikaze che, secondo le autorità, sarebbe appartenuto al gruppo Stato Islamico (Daesh). Inizialmente si era fatto il nome di Savas Yildiz – alias Hamza Tonbak – ma poi Ankara ha indicato quale autore Mehmet Ozturk, nato nel 1992 a Gaziantep. Quest’ultimo sarebbe esponente del gruppo Durmaz, e non di quello Dokumacilar come Yildiz. Si tratterebbe di cellule composte da simpatizzanti turchi della causa jihadista predicata da Daesh. Incredibilmente nessuno ha rivendicato questa azione terrorista. Daesh però lo ha sempre fatto ad ogni sua operazione, anche la più modesta. Sul punto regna il mistero e sono possibili varie ipotesi, la più plausibile delle quali è che lo Stato Islamico non voglia provocare apertamente il governo turco, per poter continuare a transitare liberamente sul suo territorio. E’ peraltro sintomatico che i tanti arresti effettuati negli ambienti “vicini” a Daesh non producano mai la minima incriminazione giudiziaria.
Questo attentato segue quello diretto contro la fermata di un bus situata nel pieno centro di Ankara, il 13 marzo di quest’anno, che ha provocato 37 morti. Gli autori sarebbero Seher Cagia Demir (secondo le autorità turche, la donna si sarebbe unita al PKK nel 2013) e Ozgur Unsal, con precedenti per delitti di diritto comune. Essi avrebbero usato una BMW rubata imbottita di esplosivo. L’azione è stata ufficialmente rivendicata dai Falchi della Libertà (TAK), un sottogruppo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK).
Già l’attentato suicida del 17 febbraio 2016, che aveva ucciso 29 persone di cui 27 militari nel centro di Ankara, è stato rivendicato, il 19 febbraio, dallo stesso gruppo. L’inchiesta ha consentito l’identificazione del kamikaze che ha fatto esplodere la sua vettura vicino ad un autobus che trasportava militari dell’aviazione turca al rientro dal lavoro. Si tratta di Abdulbaki Sonmez, originario di Van. Si serviva di falsi documenti siriani sotto il falso nome di Salih Muhammed Neccar, entrato in Turchia nel 2014. La vettura sarebbe stata noleggiata due settimane prima a Izmir.
I Falchi della Libertà (TAK)
I Falchi della Libertà (Teyrebazen Azadiya Kurdistan/TAK) hanno fatto la loro apparizione nel 2014. Da allora hanno compiuto continue azioni terroriste su tutto il territorio turco, al contrario della “casa madre” che ha generalmente limitato le sue attività al solo sud-est del paese. Ufficialmente, questo gruppo è “dissidente” dal PKK, ma sembra che la verità sia tutt’altra. Esso ha infatti consentito al PKK di costruirsi un’immagine presentabile nella speranza che gli fosse tolta dalla comunità internazionale la qualifica di “terrorista”. Cosa che gli è venuta soprattutto utile quando il governo di Recep Tayyip Erdogan, allora Primo Ministro della Repubblica Turca, negoziava una “pace dei coraggiosi”, attraverso l’intermediazione dei suoi servizi segreti (il MIT), con Abdullah Ocalan, il leader storico del movimento che sta scontando l’ergastolo sull’isola prigione di Imrali.
Capo del TAK sarebbe il dottor Fahman Hussein, alias Bahoz Erdal, detto “il boia”. Dal 2004 al 2009 questo siriano di origine curda è stato capo militare della Forza di difesa del popolo (Hezen Parastina Gel/HPG), il ramo militare del PKK. Era allora il numero 3 del consiglio di direzione del movimento, dopo Murat Karayilan e Cemil Bayik, combattenti storici del gruppo separatista turco.
A differenza dei grandi attentati avvenuti in Turchia nel 2015 – tutti diretti contro elementi dell’opposizione vicini alla causa curda (1) – o nel gennaio o nel marzo 2016 – contro turisti tedeschi e poi Israeliani – che non sono stati mai rivendicati, tutti gli altri lo sono stati. E’ così che di solito procedono i separatisti turchi.
Tali operazioni si inquadrano nel contesto della guerra aperta scatenata dal governo turco contro il PK, dopo il fallimento dei negoziati di cui ho detto prima. Più precisamente, gli ultimi attentati di Istanbul e Ankara sono una risposta alle operazioni delle forze di sicurezza turca nel sud-est dell’Anatolia dopo luglio 2015. Giacché la stampa turca è messa a tacere dal governo, è assai difficile ottenere informazioni affidabili su quanto accade realmente sul terreno. Le vittime si contano a centinaia, sia tra le forze dell’ordine che tra i militanti del PKK e tra la popolazione civile. Città come Cizre, Sur e Silopi hanno registrato vere e proprie battaglie di strada. Diyarbakir, la più importante megalopoli a maggioranza curda, vive ancora violenze quotidiane. Così il 31 marzo un veicolo imbottito di esplosivo ha ucciso sette poliziotti e provocato decine di feriti ad un terminal di bus. Questa operazione terrorista è stata rivendicata direttamente dalle Forze di Difesa del Popolo (HPG), il braccio armato ufficiale del PKK che, stavolta, non ha ritenuto utile usare il TAK come paravento. Le retrovie del movimento separatista curdo, poste nell’Iraq del nord e alcune postazioni del Partito dell’Unione Democratica (PYD) siriano considerato vicino al PKK, costituiscono così obiettivo regolare di attacchi aerei o di artiglieria da parte delle forze armate turche. Infine, il 15 marzo 2016, il PKK ha formato, insieme ad una vasta gamma di movimenti di estrema sinistra turchi, una alleanza battezzata Movimento rivoluzionario dei popoli (2),
Conclusione
Il problema curdo fa parte a pieno titolo della ricomposizione in corso attualmente in Medio Oriente. Gli interessi degli uni e degli altri sono spesso opposti. A complicare il quadro, i Curdi non sono uniti sotto un’unica bandiera. Così il PKK è tollerato nell’Iraq del nord, ma Massoud Barzani, il presidente del Partito democratico del Kurdistan (PDK) e del governo curdo regionale che intrattiene buoni rapporti con Ankara, gli rimprovera la cattiva pubblicità che fa alla causa curda. Il suo rivale, il clan di Jalal Talabani che capeggia l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) è più vicino a Teheran e alle milizie sciite irachene. Da parte loro i Curdi siriani hanno proclamato in marzo il sistema federale democratico del Rojava (Kurdistan dell’ovest), che unisce le tre province di Afrin, Kobabé e Djezireh. Il Consiglio Nazionale Curdo (CNK) si è accordato col PYD per creare un governo comune. Ma nel complesso i Curdi siriani sono più vicini ai loro fratelli originari della Turchia, che a quelli dell’Iraq e dell’Iran.
Note:
[1] Il 10 ottobre 2015, 103 persone sono rimaste uccise e più di 500 ferite in un duplice attentato suicida davanti alla stazione principale di Ankara, durante una manifestazione filo-curdaUno degli autori identificati è Yunus Emre Alagöz, fratello minore di Abdurrraham Alagöz, autore dell’attacco del 20 luglio a Suruç. Quest’ultimo provocò la morte di 34 persone e centinaia di feriti tra i giovani militanti della causa curda. Le autorità attribuiscono queste due azioni a Daesh.
[2] TKP/ML, THKP-C/MLSPB, MKP, TKEP-L, TIKB, DKP, MLKP, Devrimci Karargah.