Che cosa sta davvero succedendo in Venezuela
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Le Grand Soir, 27 ottobre 2017 (trad.ossin)
Che cosa sta davvero succedendo in Venezuela
Maurice Lemoine
Il 15 ottobre, quando più di 18 milioni di Venezuelani sono andati al voto per eleggere i Governatori, il Gran Polo patriottico Simon Bolivar (GPP), formatosi attorno al Partito Socialista Unificato del Venezuela (PSUV), ha trionfato in 18 Stati su 23, lasciandone solo 5 alla coalizione della Tavola di unità democratica (MUD; opposizione). Nonostante il risultato senza equivoci, ci guarderemo bene dall'infierire sul povero Paulo A. Paranagua, dipendente per l'America Latina del quotidiano della sera Fake News (ex-Le Monde) per il titolo del suo articolo del 17 ottobre: « Il Governo si attribuisce la vittoria alle regionali ». E' stato piuttosto il Consiglio Nazionale elettorale (CNE), e non il « Governo », ad annunciare i risultati delle elezioni. Evidentemente, avendo scritto qualche giorno prima (14 ottobre) « tutti i pronostici segnalano un progresso della MUD, che potrebbe strappare da 12 a 18 Stati, al posto dei 3 attuali », lo sfortunato giornalista poteva solo invocare « una frode su scala nazionale », per non passare da chiromante di terza categoria.
Allo stesso modo raccomandiamo indulgenza per Anthony Bellanger, l’ex-direttore della informazione al Courrier international, oggi cronista editorialista agli Inrocks, a BFM TV e a France Inter. Dovendo correre dall'uno all'altro per parlare di un paese di cui non conosce assolutamente niente, se la cava con talento raccontando la prima cosa che gli passa per la mente. Accortosi, scorrendo frettolosamente i dispacci, che, nonostante le « frodi », l’opposizione aveva fatto eleggere due Governatori in più rispetto alle precedenti elezioni, ha svelato il mistero agli ascoltatori del « servizio pubblico » il 16 ottobre alle 18,55: « Non siamo più nell'epoca sovietica, quando i dittatori riportavano il 99,8% dei voti. Si vincono le elezioni, ma non bisogna esagerare e quindi si perde un po' per non essere ridicoli ». Precauzione francamente inutile: chiunque abbia già sentito parlare Bellanger del Venezuela, sa bene che, molto fortunatamente per lui, il ridicolo non uccide.
Con una partecipazione del 61,4 %, certo « non sovietica » ma comunque superiore a quelle vantate da paesi altamente democratici come la Colombia, il Cile, l'Argentina, il Messico, la Francia, la Germania o gli Stati Uniti, lo chavismo si è imposto (54 % dei suffragi), infliggendo una dura umiliazione a quelli che avevano trasformato questa elezione in un referendum contro il capo dello Stato, Nicolás Maduro [1]. Oltre alle cifre, va sottolineato che i chavisti hanno riconquistato due giurisdizioni altamente simboliche. Lo Stato di Barinas, dove si trova Sabaneta, il villaggio natale di Hugo Chávez, ha eletto uno dei fratelli di quest'ultimo, Argenis Chavéz; lo Stato-chiave di Miranda, che include una parte della Grand Caracas, governato fino ad oggi da uno dei leader dell'opposizione, il multimilionario Henrique Capriles Radonsky, dichiarato ineleggibile dalla Giustizia [2], ha visto trionfare una delle giovani speranze della rivoluzione bolivariana, Héctor Rodríguez.
All'indomani, i dirigenti dell'opposizione sono apparsi completamente frastornati. Poi, rispettando un protocollo rodato in quasi due decenni, il portavoce Gerardo Blyde ha annunciato che la MUD non riconosceva i risultati frutto di una « frode senza precedenti », mentre le previsioni annunciavano una loro « gigantesca vittoria ». Aggiungendo poi: « Chiediamo ai candidati di organizzare manifestazioni e sit-in, sostenendo le nostre accuse di irregolarità ».
Per il momento senza grandi risultati, salvo quello che vede i media nazionali, ma anche internazionali, della destra e della sinistra più scervellata, ricorrere a ogni possibile cliché: « paese in agonia », « deriva autocratica », « regime autoritario », « imposizione di una dittatura »… Perché, quanto a giornalismo a bassa intensità, Paranagua e Bellanger, qui stuzzicati non per odio personale ma in quanto archetipi della parzialità delle informazione, non costituiscono, ahimè, per nulla un'eccezione.
La formattazione in corso dell'opinione pubblica è tale che conviene oramai ogni volta ripercorrere tutti gli episodi passati, per consentire un minimo di comprensione del presente. Così...
Una crisi senza precedenti (recenti) ha messo in ginocchio il Venezuela. Il « madurismo » starebbe « distruggendo il chavismo » (Marianne, 1° agosto 2017). Che vuol dire? Se il governo di questo paese petrolifero non commettesse alcun errore, sarebbe davvero l'unico al mondo ad essere perfetto. Ma i suoi errori di gestione non spiegano tutto. Dalle penurie organizzate, e l'accaparramento di alimenti, medicine e beni di prima necessità, agli esiti disastrosi del mercato nero, passando per una inflazione folle deliberatamente provocata, sono tutte conseguenze di una destabilizzazione economica provocata dopo l'elezione di Maduro, e che semina il caos nel paese [3]. E' stato il malessere sociale provocato dalla crisi che ha partorito la vittoria dell'opposizione alle legislative del dicembre 2015. Maggioritaria nell'Assemblea Nazionale, essa, consentendo il giuramento di tre deputati non eletti perché sospettati di frodi, a gennaio 2016 si è messa nell'illegalità, cosicché il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) ha deciso di invalidare tutte le sue decisioni. Di fronte ad una simile sfida all'ordine istituzionale, nessuno Stato di diritto avrebbe proceduto altrimenti.
« Prigioniero politico » emblematico, il leader di Volontà popolare (VP), Leopoldo López, non è stato condannato per le sue « opinioni », ma per avere scatenato un'ondata di violenze finalizzate a rovesciare il capo dello Stato – « La Salida » (l'uscita) – che, nel 2014, ha provocato 43 morti e più di 800 feriti. Presidente del governo spagnolo e membro della nobile « comunità internazionale » che, da Donald Trump a Emmanuel Macron, tratta il Venezuela come una dittatura, Mariano Rajoy ha telefonato a López lo scorso 12 luglio e gli ha fatto i « complimenti per il suo coraggio », pretendendo poi, per l'ennesima volta, la sua liberazione « totale » (il « dissidente » si trova attualmente agli arresti domiciliari) [4]. Grande Rajoy ! Il 16 ottobre, accusati di essere « i principali promotori e organizzatori » degli incidenti verificatisi in Catalogna il 20 settembre, senza che vi fossero morti, i presidenti di due associazioni indipendentiste, Jordi Sanchez (Assemblea nazionale catalana) e Jordi Cuixart (Omnium cultural), sono stati inquisiti per sedizione e posti in custodia cautelare. L’Unione europea si è limitata a qualche « critica discreta », troppo occupata come era a minacciare Caracas di sanzioni.
Da aprile a luglio 2017 non è stata, come hanno detto e ripetuto i disciplinati commentatori delle nostre televisioni e radio, « la repressione delle manifestazioni indette dall'opposizione » ma « l'ondata di violenza di questa » a provocare più di 125 morti. Eccessi polizieschi sì, ma anche assassini di poliziotti, crimini di odio commessi dai manifestanti, cittadini comuni vittime di incidenti dovuti alle barricate o assassinati per averle volute aggirare o allontanarsene, protestatari che si sono fatti saltare con le loro armi artigianali o i congegni esplosivi, ecc., la morte ha colpito dovunque, tra gli oppositori, i chavisti, gli indifferenti.
Nonostante ciò, il 1° settembre, in Fake News (ex-Le Monde), l’inevitabile Paranagua scrive ancora: « Da cinque mesi, le manifestazioni dell'opposizione seguono ancora lo stesso scenario, ricorda la signora Tamara Taraciuk [analista di Human Right Watch in Venezuela] ; i raduni e i cortei cominciano in modo pacifico; le forze dell'ordine le disperdono brutalmente; giovani radicalizzati allora si interpongono con degli scudi improvvisati e rispediscono i lacrimogeni contro i poliziotti, o rispondono lanciando pietre e bottiglie Molotov ». Niente di più di come la racconta la rappresentante dell'organizzazione di difesa dei diritti umani notoriamente vicina al Dipartimento di Stato USA, della quale riporta le dichiarazioni. Paranagua, non solo non hai mai “coperto”, come dovrebbe fare un giornalista, le manifestazioni dell'opposizione, ma mente anche deliberatamente
Come dimostrano le foto, si può constatare su questo sito che l'inversione della sequenza che egli opera stravolge deliberatamente i fatti [5] : Guardia nazionale e polizia bolivariana non reprimono le manifestazioni pacifiche (né le provocano « infiammandole » come hanno fatto le forze dell'ordine francesi, obbedendo agli ordini maldestri della gerarchia, durante le manifestazioni contro la legge El-Khomri). Esse intervengono solo quando i « i giovani radicalizzati » e sopratutto i gruppi d'assalto fascistizzanti e equipaggiati per la guerriglia urbana, lungi dall'interporsi per proteggere i cittadini da una repressione che non vi è stata, sopravanzano la testa del corteo e provocano gli scontri.
Violenza insurrezionale, vandalismo, enormi danni materiali, rottura dell'ordine democratico, tragedia umana, rifiuto dell'opposizione di sedersi ad un tavolo per dialogare: per venir fuori da questa trappola mortale, Maduro si rivolge al popolo e convoca l'elezione di una Assemblea nazionale costituente (ANC), scelta che gli è inequivocabilmente consentita dall'art. 348 della Costituzione [6]. L’opposizione che, nel 2014, reclamava una tale Costituente, la respinge in blocco e rifiuta di partecipare alla Commissione presidenziale incaricata di disciplinare le procedure. La Commissione alla fine stabilirà un voto per circoscrizioni municipali (364 membri) e un voto settoriale (176) in grado di eleggere specificamente: 79 lavoratori; 28 pensionati; 24 componenti dei consigli comunali; 8 contadini e pescatori; 8 indigeni (eletti con un sistema ritagliato sui loro usi e costumi); 5 imprenditori; 5 handicappati; 24 studenti. Mentre la Conferenza episcopale venezuelana, ancora in piena Guerra Fredda, denuncia « l’inserimento nella Costituzione di una dittatura militare, socialista, marxista e comunista », i boia in colletto bianco della gogna mediatica si accordano più o meno sul fatto che la Costituente è stata « eletta con una legge elettorale fatta ad hoc e contraria al suffragio universale e alla Costituzione ».
A parte l'ultimo punto, assolutamente falso, questa polemica merita un momento di attenzione. Basandosi sull'eguaglianza garantita dal suffragio « diretto e universale » – un individuo, un voto – la democrazia non si concilierebbe per definizione con qualsiasi meccanismo elettorale che favorisca talune categorie di cittadini, salvaguardando in tal modo la volontà collettiva dagli interessi corporativi, settoriali o particolari. Non mancano però analisti, generalmente progressisti, che notano, addirittura denunciano, il fossato che divide il « mondo politico » dalla società. La frattura tra elettori e rappresentanti « professionisti ». O il modo di riproduzione delle élite. Molti concordano su questa considerazione: « Non bisogna minimizzare l'influenza della appartenenza sociale di coloro che gestiscono il potere – anche solo locale –, sul contenuto delle loro politiche. Vi sono inoltre dubbi sulla loro capacità di rappresentare altre categorie, diverse dalla loro o da quelle che riescono a farsi intendere da loro… e che raramente sono molto lontane dalla loro [7]. » Chi contesterebbe che in Francia, per esempio, la maggioranza « macronista » dell’Assemblea nazionale sia composta da imprenditori e da yuppie delle start-up ? Quanti operai? Quanti contadini?
La democrazia « partecipativa » e « protagonistica » varata in Venezuela è una categoria sociologica realmente esistente. Non si potrebbe piuttosto ritenere il tipo di rappresentatività parzialmente scelto per la Costituente come qualcosa che si iscrive nella storia dei movimenti di emancipazione, ricchi di lotte dirette a coinvolgere le classi popolari? Con argomenti egualmente rispettabili dal punto di vista filosofico, si potrà essere d'accordo o meno. Ma, piuttosto che una scomunica automatica, la questione meriterebbe un vero dibattito di « filosofia politica » – soprattutto tra i « ribelli professionali », pronti a infiammarsi appena si tratti del Terzo Stato, della Rivoluzione francese o della Comune di Parigi, ma particolarmente timorosi e distanti quando si tratti del Venezuela di oggi [8]. Tanto più che, nel caso si specie, gli argomenti spesi dall'opposizione non reggono.
Alla vigilia dello scrutinio, da El Universal e El Nacional (Venezuela, 16 e 29 luglio), al Clarín (Argentina, 10 luglio), La Razón (Bolivia, 17 luglio), El Espectador (Colombia, 27 luglio e 10 ottobre), El Universo (Equador, 18 luglio), El Excelsior (Messico, 16 luglio), CNN (Stati Uniti, 10 luglio), El Nuevo Herald (Miami, 11 luglio), El País (Spagna, 8 luglio), L’Obs (25 aprile), Le Point (15 luglio) e La Croix (16 luglio), senza parlare di Fake News (ex-LeMonde, quasi un giorno su due!), il club planetario del pensiero unico diffonde, soddisfatto e incoerente, le cifre dell'istituto di sondaggio venezuelano Datanalisis : « Quasi il 70 % dei Venezuelani sono contrari alla Costituente e l'80 % critica il modo di comportarsi del capo dello Stato ».
In tali condizioni, e con un simile rapporto di forze, come immaginare anche solo per un attimo che anche nei collegi degli operai, dei contadini, degli imprenditori e degli studenti (ritenuti la punta di lancia delle manifestazioni!), o, sul piano territoriale, nei più modesti dei « municipi » [9], l’opposizione non avrebbe fatto eleggere suoi candidati, addirittura la maggioranza? A meno, ovviamente, che le famose previsioni riprese unanimemente dalla selezionata confraternita del lavaggio del cervello non fossero del tutto fantastiche… Cosa che non osiamo nemmeno immaginare.
In realtà, rifiutando di partecipare alle elezioni e di sedere nella Costituente, l'opposizione ha commesso il medesimo errore del 2005, quando, non presentando alcun candidato alle legislative del 4 dicembre, si è autoesclusa dalla Assemblea Nazionale per cinque anni – cosa che i loro leader più lucidi hanno poi amaramente rimpianto e criticato.
Il 30 luglio, giorno della elezione della ANC, non solo la MUD decide di boicottare lo scrutinio, ma i suoi leader più radicali invitano direttamente a sabotarlo. Proclamando uno sciopero generale (senza partecipazione !) di due giorni, Freddy Guevara, principale portavoce del partito Volontà Popolare, invita i Venezuelani a « restarsene a casa o ad uscire solo per erigere barricate ». Nei quartieri delle classi agiate di Caracas, epicentri delle violenze da aprile a luglio, i potenziali elettori vengono minacciati di aggressioni fisiche e perfino di morte. Il CNE dovrà aprire nella capitale dei « seggi di emergenza » per consentire la partecipazione di migliaia di cittadini cui è impedito di farlo nelle loro circoscrizioni. In questa escalation di violenza che vede, in provincia, seggi elettorali attaccati con granate e colpi di fucile, quasi 200 terminali del voto elettronico vengono incendiati (negli Stati di Merida Tachira, Zulia e Trujillo), un sergente della Guardia nazionale e un candidato chavista vengono assassinati, ventuno funzionari polizia feriti con armi da fuoco, otto guardie nazionali bruciate da un congegno esplosivo nel quartiere caraqueño di Altamira.
Almeno quindici persone vengono uccise nel week-end. Invano. Con sorpresa generale (per forza !) 8 089 320 Venezuelani vanno alle urne per eleggere i loro Costituenti, vale a dire il 41,5 % dell'elettorato. Uno schiaffo per quelli che consideravano Maduro sull'orlo di una tomba sulla quale sognavano di andare a sputare.
Naturalmente anche queste cifre saranno contestate. Prima di tutto, creando legittimi dubbi, da Antonio Mugica presidente della Smartmatic, l'impresa che ha fornito il software delle macchine del voto. « Stimiamo che la differenza tra la partecipazione reale e quella divulgata dalle Autorità sia almeno di 1 milione di voti », dichiara da… Londra, tre giorni dopo lo scrutinio.
Un fatto piuttosto strano… Senza che mai si sia registrato alcun incidente, e difendendo l'affidabilità dei risultati di dodici elezioni, una dopo l'altra, questa impresa ne organizza tecnicamente lo svolgimento dal 2004 – le operazioni di voto essendo completamente automatizzate. Oggi però, non solo Mugica sbatte precipitosamente fuori i suoi venti dipendenti venezuelani e chiude i suoi uffici « fino a nuovo ordine », ma evita ogni contatto col CNE, suo partner consueto, e poi vola in Gran Bretagna, dove organizza la sua spettacolare conferenza stampa. In seguito scompare, senza avere mai sottoposto a nessuno un qualsiasi rapporto tecnico dettagliato che spieghi la supposta frode « di almeno 1 milione di voti » (da ammirare la precisione), chi l'ha realizzata e come è stata possibile.
Su questo che resta un (relativo) mistero, avanzeremo una ipotesi. In un contesto di aggressione permanente, gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni contro – tra gli altri – la presidente del CNE Tibisay Lucena per il ruolo svolto nell'organizzazione di questa elezione « illegale ». « Questa iniziativa del governo USA colpisce anche altri fornitori della nostra istituzione che, per quanto abbiamo saputo, si sono visti bloccare i loro conti all'estero », evidenzierà Lucena [10]. Di qui a concludere che le imprese che lavorano col governo venezuelano rischiano di essere definitivamente tagliate fuori dal mercato statunitense, o addirittura di essere condannate a fortissime ammende dalla Giustizia di questo paese, c'è solo un passo – che noi facciamo (in compagnia dei dirigenti di Smarmatic, evidentemente)…
Reputando certamente il presidente di Smartmatic un po' troppo mollaccione, Henry Ramos Allup, deputato di Azione Democratica (AD, membro della MUD) stima la reale partecipazione in un misero 12 %, appena cioè 2,4 milioni di persone. Ispirato da questi sapienti « esperti », il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani (OSA) Luis Almagro, la bava alla bocca, si affretta a twittare: « Si conferma la più grande frode della Storia latino-americana sia in percentuali che in milioni di votanti ». Attraverso il capo della sua diplomazia, Federica Mogherini, l’Unione europea dichiara di non voler riconoscere questa ANC e annuncia di essere pronta ad « accentuare gradualmente » le pressioni su Maduro. Tra i membri della UE, è la Spagna che si spinge più avanti nelle misure di ritorsione. Grande Mariano Rajoy (bis) !
Il 16 luglio, due settimane prima dell'elezione della Costituente, l’opposizione sfida il governo organizzando un plebiscito presentato, coi consueti toni misurati, come « l’azione di disobbedienza civile più grande dell'umanità », « detonatore » dell'ultima fase della mobilitazione per ottenere le dimissioni del capo dello Stato. Tra i quesiti proposti, il primo sul rifiuto della Costituente, l'ultimo sulla formazione di un governo di unione nazionale, è il secondo che attira particolarmente l'attenzione: « Chiedete alle Forze Armate nazionali e a tutti i funzionari pubblici di applicare e difendere la Costituzione del 1999 e di rispettare le decisioni dell'Assemblea Nazionale ? » Un invito non dissimulato ad un intervento militare.
Giunto il giorno prima in compagnia di quattro altri ex presidente latino-americani come « osservatore internazionale », il messicano Vicente Fox giudica la farsa in corso come l'inizio della « fine » del governo Maduro.
« Il Venezuela ha inviato un messaggio chiaro all'esecutivo nazionale e al mondo », dichiarerà due giorni dopo la rettrice dell'Università centrale del Venezuela, Cecilia García Arocha, precisando che 6 492 381 persone hanno votato nel paese e 693 789 all'estero (mentre solo 101 000 sono registrati al CNE !). Intanto Freddy Guevara annuncia nuove tappe nella lotta battezzata « Ora Zero », e tuttavia questa consultazione incostituzionale e priva di qualsiasi valore legale, realizzata senza avallo né partecipazione del CNE, senza registri elettorali né schede verificabili perché bruciate all'esito dello scrutinio, si svolge però nella massima calma e senza interventi del « governo dittatoriale » [11].
Quale contrasto con la gestione calamitosa da parte del governo di destra al potere a Madrid del referendum (egualmente dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale spagnola) organizzato il 1° ottobre dagli indipendentisti catalani. Diecimila tra poliziotti e guardie civili, coi caschi e armati fino ai denti, per garantire l'ordine! Cariche poliziesche sulla folla pacifica, scuole prese d'assalto, decine di feriti, persone anziane sanguinanti... Alla fine della giornata, quasi 900 manifestanti hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere (e anche quasi 40 poliziotti). Fortunatamente per lui, Rajoy non è Maduro.
Diciotto governatori a cinque! L’elezione del 15 ottobre conferma la tendenza già osservata il 30 luglio. E provoca medesime accuse: « Frodi, violenze, irregolarità, manipolazioni, estorsioni e ricatti per negare la volontà dei Venezuelani »… L’opposizione denuncia soprattutto l'assenza di osservatori internazionali. Tuttavia, il 4 ottobre, è proprio Nicanor Moscoso, il presidente del Consiglio di esperti elettorali latino-americani (Ceela), a ricordare, nel corso di una conferenza stampa nella sede del CNE, che, all'esito di dodici audit per ciascuna delle fasi della procedura elettorale, sia il Grande Polo patriottico, che i partiti di opposizione, ne avevano attestato l'affidabilità.
Composto da cinquanta osservatori, tra cui venti ex presidenti, vice presidenti e magistrati di organismi elettorali nei loro rispettivi paesi, il rispettatissimo Ceela ha accompagnato e osservato più di trecento scrutini, in tutto il continente (salvo gli Stati Uniti !). Il suo portavoce, il colombiano Guillermo Reyes che, a Caracas, afferma che le verifiche effettuate assicurano « fiducia, sicurezza, trasparenza », difficilmente può essere considerato come un temibile sinistrorso: è stato presidente del CNE colombiano – paese in cui la destra monopolizza il potere dalla notte dei tempi! Tutti, subito dopo le elezioni, hanno attestato la veridicità dei risultati. Ottenuti d'altra parte nelle stesse condizioni, con gli stessi software e hardware, di quelli usati nel dicembre 2015, quando vinse la MUD.
Nel suo comunicato, l'opposizione denuncia anche la dislocazione di alcuni seggi nelle ore che hanno preceduto lo scrutinio. E con buona ragione… E' stato fatto in quelle località dove, durante le elezioni per la Costituente, farabutti al soldo dell'estremismo avevano creato il caos e minacciato i cittadini per impedire loro di votare. Essendo restati operativi e sfuggendo al controllo dei leader della MUD che avevano deciso di partecipare alle elezioni regionali, costituivano una minaccia potenziale. Ragione per cui il CNE ha effettivamente spostato, e a buona ragione, in sette Stati, 282 seggi (su 13 599) in luoghi meglio protetti dalle forze di sicurezza.
A eccezione dell'oppositore Andrés Velásquez che, battuto per pochissimo (0,26 % dei voti) nello Stato di Bolivar, presenta documentazione suscettibile di evidenziare delle irregolarità, tutti gli altri leader si accontentano genericamente di denunciare « il sistema elettorale più corrotto del mondo » (Henrique Capriles) e di appellarsi alla comunità internazionale. Omettendo ovviamente di fare lo stesso per quanto riguarda gli Stati in cui hanno vinto. E' vero che…
« Meglio ancora! I chavisti perdono negli Stati periferici, un po' come se concedessero qualche briciola all'opposizione », dice Anthony Bellanger agli sfortunati ascoltatori di France Inter, nella sua brillante cronaca del 16 ottobre. Se non avesse solo un fagiolo al posto del cervello, dovrebbe sapere che sono proprio tre di questi Stati - Zulia, Tachira e Merida - che il governo, se ci fossero state frodi, avrebbe dovuto fare di tutto per controllare.
Nello Zulia, il candidato di “Prima di tutto Giustizia” (Primero Justicia), Juan Pablo Guanipa, si è imposto col 51,6 % dei suffragi. Principale zona petrolifera, con uno sbocco sul Mare dei Caraibi attraverso il lago di Maracaibo, e dunque vitale per l'economia del paese, lo Zulia, enfatizzando alcune particolarità storiche e culturali, ha sempre manifestato velleità secessioniste. Nel 1863, durante la « guerra federale », il generale Jorge Sutherland vi proclamò lo Stato sovrano di Zulia, che diventerà nel 1866 la Repubblica del Zulia (comprendente anche gli Stati di Trujillo, Merida e Tachira) che verrà poi sconfitta.
Ma senza andare troppo in là nel tempo, nel 2003, Julio Portillo, direttore della Scuola di Scienze Politiche dell'Università [privata] Rafael Urdaneta, paragonandolo al Quebec e a Panama, propose un referendum sull'indipendenza di Zulia, sostenendo che esso è « una Nazione di fatto… con le sue ricchezze » [12]. Nel 2005, la direttrice del dipartimento di scienze politiche dell'Università di Zulia, Lucrecia Morales, ancora esorterà a separare lo Stato da « questo governo » (di Chavez) attraverso la « emancipazione definitiva [13] ».
Poco tempo prima delle elezioni amministrative tenute in quello stesso anno, l'ambasciatore degli Stati Uniti William Bromfield, nel corso di una visita al governatore di opposizione Manuel Rosales, dichiarò a Maracaibo : « Venticinque anni fa, ho vissuto per due anni nella Repubblica indipendente e occidentale di Zulia, e so perfettamente che cos'è un clima caldo [14] ! » Per poi immaginare la possibilità di firmare un « accordo bilaterale » tra lo Zulia e gli Stati Uniti.
Posti sulla frontiera con la Colombia, Tachira e Merida sono stati, oltre ai quartieri yuppie di Caracas, l'epicentro dell'ondata di violenze da aprila a luglio 2017. La vittoria dei due governatori eletti, Laidy Gómez (Tachira, 63,3 % dei voti) e Ramón Guevara (Merida, 51,05 %), forti sostenitori di queste « guarimbas » (le proteste violente che hanno insanguinato le strade, ndt), fa prevedere un certo lassismo nel mantenimento dell'ordine, in caso di ripresa delle ostilità in questa regione particolarmente sensibile. Per quanto i protagonisti locali dei recenti disordini abbiano potuto contare sull'aiuto di paramilitari colombiani, Laidy Gómez sembra considerare come una priorità un'ampia apertura della frontiera col paese vicino, senza mostrarsi troppo preoccupata del contrabbando di beni di prima necessità che, nel quadro della « guerra economica », danneggia il Venezuela.
Per la sua continuità geografica, questo triangolo strategico (Zulia, Tachira, Merida) potrebbe provocare una crisi di gravità eccezionale se, come fecero nel 2008 le ricche provincie petrolifere della « mezzaluna » in Bolivia – Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija – per tentare di destabilizzare Evo Morales, respingesse l'autorità del governo centrale, organizzando un qualche tipo di secessione. O anche se consentisse una forte penetrazione paramilitare dal paese vicino. O ancora se favorisse la creazione di una « zona liberata » dalla quale potesse venire un appello a un governo sedicente « legittimo » – premessa forse di un « governo in esilio », un Tribunale supremo di giustizia parallelo si è già insediato, a Washington, nella sede della OEA. O infine se, nell'ambito dell'eventuale « operazione umanitaria » invocata da Washington e dall'OEA, favorisse un intervento, anche questo proveniente dalla Colombia.
Complottismo ? Chi può avere dimenticato le inquietanti dichiarazioni del direttore della CIA, Mike Pompeo, quando ha rivelato che la Colombia « è disposta a collaborare per il ristabilimento della democrazia in Venezuela » ?
Insomma, sarebbe stato vitale per il PSUV controllare direttamente questi tre Stati. Ma, per pietà, non andate a dire alla madre di Anthony Bellanger che suo figlio è analfabeta, lei lo crede cronista del mattinale di France Inter…
Nell'attesa, forti turbolenze scuotono la MUD. Già le primarie organizzate il 10 settembre per scegliere i candidati avevano scatenato forti tensioni. Minoritari, i i partiti « ultrà » Vente Venezuela, di María Corina Machado, e Alianza Bravo Pueblo, del sindaco di Caracas Antonio Ledezma, attualmente agli arresti domiciliari, avevano deciso di non partecipare alle elezioni regionali « per non tradire il popolo ». Queste primarie hanno visto dunque in competizione Azione democratica (di Henry Ramos Allup), Volontà Popolare (di Leopoldo López e Freddy Guevara), Prima di tutto Giustizia (di Henrique Capriles), Un Nuovo Tempo (di Manuel Rosales), Avanzata Progressista (di Luis Romero e Henry Falcón) e il Copei (di Enrique Mendoza). Caratterizzato da un forte astensionismo, questo confronto « tra amici » ha consentito al vecchio partito social-democratico di rastrellare la maggior parte delle candidature, grazie al suo relativo moderatismo e al radicamento nei territori. Promotore delle violenze durante i mesi precedenti, Volontà Popolare crollerà. Tradimenti, insulti e perfino botte hanno agitato i seggi elettorali. Prima di tutto Giustizia ha accusato il suo ex militante Ismael García, passato ad Azione Democratica, di essere ricorso alla frode e all'aiuto di una banda criminale – El Tren de Aragua – per intimidire i suoi avversari. Nello Stato di Amazonas, il governatore uscente Liborio Guarulla ha denunciato la MUD per avere sequestrato il materiale elettorale e imposto un candidato.
Dopo l'inattesa vittoria chavista, i gruppi cambiano gioco. La furibonda María Corina Machado accusa i « cogollo » [15] di essere stati complici della frode per avere accettato le condizioni, imposte dal governo, di svolgimento delle elezioni. Più o meno trotzkista, ritenuto rappresentante della destra politica, il politologo Nícmer Evans rimprovera alla MUD (la destra e l'estrema destra) di « non avere incluso lo chavismo critico nella sua strategia [16] ». I candidati di opposizione battuti gridano allo scandalo, in modo più o meno convinto. Ma non tutti. Governatore uscente dello Stato di Lara e candidato della MUD, Henri Falcón dichiara : « Responsabilmente, io dico che abbiamo perso, è molto semplice, e occorre accettarlo perché bisogna dare dimostrazione di coraggio. » Deputato anti-Maduro, José Guerra non la manda a dire: « Ci siamo battuti da soli, non siamo stati capaci di mobilitare i nostri simpatizzanti! » L’ex-primo segretario della MUD, Jesús « Chuo » Torrealba, si mostra particolarmente irritato: « La dichiarazione della MUD mi allarma, non si capisce niente. Non è questione di credere o non credere ai risultati (…) Dovrebbe essere in grado di dire: ecco il numero di elettori iscritti, ecco i risultati, e non coincidono ».
Proprio come il presidente del suo partito Azione Democratica, Antonio Ecarri Bolívar – « Questi risultati dipendono dall'astensione, non da una ipotetica frode » – Henry Ramos Allup constata , il 16 ottobre in una trasmissione di Globovisión : « Già nel pomeriggio [di domenica], ero stato informato che l'affluenza degli elettori di opposizione era calata, e questo lasciava prevedere un risultato positivo per lo chavismo. » Richiesto di un commento, poi, sulla posizione del segretario generale della OEA Luis Almagro, che ha criticato la partecipazione alle regionali, fa esplodere una bomba (che si sarebbe dovuta intendere almeno fino a Bruxelles, Parigi e, perché no, alla sede della Radio) : « Credo che Almagro si sbagli del tutto (…) Gli raccomando di riconsiderare la sua posizione e di smetterla con le lezioncine impartite dall'estero ».
Per spiegare questo spettacolare ribaltamento di prospettiva, preciseremo che, dei cinque governatorati vinti dalla opposizione, quattro sono andati ad Azione Democratica – cosa che fa di Ramos Allup il potenziale leader dell'opposizione alle elezioni presidenziali del 2018.
La strategia insurrezionale della MUD non ha pagato. Quando il paese sembrava in preda alla follia, l'Assemblea Costituente convocata da Maduro ha riportato quella calma che la maggioranza dei Venezuelani sognava. In modo inatteso, una delle sue prime decisioni, la destituzione della procuratrice generale Luisa Ortega, passata armi e (soprattutto) bagagli al nemico, e la sua sostituzione con Tarek William Saab, ha consentito l'avvio di una lotta inedita e spettacolare contro la corruzione – flagello che ha molto danneggiato la rivoluzione bolivariana, scandalizzando i cittadini di ogni tendenza [17]. Il rafforzamento dei Comitati locali di approvvigionamento e di produzione (CLAP), consentendo la distribuzione di kit di alimenti sovvenzionati da parte del governo a nove milioni di famiglie, permette loro di non soffrire per delle penurie organizzate per far cadere Maduro, manovre cinica, ma insieme brodo di coltura del malcontento popolare. Le minacce di Donald Trump e l'ingerenza di paesi della regione suscitano una repulsione viscerale. « Ma è da pazzi! » : Bolivar e Chávez ritornano ad essere più vivi che mai.
In breve: nonostante un contesto sociale ed economico delicato, il cuore del chavismo si è di nuovo mobilitato.
La MUD, dal canto suo, ha fatto tutto quello che era umanamente possibile per perdere. Per quattro mesi ha spinto la classe media in piazza in nome di una « ribellione civica », assicurando che era imminente la caduta del tiranno Maduro. Senza ottenere risultati. La crudeltà e gli eccessi dei suoi squadroni d'assalto militar-delinquenziali hanno finito con lo spaventare la frazione moderata dei suoi partigiani. Dopo il plebiscito del 16 luglio, Julio Borges, il Presidente del Parlamento, ancora diceva, lamentando la « faziosità » del CNE : « La Costituente è inaccettabile e noi non cadremo nella trappola delle elezioni regionali ». Leitmotiv : « In una dittatura non si vota », perché equivarrebbe a « legittimare il regime ». Improvvisamente, Ramos Allup, poi Freddy Guevara, cambiando opinione, hanno annunciato che Azione Democratica e Volontà Popolare avrebbero partecipato – in modo « tattico » secondo Guevara – alle elezioni. « Tattica » forse, comunque… Smartmatic ha appunto denunciato la manipolazione di « un milione di voti circa » da parte del CNE ! Guevara viene accusato dal suo stesso campo di essere « traditore » e « opportunista ». Cosa che non impedisce agli altri partiti di seguirne l'esempio e a 196 candidati di opposizione di presentarsi alle primarie. Portando i « duri » alla rottura. Gettando in un assoluto sconcerto militanti e simpatizzanti, che non sanno più a che santo votarsi.
Altro motivo di disagio per i moderati: la MUD non propone alcun programma credibile, nessuna misura, nessuna soluzione concreta capace di attenuare la crisi economica. Solo « rovesciare la dittatura ». Soprattutto, i leader del « G-4 » – Prima di tutto Giustizia, Volontà Popolare, Un Nuovo Tempo, Azione Democratica – con la mente rivolta solo alle presidenziali di dicembre 2018, passano tutto il tempo a farsi gli sgambetti. Annunciano che dialogano col governo, ma attenzione, senza dialogare. Vivono lussuosamente in aerei che volano tra Caracas, Lima, Washington e Bruxelles, dove elemosinano sanzioni e l'asfissia… economica del paese. Addirittura anche un intervento, naturalmente « umanitario », ma comunque un po' militarizzato… I chavisti parlano di « tradimento della patria » – e la cosa scandalizza i benpensanti planetari – , ma i più ragionevoli oppositori di Maduro sono scioccati e inquieti per queste pratiche: la soluzione della crisi dunque sta all'estero? Anche loro, come i loro compatrioti « bolivariani », aspirerebbero ad un minimo di razionalità e ad un po' di tranquillità.
15 ottobre. La demonizzazione permanente del CNE raggiunge l'apice (anche se non è ancora il momento!): gli oppositori vengono invitati all'astensione. Le divisioni e i tradimenti durante le primarie hanno lasciato il segno: quelli cui non piace il candidato rimasto in lizza rimangono a casa. I seguaci rabbiosi di Maria Corina Machado sputano su tutti. Rispetto alle legislative di dicembre 2015, la MUD perde tre milioni di voti. Non a causa delle frodi, è un voto che li sanziona.
Come è giusto, i suoi leader avevano annunciato che in nessun caso i loro cinque governatori eletti avrebbero prestato giuramenti dinanzi alla Assemblea Nazionale (Costituente) « rinnegata », come preteso dal Governo. Ma, per gli interessati, significa prendersi il rischio (come già all'Assemblea Nazionale dopo gennaio 2016) di ritrovarsi fuori gioco. Il 23 ottobre, facendo esplodere la MUD, i quattro governatori di Azione Democratica – Laidy Gómez (Tachira), Alfredo Díaz (Nueva Esparta), Ramón Guevara (Merida) e Antonio Barreto Sira (Anzoategui) – passano il Rubicone per potere assumere le loro funzioni. Solo Juan Pablo Guanipa (Prima di tutto Giustizia), eletto nel Zulia, rifiuta di riconoscere la legittimità dell'ANC e rischia dunque di vedere la sua elezione invalidata.
Apprendendo la notizia di questa vittoria altamente simbolica, il presidente Maduro si pronuncia con misura alla radio e alla televisione: « Ho telefonato a tutti i governatori dell'opposizione e ho detto loro che si volta pagina. Tendo loro la mano perché si lavori insieme. Dio voglia che si possa mantenere questo clima di buona volontà ». Non è certo che sia inteso da tutti. Parlando dei quattro governatori, Leopoldo López li accusa di « tradimento e truffa ». E la destra dura annuncia una (nuova) tournée internazionale per denunciare la tirannia.
L’emergere di questi oppositori ragionevoli spariglierà le carte? Non è certo. Perché quella di Washington sembra chiara: imporre dall'esterno quello che i suoi protetti non sono capaci di ottenere nel paese. Trump accentua le sanzioni economiche. All’OEA dove, il 14 ottobre, ha presieduto la cerimonia di investitura di un Tribunale di giustizia venezuelano parallelo e dove complotta per ottenere il deferimento del governo venezuelano dinanzi la Corte Penale Internazionale (CPI), è tale la deriva di Luis Almagro che il presidente boliviano Evo Morales pensa che bisognerebbe farlo visitare da uno psichiatra. Tuttavia, per quanto talvolta a disagio di fronte ad un attivismo che lo Statuto dell' OEA non gli consentirebbe assolutamente, l’Argentina, il Brasile, il Canada, il Cile, la Colombia, il Costa Rica, il Guatemala, l'Honduras, il Messico, Panama, il Paraguay e il Perù si adeguano. Mentre ogni giorno, in Colombia, vengono assassinati leader popolari, il presidente Juan Manuel Santos si dice convinto che la soluzione della crisi del Venezuela passi attraverso la « celebrazione di elezioni generali » anticipate, con « un CNE indipendente ».
I venticinque Stati della UE hanno recentemente manifestato il loro « accordo di principio » all'applicazione di sanzioni contro « il regime » di Maduro. « Occorre un ritorno allo Stato di diritto » in Venezuela, ha affermato da parte sua il ministro francese agli Affari esteri Jean-Yves Le Drian.
Nell'edizione del 20 ottobre, il quotidiano della sera Fake News (ex-Le Monde) ha pubblicato un lungo reportage della sua corrispondente Claire Gatinois che racconta le tristi tribolazioni di una graziosa studentessa di contabilità di Caracas che si prostituisce per 80 reais a botta (20 euro) in Brasile, a Boa Vista (Stato di Roraima). Morale dell'articolo: « Perfino una vita miserabile è meglio del Venezuela ».
Niente, invece, a proposito del recentissimo ricorso depositato presso la Corte Suprema Federale da Dilma Rousseff, che chiede venga dichiarato nullo lo pseudo « impeachment » che ha interrotto il suo mandato presidenziale nel 2016. Una nuova testimonianza ha rivelato che l'ex deputato Eduardo Cunha, braccio destro di Michel Temer e all'epoca presidente della Camera dei Deputati, ha ricevuto un milione di reais (265 809 euro) per acquistare il voto dei deputati e ottenere la sua destituzione.
Niente nemmeno, mai, sulle donne dei quartieri popolari (e non solo) che, in Venezuela, votavano ieri per Chavez e oggi per Maduro.
Note:
[1] Il PSUV ha vinto negli Stati di Amazonas, Apure, Aragua, Barinas, Bolivar, Carabobo, Cojedes, Falcón, Guárico, Lara, Miranda, Monagas, Portuguesa, Sucre, Trujillo, Yaracuy, Delta Amacuro, Vargas, e ha riconosciuto la sconfitta negli Stati di Anzoategui, Merida, Tachira, Nueva Esparta e Zulia.
[2] Capriles avrebbe ricevuto tangenti da Odebrecht, il grande gruppo di BTP brasiliano coinvolto in uno scandalo che tocca funzionari e uomini politici di tutte le tendenze in dodici paesi dell'America Latina e dell'Africa.
[3] Leggi: Mémoire des luttes, « La guerre économique pour les nuls (et les journalistes) », 11 agosto 2017.
[4] ABC, Madrid, 12 luglio 2017.
[6] Articolo 348- L’iniziativa di convocare l'Assemblea nazionale Costituente potrà essere presa dal presidente o dalla presidente della Repubblica in Consiglio dei Ministri, dall’Assemblea nazionale a maggioranza dei due terzi dei suoi membri, dai consigli municipali riuniti in consiglio municipale a maggioranza dei due terzi dei loro membri o dal 15% degli elettori iscritti nelle liste elettorali.
[7] Michel Koebel, Le Monde diplomatique, gennaio 2014.
[8] Altre riflessioni e proposte esistono in giro per il mondo, come per esempio quelle del politologo statunitense James Fishkin, che soprattutto suggerisce la formazione di comitati, di assemblee di cittadini estratti a sorte e statisticamente rappresentativi, con potestà di pronunciarsi sui dossier complicati.
[9] A parte il voto settoriale, 364 Costituenti sono stati eletti sulla base di uno per comune, due per capoluogo di provincia e sette per Caracas.
[10] Misión Verdad, Caracas, 3 agosto 2017.
[11] Unica notevole eccezione, un colpo di fucile ha provocato la morte di una donna davanti ad un seggio situato nella parte ovest di Caracas. Probabilmente « chavista », il presunto colpevole è stato arrestato.
[12] La Verdad, Maracaibo, 26 ottobre 2003.
[13] La Jornada, Mexico, 11aprile 2007.
[14] Id.
[15] Espressione peggiorativa che viene dalla IV° Repubblica: i notabili della direzione del partito.
[16] BBC Mundo, Londra, 16 ottobre 2017.
[17] Leggi « Comment le nouveau procureur général Tarek William Saab a repris et accéléré la lutte contre la corruption au Venezuela, Venezuela Infos, Caracas, 21 ottobre 2017 – https://venezuelainfos.wordpress.com/