Venezuela: il tempo lavora per Maduro
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Strategic Culture, 2 febbraio 2019 (trad. ossin)
Venezuela: il tempo lavora per Maduro
Tom Luongo
La migliore notizia degli ultimi mesi per il presidente venezuelano Nicolas Maduro è venuta dal presidente russo Vladimir Putin. A dicembre Putin e Maduro hanno riaffermato le buone relazioni tra i due paesi con qualcosa di più delle sole parole
Più di cinque miliardi di dollari in nuovi contratti di sfruttamento e di produzione petrolifera sono stati firmati in occasione dell’incontro di dicembre tra i due leader, e questo aiuterà il Venezuela a implementare il suo ambizioso – o temerario – piano di fare della sua criptomoneta basata sul petrolio, il Petro, l’unica valuta con cui effettuare le proprie transazioni petrolifere.
Maduro ha insistito sul fatto che la compagnia petrolifera nazionale venezuelana PVDSA accetterà solo Petro in pagamento del suo petrolio a partire da quest’anno. A detta di tutti, il Petro assomiglia a una truffa. Fin quando non avrà dimostrato di saper rispettare gli impegni,etrolio non vi sarà nessuna speranza che Russia e Cina la utilizzino.
Ma in teoria il Petro è una buona idea. E Maduro può rinunciarvi? Ecco una bella domanda. Io ne dubito.
Ma se questo piano, o qualcosa del genere, dovesse riuscire, esso rappresenterebbe un cambiamento tettonico per l’economia mondiale. Non oggi, né domani, certo, ma col tempo. Perché? Perché offre una via di uscita ai paesi che non figurano nella lista degli auguri di Natale della Gang di Davos per liberarsi da se stessi dalle catene dello FMI, della Banca Mondiale o di SWIFT, dalla schiavitù del debito, dalla povertà e dai rischi di regime change.
Siccome le criptomonete vivono fuori dal sistema bancario tradizionale, esse consentono di aggirare le sanzioni – che sono atti di guerra – e di continuare a commerciare pacificamente alle proprie condizioni, e non a quelle stabilite a Wall Street o a K Street.
Detto questo, non c’è bisogno necessariamente del Petro. Maduro potrebbe semplicemente usare il Bitcoin.
L’altro giorno ho scritto un articolo nel quale collego la politica statunitense verso il Venezuela a quella verso l’Iran, affermando che il motore della politica estera di Trump sono i suoi piani di dominazione energetica. Il Venezuela sembra un giro di prova per quello che si vuole fare con l’Iran in quest’anno o all’inizio del 2020.
Ed è John Bolton l’architetto di questa politica orribile.
Ecco il piano di John Bolton di regime change. Demonizzare il leader di un paese che si oppone al nostro regime imperiale, tagliarlo dal resto del mondo attraverso l’imposizione di sanzioni e pressioni politico-militari, e attendere che la società crolli. Poi appoggiare un cambio di regime realizzato da una marionetta statunitense, nel caso di specie dal personaggio Juan Guaidó.
Far passare il tutto come dovuto al fallimento del governo in carica. Nel caso di Chavez e Maduro, è sufficiente evocare lo spettro del socialismo, soprattutto adesso coi i democratici e i media che presentano il Che de noantri, Alexandria Ocasio-Cortez, come una spaventapasseri.
Se tutto questo non basta, allora si minaccia l’invasione per ragioni umanitarie. L’unico modo per farlo funzionare con una popolazione statunitense stanca di due decenni di guerre consecutive, è fare in modo che le cose si deteriorino talmente che il nostro intervento ci faccia sembrare come salvatori di un popolo ferito.
Una volta che hai fatto il grande passo, come quello che Bolton e Pompeo hanno fatto questa settimana, allora devi uccidere rapidamente, sennò le cose si stabiliscono contro di te. Già l’ho detto l’estate scorsa, quando la lira turca era il grande argomento del momento.
E prima era il tentativo dei Sauditi di rovesciare il governo del Qatar con un blocco finanziario e militare.
E, a fine 2014, era la caduta del prezzo del petrolio che doveva scatenare una rivolta contro Putin in Russia, e pure questa idea è fallita, a onta delle voci su un colpo di Stato interno al Cremlino represso da Putin nel marzo 2015.
Ogni giorno che passa dal momento delle grandi novità – il giorno della crisi – le speranze di sopravvivenza del bersaglio aumentano, la situazione migliora e il panico si attenua, l’informazione perde mordente, i mercati si calmano e gli alleati reagiscono.
I prossimi giorni saranno cruciali per Maduro. Perché una volta che gli Stati Uniti fanno la loro grande mossa, se non ottengono subito quello che vogliono, non l’otterranno mai. L’opposizione contro la nostra ingerenza a Caracas si rafforzerà, la posizione di Maduro si farà più stabile e le cose si calmeranno.
Spetterà allora a Maduro di impiegarsi seriamente per migliorare la situazione nel suo paese. Ancora una volta io non sono sicuro che ne sia capace, ma una volta che gli è apparso evidente fino a qual punto l’Occidente vuole cacciarlo, sarà più facile per lui vendere ai Venezuelani l’idea che le difficoltà sono colpa di Washington, e non sue.
L’unico aspetto positivo in tutto questo è che Trump potrà attribuire a Bolton e Pompeo la responsabilità di questa situazione, licenziarli per incompetenza e cominciare a cambiare la sua politica verso l’Iran. Ma probabilmente questo è un mio voto pietoso.
Nel corso dei due anni scorsi, la produzione di petrolio in Venezuela si è ridotta di quasi il 30%, passando da più di 2,1 milioni di barili al giorno a meno di 1,5 milioni alla fine dell’anno scorso. In dicembre c’è stato un piccolo miglioramento e si è risaliti a più di 1,5 milioni.
Ma la realtà è che questi barili persi fanno la differenza tra un governo stabile e un governo sull’orlo del baratro. L’obiettivo principale di Putin e di Xi Jinping, dovrà essere oramai di riportare rapidamente le cifre della produzione ai livelli del 2017 e ristabilire una parvenza di normalità.
Il crollo della produzione del petrolio del Venezuela è da sempre il piano degli Stati Uniti. E si tratta, francamente di un trattamento disumano verso il popolo venezuelano, del quale pure l’amministrazione Trump sostiene di preoccuparsi tanto. La nostra politica nei loro confronti è solo una variante del vecchio adagio secondo il quale «le botte proseguiranno fin quando non migliorerà il morale».
In questo caso, sostituite le parole «migliorerà il morale», con l’espressione «cacciare Maduro» e «botte» con «blocco dell’accesso al sistema bancario mondiale».
Ma questo non è molto diverso dalla retorica tanto usata da Pompeo e da Bolton a proposito dell’Iran. Vi ricordate della lista delle 12 richieste di Pompeo all’Iran dell’anno scorso? Era un chiaro avvertimento al governo iraniano: «Dimettetevi o affameremo il vostro popolo».
Gli esseri umani preferiscono morire di fame piuttosto che essere salvati da megalomani come Bolton, Pompeo e Trump. La nostra dignità lo esige. Quel che è più triste, è che Trump ha venduto questa politica alla sua base elettorale come una specie di missione umanitaria diretta a salvare i Venezuelani da Maduro.
Lo stesso lavoro preparatorio è stato già fatto per l’Iran.
In realtà gli Stati Uniti devono affamare il mondo di petrolio per poter mantenere il sistema del petrodollaro, dal quale solo possono essere salvati.