InvestigAction, 16 settembre 2015 (trad, ossin)


La storia del paese arabo più ricco del mondo in guerra col paese arabo più povero del mondo
Yemen: per un goccio d’oro nero
Bahar Kimyongur


Aerei che sganciano bombe sui civili; popolazione allo stremo, assediata e affamata; bambini fatti a pezzi; strade, ponti, scuole, ospedali, quartieri residenziali, cimiteri, aeroporti distrutti, patrimonio archeologico devastato. No, questa volta non stiamo parlando della Siria, ma di un paese dimenticato, lo Yemen

Dal 25 marzo scorso, lo Yemen è aggredito e invaso dall’Arabia Saudita, questo paese amico che ci rifornisce di petrolio e che acquista le nostre armi.

Secondo stime dell’ONU, in meno di 200 giorni di guerra, il regime wahhabita ha ucciso quasi 5000 volte in Yemen, colpendo quasi 500 bambini.
Il numero delle vittime civili della guerra in Yemen è proporzionalmente superiore al numero dei civili uccisi nella guerra di Siria. Infatti in Yemen la metà dei morti sono civili, mentre in Siria sono “solo” un terzo. E tuttavia, nessuno degli umanisti professionali impegnati ad insultare Assad leva la propria voce contro il re Salman.

La Siria si è vista imporre una guerra per interposti terroristi, una politica di isolamento e di sanzioni economiche. Per contro, all’Arabia Saudita vanno solo i nostri salamelecchi e le nostre lodi. “Il nostro amico, il re “Salman non fa che distruggere con le sue bombe. Impone un blocco terrestre, marittimo ed aereo che, secondo Medecin sans frontières (MSF), uccide altrettanti civili della guerra. 20 milioni di Yemeniti rischiano infatti di morire di fame e di sete a causa della guerra e dell’embargo saudita.

Si è vista raramente una politica dei due pesi e delle due misure così netta, tra una Siria che scatena passioni ed uno Yemen che lascia indifferenti.
Questa politica dei due pesi e delle due misure assomiglia ad un match di box tra un peso massimo e un peso piuma dove il primo può colpire il secondo sotto la cintura, ma non il contrario.


Il vaso di ferro contro il vaso di terracotta

L’aggressione saudita contro lo Yemen ha una dimensione mitica.
E’ la storia del paese arabo più ricco del mondo in guerra contro il paese arabo più povero del mondo. Ancora una volta prevale la legge del più forte.
Noi abbiamo consentito al nostro amico, il re Salam, di costruire una guerra sunnita/sciita in Yemen, mentre la gran parte dei mussulmani yemeniti prega insieme in moschee prive di qualsiasi etichetta confessionale.

Noi abbiamo demonizzato e bandito il movimento ribelle Ansarullah, definendolo “sciita” e “houthi”, per compiacere il nostro amico il Re Salman, mentre Ansarullah non è altro che una coalizione patriottica cui appartengono numerose personalità sunnite come il mufti Saad Ibn Aqeel, o anche formazioni non religiose come il partito Baath arabo socialista dello Yemen.

Noi abbiamo escluso Ansarullah dai pourparler di pace, nel momento in cui il movimento ribelle negoziava coi suoi avversari politici, ivi compreso Abderrabo Mansour al Hadi, un agente saudita all’epoca agli arresti domiciliari.

Noi abbiamo consentito che lo Yemen tornasse ad essere il cortile sul retro del Re Salman, mentre questa nazione aspirava all’indipendenza.

Noi abbiamo voltato lo sguardo, mentre i sicari del Re Salman (Al Qaeda e Dach) davano alle fiamme la chiesa di San Giuseppe a Aden e bombardavano la moschea sciita di Al Moayyad a Jarraf. Noi non abbiamo versato una sola lacrima per i bambini yemeniti bruciati vivi dai bombardieri del nostro amico, il Re Salman.
Lo Yemen è un paese così lontano che i suoi rifugiati non ci invaderanno.
Lo Yemen è un paese tanto trascurato che i suoi lamenti non ci raggiungeranno.

Se Jean de la Fontaine fosse stato testimone della guerra del Re d’Arabia saudita contro il suo miserabile vicino, avrebbe forse ripreso la favole del vaso di ferro contro quello di terracotta:
“Che venne fatto in mille pezzi dal suo compagno
Senza avere avuto neppure il tempo di lamentarsi”.

E sono 200 giorni che il movimento internazionale per la pace lascia fare il vaso di ferro contro un paese fragile come un vaso di terracotta.
E’ come se ci fosse caduto sulla testa un vaso di ferro.


Lo Yemen di oggi, è lo Yemen di ieri

Negli anni 1960 e 1970, in Vietnam è successo qualcosa di simile a quanto accade oggi in Yemen. Ngo Dinh Diem era l’uomo di paglia degli USA, così come Abderrabo Mansour al Haidi lo è dell’Arabia Saudita.
Il Vietcong (FNL) di allora è l’Ansarullah di oggi.
Che il primo fosse comunista e il secondo di ispirazione sciita conta poco. I movimenti nazionalisti vietnamiti e yemeniti hanno entrambi come obiettivo l’unificazione del loro paese e l’emancipazione dal giogo straniero.

All’epoca il movimento internazionale per la pace ha sostenuto la resistenza del popolo vietnamita, senza peraltro essere comunista e nonostante il fatto che i vietcong fossero aiutati dall’URSS e dalla Cina.

Oggi il movimento internazionale per la pace, non solo non difende il diritto del popolo yemenita alla resistenza col pretesto – tra l’altro – che è aiutato dall’Iran e dalla Siria ma, in più, non difende nemmeno quello che è la sua ragion d’essere, la pace.


Niente sangue per il petrolio

Non molto tempo fa, nel 1991 e nel 2003, gli USA hanno usato il suolo saudita per fare la loro guerra contro l’Iraq.
All’epoca eravamo milioni a gridare “Niente sangue per il petrolio” (No Blood for oil). Oggi né l’Impero USA, né l’Arabia Saudita, né i motivi della guerra sono cambiati.
Soprattutto continua a essere versato sangue per il petrolio.

Solo il movimento per la pace è cambiato. Non è nemmeno più un movimento, solo una massa inerte e silenziosa cullata da illusioni come la “rivoluzione araba”, il “diritto di ingerenza” e la “responsabilità di proteggere”…, a colpi di bombe della NATO.

Nel frattempo il popolo dello Yemen è vittima di una guerra, una guerra che non ci è estranea, una guerra assai sanguinosa alla quale i nostri governanti hanno dato il segnale verde per un goccio d’oro nero.

 

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