La linea del fronte yemenita
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Le Journal Hebdomadaire n. 406, 9-15 gennaio 2010
La linea del fronte yemenita
Il fallito attentato del 25 dicembre 2009 contro il volo Amsterdam-Detroit è stato rivendicato da AlQaida nella penisola arabica, il ramo operante nel Golfo dell’organizzazione con base in Yemen. Risultato: il paese si trova al centro delle attenzioni mediatica, securitaria e politico-strategica
di Amina Boubia
Il tentativo, anche se fallito, di un attentato contro il volo 253 della Northwest Airlines nel giorno stesso di Natale è stato l’elemento “detonatore” e la ragione ideale per focalizzare l’attenzione del mondo su un nuovo spazio di lotta contro il terrorismo: lo Yemen.
Il fallito attentato infatti è stato rivendicato da AlQaida nella penisola arabica (AQPA), le cui basi sono in Yemen, dove il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab si sarebbe preparato. Si moltiplicano le reazioni securitarie negli aeroporti. Molti paesi hanno già annunciato l’intenzione di equipaggiare i loro aeroporti con scanner corporali, apparecchi che sarebbero stati in grado di individuare l’esplosivo che Abdulmutallab aveva nascosto nei vestiti, mentre si susseguono in questi ultimi giorni i falsi allarmi negli aeroporti. In California, del miele contenuto in un bagaglio ha scatenato un allarme. In Germania, un viaggiatore ha avuto il cattivo gusto di fare uno scherzo, dichiarando all’aeroporto di Stoccarda che nascondeva dell’esplosivo nei vestiti.
La cosa più sconcertante però resta la rivelazione degli errori commessi dalle agenzie di informazione USA – 16 in totale. Il padre di Abdulmutallab aveva infatti avvertito in novembre la diplomazia USA della radicalizzazione di suo figlio. Lo stesso aveva fatto Londra. Da notare che Abdulmutallab aveva lasciato la Gran Bretagna nel 2008 dopo avervi ottenuto un diploma ed aveva tentato di rientrarvi nel maggio 2009. La sua domanda di visto era stata però respinta. Negli Stati Uniti le stesse informazioni sono rimaste senza conseguenze.
Un duro colpo per il presidente USA Barack Obama, criticato più che mai dai Repubblicani per la sua presunta fiacchezza in materia di sicurezza. Obama ha riunito d’urgenza, questo martedì 5 gennaio, i capi della intelligence, confermando che “il governo USA disponeva di sufficienti informazioni per sventare “il tentativo.
Ma la principale conseguenza del fallito attentato è stata la rivelazione di uno Yemen destabilizzato, oramai sotto i riflettori. Il Primo Ministro inglese Gordon Brown ha recentemente proposto di organizzare, per la fine di gennaio a Londra, parallelamente alla conferenza sull’Afghanistan, anche una riunione internazionale per esaminare “i modi per opporsi ad AlQaida” in Yemen. Secondo Joseph Lieberman, presidente della commissione del Senato USA per la sicurezza, “l’Iraq è una guerra di ieri, l’Afghanistan è quella di oggi e, se non agiamo in maniera preventiva, lo Yemen sarà quella di domani”.
A Sanaa, la capitale, l’ambasciata USA è stata chiusa per qualche giorno a causa delle minacce terroriste, così come le ambasciate inglese e francese. Hanno tutte riaperto dopo che l’autore delle minacce, un presunto capo locale di AlQaida, Mohammad Ahmed al-Hanak, è stato arrestato dalle Autorità yemenite.
Un nuovo Iraq?
Tuttavia il consigliere anti-terrorismo di Obama, John Brennan, si è mostrato rassicurante: “Non dirò che stiamo per aprire un secondo fronte. Il governo yemenita dà prova di buona volontà nel combattere AlQaida ed è propenso ad accettare il nostro aiuto. Noi gli forniremo tutto quanto ci richiederà”. Non se ne parla dunque “per il momento” di schierare le truppe USA in questo paese. Ma gli USA vi sono già da ora ben presenti. Il 17 e 24 dicembre 2009 le forze militari yemenite, con l’appoggio dell’esercito USA, hanno distrutto alcuni siti islamisti yemeniti. Washington e Londra hanno appena trovato un accordo per finanziare una unità antiterrorista speciale in Yemen. Questa promessa di cooperazione accresciuta nella lotta antiterrorista è stata inoltre confermata dal generale USA Petraeus nel corso di un incontro sabato 2 gennaio col presidente yemenita Ali Abdallah Saleh a Sanaa. Obama sarebbe pronto inoltre a raddoppiare per il 2010 l’aiuto USA al governo yemenita.
Si tratterà, tra l’altro, di rafforzare per prima cosa i mezzi a disposizione della Guardia costiera yemenita., per impedire che possano sopraggiungere altri attivisti dalla vicina Somalia, dove gli Jadisti si fanno sempre più pressanti. Lo sceicco Mukhtar Robow Abou Mansour, capo della milizia Chebab, braccio armato dei tribunali islamici, ha avvisato: “Noi attraverseremo il mare (…) e raggiungeremo (i nostri fratelli mussulmani dello Yemen) per aiutarli a combattere i nemici di Allah”. Già in Yemen si troverebbero circa 300 attivisti legati a questa organizzazione. Questa settimana, il ministero yemenita dell’Interno ha reso noto di avere circondato “gli elementi terroristi della rete di AlQaida in tutti i luoghi e in tutte le regioni dove potrebbero trovarsi” ed ha annunciato la prosecuzione di una vasta operazione antiterrorista in diverse province del paese, con l’obiettivo di “mettere i terroristi sotto pressione per impedire loro di ricostituire le loro cellule e di riprendere fiato”. Il ministero ha altresì reso noto che le operazioni proseguiranno “fino al completo sradicamento del terrorismo e degli elementi terroristi”.
La presenza di reti terroriste in Yemen non è tuttavia cosa nuova. Da diversi anni le autorità USA e yemenite tengono sotto osservazione AQPA. Nel settembre 2008, vi era già stato un attentato contro l’ambasciata USA, commissionato da Nasir al-Wuhayshi, ex segretario particolare di Oussama Ben Laden in Afghanistan. Bilancio: 19 morti. Nel gennaio 2009, lo stesso al-Wuhayshi ha annunciato con un video la fusione dei rami yemenita e saudita di AlQaida. Decisione considerata una conseguenza della violenta repressione portata avanti da Ryad. D’altronde AQPA sarebbe l’ispiratrice del tentativo di assassinare, nell’agosto 2009 a Diedda, il principe Mohammed Ben Nayef, responsabile dell’antiterrorismo saudita. Infine, il 17 settembre scorso, un’auto è esplosa davanti all’ambasciata USA, uccidendo 16 persone.
Uno Stato quasi “fallito”
Secondo il politologo Antoina Basbous, direttore dell’Osservatorio dei Paesi Arabi a Parigi, sussistono tutte le condizioni perché AlQaida si radichi nello Yemen: “Vi è un tessuto sociale adatto, è un paese tribale, il paese di Ben Laden, un paese in cui il potere centrale affonda nel caos. Vi è una guerra a Nord, un tentativo di separatismo a Sud ed un potere centrale debole del presidente Ali Abdullah Saleh, un uomo al potere da 31 anni che amministra il paese come se fosse una tribù”. Lo Yemen, il paese più povero del mondo arabo, ha dunque tutte le caratteristiche di un futuro Stato “fallito”, costituendo de facto un terreno fertile per AlQaida.
Tra gli Houtis, ribelli sciiti sostenuti dall’Iran nel nord-est del paese alla frontiere con l’Arabia Saudita, e la corrente secessionista del sud che si è considerevolmente rafforzata dal 2007 nei governatorati che costituivano prima del 1990 lo Yemen del Sud, il potere centrale yemenita è in panne. Adesso è il primo ad avere tutto da guadagnare da una mobilitazione internazionale sul suo territorio sul tema della guerra contro il terrorismo.