Successione al trono in Arabia Saudita
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L’Orient Le Jour, 24 gennaio 2015 (trad. Ossin)
Le tre sfide diplomatiche di Salman: 1. Le relazioni tra Riyadh e Teheran
Successione al trono in Arabia Saudita
Anthony Samrani
Nonostante l’apparenza di continuità, il nuovo re dell’Arabia Saudita, Salman Ben Abdel Aziz, dovrà fare i conti con una situazione regionale che non ha più nulla a che vedere con quella trovata dal suo predecessore, e di fronte alla quale la diplomazia del regno sembra spesso colta di sorpresa
Da decenni oramai l’Arabia Saudita viene considerata come uno Stato conservatore, incline più alla continuità che a correre i rischi del cambiamento. Una percezione che ha confermato anche il nuovo re Salman che, solo qualche ora dopo la morte del fratellastro Abdallah, si è affrettato a dichiarare: “Ci manterremo, con l’aiuto di dio, sulla strada dritta che questo Stato ha sempre percorso dalla sua creazione da parte del re Abdel Aziz ben Saud e dei suoi figli dopo di lui”. In altri termini e in parole ancora più semplici: non ci sono cambiamenti in vista.
Sul piano interno, minime sono le speranze che si acceleri il ritmo delle riforme e si pongano in discussione le dottrine rigoriste del wahhabismo. Sul piano estero, se le grandi linee della politica estera del regno non dovrebbero cambiare (lotta contro il terrorismo, relazione privilegiata con gli Stati Uniti, difesa della sua sfera di influenza nel mondo sunnita e, soprattutto, sfida al suo grande rivale iraniano), il nuovo monarca dovrà fare i conti con diversi dossier complessi, in una regione segnata da una moltitudine di crisi: Iraq, Siria, Yemen, Libia, Gaza, per non citarne che qualcuno. Nonostante l’apparenza di continuità, il nuovo re dovrà fare i conti con una situazione regionale che non ha più nulla a che vedere con quella trovata dal suo predecessore, e di fronte alla quale la diplomazia del regno sembra spesso colta di sorpresa. Che si tratti dello Yemen, della Siria, o riguardi il riavvicinamento tra gli Stati Uniti e l’Iran, non sono tanto le differenze di vedute tra i due monarchi ma piuttosto i nuovi equilibri politici locali, regionali e internazionali che potrebbero costringere Salman a smarcarsi dal suo predecessore. In ogni caso, gli incomberà il compito di tutelare gli interessi sauditi, definendo, se occorre, una nuova strategia nei più importanti dossier che toccano le principali poste in gioco della sua politica estera.
Complesso di inferiorità
E’ poco dire che la possibilità di un accordo sul nucleare tra i 5+1 e l’Iran rappresenta niente di meno che la grande ossessione dell’Arabia Saudita. Prima di tutto perché significherebbe la fine dell’emarginazione dell’Iran sulla scena internazionale e poi, e soprattutto, perché annuncerebbe un prossimo riavvicinamento tra Teheran e Washington. Dal punto di vista di Riyadh, l’Iran è ancora una potenza aggressiva che minaccia direttamente i suoi interessi nella sfera di influenza che va dal Libano al Bahrein, passando per l’Iraq, la Siria, lo Yemen e Gaza.
Di fronte a quel che considera come un grande pericolo, vale a dire l’interventismo iraniano nella regione, l’Arabia Saudita è stata costretta a cambiare di strategia. Tre esempi illustrano ciò perfettamente.
In Bahrein, è intervenuta militarmente, una gande novità nella storia del regno, per reprimere le manifestazioni contro il governo sunnita in carica. In Yemen, di fronte alla crescita militare degli Houthi e alle persistenti minacce di Al Qaeda nella penisola arabica (AQPA), sembra avere adottato un atteggiamento attendista, senza adottare una vera e propria strategia. In Siria ha finanziato, e continua probabilmente a farlo, diversi gruppi ribelli, con l’obiettivo di far cadere il regime di Assad. Ma in tutte e tre queste situazioni, anche se il caso del Bahrein è più sfumato, la politica offensiva del regno si è sempre dovuta scontrare con la resistenza del rivale iraniano. E questo l’ha costretto a passare da una politica tradizionalmente fondata sulla influenza – il soft power – ad una fondata sull’interventismo – lo hard power.
La firma di un accordo sul nucleare iraniano non dovrebbe peraltro provocare un peggioramento dei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. La relazione ultra-pragmatica che unisce le due potenze, fin dall’accordo Roosevelt-Ibn Saud del 1945, è fin troppo essenziale per ciascuno dei due perché possa essere messa in questione. L’Arabia Saudita ha bisogno dell’ombrello militare statunitense, mentre gli Stati Uniti approfittano doppiamente del regno, per vendergli a prezzi esorbitanti le ultime innovazione della sua industria militare e per beneficiare delle vantaggiose tariffe e della stabilità delle prima potenza petrolifera del mondo.
Eppure le relazioni USA-Arabia non sono più quelle di un tempo. Gli Stati Uniti sono meno dipendenti dal petrolio saudita di quanto non lo fossero in precedenza, e talune loro decisioni diplomatiche (avvicinamento all’Iran, sostegno delle primavere arabe e non intervento in Siria) hanno seriamente contrariato i dirigenti del regno. Ne è prova la decisione del principe Saud al-Fayçal, il dinamicissimo ministro degli affari esteri, di non intervenire alla tribuna dell’Assemblea Generale, mentre si ipotizzava la possibile candidatura dell’Arabia Saudita come membro non permanente al Consiglio di Sicurezza.
Se la paura dell’Iran si può anche giustificare in diversi dossier, essa tuttavia appare prima di tutto come l’esito di una sorta di complesso di inferiorità. Perfino emarginata e privata di importanti risorse energetiche, l’Iran resta capace di delineare una strategia offensiva contemporaneamente su più campi, che gli permette di rafforzare i suoi sostenitori nella regione. Ne sono testimonianza il suo rapporto con l’Iraq, la Siria, Hezbollah, gli Houthi, Hamas, ma anche alcune potenze del Golfo Persico come il Qatar.
Dall’altro lato, e nonostante gli ampi mezzi di cui dispone, l’Arabia Saudita sembra incapace di definire una strategia valida, che non comporti di dover porre automaticamente mano al libretto degli assegni, ogni volta che si presenti una situazione di crisi.
E’ sta tutto qui il problema…