La vera storia della Corea del Nord
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E’ indubbio che la Corea del Nord, almeno fino al 1975, ha rappresentato per numerosi paesi del terzo mondo un modello di sviluppo e di decolonizzazione riuscita. Anche i successi nella politica interna erano rilevanti: una riforma agraria radicale e la nazionalizzazione dei mezzi di produzione costruiti dai giapponesi. Inoltre poteva presentarsi come il garante dell’unità coreana in opposizione ai tentativi degli Stati Uniti di costituire un altro Stato al di là del 38° parallelo. Questo fu proprio il periodo in cui molte personalità politiche e intellettuali varcarono la soglia del 38° parallelo per unirsi al Nord e partecipare ad uno sforzo collettivo che mirava, non solo alla liquidazione del colonialismo (1905 – 1945), ma anche a costruire una società egualitaria, per la prima volta nella storia coreana. Non si deve dimenticare che il primo miracolo economico e sociale fu quello nordcoreano, negli anni ‘50 e ‘60, che vantava un sistema socializzato in materia di educazione, servizi sociali, sanità, alloggi. Nello stesso tempo i sudcoreani ancora negli anni ‘70 avevano un reddito pro-capite pari ai più poveri paesi africani.
La Corea del Nord era membro dei paesi non allineati, mentre il Sud per via dei 40.000 soldati americani che ospitava sul proprio suolo non venne accettata. Paesi come L’Algeria, la Tanzania riconobbero Pyongyang e non Seoul.
Insomma il Sud era isolato internazionalmente, mentre il Nord era riconosciuta come la vera patria dei coreani.
Con il 1975 cambiò tutto.
La Cina normalizzò i rapporti con il Giappone e gli Usa. Poi nel 1989 l’Urss “tradì” lasciando al suo destino la Corea del Nord. La Cina, con più accortezza, non abbandonò Pyongyang, ma avviò relazioni diplomatiche anche con Seoul. Cominciò a mancare il supporto dei non allineati. Il mondo abbandonava l’economia di piano e la guerra fredda per partecipare agli utili della globalizzazione. Nel 1987 la Corea del Sud avviava una transizione alla democrazia dopo anni di dittatura e, per merito del rilevante successo economico, riuscì a ottenere il riconoscimento internazionale. La Corea del Nord, per sopravvivere, scese a patti con il Sud firmando un trattato di non aggressione nel 1991. Ma i soldati americani non abbandonarono mai il paese. Il Nord puntava a ben altro. Trattare direttamente con Washington per giungere ad una pace, il ritiro delle truppe americane e la fine delle sanzioni. Ma gli USA non gli accordarono mai questo “privilegio”.
Dall’inizio degli anni ’80 si aprì un decennio di caduta della crescita economica che portò a un circolo vizioso. Priva di moneta convertibile, necessario per acquistare petrolio, la RPDC, che era il paese più industrializzato dell’Asia Orientale (Giappone escluso), vide le sue fabbriche e le sue macchine agricole lavorare a capacità sempre più ridotta. La situazione peggiorò dopo il 1989, dopo l’abbandono sovietico. Cominciarono carestie dovute anche a sfortunati episodi di maltempo ripetuti nel tempo. Oggi si può dire che la Corea del Nord è la principale vittima “dell’isolamento internazionale”, con tutto ciò che comporta: dalla crisi economica, al peggioramento delle relazioni internazionali sino alla corruzione della leadership. Principale responsabile di ciò è la Russia i cui dirigenti nel 1917 proposero un’alternativa al capitalismo allacciando relazioni privilegiate con i paesi che li avessero seguiti su questa strada (Corea del Nord inclusa). Nel 1990 i nuovi dirigenti russi, artefici della svolta, ruppero ogni relazione con questi paesi che facevano parte di un “sistema economico” consolidato, facendo precipitare nel baratro sia l’economia russa che quella degli altri paesi socialisti. Esempio opposto è quello della Cina che, responsabilmente, non solo mantiene tuttora le sue tradizionali relazioni diplomatiche (Corea del Nord, Cuba) ma è presente nel Forum di Bandung (i non allineati) e procede con cautela nella transizione al capitalismo.