«Tra Fidel Castro e la dittatura dei mercati»
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Le blog de Bruno Adrie, 1° dicembre 2016 (trad. ossin)
«Tra Fidel Castro e la dittatura dei mercati»
Bruno Adrie
In un articolo dal titolo: «Come può qualcuno che ha a cuore i diritti dell’uomo piangere Fidel Castro – un uomo che ha ucciso e represso il suo popolo?» [1], pubblicato nell’edizione del 26 novembre scorso da The Telegraph, il giornalista James Kirkup pretende di cogliere in fallo la sinistra, una sinistra di cui chiaramente non fa parte, ponendola di fronte alle sue contraddizioni. Si chiede, infatti, come possa la sinistra conciliare l’ammirazione che prova per Castro con la sua tradizionale attenzione ai diritti dell’uomo? Partendo dal principio che un giornalista deve essere capace di criticare i dirigenti politici, egli invita il lettore di sinistra, quello stesso che appoggia Castro e il suo regime, a leggersi l’ultimo rapporto di Amnesty International, un rapporto schiacciante perché rivela come a Cuba alcuni giornalisti e militanti per i diritti dell’uomo siano regolarmente arrestati arbitrariamente per delitti di opinione. Per parare qualunque possibile obiezione, egli fa presente di sapere bene che a Cuba il sistema sanitario è «ottimo», quello educativo «buono» (e perché non ottimo?) e gli standard di vita «relativamente buoni». Ammettendo che il regime di Batista (dittatore che omette di nominare) era «pretty awful too», ribadisce tuttavia che nulla potrebbe giustificare che oggi si versi una sola lacrima in onore del tiranno comunista defunto.
Come si potrebbe infatti piangere l’uomo che ha fatto di tutto per impedire alle vittime del suo sistema di lasciare l’isola – questo «paradiso terrestre» ironizza – per cercare di raggiungere luoghi meno duri, non lasciando a questi sventurati altra alternativa a quella di imbarcarsi su dei gusci di noce, ponendo in pericolo la loro vita? E si chiede: «Se il regime castrista è tanto certo di godere dell’amorevole consenso di un popolo libero e felice, perché gli nega la possibilità di eleggere i propri rappresentanti?» [2]
Rigirando il coltello nella piaga, James Kirkup insiste: come possono le persone di sinistra, tanto impegnate nella difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà politiche, appoggiare un simile regime repressivo? Ma la domanda è puramente retorica e James Kirkup conosce già la risposta: è a causa dell’America che la sinistra sostiene Castro, è a causa della loro ostilità verso l’America (intende agli Stati Uniti) che i “dirittiumanisti” di sinistra appoggiano il castrismo, a causa di una ingiusta ostilità verso questa America che è stata, secondo James Kirkup, «la più grande contributrice alla ricchezza, alla salute e alla libertà che il mondo abbia mai conosciuto».
Riconosciamo che ha ragione, James Kirkup, quando critica un regime che condanna gli oppositori (non armati), i giornalisti (indipendenti) e le manifestazioni (spontanee) di cittadini che intendono condividere ed esprimere il loro disaccordo. Ma dà i numeri quando pretende di vedere negli Stati Uniti «il più grande contributore alla ricchezza, alla salute e alla libertà che il mondo abbia mai conosciuto». Prima di sbatterci in faccia simili false evidenze, avrebbe potuto almeno informarsi e leggere per esempio “Days of Destruction, Days of Revolt” di Chris Hedges, o “The Divide” di Matt Taibbi sul tema della povertà negli Stati Uniti; avrebbe potuto leggere il “Financial Crisis Inquiry Commission Report”, che racconta in dettaglio la crisi finanziaria del 2008; e a queste sane letture avrebbe potuto aggiungere le opere di Michael Parenti, di Noam Chomsky o di Gabriel Kolko, per fare solo tre esempi, prima di affermare che la libertà sia un obiettivo della politica estera degli Stati Uniti.
Nell’attesa, e per non dispiacergli completamente, potremmo anche concedergli che sì, che è vero che gli Stati Uniti hanno assicurato, e ancora assicurano, la ricchezza di una élite predatrice e che, quando questa élite traballa, obesa e appesantita dai troppi imbrogli e pratiche truffaldine, viene immediatamente soccorsa dallo Stato, perché gli affari riprendano, perché gli investimenti crescano, perché il denaro continui a produrre denaro, uccidendo l’economia reale se occorra (e occorre) e Wall Street possa continuare ad andare forte sniffando – certamente in modo elegante e cullato dal rombo dei motori supercilindrati del suo bolide – le tonnellate di cocaina che servizi segreti formidabili, super-informati e super-armati hanno la sfortuna di non sapere fermare alle frontiere, evidentemente troppo porose di un paese peraltro supersorvegliato.
Non ci preoccuperemo, nel seguito dell’articolo, di giustificare gli arresti di giornalisti o di attivisti cubani, ed ancor meno di effettuare sacrifici al culto della personalità del leader carismatico che fu Fidel Castro. Non ci piace comportarci da bambini e pensiamo che, nei confronti del potere, occorra essere diffidenti, domandare, chiedere conto, verificare i fatti.
Ma ricollochiamo Castro nel suo contesto e al centro della sua azione.
Dopo il fallimento della Moncada, il 26 luglio 1953, dopo un esilio di diversi anni negli Stati Uniti e in Messico, dopo l’epopea del Granma e anni di lotta al fianco di eroi anonimi e della figura leggendaria di Ernesto Guevara, Castro entra a La Havana l’8 gennaio 1959. Nominato primo ministro, intraprende un viaggio negli Stati Uniti ma non viene ricevuto dal presidente Eisenhower, impegnato a giocare a golf. Rientrato a La Havana, avvia la riforma agraria e confisca tutte le proprietà superiori a 420 ha. Una decisione che provoca la collera dell’orco statunitense. Apprendendo la notizia della riforma agraria, il golfista Eisenhower, presidente di un paese di bottegai miliardari che lo tengono per le orecchie, dà ordine di attivare azioni segrete contro Cuba. A Washington, dove il diritto di proprietà è sacro, si ipotizza addirittura di assassinare Castro. Toccare il denaro rubato, merita bene la pena di morte!
Il 4 marzo 1960, l’esplosione della nave La Coubre nel porto di La Havana provoca 127 morti e Castro considera gli Stati Uniti responsabili del massacro. Il 17 marzo, Eisenhower decide di invadere l’isola. L’8 maggio Cuba riallaccia relazioni diplomatiche con l’URSS e il 29 giugno confisca (ancora una confisca!) le raffinerie Texaco, Shell e Esso, che si rifiutano di raffinare il petrolio che Cuba intende acquistare in futuro dall’Unione Sovietica. L’8 luglio gli Stati Uniti riducono le importazioni di zucchero cubano. Castro allora nazionalizza le aziende produttrici di zucchero e le compagnie telefoniche ed elettriche. Il 15 ottobre confisca le proprietà urbane dando una stoccata supplementare al grande vicino. Quattro giorni dopo gli Stati Uniti interrompono le esportazioni verso Cuba e promulgano, il 16 dicembre, il boicottaggio totale e rompono le relazioni diplomatiche con La Havana il 3 gennaio 1961.
L’arrivo alla Casa Bianca, il 20 gennaio 1961, di John Fitzgerald Kennedy non cambia i piani statunitensi. Il 15 aprile vengono bombardati tre aeroporti militari cubani e, durante i funerali delle vittime, Castro si dichiara socialista. Dopo il fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci il 17 aprile, il presidente statunitense lancia l’operazione Mangusta, un programma che mette insieme operazioni di guerra economica, operazioni segrete e il sostegno a gruppi di oppositori cubani. Nel corso di tutta la durata di questa operazione, si sono registrati più di 700 sabotaggi contro obiettivi economici. Di fronte a una simile valanga di aggressioni, Castro accetta la proposta di Kruscev di istallare dei missili sull’isola. Il 2 dicembre il capo dello Stato cubano si dichiara marxista-leninista per il resto della vita.
Allora scoppia la crisi dei missili. In un primo tempo tenuta nascosta, viene resa pubblica da un presidente commediante con l’aria grave, un presidente che è solo il burattino dei veri decisori della politica estera riuniti nei locali del Council on Foreign Relations a New York. Il mondo è sull’orlo dell’Apocalisse! E tutto questo a causa di una riforma agraria, di qualche nazionalizzazione, della inaccettabile mania che ha preso la Cuba castrista di voler riconquistare la propria sovranità politica ed economica. Che sproporzione! E per giunta, indicando Russi e Cubani come responsabili di aver portato il mondo sull’orlo della distruzione finale. Occorre essere anti-statunitensi per rilevare l’ipocrisia dei dispensatori di lezioni washingtoniani, dei dottori in morale anglosassone, dei servitori del capitale diventati esperti nell’arte del poker mentitore diplomatico? Come potevano condannare l’istallazione di missili russi, quando essi stessi li avevano istallati in Turchia? Come non trovare meschino lo spirito di questi artisti del compra-vendita, di questi furbastri che gridano dovunque alla libertà, di questi cowboy alcolizzati che puzzano di sudore e pipì, che vi costringono a giocare a poker e che vi puntano un revolver alla tempia se cacciate un poker d’assi, per la semplice ragione che avevano deciso fin dall’inizio che la posta doveva finire nelle bisacce che usano gettare in groppa al cavallo prima di partire al galoppo?
Ma torniamo alla questione principale posta da James Kirkup: «Se il governo castrista è tanto certo di beneficiare dell’amorevole consenso di un popolo libero e felice, perché non gli concede la possibilità di eleggere i suoi leader?» Secondo noi si tratta di una questione meschina e priva di senso.
Prima di tutto perché la retorica democratica, il ritornello del suffragio universale si è trasformata in una storiella. L’élite statunitense ha mai creduto alla democrazia? In tal caso l’avrebbe praticata per davvero, questa democrazia, nel proprio paese. Non avrebbe, ad ogni elezione, schiacciato gli elettori sotto i rulli compressori di una propaganda asfissiante. Non avrebbe consentito di truccare gli scrutini utilizzando per esempio macchine per il voto che si comportano bizzarramente, vendute e manutenute da società appartenenti a senatori repubblicani o democratici. Infine avrebbe elaborato un sistema elettorale che garantisse l’elezione del candidato che ha ricevuto il maggior numero di voti popolari. No, non ha mai creduto alla democrazia, queste élite così pronta ad accorciare, con l’aiuto di omicidi, guerre civili, colpi di Stato e bombardamenti, le esperienze democratiche più promettenti che si sono viste in America Latina: Zapata, Allende, Roldós, Torrijos, Chávez, Zelaya… e tante altre. Questa élite crede tanto poco alla democrazia che ha intrattenuto eccellenti relazioni con dittatori (sempre di destra) come Trujillo, Batista, Pinochet, Stroessner, Bánzer, Videla… perché assciuravano la prosperità dei loro affari.
Infine, last but not least, sarebbe bene che l’innamorato degli USA James Kirkup comprendesse che le democrazie sono sistemi politici permeabili alle campagne di agitazione, permeabili alla manipolazione delle opinioni, permeabili alle manovre finanziate da organizzazioni come la NED[3], l’IRI[4], l’Open Society e altri dispositivi inventati per colpire le nazioni che intendano ancora resistere alla politica della porta aperta, alla politica del saccheggio ribattezzata mondializzazione, questo falso processo inevitabile che ha il solo scopo di riempire le tasche dei pirati della finanza deregolata e onnipresente. Ricordate Otpor in Serbia, Kmara in Georgia, Pora! O il movimento Euromaidan in Ucraina.
E’ una triste considerazione, Mr. Kirkup, ma solo un governo forte, capace di controllare l’informazione, è in grado di resistere alle campagne di stampa orchestrate da giornalisti per niente indipendenti, che lavorano per grandi gruppi legati agli interessi capitalistici statunitensi. Solo un governo cosciente di vivere in stato di assedio potrà lucidamente dotarsi dei mezzi per contrastare l’azione per nulla spontanea di sediziosi stipendiati e di oppositori mercenari, armati e spinti sulla scena libertaria per l’occasione.
Dear Mr. Kirkup, il suo articolo è stato facile da scrivere, scritto in fretta, in fretta messo insieme, non pensato, non necessario, perché riprende, ridice, ripete, ricicla il ritornello già impresso in profondità nelle teste propagandizzate dei suoi lettori anemici, dei suoi lettori radical chic che, come lei, vivono bene, trovano molto buono il nostro occidente imperialista produttore di ricchezza, trovano giusto e generoso questo capitalismo che li vizia, li mantiene in buona salute e nel quale, soprattutto, si credono liberi, cani ingozzati e sonnolenti, stretti nella penombra angusta dei luoghi comuni, felici di soffocare nella cella imbottita con pagine scritte dalla sua premura, nel pluralismo ingannevole di un catechismo unico strombazzato dai suoi colleghi, nel trito e ritrito deodorato delle spiegazioni rimaneggiate, servite con l’imbuto nelle gole di questi abbindolati-abbindolatori che, in fondo, considerano stronzo e maleducato che li di disturbi e osi tracciare dei graffiti vendicatori sul liscio marmo della loro ignoranza pietrificata.
E per finire, M. Kirkup, voglio formulare una ipotesi che sottopongo agli storici: che differenza c’è tra una dittatura di sinistra ed una di destra? Ebbene, a me sembra che una dittatura di sinistra sia una dittatura diventata dittatura per resistere all’assalto della dittatura dei mercati, mentre al contrario una dittatura di destra è una dittatura che ha aperto le porte della città alla dittatura dei mercati. Con le dittature di destra che collaborano con loro, i mercati possono allo stesso tempo ricattare gli abitanti e essere ogni giorno gli invitati d’onore alla tavola del sindaco che se li è scelti come padroni.
Allora, tra Fidel Castro e la dittatura dei mercati…
[1] “How can anyone committed to human rights mourn Fidel Castro – a man who killed and repressed his own people?” by James Kirkup, The Telegraph, 26 Novembre 2016.
[2] « If the Castro regime is so confident that it enjoys the loving support of a happy and free people, why does he deny a proper chance to vote on their own leaders ? »
[3] National Endowment for Democracy
[4] International Republican Institute