La Baia dei Porci o del fiasco yankee
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Le Grand Soir – 17 aprile 2011
Cinquant’anni fa, il 17 aprile 1961 a Cuba
La Baia dei porci o del fiasco yankee
di José Fort
“Il piano è pronto signor vice-presidente. Aspettiamo solo il via libera”. Allen Dulles, capo della CIA, annunciava con queste parole a Richard Nixon, nel 1960, il possibile avvio dell’invasione di Cuba. Da diverse settimane il servizio operativo della centrale nord-americana aveva messo a punto l’operazione: reclutamento di immigrati cubani, collaborazione con la Mafia, preparazione dei bombardamenti con apparecchi camuffati pronti a decollare dal Nicaragua.
Il presidente Eisenhower mise in guardia Nixon, candidato alla successione: “Aspettiamo fino a dopo le elezioni, così avrai le mani libere”. Richard Nixon perse per un soffio (qualche decina di migliaia di voti) a vantaggio di John F. Kennedy. La CIA programmò lo sbarco per il 17 aprile 1961. Kennedy approvò.
Washington aveva deciso di farla finita con “l’episodio Castro”. Mentre stava delineandosi la vittoria dei “barbudos”, Nixon confidava ai suoi intimi: “Questo Fidel, lo avremo presto in pugno. E’ un idealista, non un comunista. Ne faremo il nostro fantoccio, come gli altri”. Nel corso del tempo il discorso antimperialista del leader cubano, però, andava radicalizzandosi sempre di più. Soprattutto, la rivoluzione si era impegnata nella riforma agraria, recuperava le terre di proprietà delle grandi società straniere, soprattutto USA. Si sa, quando si toccano i loro interessi, le multinazionali USA e i loro vassalli vedono rosso. E non appena le nuove autorità dell’Havana strinsero – in piena guerra fredda – dei rapporti con Mosca, l’élite politico-economica USA si infuriò.
Gli Stati Uniti decisero il blocco dell’isola: il tristemente celebre embargo che ha danneggiato nello stesso tempo anche le imprese europee e mondiali che avevano interesse a mantenere rapporti economici con Cuba. Tutti gli scambi commerciali tra gli Stati Uniti e La Havana furono annullati, le relazioni diplomatiche rotte da Eisenhower, che confidava ai suoi consiglieri: “Quel coglione di Nixon non si è accorto di quello che stava succedendo, adesso tocca alla CIA”. I preparativi di sbarco a Playa Larga e Playa Giron, all’estremo ingresso orientale della Baia dei Porci, a 200 chilometri a sud-est di La Havana, furono approntati a tambur battente. E fu J. Kennedy che ereditò – senza esserne entusiasta, si dice – l’operazione e dette l’autorizzazione per realizzarla.
Lo sbarco venne preceduto da una campagna di disinformazione. Bisognava convincere l’opinione internazionale che il popolo cubano, oppresso dalla dittatura di Fidel Castro, si ribellava, prendeva le armi e chiedeva l’aiuto internazionale. Miami non era lontana, ma far partire la spedizione da questa città caposaldo della Mafia e di tutta la malavita legata al regime deposto, non sembrava conveniente ai capi della CIA. “Questo la rovinerebbe”, diceva ai suoi collaboratori Allen Dulles che aveva scelto il Nicaragua come base operativa. Il dittatore locale, Somoza, non poteva rifiutare niente ai suoi protettori yankee.
Il mattino di sabato 15 aprile sei bombardieri USA B26, ridipinti coi colori cubani, in violazione delle convenzioni internazionali, decollano dal Nicaragua e si dirigono verso gli aeroporti di La Havana e di Santiago. La maggior parte dei vecchi trabiccoli dell’esercito cubano vengono distrutti al suolo. Solo nove apparecchi non vengono colpiti e giocheranno un ruolo decisivo nei combattimenti. Uno dei piloti patrioti, Roberto, mi racconterà più tardi a La Havana il suo combattimento “fino all’esaurimento”. “Ero in volo di addestramento quando i B26 hanno scaricato le loro bombe sull’aeroporto di La Havana dove dovevo atterrare. Io non avevo praticamente più carburante. Bisognava assolutamente atterrare. Gli yankee non sapevano che qualche settimana prima era stata allestita una base di ripiego, dal momento che i nostri embrionali servizi di informazione avevano lanciato l’allarme su una possibile operazione aerea. Quarantotto ore dopo, durante lo sbarco dei mercenari ci siamo presi la nostra rivincita. Ti posso assicurare che se la sono vista brutta”.
17 aprile 1961, ore 1,15. La brigata 2506 sbarca in due anfratti di Playa Larga e Playa Giron. Al largo, navi da guerra USA assicurano il coordinamento e la logistica. Una volta installata la testa di ponte, dei barconi avrebbero dovuto trasportare altri uomini, armamento pesante e materiale di trasmissione. Obiettivo: tagliare l’isola in due poi, con l’aiuto o la passività della popolazione, preparare il terreno per l’arrivo di un corpo si spedizione di marine USA. La base USA istallata a Guantanamo, in stato di massima allerta, doveva provvedere, secondo i piani della CIA, al controllo di tutta la parte orientale dell’isola. Non si considerava la mobilitazione del popolo cubano.
Fidel Castro assume personalmente la direzione della controffensiva. Lancia un appello radio: “Venite a difendere la vostra rivoluzione”. E aggiunge: “Quello che gli imperialisti non possono perdonarci è di aver fatto trionfare una rivoluzione socialista giusto sotto il naso degli Stati Uniti”.
Qualche vecchio carro russo T-34 e, soprattutto, un esercito di volontari corrono a respingere l’aggressione. Dei camion sversano migliaia di uomini e di donne venuti dai quattro angoli del paese, armati in modo approssimativo. E’ una massa umana che obbliga i mercenari a deporre le armi. Sui 1600 uomini della brigata, 1500 furono fatti prigionieri nel giro di 72 ore.
A Washington, Kennedy seguiva minuto per minuto il progresso dell’operazione. Nella sala ovale, il capo della CIA, le gerarchie militari erano a disagio. L’operazione andava prendendo una piega pietosa. Qualche giorno dopo arrivò la vergogna: le autorità cubane lasciarono salva la vita a tutti quelli che chiamavano “gusanos” (vermi) e li rivendettero in cambio di un peso corrispondente di medicine e una somma di denaro niente male.
Qualche anno più tardi, durante una cerimonia alla quale ho assistito, Fidel Castro ha così commentato l’episodio della Baia dei Porci: “Tutto ciò che ha avuto a che fare con l’episodio di Giron è stata furbizia, violazione flagrante del diritto internazionale, perfidia e crimine. La tenebrosa CIA ha dispensato decine di milioni di dollari per reclutare, addestrare ed equipaggiare dei mercenari: latifondisti, borghesi, venduti, criminali di guerra, tossicomani, volgari delinquenti e sottoproletari. La sua strategia comprendeva anche dei piani per assassinare i dirigenti della Rivoluzione cubana, e all’uopo non ha esitato a rivolgersi a dei capi notori della Mafia, ed a programmare l’uso di batteri, esplosivi e dei metodi criminali più sofisticati. Decine di agenti e migliaia di armi erano state preventivamente introdotte nel nostro paese, per nave o aereo, in tutte le ore del giorno e della notte. La loro base logistica si trovava in uno Stato dell’America centrale, mentre i punti di imbarco e gli aeroporti si trovavano in un altro.
Il 15 aprile 1961, in un’alba tranquilla e senza nuvole, dei bombardieri yankee dipinti con le insegne cubane hanno attaccato le basi delle nostre forze aeree, costituite da pochi aerei, vecchi e male in arnese, e da solo una mezza dozzina di piloti. Il rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite dichiarava con un cinismo senza uguali che quegli aerei facevano parte delle nostre forze aeree che si erano ribellate. Tutto si è svolto nel silenzio complice, se non con la esplicita complicità, della maggior parte dei governi latino-americani, con l’approvazione e il sostegno della Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Mai nella storia del nostro continente, si era data prova di tanto cinismo, corruzione, vigliaccheria, immoralità e fellonia per realizzare un’operazione militare e politica. Ecco ciò che simbolizza l’attacco mercenario alla Baia dei Porci. Oggi tutto si conosce nei dettagli, grazie alle rivelazioni degli autori e dei partecipanti diretti. L’esperienza dimostra che l’imperialismo non può arrestare la marcia vittoriosa dei popoli, nonostante le fantastiche risorse messe al servizio della reazione, della sovversione e del crimine”.
L’anno successivo scoppiò la crisi dei missili. Tutti i presidenti degli Stati Uniti, ivi compreso oggi Barack Obama, hanno rinnovato l’embargo, protetto i peggiori assassini e terroristi colpevoli di crimini come l’esplosione in pieno volo di un aereo delle linee cubane o contro hotel turistici. Bisogna aggiungere i sabotaggi, i tentativi di assassinio dei dirigenti della rivoluzione, la condanna dei cinque agenti cubani in missione antiterroristica, il finanziamento degli oppositori, la continua manipolazione dell’opinione pubblica internazionale coi suoi collegamenti europei, soprattutto in Francia.
La disfatta della Baia dei Porci è rimasta impressa nella memoria dei dirigenti politici e militari nord americani e dei loro discendenti. La vittoria riportata grazie ad una mobilitazione senza precedenti della popolazione resta uno dei grandi momenti della rivoluzione cubana. Un riferimento per le lotte di oggi e di domani.
Un paese sotto embargo da più di 50 anni. Di più. Un’isola sottoposta ai peggiori atti terroristici posti in essere dalla prima potenza mondiale. Di più. Una nazione abbandonata che ha perso l’80% delle importazioni e l’85% delle esportazioni alla caduta dell’URSS. Di più. Un paese del terzo mondo di dodici milioni di abitanti nel quale la speranza di vita raggiunge i 76 anni, che fa incetta di medaglie d’oro alle olimpiadi, educa e cura gratuitamente i bambini, forma i migliori scienziati della regione, concede solidarietà medica a numerosi paesi vittime di catastrofi naturali, come Haiti. Di più. La rivoluzione cubana conserva, malgrado il trascorrere del tempo e tutte le difficoltà, un’enorme simpatia tra i popoli dell’America Latina.
L’episodio della Baia dei Porci ha rafforzato i sentimenti di conquista dei Cubani. Beninteso, una parte di loro preferisce i discorsi di sirena che vengono da Miami, il miraggio capitalista, e accetta volentieri “l’aiuto tecnico” dei militari USA, il cui budget è stato appena aumentato da Barack Obama. Tuttavia la grande massa dei Cubani, anche quelli che esprimono critiche contro il regime, non sono disposti a perdere la propria sovranità e le loro conquiste sociali. L’episodio della Baia dei Porci non è estraneo a questo situazione spirituale.