La faccia nascosta di Abu Dhabi 1/2
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Madaniya, 11 gennaio 2018 (trad.ossin)
La faccia nascosta di Abu Dhabi 1/2
René Naba
Centro di civiltà o supporter del terrorismo islamico?
1.Abu Dhabi, la facciata : Capitale della cultura, dello sport e del cinema
Abu Dhabi è oggetto in Francia di una infatuazione proporzionale alla proiezione fantastica che il Principato riesce a proporre ad una fauna politica spesso disinformata. Un’infatuazione paragonabile a quella che si era presa la classe politica francese per il Qatar, e ancora prima per l’Iraq di Saddam Hussein. Un riflesso pavloviano degno di una ripetizione comica.
Tutti ne parlano, ma pochissimi con cognizione di causa verso uno dei rari paesi ad essere più conosciuto per le sue stravaganti realizzazioni, che per la sua storia o la sua geografia, la sua letteratura o le belle arti.
Ma questo micro Stato di 67 340 km2 per 1,145 milioni di abitanti è uno dei più importanti acquirenti di armi. Residenza di Eric Prince, il fondatore della compagnia militare privata Blackwater, l’Emirato soddisfa le sue pulsioni belliciste importando massicciamente mercenari dall’Africa del Sud e dall’America Latina e addestrando in loco i quadri locali.
Abu Dhabi, che per sei anni ha avuto tra i consiglieri del principe Richard Clarke, ex responsabile del contro terrorismo alla Casa Bianca, ha così impiantato un importante centro di formazione, per i cittadini del Golfo desiderosi di addestrarsi per operazioni di para commando. Succursale locale di ACADEMIA, il nuovo nome di Blackwater, questo centro, sito nei pressi di Port Zayed, è stato organizzato sul modello del Camp Peary della CIA in Virginia. Il progetto «The Good Harbour Security Risk Management» si propone di formare un battaglione di commando di alta specializzazione, a disposizione del principe ereditario di Abou Dhabi.
Inoltre, l’accertata presenza sul territorio della Federazione, a Charjah, di Firas Tlass, figlio dell’ex ministro siriano della Difesa e intermediario tra Daesh e il cementiere franco-svizzero Lafarge Holcim, la connivenza tacita di Abu Dhabi verso Al Qaeda nell’Hadramaout (Sud Yemen), e la ripresa di dialogo con i Fratelli Mussulmani (ex nemici giurati, iscritti nella lista delle organizzazione terroriste delle petromonarchie) hanno offuscato l’immagine modernista di nemico giurato dell’islamismo, e restituito Abu Dhabi al rango di padrino orribile del terrorismo islamico, proprio come il suo vicino e rivale, il Qatar.
Ritorno su questo inganno
Indicato, a seconda dei casi, come il paese che ospita una dependance del Louvre e una base aereoterrestre francese, o il paese della prestigiosa compagnia aerea «Emirates», o il propulsore dell’aereo a energia solare Solar Impulse 2 che ha realizzato il primo giro del mondo aereo senza carburante, o il mecenate artefice del restauro del teatro imperiale di Fontainebleau, ribattezzato, a causa della mancanza di soldi francese, «Teatro Cheikh Khalifa Bin Zayed Al Nahyane», Abu Dhabi è tutto questo e molto di più.
Un’immagine resa accattivante dal lavoro di un’attiva lobbie operante in Francia. Molto ben finanziata e animata da ex supporter del dittatore tunisino Zine El Abidine Ben Ali, questa lobbie è guidata da Mohamad Dahlane, l’ex responsabile per la sicurezza palestinese, fedelissimo ad Abu Dhabi, candidato alla successione di Mahmoud Abbas alla testa dell’autorità palestinese, e conosciuto soprattutto per la sua grande vicinanza ai Servizi israeliani.
Oltre ad una copia del Museo del Louvre, Abu Dhabi progetta la realizzazione anche del Museo Guggenheim, sulla stessa isola di Saadiyate. L’Emirato si è anche lanciato nello sport di competizione professionale e nel cinema, volendo rafforzare la sua posizione di capitale della cultura, dello sport e dello sviluppo economico.
Un Fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, l’Abu Dhabi United Group (Adug), è quindi diventato azionista di maggioranza di una squadra inglese di serie A, il Manchester City, per una somma di 245 milioni di euro, nella prospettiva di farne il club « più importante della League».
Abu Dhabi si è anche rivolta a Hollywood dove ha programmato investimenti per quasi un miliardo di dollari per la produzione di film. E’ stata costituita una compagnia ad hoc: «l’Abu Dhabi Media Company» per il finanziamento di film petromonarchici.
Dubai e la zona franca di Djabal Ali
Dubai, da parte sua, ospita un importante mercato di metalli preziosi che già rivaleggia, per numero di transazioni, con quelli di Singapore e della Svizzera, oltre ad una zona franca di Media, dove hanno sede una quarantina di emittenti satellitari coi servizi annessi. Ospita inoltre uno dei più importanti aeroporti del mondo con una piattaforma (HUB) destinata a decongestionare, evitandoli, il traffico degli aeroporti europei (Heathrow e Roissy-Charles de Gaulle soprattutto), oltre ad un discreto mercato di gioielli israeliani, nonostante l’embargo ufficiale arabo contro lo Stato ebraico.
Leggi in proposito
Tutti i principati petroliferi indistintamente, attraverso una serie di manifestazioni internazionali di primo piano, cercano di dotarsi di un’aura culturale (creazione di una succursale dell’Università parigina Panthéon-Sorbonne, Paris I, in aggiunta a quella del Louvre ad Abu Dhabi), per accedere al rango di città mondiali del XXI secolo. Si sentono già, e si vogliono, come rivali di Hong Kong e di Monte Carlo.
Al punto che Emmanuel Macron, inaugurando l’8 novembre 2017 il Museo del Louvre di Abu Dhabi, « questo museo del deserto e della luce », ha osato senza battere ciglio affermare che gli Emirati Arabi Uniti erano «il punto di equilibrio tra i continenti europeo, africano e asiatico».
Ultimo, ma non meno importante fattore, Abu Dhabi è un marchio che non suscita la fobia provocata oramai dall’Arabia Saudita e dal Qatar, il grande e il piccolo wahhabita, considerati gli incendiari del pianeta, gli incubatori del terrorismo islamico.
Al contrario del Bahreïn, il cui monarca è aspramente contestato dal suo popolo e per questo motivo è favorevole a una normalizzazione dei rapporti con Israele per attirarsi almeno le grazie dei paesi occidentali ; al contrario del Qatar, che si è mosso coi suoi zoccolacci per snaturare la sollevazione popolare araba, Abu Dhabi gode di una reputazione favorevole nell’opinione pubblica araba e internazionale, per avere sventato un tentativo di colpo di Stato dei Fratelli Mussulmani, uno dei tanti errori strategici della confraternita.
Una benevolenza che lo autorizza a qualunque licenza, qualunque eccesso. Dietro lo sfarzo e l’apparenza, orrende stigmate
2 – Abu Dhabi, l’essenza
A- La base militare francese di Abu Dhabi
La Francia si è posizionata strategicamente davanti all’Iran, ottenendo il 15 gennaio 2008 la concessione di una base militare ad Abu Dhabi, diventato un ausiliario ufficiale degli Stati Uniti nella difesa occidentale del Golfo Persico.
Prima base francese aperta all’estero dopo la fine dell’era coloniale negli anni 1960, la piattaforma di Abu Dhabi completa la coabitazione franco-statunitense della base di Gibuti, all’incrocio tra il Golfo Persico e l’Oceano Indiano.
L’apertura di questa base inter-arma di 500 uomini, con forte componente navale, costituisce un prolungamento del dispositivo francese in Giordania, dove la Francia ha la base di Al Chammal (nel nord del Regno), operativa nella guerra contro i gruppi terroristi in Iraq e in Siria, e della presenza militare al suolo nella zona di Raqqa (Siria) con funzione di addestramento delle Forze Democratiche Curde, dove la Francia accarezza il progetto di istituire uno «Stato indipendente curdo», coerente con la sua politica di balcanizzazione del Mondo arabo.
Oltre Abu Dhabi, la Francia ha in Qatar una scuola di gendarmeria e di un duplicato dell’École Saint-Cyr, l’accademia che forma gli ufficiali superiori degli Emirati. Una scuola che vanta già a suo credito la formazione del Principe ereditario qatariano.
Rispetto all’imponente dispositivo statunitense in zona, il contingente francese rientra più o meno nell’ambito della struttura congiunta istituita dai paesi occidentali al comando degli Stati Uniti, per la difesa delle petromonarchie.
Il dispiegamento della Francia nel Golfo, dal quale era stata assente nel corso delle due ultime guerre – quella in Afghanistan del 2001 per mancanza di eliche della portaerei a propulsione nucleare Charles de Gaulle, e la guerra Iraq del 2003 a causa del veto di Chirac –, costituisce una importante rottura strategica con la diplomazia francese tradizionale. Si ricollega alla posizione offensiva adottata durante la prima Guerra tra Iraq e Iran (1980-1989), per la quale ebbe anche a patire delle ripercussioni a causa del suo ruolo di « cobelligerante » al fianco dell’Iraq.
B- L’aiuto francese al trasporto di truppe di Abu Dhabi nello Yemen del Sud
Incuranti della contraddizione, le petromonarchie del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita e gli Emirati, hanno lasciato nascere, grazie alla nuova Guerra dello Yemen (2015), una piattaforma operativa per Al Qaeda, loro nemico giurato, nello Hadramaout (Yemen del sud) per poter disporre, di fronte alla base francese di Gibuti, di uno sbocco marittimo che consentisse loro di aggirare lo stretto di Ormuz, controllato dall’Iran.
Quattro mesi dopo l’offensiva delle petromonarchie contro il più povero dei paesi arabi, realizzata col silenzio complice dei paesi occidentali, l’Hadramaout è caduto quindi nelle mani di Al Qaeda. Paradossalmente grazie ad un aiutino della Francia, nonché allo sbarco di truppe filo-saudite ad Aden, partite proprio dalla base militare francese di Gibuti, e all’addestramento francese delle truppe monarchiche realizzato dal contingente della Legione straniera che stazione nella base aeroterrestre francese di Abu Dhabi.
L’Hadramaout, la più importante provincia dello Yemen del Sud, rappresenta un quinto del territorio del sud, adesso in procinto di diventare un santuario di Al Qaeda, che vi impone la sua legge, ne accaparra le ricchezze, il traffico di merci attraverso il porto di Moukalla e le royalties del traffico di petrolio.
L’Hadramaout è per Al Qaeda quello che il Nord della Siria era per Daesh, una leva terrorista nelle mani dei Sauditi e degli Emirati, una funzione identica a quella che svolgeva per l’Alleanza islamo-atlantista in Siria.
Francesi, Sauditi ed Emirati progettavano di organizzare una piattaforma territoriale per il presidente yemenita in esilio, Abdel Rabo Mansour Hadi, per consolidare simbolicamente la sua autorità sul territorio nazionale ma, pronta in agguato, è stata invece Al Qeda ad assicurarsi la posta, in un cattivo remake di un brutto film. I belligeranti sauditi ed emirati, come anche i loro alleati francesi, sembrano aver dimenticato che lo Yemen è la patria di origine del fondatore di Al Qaeda, Osama bin Laden.
3- Verso la creazione di un campo di concentramento nel Nord Yemen sul modello di Abu Graib in Iraq
Il capofila della costellazione di reucci dell’ex costa dei pirati è l’unico paese del Golfo ad avere approvato il rapimento politico operato dall’Arabia Saudita nei confronti del primo ministro libanese, Saad Hariri, il 4 novembre 2017, in violazione delle convenzioni internazionali.
Sempre in violazione del diritto internazionale, si propone di trasformare un ex campo yemenita in un campo di concentramento di prigionieri, sul modello di quello statunitense di Abu Ghraib (Iraq), per ospitarvi gli oppositori yemeniti alla sua politica in questo paese, oggetto di una aggressione bella e buona da parte delle petromonarchie del Golfo.
All’uopo sono già state operate importanti trasformazioni in quattro siti, gli ex campi militari di Al Ichrine, Al Hizam Al Amni, Al Riassa e Al Ichaali.
A integrazione, l’Emirato si propone di edificare un grande campo di concentramento di 12 km quadrati per farne una prigione sotterranea nel distretto di Taez, scegliendo all’uopo il campo Khaled Ben Walid, caduto sotto il controllo delle petromonarchie nell’agosto 2017. Posto a 40 km dalla città di Al Mokha e a 60 km da Taez, questo campo si estende su 2 chilometri lungo il crinale della catena montagnosa dello Yemen. Per la sua posizione, costituisce una fortezza praticamente inespugnabile.
Abu Dhabi ha chiesto al suo alleato, il capo salafita yemenita Chaker Al Soubeihy, di consegnare il campo Khaled Ben Walid ai gruppi sudanesi, per poterlo trasformare in un campo di concentramento sul modello di Abu Ghraib.
Come approfondimento per il lettore arabofono
4- La guerra segreta di Abu Dhabi contro i suoi stessi alleati petromonarchici per assicurarsi una zona di influenza in Yemen
Al pari di quello dell’Arabia Saudita, il sovrano di Abu Dhabi è in effetti fuori servizio. Coppia malefica della politica araba, queste due monarchie sono governate dai rispettivi principi ereditari dei due paesi: Mohamad bin Khalifa (Abu Dhabi) e Mohamad bin Salman (MBS), due personaggi bellicosi e impetuosi.
Abu Dhabi, ha reso la vita dura non solo al partito Al Islah, il ramo yemenita dei Fratelli Mussulmani, e al padrino della confraternita, il Qatar, costringendolo a ritirarsi dalla guerra in Yemen nell’estate 2016. Ma il principato ha anche combattuto una guerra segreta contro i suoi stessi alleati monarchici per escludere dalla zona qualsiasi interferenza esterna e consolidare il suo completo dominio su questa porzione del territorio yemenita, pronto a decretare, presentandosi il caso, la secessione della provincia del sud Yemen e la ricostituzione di uno Stato indipendente nell’ex protettorato britannico di Aden. Questo progetto è stato in qualche modo disturbato dall’irruzione di Al Qaeda nella zona.
La caccia ai salafiti nel sud Yemen
Nonostante questa contrarietà, Abu Dhabi ha perseverato nel suo progetto, avviando una caccia ai religiosi salafiti del sud Yemen. Decine di religiosi, che si richiamano alla corrente salafita yemenita, sono stati uccisi dal «fuoco amico» durante scontri tra le truppe di Abu Dhabi e i loro rivali filo sauditi della «Brigata dei Giganti».
In previsione di questa guerra inter salafita, l’Emirato ha messo in piedi una forza d’attacco di 12.000 uomini, al comando dello sceicco Hani Ben Brick, dichiarando guerra a tutti quelli che non promettono fedeltà ad Abu Dhabi, i Fratelli Mussulmani, l’Associazione della saggezza yemenita (Al Hikmah Al Yamaniyah) ecc..
Il capo della task force di Abu Dhabi, Cheikh Hani Ben Brick, ha ordinato a tutte le moschee del paese di liberare i luoghi di preghiera da « qualunque presenza terrorista », vale a dire dai partigiani del Qatar, sebbene fosse suo alleato nella guerra di Yemen, e dagli indipendenti che non vogliono impegnarsi in questa guerra fratricida.
A gennaio 2016, l’Imam della Moschea Ibn Al Qyam, Cheikh Rami Al Arigi, è stato assassinato, dopo aver messo in guardia contro « i programmi di stranieri tendenti a seminare il disordine e l’anarchia».
Quattro mesi dopo, ad aprile 2016, il responsabile del centro Al Fayouche , è stato anch’egli assassinato, dopo essersi rifiutato di emettere una fatwa che autorizzasse i suoi fedeli a combattere gli Huthisti di « Ansar Allah ».
All’inizio di novembre 2017, Cheikh Adel Al Shihri, una grande figura del salafismo yemenita, è stato assassinato per rappresaglia dopo l’eliminazione di due altri colleghi, Al Yassine Al Adani e Fahd Al Younsi, Imam della Moschea Al Sahaba e Segretario generale del Consiglio della Fatwa di Aden. Fahd Al Younsi si era rifiutato di ottemperare a un ordine di evacuazione della sua Moschea, che doveva essere consegnata ad un religioso filo Abu Dhabi.
Tre altri religiosi salafiti indipendenti, Saleh bin Habis, Yasser Al Hamouchi, Ali Osmane, Cheikh Yassine Al Adani, Imam della Moschea As Sahaba, oltre a Cheikh Sayyed, sono stati anch’essi vittime di assassini extra giudiziari.
Fatto senza precedenti, il Consiglio degli Ulema dello Yemen ha escluso responsabilità di Al Qaeda e di Daesh per questi omicidi, puntando il dito su Abu Dhabi.
Di fronte all’incapacità del presidente nominale dello Yemen, il filo saudita Abed Rabbo Mansour Hadi, di proteggerli contro simili atti criminali, i religiosi dello Yemen del sud hanno invitato i loro simpatizzanti a rifugiarsi nell’interno del paese per sfuggire ai « visitatori dell’alba », i cui sistemi operativi denotano una grande professionalità.
In senso opposto, i religiosi salafiti del Nord Yemen vivono in assoluta tranquillità, nelle zone controllate dagli Huthisti.
Per i lettori arabofoni, la caccia ai religiosi salafiti da parte di Abu Dhabi
5- Libia-Yemen : le difficoltà di Abu Dhabi sui teatri operativi esteri
I due principali teatri operativi esteri di Abu Dhabi sono diventati un incubo. In Libia, gli Emirati hanno preso in contropiede il Qatar decidendo di appoggiare il generale Khalifa Haftar. Ma il grande perdente della battaglia di Wadi Doum, contro Ciad e Francia nel decennio 1980, riciclato dalla CIA come strumento di destabilizzazione per il suo ex compagno d’armi, il colonnello Muammar Gheddafi, fatica a segnare punti nei confronti del pupillo del Qatar, Abdel Hakim Bel Hadj
Trasportato in aereo ad opera del Qatar da Kabul per guidare la battaglia di Tripoli, l’ex capo degli jihadisti libici in Afghanistan si è impadronito della capitale libica e del suo importante arsenale, proclamandosi Governatore di Tripoli e capo del ramo Daesh della Libia, alimentando inoltre in armi 14 paesi arabi e africani. A scapito dei suoi geniali padrini, il Qatar e la NATO.
In Yemen, la coalizione petromonarchica ha registrato due importanti defezioni, il Qatar e il Sudan, oramai alleati della Turchia. In uno spettacolare ribaltamento di alleanze, il Sudan ha offerto facilitazioni portuarie alla Turchia sul mar Rosso, in un tentativo di contrastare Abu Dhabi sulla riva opposta, in Sud Yemen.
Nonostante lo sfondamento nel sud del paese, Abu Dhabi ha subito un importante smacco con l’uccisione di Ali Abdallah Saleh, il 4 dicembre 2017, lo stesso giorno in cui quest’ultimo entrava a far parte della coalizione petromonarchica, tradendo i suoi ex compagni di lotta, gli Huthisti, oramai padroni di Sana’a, ex feudo dell’ex presidente yemenita, all’esito di tre anni di guerra.
Una settimana dopo l’eliminazione dell’ex presidente yemenita, Abu Dhabi subiva una nuova e cocente sconfitta in Sud Yemen, nel tentativo di impadronirsi della zona costiera dell’ovest del paese, nel corso della battaglia di Al Khojja (240 uccisi e 7 blindati distrutti in una imboscata).
I dettagli di questa battaglia nel link:
6 – Al Qaeda, Al Islah : il discredito della posizione modernista di Abu Dhabi nella guerra contro il terrorismo islamista
Svendendo a prezzo vile la sua rendita di posizione, la lotta contro i Fratelli Mussulmani di cui aveva fatto il suo cavallo di battaglia, Abu Dhabi è stata indotta a riprendere i colloqui con la confraternita, dopo l’assassinio di colui che si proponeva di tradire gli alleati huthisti per entrare nella coalizione a guida saudita, l’ex presidente Ali Abdallah Saleh. Grazie ai buoni uffici sauditi, il principe ereditario Mohamad bin Zayed si è quindi incontrato con Mohamad Yadaoui, presidente del partito Al Islah, il ramo yemenita del partito islamico, e Abdel Wahab Al Ounsi, segretario generale del movimento.
Con la tacita connivenza di APA (Al Qaeda per la Penisola Araba) nel Hadramaout, il primo incontro tra questi due nemici storici dalla guerra di Yemen del 2015 ha screditato la posizione modernista di Abu Dhabi, nella sua guerra contro il terrorismo islamico, in quanto il suo interlocutore Al Islah, ramo yemenita dei Fratelli Mussulmani, figura, insieme all’organizzazione madre, nella lista delle organizzazioni terroriste adottata dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, Qatar escluso.
Questo contatto testimonia inoltre la gravità del rovescio subito dalle petromonarchie in Yemen, tanto con la liquidazione di Ali Abdallah Saleh, che con le sconfitte militari della coalizione nella zona costiera del sud Yemen, e anche con la defezione del Sudan.
I dettagli di questo incontro nel link:
7- Denuncia contro Abu Dhabi alla Corte Penale Internazionale a proposito dello Yemen
Di fronte agli abusi petromonarchici in Yemen, «Arab Organization for Human Rights in the United Kingdom» ha depositato il 27 novembre 2017 una denuncia per « crimini di guerra » davanti alla Corte Penale Internazionale puntando il dito contr gli Emirati Arabi Uniti per « l’utilizzazione di armi proibite », « attacchi indiscriminati anche contro popolazioni civili » e « atti di tortura posti in essere nelle prigioni yemenite » da mercenari al soldo di Abu Dhabi, ha precisato Joseph Breham, avvocato dell’ONG, con sede a Londra.
« Gli Emirati non riconoscono la competenza della CPI ». Ma « gli autori di questi crimini sono mercenari ingaggiati dagli Emirati e venuti dalla Colombia, da Panama, dal Salvador, dall’Africa del sud o dall’Australia, paesi che riconoscono la CPI. Quest’ultima è dunque assolutamente competente ad avviare una indagine », ha precisato l’avvocato.
Segue
La seconda parte di questo studio, intitolato :