Sahara marocchino, il discorso del panico
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Lakome.fr, 31 ottobre 2013 (trad. ossin)
L'illegale occupazione militare del Sahara Occidentale
Sahara marocchino, il discorso del panico
Ahmed Benseddik
Risveglio tardivo
Il re del Marocco, un tempo non era abituale, riconosce che il dossier del Sahara attraversa un momento difficile.
Nel discorso di apertura della nuova sessione parlamentare, il 10 ottobre 2013, ha in particolare dichiarato: “La situazione è difficile. Niente è ancora risolto. Le manovre degli avversari della nostra integrità territoriale non si arrestano, e ciò potrebbe comportare degli sviluppi decisivi per la nostra causa”.
Mohammed VI ne ha approfittato per rimproverare la passività dei parlamentari e dei partiti affermando – e anche questo un tempo non era abituale – che “la questione del Sahara non è solo responsabilità del re, ma è la causa di tutti e di ciascuno: Istituzioni dello Stato, Parlamento, Deputati, e tutti gli attori politici, sindacali ed economici, le organizzazioni della società civile, i media e tutti i cittadini”.
Il rimprovero si è fatto ancora più vivace quando ha dichiarato che “la maggior parte di questi si mobilitano con forza solo nei casi di pericoli imminenti che minacciano la nostra integrità territoriale, come se attendessero il semaforo verde prima di qualsiasi iniziativa”.
Così, dopo avere monopolizzato, lui e i suoi più fedeli cortigiani, la gestione di questo dossier, questa improvvisa schiettezza fa trasparire lo sconforto di un uomo e il fallimento di un sistema di governo che resta in stato di perpetua gravitazione attorno a questo stesso uomo e ai suoi umori, autoritarismo oblige.
Rapida retrospettiva
Eppure è lo stesso Mohammed VI che, appena tre mesi fa, affermava con aria soddisfatta, in occasione del discorso del trono del 30 luglio 2013: “La decisiva simpatia che circonda la nostra causa più importante al livello internazionale si è accresciuta grazie all’apprezzamento degli annessi e i connessi della questione della nostra integrità territoriale. Tale evoluzione si rispecchia nel crescente sostegno alla nostra giudiziosa iniziativa, particolarmente alla nostra proposta di autonomia. In proposito rileviamo soprattutto che l’ultima risoluzione del Consiglio di Sicurezza ha fermamente riaffermato gli ineludibili parametri per giungere ad una soluzione politica consensuale e realista”.
Ed è lo stesso re che, un anno prima, dichiarava serenamente il 30 luglio 2012: “In tal senso, il Regno del Marocco riafferma la sua determinazione a continuare nell’impegno di buona fede nel processo di negoziato mirante a trovare una soluzione definitiva all’artificioso conflitto regionale sul Sahara marocchino, sulla base della proposta marocchina di autonomia, la cui serietà e credibilità sono riconosciute dalla comunità internazionale, e nel quadro della sovranità e della integrità territoriale del Marocco”.
Due anni prima, il 30 luglio 2010, il discorso celebrava i valori dal solo punto di vista reale: “Comunque sia, il Marocco continuerà a difendere la propria sovranità, la propria unità nazionale e la propria integrità territoriale, con la determinazione di non voler rinunciare nemmeno a un pollice del suo Sahara. Continueremo dunque a procedere nella direzione ambiziosa che Noi abbiamo definito nel Nostro ultimo discorso celebrativo della Marcia Verde. Così il Sahara marocchino sarà il primo a godere dei benefici del processo di regionalizzazione avanzata. E continueranno, nello stesso tempo, gli sforzi incessanti da Noi dispiegati in favore dello sviluppo solidale delle nostre province del sud. Intendiamo nello stesso tempo procedere ad una profonda ristrutturazione del Consiglio reale Consultivo per gli affari sahariani (CORCAS)”.
Poi, la regionalizzazione avanzata non è avanzata di un millimetro. Quanto al disgraziato CORCAS, è caduto nel dimenticatoio, ed è stato anche regalmente saltato quando il re ha affidato al consiglio economico, sociale e ambientale la missione di definire una road map per lo sviluppo delle province del sud. Gli onorevoli parlamentari-applauditori non hanno alzato un dito.
Una diplomazia senza visione strategica
In realtà il discorso del re del 10 ottobre riconosce a mezza voce il deficit di visione strategica diplomatica del Marocco e l’assenza di ogni diplomazia preventiva. Infatti i milioni di dollari spesi dal Palazzo reale e dai suoi organi, senza alcun controllo parlamentare, per comprarsi la simpatia di alcune lobbie negli USA e altrove non si sono rivelati troppo fruttuosi. La “taginizzazione” e la “mamounizzazione” della diplomazia (espressioni che indicano una diplomazia fatta di favori e di corruzioni, ndt) hanno portato, per esempio, a sperperare 30 milioni di dollari per finanziare un complesso turistico in un’isola dei Caraibi (Dominique), sperando in tal modo di comprare il voto di questo governo alle Nazioni Unite.
Allo stesso modo, concedere una onorificenza a uno dei più grandi sionisti del mondo, Malcom Honlein, sperando che l’AIPAC, la più potente lobbie filo-israeliana, facesse pressione sul Congresso e l’Esecutivo USA in favore del Marocco, non sembra una mossa sufficiente per porre la vicenda del Sahara al riparo dalle turbolenze che attraversa né compensa i danni provocati all’immagine del Marocco dalla quotidiana violenza poliziesca al nord come al sud del paese. Questa immagine è stata ancor più offuscata dallo scandalo della insensata grazia reale accordata al pedofilo spagnolo Daniel Galvan e, poi, dalla ingiusta detenzione durata 39 giorni di un bravo giornalista, Ali Anouzla, direttore della pubblicazione in versione araba del sito Lakome, per punirlo di avere spesso oltrepassato le linee rosse fissate dal governo. Questi fatti hanno reso evidenti le disfunzioni di una governance che si fonda sulla docilità, la corruzione, l’incompetenza e l’assenza di contro-poteri.
E’ evidente che il ricordo del tentativo di Washington, in aprile 2013, di far votare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una risoluzione per allargare il mandato della MINURSO (la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale, ndt) al controllo del rispetto dei diritti umani, ha lasciato profonde cicatrici sulla diplomazia marocchina. Se oggi la risoluzione è stata ritirata in extremis, nulla garantisce che nell’ aprile 2014 una risoluzione dello stesso tenore (o un’altra cattiva sorpresa) non vengano a guastare la festa.
Il recente rapport du US Army War College mostra che la richiesta USA di estendere il mandato della MINURSO non era un colpo di testa contro il Marocco, ma una decisione strategica per la regione (pag.74). Il rapporto parla con chiarezza di “authoritarian regimein Rabat” (pag. 68) e spiega i successi del Polisario evidenziando tre fattori: il sostegno dell’Algeria, la debolezza della Mauritania e gli errori del Marocco. Segnala anche che lo scetticismo dei Saharawi a proposito delle intenzioni di Rabat è ben fondato, e che solo attraverso vere riforme, l’autonomia e una significativa riduzione del clientelismo e della corruzione, il governo marocchino potrebbe avere qualche speranza di guadagnare una qualche credibilità presso i Saharawi (Sahrawi skepticism about Rabat's intentions is well grounded; only through genuine reforms, autonomy, and a significant reduction in clientelism and corruption does the Moroccan government stand a chance of gaining some credibility among the Sahrawis.)
La leggendaria brutalità delle forze di sicurezza marocchine, che rispondono al solo palazzo reale, è un elemento sempre pronto ad agire come un calciatore che marca contro la sua squadra.
Oltre all’atteggiamento poco amichevole degli USA, che pure la diplomazia marocchina continuano a definire come alleati strategici del Marocco, gli ultimi sviluppi della vicenda sul piano mondiale offrono motivi di inquietudine per Rabat, giacché si fanno sempre più forti le pressioni per trovare una uscita da questo conflitto che è durato anche troppo.
Se il Marocco resta attaccato ad una sola possibile soluzione, vale a dire il piano di autonomia, il rapporto Tannock votato il 22 ottobre dal Parlamento europeo cita, al paragrafo 99, l’espressione inglese self-determination (auto-determinazione) per 3 volte. In proposito è utile ricordare che MINURSO vuol dire Missione delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale. Segnaliamo en passant, a proposito di questo rapporto, che la propaganda ufficiale marocchina se ne è “felicitata”, omettendo del tutto di rilevare che, testualmente, il Parlamento Europeo “si è detto grandemente preoccupato dalla recente informativa del rapporteur speciale delle nazioni unite sulla tortura”, “condanna le violazioni dei diritti dell’uomo, le cui vittime sono principalmente le donne saharawi, e che si manifesta soprattutto attraverso molestie e violenze sessuali”, “deplora vivamente che, il 6 marzo 2013, il Marocco abbia espulso una delegazione di quattro deputati del Parlamento europeo” e “auspica la creazione di una missione MINURSO-CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa) ufficiale nella zona di Fadiret Leguaa per procedere all’esumazione e la restituzione delle spoglie alle famiglie, dopo la scoperta di fosse comuni fatte da un gruppo investigativo dell’Università dei Paesi Baschi”.
Le potenze mondiali potrebbero spingere verso una formula di confederazione o di federazione, senza peraltro scartare l’ipotesi della indipendenza pura e semplice, anche se sono convinte che un piccolo Stato Saharawi sarebbe poco vitale e potrebbe essere una fonte di instabilità. Sia come sia, il Sudan ha perso il suo Sud, la Spagna potrebbe essere amputata della Catalogna, il Belgio è minacciato da una scissione e lo stesso Marocco considerava la Mauritania come territorio marocchino e ne ha riconosciuto l’indipendenza solo nel 1969.
Ma, finché le autorità marocchine continueranno a violare i diritti dell’uomo in Sahara, come in tutto il Marocco d’altronde, violazioni che non sono cessate dopo l’episodio dell’ aprile 2013, la credibilità della proposta marocchina si assottiglia. Infatti l’autonomia non fa rima con l’assenza di una vera democrazia e con l’autoritarismo, che resta l’essenza intrinseca del regime marocchino.
Nel maggio scorso, l’accademico spagnolo Bernabé Lopez Garcia ha pubblicato una analisi pertinente sul fallimento del Marocco in Sahara, che è interamente condivisibile. Pone in luce la politica di repressione, le incoerenze strategiche di Rabat e soprattutto la sua “incapacità, nel corso degli ultimi sei anni, di trovare una soluzione al problema, nonostante costituisca la più grande ipoteca sulla monarchia e la sua malattia cronica”. Conclude che, “più che costituire il punto finale dei negoziati, questo piano (di autonomia) si cerca oggi di farne il punto di partenza”. In altri termini, il Marocco ha una causa giusta, ma pessimi avvocati.
Servizi di informazione superati
Il discorso reale è anche una confessione dell’incapacità degli organi di sicurezza e di informazione interni (DGST) ed esterni (DGED) a contrastare l’impegno del Fronte Polisario, che è riuscito a ottenere grandi aperture in taluni parlamenti nazionali (come quello svedese) e nel Parlamento europeo. Il dossier Sahara è diventato un fattore che pregiudica le relazioni Marocco-Europee, come dimostrato dall’evoluzione degli accordi di pesca tra le due parti. Ebbene questi organi sono alle dirette dipendenze del palazzo reale. Né il governo, né quei parlamentari cui il re ha tirato le orecchie li controllano.
I nostri servizi di informazione e diplomatici hanno davvero anticipato i mutamenti di orientamento dell’amministrazione USA? L’ex segretaria di Stato Hillary Clinton, che difendeva a Washington e New York il punto di vista marocchino, è stata sostituita da un John Kerry, che sembra molto meno sedotto dai bei caffetani. E anche altre posizioni chiave dell’amministrazione USA sono state coperte da personaggi meno sensibili agli argomenti marocchini e, soprattutto, intransigenti quando si tratti di violazioni lampanti dei diritti dell’uomo, come Susan Rice, responsabile della sicurezza nazionale e Samantha Power, ambasciatrice USA all’ONU.
Questi servizi hanno compreso quali radicali cambiamenti hanno modificato lo scenario mondiale: la guerra fredda è finita e la guerra contro il terrorismo ha preso un’altra piega. Come elaborano le loro analisi? Per principio essi devono definire e mettere in opera delle strategie per proteggere il paese, la sua sicurezza e la sua unità, da pericoli e rischi. Ebbene, essi hanno fallito sul piano interno a contenere le aspirazioni separatiste e sul piano esterno a guadagnare la simpatia dell’occidente, ivi comprese le società civili e i media. Hanno anche fallito nella realizzazione di una strategia di comunicazione credibile e convincente. Essi non sono riusciti a impadronirsi delle nuove tecniche della diplomazia mondiale, fondata sulla cooperazione continua con le grandi ONG internazionali, come Transparency o RSF, e sui canali di cooperazione con gli opinion leader mondiali e i grandi centri di ricerca strategica.
Nel momento in cui questi ultimi sono diventati in tutto il mondo dei partner a pieno titolo dei decisori, attraverso i loro rapporti e le discussioni che animano, il Marocco si distingue per un Institut Royal des Etudes Stratégiques che riflette solo su impulso del re, dal momento che il suo statuto fondatore stabilisce che “l’Istituto ha il compito di realizzare studi e analisi strategiche sulle questioni sottopostegli da Nostra Maestà”. Perché non ha suonato l’allarme prima che il re pronunciasse il suo discorso del panico?
Il Marocco dispone di servizi di informazione nel senso nobile e moderno del termine? Ecco una discussione che non si fa. Peraltro la parte del sito internet del Ministero degli Affari esteri dedicata al dossier del Sahara è lontana dall’essere all’altezza di una causa considerata come nazionale.
Parlamentari applauditori
Come per il dossier dell’educazione, il Palazzo reale cerca di scaricare in ogni modo la responsabilità dei propri fallimenti su altri. Il re sa benissimo che nella questione del Sahara, come per tutti gli altri campi dei quali il Palazzo reale monopolizza le gestione, i parlamentari sono ridotti a semplici applauditori. Dopo ogni discorso del re, si precipitano davanti alle telecamere per salutarne il carattere storico ed eccezionale ed annunciare che i loro partiti sono mobilitati dietro Sua Maestà il Re per applicare le sue Alte Direttive.
Le élite politiche, tra cui deputati e partiti, a causa della loro abitudine a dire sempre sì e al loro silenzio, del populismo e della povertà intellettuale di alcuni dei loro leader, portano una pesante responsabilità in questa tragicommedia la cui posta in gioco è nientemeno che l’unità nazionale.
Bis repetitae
Così l’andazzo è sempre lo stesso: il Palazzo reale accentra la gestione di un dossier che impegna l’intera nazione, utilizza fondi pubblici colossali senza controllo istituzionale, si affida ai suoi fedelissimi interni o a sedicenti amici internazionali, e impone un discorso unico. Quando si accorge che le cose vanno male, cerca capri espiatori. Lo si è visto per il dossier sull’educazione, il cui fallimento è stato dal re attribuito a un governo che ha meno di due anni.
Nel settembre 1981, Abderrahim Bouabid, leader del partito USFP all’epoca, è stato incarcerato per avere osato esprimere una divergenza col re Hassan II sul tema del Sahara. Ai sui amici dichiarò: “Questo processo passerà alla storia. La prigione mi è più gradita del tacere e del non esprimere la mia opinione su una questione nazionale determinante e sacrosanta”.
Il 30 aprile 2013, dopo l’episodio dell’ONU, il sito di informazione Lakome ha pubblicato un editoriale brillante e premonitore a firma congiunta di Aboubakr Jamai e Ali Anouzla, intitolato “Il costo dell’autoritarismo”. Vi si legge che “solo un processo di democratizzazione credibile permetterà il riconoscimento internazionale della marocchinità del Sahara”; che, se pure ”gli errori tattici non sono mancati, più problematica e più gravide di conseguenze è l’incoerenza strategica”; e ancora: “il Marocco ha, dall’inizio di questa vicenda, fatto conto sul fattore tempo per indebolire i suoi avversari. Oggi questo fattore si è trasformato in guerra d’usura a causa dell’accumulazione degli errori. Il tempo, piuttosto che cancellare questi errori o farli dimenticare, non fa che amplificarne il costo”.
Essi hanno avuto il torto di avere ragione.