La vicenda Ben Barka: il punto di vista delle agenzie di intelligence
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 3 maggio 2015 (trad. ossin)
La vicenda Ben Barka: il punto di vista delle agenzie di intelligence
Gérald Arboit
Ricostruire la vicenda Ben Barka dal punto di vista dei servizi di intelligence, vuol dire lasciar perdere gli interrogativi e i sospetti della querelle politicante, nel quale l’affaire si è impantanato dopo la farsa dei due processi del 1966 e del 1967. Con questa analisi, fondata sull’abbondante biografia pubblicata (1) e qualche documento di archivio proveniente dai servizi francesi (2) e statunitensi (3), non si risolverà certamente il mistero politico. Tuttavia si potrà restituire la vicenda al suo doppio contesto geopolitico. La sparizione del dirigente rivoluzionario internazionalista El Medhi Ben Barka deve infatti essere ricollocata nella sua epoca, vale a dire il Marocco dell’indomani dell’indipendenza e dell’accesso al trono di Hassan II. Deve inoltre essere ricollocata nel contesto del “Grande Gioco” dei servizi di intelligence della metà degli anni 1960. Dunque questa analisi non intende fornire risposte alla polemica che circonda la sparizione del dirigente politico marocchino, ma solo dimostrare come i servizi di intelligence del Regno dello Sceriffato (Marocco) e di Israele abbiano potuto mettere su l’operazione e come il Ministero dell’Interno francese abbia usato la rivelazione del rapimento di Ben Barka per montare una operazione di destabilizzazione nei confronti del Servizio di documentazione estera e di controspionaggio francese (SDECE).
La intelligence marocchina e Ben Barka
Per capire la genesi della vicenda Ben Barka, conviene prima occuparsi della struttura della intelligence marocchina. Essa risente non tanto dell’eredità del protettorato francese, come pure suggerirebbe il suo nome di Sureté nationale, quanto delle personali concezioni del potere di Mohamed V e, soprattutto, di suo figlio Hassan II, cui il primo affidò la gestione della sicurezza nazionale (polizia ed esercito). I due sovrani erano ben consapevoli della fragilità della coesione nazionale attorno al trono e si servirono della polizia e delle Forze Armate Reali, create nel 1956, per contenere le tentazioni secessioniste (operazione franco-ispano-marocchina Ecouvillon-Ouragan( (4) nel Sahara Spagnolo, 1957-1958; insurrezione del Madio Atlas, febbraio 1960) e la guerriglia urbana, come la Mezzaluna Nera (vicina al Partito comunista), cui si aggiungeva l’agitazione sindacale e studentesca provocata da una situazione economia e sociale precaria. Per garantire l’efficacia della sua polizia, Mohamed V intraprese una radicale opera di “marocchinizzazione”, che si tradusse nel licenziamento, operativo dal 1° luglio 1960, di quasi trecento poliziotti francesi ancora in forza nella Sureté nationale (5). Affidata, fin dall’indipendenza, alla direzione di Mohamed Laghzaoui, ricco uomo d’affari vicino al partito nazionalista Istiqlal, la Sureté nationale dipendeva dal punto di vista amministrativo dal Ministero dell’Interno, in virtù del laconico dahir (decreto reale) del 16 maggio 1956 (6). Ma Laghzaoui, specialista dei “colpi bassi”, restò sempre soprattutto l’uomo di fiducia del principe ereditario.
A partire dal gennaio 1958, egli cominciò ad organizzare una serie di brigate speciali affidate a uomini fedeli e alle dipendenze esclusive del suo ufficio, di qui la loro denominazione di CAB (Cabinet). Vere e proprie polizie politiche oltre che commandos urbani, esse vennero create in funzione dei bisogni securitari del momento. Il CAB1 si specializzò nella sovversione della sinistra nazionalista, come l’Unione Nazionale delle Forze Popolari (UNFP) di Ben Barka (7). Sette altre vennero create successivamente, fino al dahir del 17 luglio 1958, tra cui il CAB7, incaricata degli interrogatori; secondo i canoni della lotta contro-insurrezionale sviluppata in Indocina e in Algeria (8), la “Settima” divenne l’antro della tortura cui vennero sottoposti i diversi oppositori del regime alauita.
Dopo l’ascesa al trono di Hassan II, alla morte del padre il 26 febbraio 1961, questa struttura di sicurezza interna divenne la colonna portante del regime fino al 1972. A partire dal 13 luglio 1960, un fedele tra i fedeli, suo compagno d’armi durante l’operazione Ecouvillon-Ouragan, il luogotenente colonnello Mohamed Oufkir prese il posto di Laghzaoui, mantenendo le sette CAB create dal suo predecessore, che aveva ritenuto prudente portarsi appresso il loro personale (9). Brillante ufficiale “francese” – otto encomi, due croci di guerra (1939-1945 e teatri di operazioni esterne) con stelle e decorazioni, ufficiale della Legione d’onore (1949) – Oufkir venne integrato solo nel 1957 nelle Forze Armate Reali. Però già dal 1° marzo 1950 circolava nelle sfere di corte. Fino al novembre 1955, questo ex luogotenente di fanteria del 4° reggimento marocchino in Indocina venne assegnato al gabinetto militare del comandante superiore delle truppe francesi, il generale Maurice Duval. Divenne poi aiutante di campo degli ultimi residenti generali, poi di Mohamed V al ritorno dal suo esilio (10). Diventò rapidamente intimo del principe ereditario, al punto che l’ambasciatore francese, Alexandre Parodi, notò perfidamente che “sua moglie (era) l’amante del re. Più volte la si era veduta uscire dall’harem reale. Egli chiuderebbe gli occhi con compiacenza sul suo infortunio” (11). Uomo di fiducia di Hassan II, promosso colonnello il 1° gennaio 1962, si rivelò un fedele esecutorie della volontà reale, esattamente come il nazionalista Laghzaoui che aveva sostituito. Dopo avergli fatto fare uno stage nella intelligence militare, Oufkir chiamò al suo servizio il luogotenente dei paracadutisti Ahmed Dlimi, che aveva conosciuto durante l’operazione Ecouvillon-Ouragan. Affidò a questo “francese” la direzione del primo CAB (12).
L’ex Primo Ministro Abdallah Ibrahim descrisse in modo esauriente il mandato e l’ampiezza di poteri di questo ufficiale posto a capo della Sureté nationale:
“Oufkir (…) era un uomo plasmato dall’esercito, il cui cervello funzionava solo al servizio dell’esercito (…) Ha trasformato tutto il Marocco in un centro di intelligence, ivi compreso l’UNFP. Niente morale, niente etica. E’ un pesante handicap che ha aperto la strada ad una politica di violenza ufficiale” (13).
Quando parliamo di “esercito”, bisogna intendere prima di tutto quello francese. Sia Oufkir che il suo aggiunto Dlimi fecero, l’uno direttamente, l’altro come allievo (14), l’esperienza delle guerre di decolonizzazione e delle loro derive in termini di mantenimento dell’ordine pubblico (15). Se pure non è certo che Oufkir abbia avuto un ruolo attivo nell’operazione finalizzata all’arresto dei capi del Fronte di Liberazione Nazionale algerino del 22 ottobre 1956, né che sia stato avvicinato, cinque anni dopo, dai “Barbouze”, cui Roger Frey aveva dato incarico di fare la guerra all’ Organizzazione dell’esercito segreto (OAS) in Algeria (novembre 1961-marzo 1962), è comunque certo che il direttore della Sureté nationale abbia giocato un ruolo nelle missioni della “Mano Rossa”, facciata dietro cui operavano lo SDECE e la DST in Marocco (16).
Questa violenza “importata” si trovò ben presto iscritta in un ciclo propriamente marocchino, avviato ben prima della sua investitura. La minaccia interna non venne mai posta sotto controllo, le congiure si succedevano senza si sapesse mai se esse erano reali o immaginarie (febbraio 1960, giugno-luglio 1963 contro l’UNFP; marzo 1965 contro gli studenti e i sindacati), e che finirono col travolgere lo stesso Oufkir (agosto-settembre 1972). Nel frattempo Hassan II proclamò lo stato di emergenza (7 giugno 1965), interrompendo per cinque anni un difficile processo di dialogo politico e sociale avviato col suo Memorandum ai partiti politici e alle organizzazioni sindacali (20 aprile 1965). Fu in questo contesto che vi fu il rapimento del principale oppositore politico, El Medhi Ben Barka. Decisa in primavera da Oufkir, promosso generale il 6 settembre 1963 e divenuto ministro dell’interno il 20 agosto 1964, l’operazione venne affidata al CAB1.
L’intelligence israeliana e Ben Barka
Per realizzare una simile missione contro un uomo che girava il mondo, non erano sufficienti le capacità della intelligence marocchina. Gli agenti del CAB1 non erano d’altronde riusciti ad eliminare Ben Barka, simulando un banale incidente automobilistico il 15 novembre 1962: il principale oppositore di Hassan II se l’era cavata con la frattura di una vertebra cervicale che rese necessaria la posa di una placca in un ospedale tedesco. Per riuscire a realizzare il rapimento di un bersaglio tanto mobile quanto famoso, occorreva disporre di una rete che la brigata speciale della Sureté nationale marocchina non aveva. Né le sue missioni di intelligence interna né la formazione del suo personale erano stati previsti per operare all’estero. Inevitabilmente bisognava chiedere l’aiuto di un servizio straniero. Ma Oufkir non poteva chiederlo in modo appropriato al SDECE o alla CIA. Questi ultimi disponevano certamente delle competenze per realizzare la missione, ma non avevano alcun interesse a farlo, soprattutto se a chiederlo era la minuscola Sureté nationale. Anche se entrambe le agenzie si interessavano alle attività del dirigente internazionalista Ben Barka; la prima fin dal settembre 1959, inserendolo a intermittenza nella lista delle persone da eliminare (17), mentre la seconda sembrava averlo scoperto solo due anni dopo, in occasione di un colloquio fiorentino (18). Ma nel “Gran Gioco” dei Servizi, Oufkir era una semplice pedina che serviva alle due centrali per ottenere informazioni e facilitazioni sul teatro africano, come in Congo, in cambio solo di qualche aiuto tecnico, soprattutto in campo contro-insurrezionale. Il “primo poliziotto” del Marocco non era di quelli che poteva trattare da una posizione di parità con queste grandi agenzie, era già tanto che potesse trattare con esse. Occorreva dunque che Oufkir trovasse un partner al suo livello.
Dall’agosto 1961, Oufkir era subentrato a Laghzaoui anche nei rapporti con il Ha-Mossad le-Modi’in u-le-Takkidim Meyuhadim (Istituto israeliano per l’intelligence e le operazioni speciali). Il suo predecessore aveva avviato questi rapporti in occasione di un voltafaccia realizzato dopo l’arresto di un agente, Amos Ravel, a Casablanca, all’indomani dell’indipendenza: la scoperta delle filiere di espatrio della comunità ebraica marocchina verso il giovane Stato ebraico aveva spinto il direttore della Sureté nationale a ordinare la chiusura della struttura di emigrazione, Qadimah, e a decretare la fine dell’aliya (emigrazione verso Israele). L’intervento del rappresentante britannico dell’Agenzia ebraica mondiale, Alexander Easterman, aveva fatto tornare, il 19 giugno 1956, Laghzaoui sulle sue decisioni, verosimilmente in cambio di una parte delle somme versate dall’Agenzia ebraica per ciascun emigrante. Avendo posto termine ufficialmente all’attività di Qadimah (1949-1956), accompagnò l’operazione clandestina pilotata dal Misgeret (1956-1961), la nuova struttura creata all’interno del Mossad, nonostante le vicissitudini della vita politica marocchina (19). Laghzaoui restò un attore della strategia israeliana, incontrando dapprima Easterman (20), poi alcuni dirigenti del Mossad, Jo Golan e Akiva Levinsky (21).
Nel frattempo Easterman, e poi un agente personale degli Affari stranieri israeliani, André Chouraqui, infine alcuni agenti del Mossad, Yaagov Caroz e Lil Castel, strinsero un rapporto con Ben Barka; si trattava di trovare una soluzione al blocco dell’operazione del Misgeret, seguito all’irrigidimento marocchino. Prima ancora del licenziamento di Laghzaoui, gli Israeliani cercavano un interlocutore nell’entourage del principe ereditario Moulay Hassan. L’avvio dei rapporti con Laghzaoui, nell’agosto 1961, segnò la fine di quelli con Ben Barka, oramai troppo instabile per giocare ancora un ruolo in Marocco (22). Nel momento in cui il Mossad rompeva con lui, nel marzo 1960, l’ex presidente dell’Assemblea consultiva si lasciò avvicinare dalla Statni Bezpecnost (Sicurezza di Stato, StB) cecoslovacca. Egli incontrò anche, il 28 marzo alle ore 11,30, Caroz, che non gli lasciò alcuna illusione quanto al sostegno israeliano ai suoi progetti, e alle 20,30 si recò al pranzo al quale il secondo segretario cecoslovacco, il capitano del StB Zdenek Micke, incontrato una settimana prima al Fouquest’s, l’aveva invitato (23).
Informato delle indisponibilità israeliana, Ben Barka cercò di ottenere la stessa cosa da parte dei Cecoslovacchi. E rivolse a entrambi, il 28 marzo 1960 al Mossad (24) e tra il 12 marzo e il 1° luglio 1961 al StB, la medesima proposta: un sostegno finanziario e forniture di armi per i suoi partigiani quando sarebbe giunta l’ora della sollevazione. Come gli Israeliani, anche i Cecoslovacchi lo invitarono nel loro paese; vi si recò 11 volte a partire dal settembre 1961. Gli finanziarono inoltre il viaggio in Guinea, alla seconda Conferenza di solidarietà dei popoli afro-asiatici, dove Ben Barka ancora pronunciò un discorso molto favorevole a Israele. Tuttavia, facendosi stretti i rapporti con il StB, offrì loro informazioni sulla Francia, provenienti dal SDECE, dal Quai d’Orsay e dal Ministero dell’Esercito. Nel linguaggio delle intelligence dell’est, egli fu dapprima un verbovka agenta (agente in via di reclutamento) poi diventò, dopo il suo secondo soggiorno a Praga nel febbraio 1963, un duvernym stykem (contatto confidenziale). Il suo declassamento in seno al StB derivava dal cambiamento della situazione politica marocchina. Ben Barka ritornò nel suo paese il 15 maggio 1962, sospendendo i suoi rapporti col capitano Micke. Durante un breve soggiorno a Praga, nel febbraio 1962, venne affidato a due nuovi referenti, Karel Cermak e Jiriho Vancuru (25). Ben Barka continuò i suoi viaggi a Praga dal luglio 1963 all’ottobre 1965. In questo periodo fu incaricato soprattutto di migliorare i rapporti tra gli amici cecoslovacchi e gli amici baasisti in Siria nel maggio 1963, ma non riuscì a trovare “il momento giusto, proponendo di aspettare un po’” (26).
Queste attività clandestine di Ben Barka finirono per allarmare i Servizi di Oufkir, soprattutto il CAB1. O, almeno, li allarmarono le rivelazioni del rappresentante del Baas siriano a Ginevra, lo studente Atef Danial, a Abdelkrim el Khatib, ministro per gli affari africani, nella camera di un hotel ginevrino nel quale Oufkir e Dlimi avevano collocato delle “pulci” (27). Ben Barka ritenne più prudente esiliarsi il 23 giugno 1963, quando Oufkir lanciò una nuova campagna di arresti tra le fila dell’UNFP, nell’ambito del “complotto di luglio”. Dlimi continuò a indagare sull’ex presidente dell’Assemblea costituente e scoprì i suoi rapporti col StB. La Rezidentura cecoslovacca di Rabat lo seppe il 15 ottobre 1963:
“Il Marocco (sa) che (Benb Barka) era in Cecoslovacchia. Negli ambienti di polizia si riteneva che obiettivo della sua visita era di discutere di addestramento e di alcuni gruppi marocchini da dispiegare sulla frontiera Marocco-Algeria” (28).
Il Cab1 si ingannava solo a metà, perché Ben Barka cominciò uno stage di formazione alle tecniche cospirative solo dal 9 al 17 marzo 1965 a Praga (29). Una quindicina di giorni dopo, al Cairo, durante un colloquio sulla Palestina, pronunciò un discorso di critica verso “il ruolo di Israele in Africa” (30). Poco probabile, tenuto conto del “bisogno di saperne” che regge le relazioni nel mondo dei Servizi, che il Mossad abbia reso nota questa evoluzione al suo omologo marocchino.
Però il Servizio israeliano non tardò a stabilire un rapporto con Oufkir. Come all’epoca di Laghzaoui, la sua entrata in gioco si concretizzò con l’arresto di venti membri del Misgeret e la cessazione delle loro operazioni, e la successiva inaugurazione di una nuova Yakhin (1961-1966). Ma il contatto con Oufkir sopravvenne solo una volta esauriti i tentativi di Easterman e di Golan (31). E in un primo tempo si limitò al conferimento di passaporti collettivi e ad un intervento sul suo amico, il generale Ben Aomar Driss, governatore di Casablanca, perché la facesse finita coi ricatti nei confronti degli emigranti (32). Durante il periodo di osservazione (1961-1963), della stessa durata di quello cui venne sottoposto Laghzaoui (1956-1958) prima del contatto diretto, Oufkir venne in un primo momento messo in contatto col commissario di divisione della Sureté nationale di Parigi, Emile Benhamou. Difficile dire se i due uomini si conoscessero già dai tempi della Seconda Guerra mondiale, come generalmente si ritiene, o se il poliziotto specializzato in reati finanziari, nato a Tlemcem, avesse incontrato il collega marocchino in occasione di consultazioni a proposito del traffico di valuta tra l’Africa del Nord e la metropoli all’indomani della decolonizzazione. Fatto sta che nel febbraio 1963 Behamou organizzò una colazione tra il direttore della Sureté nationale marocchina e Yaagov Caroz. Seguirono l’udienza con Hassan II del direttore del Mossad, Meir Amit, accompagnato da Caroz e alla quale assistette evidentemente Oufkir, a Marrakech in aprile, e poi una serie di incontri di quest’ultimo con l’ufficiale di collegamento, David Shomron, negli hotel ginevrini Beau Rivage e Cornavin (33). A metà dicembre il capo delle operazioni del Mossad, Rafi Eitan, e Shomron andarono a Rabat per incontrare Oufkir. Mentre Shomron faceva conoscenza con Dlimi, Eitan e Oufkir stabilirono le basi della cooperazione tra i rispettivi Servizi. Nel contesto di guerra con l’Algeria, sostenuta dall’Egitto nasseriano e da Cuba (34), la Sureté nationale marocchina chiedeva aiuto per la organizzazione della protezione delle sue ambasciate e l’acquisizione di informazioni con mezzi elettromagnetici, e in cambio il Mossad ottenne di poter interrogare i prigionieri egiziani che avevano combattuto al fianco degli Algerini. Il Servizio israeliano ottenne l’autorizzazione ad aprire una stazione attraverso la quale transitassero le informazioni scambiate tra le parti; Shomron ne ottenne la direzione. Questa informazione venne confidata a Oufkir nel corso del suo primo viaggio a Tel Aviv, il 3 gennaio successivo (35).
Quando il CAB1 capì che Ben Barka complottava con lo StB, cercò di localizzarlo. Ma l’oppositore marocchino si spostava continuamente, cambiando identità ad ogni viaggio tra Algeri, dove risiedeva, e il Cairo, dove godeva di complicità. Di qui evaporava verso destinazioni che le competenze del servizio informazioni interne marocchino non erano in grado di accertare. Il 25 marzo 1965, la sera delle manifestazioni di piazza a Casablanca troppo severamente represse dalla polizia di Oufkir, si tenne a Rabat un consiglio ristretto alla presenza di Hassan II; oltre al sovrano e al ministro dell’interno, sarebbero stati presenti anche il direttore aggiunto (Oufkir ne era ancora il direttore titolare) della Sureté nationale, il comandante Ahmed Dlimi, il capo della Casa Reale, colonnello Moulay Hafid, e il direttore generale del Gabinetto reale, Driss M’Hammedi. Oggetto dell’incontro fu la discussione sul “caso Ben Barka”, il cui ruolo all’estero poteva rivelarsi più nocivo di quello svolto all’interno del paese (36). Prima di poter tentare di spingerlo a rientrare, occorreva prima capire dove si trovasse.
Bisognava quindi chiedere l’aiuto degli Israeliani. A inizio maggio, David Kimche, dell’unità Tevel (mondo), competente per le relazioni coi servizi stranieri, si recò a Rabat per esaminare con Oufkir le esigenze marocchine, poi i due uomini si recarono insieme a Tel Aviv, via Roma, per ottenere il consenso di Meir Amit. Rapidamente il Mossad riuscì a localizzare Ben Barka a Ginevra. La capitale economica svizzera costituiva il punto di smistamento da cui il dirigente dell’UNFP organizzava i suoi spostamenti in Europa e nel resto del mondo; i suoi contatti con lo SDECE, al tempo delle operazioni francesi in Algeria, gli avevano sconsigliato di fissare la propria base in Francia. Un’edicola di giornali ginevrina era il suo recapito postale. Qui si faceva recapitare diversi giornali e riviste internazionali, tra cui The Jewish Observer. Il Mossad scoprì che c’era anche un altro servizio segreto sorvegliava il Marocchino e sospese quindi le operazioni. Ciò significa che si trattava di un servizio alleato, come la CIA, con la quale la Centrale israeliana collaborava da ottobre 1952 (37). In nessun caso il Mossad avrebbe sospeso la sorveglianza se si fosse trattato del StB. Fatto sta che gli agenti della Sureté nationale marocchina dovettero sostituirsi a quelli del servizio israeliano nell’operazione di controllo a vista dell’edicola ginevrina. Nell’arco di due settimane, riuscirono a individuare Ben Barka.
Alla fine dell’estate 1965, Hassan II decise di farla finita con questa questione. Alla proposta di compromesso formulata dal sovrano, l’oppositore aveva risposto che occorreva escludere “gli opportunisti e i traditori”, rinnegando l’UNFP, secondo quanto il sovrano stesso raccontò. Il re chiese a Oufkir di concludere un accordo con il Mossad: in cambio del suo accesso alla conferenza della Lega araba, che doveva svolgersi a Casablanca dal 13 al 18 settembre 1965, il servizio israeliano avrebbe aiutato il CAB1 a mettere le mani su Ben Barka. L’obiettivo era di porlo di fronte all’alternativa tra un posto ministeriale, allineandosi quindi con l’odiata monarchia, ed un processo per tradimento, dinanzi ad un tribunale marocchino, sulla base delle informazioni acquisite circa i suoi rapporti con il StB. Questa trattativa tra servizi segreti rivela un profondo cambiamento nelle relazioni tra il Mossad e la Sureté nationale marocchina: l’operazione Yakhin terminava e i trasferimenti finanziari diventavano occasionali (38).
A inizio settembre, elementi dell’unità Tziporim (unità di ricerca operativa), tra cui Rafi Eitan e Zvi Malkin, si recarono a Casablanca e il CAB1 li sistemò, ben controllati, nel mezzanino dell’albergo dove si sarebbe svolta la Conferenza della Lega araba. Il 12 settembre però Hassan II cambiò idea e ordinò agli agenti israeliani di lasciare la conferenza, temendo potessero essere riconosciuti dai numerosi agenti segreti arabi presenti. Il CAB1 utilizzò le microspie collocate dal Mossad e, subito dopo la conferenza, trasmise a quest’ultimo tutte le informazioni e le registrazioni. In questo modo i servizi israeliani ebbero l’opportunità di cogliere lo stato d’animo dei maggiori nemici di Israele, soprattutto appresero che gli eserciti arabi non erano pronti per una nuova guerra. Quanto a Nasser, il cui Gihaz al-Mukhabarat al-Amma (Servizio di informazione generale) segnalò la presenza israeliana, ebbe la prova del doppio gioco marocchino (39)…
Adempiuta la prestazione in favore del Mossad, occorreva adesso che il servizio israeliano facesse la sua parte. Non è casuale, in relazione all’impegno assunto da Meir Amit nei confronti di Mohamed Oufkir, il nome che il Primo Ministro israeliano, Levi Eshkol (che amava citare le fonti religiose) dette all’operazione: “Baba Batra” era sia un riferimento all’ordine talmudico relativo alla responsabilità individuale, sia un gioco di parole imperniato sulle iniziali di Ben Barka. Essa venne organizzata nella forma di una suggestione. Si fece in modo di far credere all’obiettivo che si aveva bisogno del suo consiglio e del suo aiuto per la realizzazione di un film sui movimenti rivoluzionari nel mondo. Da cinque anni il Mossad conosceva le propensioni insurrezionali di colui che, dalla primavera, presiedeva il comitato preparatorio della Conferenza Tricontinentale, e il lavoro che svolgeva con la Direccion de Inteligencia cubana. La realizzazione operativa e il reclutamento dei 5 elementi, cui i servizi israeliani fornirono i passaporti, furono affidati all’iniziativa marocchina. Il Mossad contribuì solo con qualche elemento mirato. Il primo serviva certamente per dare credibilità alla persona che doveva contattare Ben Barka: un produttore svizzero di film (40) al suo debutto, Arthur Cohn, collaboratore dello Shin Bet, il servizio israeliano di informazione interno, e genero del ministro israeliano della Giustizia, Moshe Haim Shapira. Il secondo fu più decisivo: invece di rivolgersi a qualche funzionario di polizia svizzero dell’ufficio stranieri, il Mossad fece pressioni, certamente in cambio di denaro, su di un avvocato svizzero, che Ben Barka conosceva già e che gli comunicò, il 28 ottobre, che “il suo permesso di soggiorno e il visto stavano per scadere e il funzionario incaricato del rinnovo sarebbe andato in vacanza in Israele” (41).
Il 4 ottobre 1965, omettendo di rivelare le finalità ultime, Amit riferì a Eshkol la nuova richiesta marocchina. I due dirigenti si mostrarono dubbiosi circa la sincerità dei Marocchini. Questa sensazione sembrò trovare conferma quando il capitano Dlimi chiese, il 12 ottobre, delle false targhe di auto e del veleno. Tredici giorni dopo, Amit andò a Rabat per una visita di routine. Tentò di convincere i Marocchini a rinviare l’esecuzione dell’assassinio, “in modo da prepararlo in modo perfetto”. Ma il capo del CAB1 lo sorprese annunciandogli che l’operazione “era già in corso”. Posto di fronte al fatto compiuto, il direttore del Mossad capì che non poteva più affidarsi e mosse elusive e che avrebbe dovuto apportare un sostegno all’operazione (42).
I Servizi francesi e Ben Barka
Il CAB1 avviò l’operazione nella primavera del 1965, mettendo un agente sotto copertura sulle tracce di Ben Barka. Essa venne avviata da Parigi dal ministro dell’interno in persona: il generale Mohamed Oufkir organizzò una riunione con degli “amici francesi” il 21 aprile; nove giorni dopo una nota del servizio di ricerca del SDECE non menzionava chi fossero questi “amici”. Ma menzionava l’oggetto della riunione:
“IL generale Oufkir, ministro marocchino dell’interno, giunto a Parigi il 21 aprile è stato incaricato dal re del Marocco di entrare in contatto con Mehdi Ben Barka, per tentare di convincerlo a rientrare in Marocco coi suoi compagni. Hassan II è infatti pronto a revocare la procedura di contumacia assunta nei confronti del leader dell’UNFP” (43).
Se si considera la riunione del 25 marzo 1965 a Rabat come quella che ha dato l’avvio alla prima parte dell’operazione, essa sembra precedere la risposta israeliana. Avveniva infatti in un momento in cui i Marocchini pensavano ancora di poter trovare facilmente Ben Barka. Così Oufkir venne a Parigi in uno stato d’animo diverso da quello col quale si recò, meno di due mesi dopo, a Tel Aviv. La riunione del 21 aprile, svolta in tono informale in quanto si tenne all’hotel Crillon, dove il ministro dell’interno era sceso, si contentò di ottenere dagli “amici francesi” l’autorizzazione a svolgere una operazione nella capitale. Tra gli “amici” presenti, si trovavano forse il suo omologo francese, Roger Frey, il capo di gabinetto di quest’ultimo, Jacques Aubert, l’avvocato Pierre Lemarchand e il direttore generale della Sureté nationale, Maurice Grimaud? Oltre al loro precedente coinvolgimento nelle operazioni segrete contro l’OAS, questi quattro uomini, nelle diverse fasi dell’operazione marocchina, ebbero un importante ruolo da giocare. Il primo conosceva il suo collega di Rabat da quando erano stati presentati poco dopo la sua nomina ministeriale, il 6 maggio 1961; alcuni sostengono che i due si frequentassero da allora e che il francese fosse sovente ospite con la famiglia a casa del marocchino (44). Il secondo, direttore della Sureté nationale in Algeria (gennaio 1960 -novembre 1961), poi nel territorio metropolitano (gennaio-dicembre 1962) aveva avuto dei contatti col suo omologo marocchino in relazione a diverse vicende di prostituzione, traffico di valuta e lotta contro l’OAS. Lotta che venne coordinata dal terzo, a richiesta del suo amico Frey, dopo averlo rivisto nel 1947, impegnato nel servizio d’ordine del Rassemblement pour la France (RPF), prima di mettere in musica l’operazione ideata dal Mossad. Questi tre uomini erano quanto di meglio vi fosse nette reti di intelligence golliste. Grimaud era più atipico, amico di François Mitterrand. Il 7 gennaio 1962, Oufkir gli presentò il suo “messaggero”, il commissario El Ghali El Mahi (45).
Un quinto uomo era un habitué del Crillon e della famiglia Oufkir, ma di un rango sociale che non gli permetteva probabilmente di figurare tra gli “amici francesi” del ministro marocchino dell’interno: Antoine Lopez. Ispettore principale di Air France (1963), meritava appieno il suo soprannome di “saponetta”. Avvicinato dal SDECE quando era ancora capo traffico dell’aeroporto di Tangeri (1953-1956), divenne, poco dopo il suo trasferimento a Orly, un “onorevole corrispondente di infrastrutture” (1958) del servizio VII (servizio di ricerca operativa). Questa rapida carriera la dice lunga sul suo saperci fare nella raccolta di informazioni grezze. Al SDECE, Lopez venne considerato come una fonte generalmente affidabile, vale a dire che era quota B. Nel corso del 1962, diventò “collaboratore” della brigata antidroga e del buoncostume; venne trattato da Louis Souchon, capogruppo della sezione incaricata della repressione del traffico di stupefacenti. Ma questo “tipo astuto” (46) mantenne ben celata questa sua nuova legittimità, diventata effettiva all’inizio dell’estate 1965, quando diventò un agente marocchino, Il processo era stato avviato quando Lopez si trovava a Tangeri (47). Il 29 giugno 1965 Dlimi gli rilasciò un lasciapassare del ministero dell’interno marocchino (48). Passata la primavera, cercò di farsi distaccare da Air France, dove oramai non aveva prospettive di carriera, verso la direzione delle relazioni esterne di Royal Air Maroc, col sostegno di Oufkir e, a Parigi, del SDECE (49). Nel contesto marocchino, il ruolo di Lopez fu duplice. Da un lato, fornì informazioni parziali al suo ufficiale trattante del SDECE, il colonnello Marcel Leroy (Finville), consegnandogli dati sufficienti a giustificare il proprio rango di HCI, fotografando i documenti della riunione al Cairo della Tricontinentale, contenuti nel fazzoletto di un agente marocchino il 5 settembre (50), ma omettendo gli elementi che avrebbero potuto identificare l’operazione in corso (51). Dall’altro lato assicurò la logistica (uomini dell’ambiente e domicili privati) dell’operazione marocchina in Francia.
Se Oufkir mobilitò la sua rete di appoggio, Dlimi scelse invece di mandare, sotto falsa identità, il suo collaboratore, il giovane commissario Miloud Tounsi (Larbi Chtouki), ad infiltrare l’entourage parigino di Ben Barka. Rapidamente, nel corso del mese di aprile, la scelta cadde su Philippe Bernier, un giovane giornalista tanto di sinistra quanto povero in canna. Forse era già al libro paga del CAB1, tanto si trattava di un personaggio conosciuto in Marocco: oltre alla sua vicinanza col presidente dell’Assemblea Consultiva, fu produttore-direttore dei programmi di Radio Maroc (1954-1956), poi animatore di una rete di sostegno alla resistenza algerina (1958-1960), per poi ottenere per breve tempo un posto alla presidenza algerina (primavera 1962) (52), Sospettato di essere diventato un agente della Sécurité militare algerina oltre che del Mossad, in realtà egli era solo un idealista, un “giornalista perfettamente integrato” (53), coinvolto in una vicenda più grande di lui. Se inizialmente venne scelto perché aveva un contatto con Ben Barka, in cambio di una somma di denaro che gli avrebbe permesso di pubblicare il numero 0 di un nuovo magazine rivolto ai giovani, L’Inter Hebdo, si dimostrò ancora più interessante quando, agli inizi dell’estate 1965, il CAB1 si trovò a dover realizzare lo scenario israeliano del film sui movimenti rivoluzionari nel mondo. Infatti la sua iniziativa editoriale si appoggiava alla Societé d’etude de presse l’Inter, rue de Joubert n.17, nel 9° arrondissement parigino; quest’ultima offriva una copertura ideale per ospitare il tentativo di presa di contatto con Ben Barka (54).
La realizzazione del piano studiato dagli israeliani cominciò a prendere forma il 30 agosto 1965. Quel giorno Chtouki si vide rilasciare il passaporto di servizio n. 551 dal ministero marocchino degli interni (55). L’indomani giunse a Parigi e incontrò Bernier e Lemarchand. Dopo l’esame del piano, l’avvocato cominciò a preparare, sotto dettatura di Chtouki, un questionario che doveva servire per l’intervista di Ben Barka, per la parte della messa in scena che doveva riguardare il Marocco e i fatti del marzo 1965. Poi sollecitò Bernier a prendere contatti con uno dei suoi amici di scuola, che aveva delle entrature nel mondo del cinema francese, Georges Figon. Evitò di dire che si trattava solo di un delinquentello, dimesso in primavera dall’ospedale psichiatrico, e coinvolto nel traffico di dinari? Chtouki, e attraverso lui il CAB1, lo sapeva già perché era lui che si occupava della manovalanza criminale che doveva occuparsi delle “procedure non ortodosse”, segnalate da Lopez a Leroy il 12 maggio; queste “procedure” erano il sequestro di Ben Barka. Con l’operazione marocchina, Leroy rivisse le sue antiche azioni non ortodosse contro l’OAS. Figon fu il suo intermediario con la manovalanza criminale che venne alloggiata, attendendo Chtouki, alla residenza Niel. Lemarchant intervenne anche sul commissario dei Servizi Informativi generali della Prefettura di Polizia di Parigi, Jean Caille, per fare rilasciare un passaporto al suo “aggiunto”, che continua ad essere sottoposto al controllo giudiziario. Per contro Figon si servì dei servigi dell’ispettore Roger Voitot, vice di Souchon nella brigata del buoncostume, per rinnovare il passaporto scaduto di Bernier. Così Chtouki, il giornalista Bernier e il “produttore” Figon poterono andare al Cairo il 2 settembre 1965.
Il giorno successivo il trio incontrò Ben Barka. Gli sottopose il progetto del film, dal titolo evocatore di “Basta!”, fecero il nome del cineasta Georges Franju, molto conosciuto all’epoca per il suo realismo senza concessioni. Nonostante i tanti impegni che lo avevano costretto a respingere i ripetuti inviti, in primavera e in estate, di Moulay Alì, ambasciatore marocchino a Parigi, a rientrare in Marocco, il presidente del comitato preparatorio della conferenza tricontinentale rimase affascinato dal progetto di documentario. Accettò di incontrare nuovamente i suoi ideatori a Ginevra, nell’intervallo tra due viaggi attraverso il mondo, il 20 settembre e il 6 ottobre successivi. Per andare a quest’ultimo appuntamento, Figon fece il viaggio da solo. Bernier gli consegnò una lettera di presentazione intestata Societé d’etude de presse L’Inter, con data del giorno prima, oltre a un contratto, datato Ginevra, il giorno dell’incontro con Ben Barka. Venne fissato un terzo incontro a Parigi, in presenza del regista, Venne stabilita la data del 29 ottobre a Parigi.
Il giorno prima, venuto a conoscenza delle difficoltà insorte per il rinnovo del suo permesso di soggiorno in Svizzera, Ben Barka si recò allo studio di Roger Frey per informarsi di due cose: la presenza di Oufkir a Parigi e il libero accesso per lui in territorio francese. Avendo appreso che nessun ostacolo si frapponeva al viaggio in Francia, l’oppositore marocchino rifiutò le misure di protezione che gli vennero offerte (56). Se è impossibile identificare il corrispondente francese – Jacques Aubert? – e anche solo essere certi che la conversazione fosse col ministero dell’interno parigino e, addirittura, delle autenticità stessa della telefonata, sicuro è che siamo di fronte alla seconda parte dell’operazione di manipolazione ideata dal Mossad, quella che coinvolgeva l’avvocato svizzero.
Mentre Chtouki, Bernier e Figon erano intenti ad adescare Ben Barka, il commissario El Ghali El Mahi giunse a Parigi, ufficialmente per iscriversi all’Ecole des Hautes études commerciales. Di fatto questi doveva venire in ausilio a Chtouki che non conosceva la capitale francese, in particolare rappresentarlo nei rapporti con la manovalanza criminale, alloggiata fin dal 21 settembre alla residenza Niel, Appena ripresosi dallo stupore per avere veduto Lemarchand accompagnare Figon all’aereo per Ginevra due giorni prima, Lopez cominciò a temere che i Marocchini stessero per sostituirlo. Il suo distacco alla Royal Air Maroc era a un punto morto, nonostante i contatti presi da Leroy in Air France con Henri Barnier, un ex della SDECE riciclatosi capo di gabinetto del direttore generale della compagnia nazionale, e con la segretaria di Roger Frey, Henriette Renaud, durante un ricevimento dato in occasione del matrimonio della figlia in luglio. Anche “Saponetta” conosceva le canaglie reclutate da Chtouki. Egli era addirittura l’interlocutore privilegiato di Georges Boucheseiche, noto prosseneta delle due coste del Mediterraneo ed ex membro della Gestapo francese di rue Lauriston e della “gang des tractions avant” (celebre banda parigina d’anteguerra, specializzata in rapine, ndt). Questi condivideva i suoi dubbi sulla sincerità del CAB1: non era la missione che lo preoccupava, evidentemente, ma la remunerazione. Questa questione li tenne in agitazione dal 10 al 27 ottobre. Figon si dimostrò alla fine il più instabile, minacciando di utilizzare i suoi contatti giornalistici per dare sfogo alla sua bile (57). Lopez preferì raccontare l’operazione Bernier-Figon a Leroy (58). Fece lo stesso dopo il rapimento, tacendo naturalmente il ruolo che vi aveva avuto lui, telefonando al capo del servizio VII… in un momento in cui sapeva che non era rintracciabile né a casa né in ufficio.
Se la SDECE venne tenuta volutamente fuori, tranne forse il direttore della ricerca, il colonnello René Bertrand (Jacques Beaumont), non può dirsi altrettanto del gabinetto del ministro dell’interno. Oltre alla conversazione telefonica del 28 ottobre con Ben Barka, il coinvolgimento del gabinetto risulta sotto due aspetti. Il primo, più conosciuto, sempre al telefono alle 10 e mezzo, con l’autorizzazione imputata a Jacques Aubert, per quanto la voce ascoltata dall’interlocutore fosse diversa, data a Louis Souchon di rispondere alla richiesta di Lopez. Il 28 ottobre il “collaboratore” della squadra del buoncostume offrì al suo ufficiale di contatto una “tricoche”, vale a dire un compenso reso per servizi privati. Egli avrebbe solo “fermato un bic (espressione peggiorativa per intendere un arabo)”, come Souchon raccontò il giorno dopo al commissario aggiunto Lucien Aimé Blanc, responsabile del parco automobilistico della brigata.
Il secondo è meno conosciuto: dal 10 settembre al 25 ottobre, il gabinetto del ministro dell’interno autorizzò il commissario Gaston Boué-Lahorgue, un ex spia anti OAS diventato capo della Brigata di documentazione e ricerca criminale della Direzione Generale di Polizia Nazionale (DGPN) a fare delle intercettazioni telefoniche a Parigi, in violazione della procedura che stabiliva l’esclusiva competenza della Prefettura di Polizia per gli ascolti nella capitale. Obiettivo era la residenza Niel, un albergo a ore abbastanza bene organizzato e gestito dal prosseneta parigino Marius Chataignier. Tutti i delinquenti reclutati da Chtouki e Boucheseiche alloggiarono lì fino al 23 ottobre (59). Queste intercettazioni significavano, o che Roger Frey non si fidava di Mohamed Oufkir, o che intendeva sventare eventuali azioni dei quei criminali, armati dal 21 settembre. In un caso e nell’altro, egli comunque sapeva che una operazione marocchina era in corso e che si appoggiava sulla Prefettura di Polizia.
Evidentemente non sospettava il coinvolgimento del Mossad. Quando venne constatato il decesso di Ben Barka, il 29 ottobre, il panico prese tutto il gruppo marocchino, la manovalanza criminale, Chtouki e anche Lopez; quest’ultimo sapeva bene quale responsabilità egli avesse assunto nella vicenda, lui che aveva indicato, camuffato con occhiali neri e baffi finti, a Souchon e Voitot, la persona di Ben Barka sul marciapiede del viale degli Champs Elisées. Dopo essere stato condotto a Parigi, intorno alle 13,30 da due poliziotti, Lopez raggiunse Boucheseiche a Fontenay-le-Vicomte. Nel frattempo telefonò a Leroy, lasciando un messaggio laconico al suo ufficiale di contatto che sapeva essere in riunione come tutti i venerdì (60). Morto Ben Barka, dovette recarsi a Orly per telefonare in Marocco, ma tra le 17,32 e le 17,38, riuscì solo a contattare il direttore di gabinetto di Dlimi, il commissario principale Abdelhaq Achaachi, e di Oufkir, Hajj Ben Alem. Il generale lo richiamò solo verso le 22,30, annunciando il suo arrivo col volo della notte; solo che dovette prima passare per Fes, per “rendere conto al padrone”, vale a dire ad Hassan II.
Se la morte fosse stata prevista, è chiaro che non sarebbe stato necessario avere un colloquio col sovrano per proseguire l’operazione! E Dlimi non avrebbe avuto bisogno di tralasciare il lavoro di preparazione del viaggio del re ad Algeri, per il summit afro-asiatico del 1° novembre. Anche lui annunciò tardivamente il suo arrivo con il volo dell’indomani. Ma l’uno e l’altro furono costretti a ritardare l’arrivo alla fine del pomeriggio e all’inizio della serata del 30 ottobre.
Dlimi approfittò di questa pausa per consultarsi con Oufkir e chiamare Naftali Keinan, capo della sezione Tevel del Mossad. Convennero di incontrarsi a Orly, dove dopo uno scambio di chiacchiere preferirono ridarsi appuntamento, dopo l’arrivo di Oufkir, alla porta di Saint Cloud; l’incontro venne sorvegliato da Eliezer Sharon e Zeev Amit, un cugino del capo di Meir Amit. Lì Dlimi gli indicò la strada per raggiungere la casa di Lopez dove Ben Barka era stato portato dopo il rapimento e dove era stato ucciso. Keinan chiese a Emanuel Tadmor, il capo del servizio israeliano a Parigi, di mandare con urgenza un gruppo di quattro persone (Eliezer Sharon, Zeev Amit, Rafi Eutan e Shalom Baraq) coperte da altri agenti nascosti in due vetture diplomatiche, per occuparsi del cadavere. Questi lo avvolsero, lo misero nel cofano dell’auto diplomatica di Baraq e si diressero fuori Parigi. Il corpo di Ben Barka venne sepolto nella notte in un bosco a nord-est di Parigi, in un posto dove gli agenti del Mossad avevano l’abitudine di fare dei pic-nic con le famiglie. Versarono poi sopra e sotto il corpo un prodotto chimico, comprato a piccole quantità in diverse farmacie di Parigi, poi versarono della calce e finalmente ricoprirono la fossa. Poco dopo la pioggia attivò i prodotti chimici e il corpo si dissolse. Senza il corpo, l’inchiesta sarebbe stata più difficile.
L’indomani mattina, alle cinque, Oufkir, Dlimi e Chtouki lasciarono Parigi, uno in direzione di Ginevra, gli altri per Casablanca. Il 31 ottobre anche Boucheseiche prese un volo per Casablanca. Poco dopo, Lopez rese conto a Leroy di questo andirivieni, non sapendo davvero molto di più. Comunque tacque la circostanza della morte di Ben Barka, onde evitare eventuali aperture di inchieste (61)
I servizi segreti e la vicenda Ben Barka
Già nella serata del 30 ottobre, a Rabat cominciarono a correre voci sulla sparizione del dirigente dell’UNFP (62), mentre il rapimento passò quasi inosservato nei primi giorni a Parigi. Tuttavia l’annuncio dato da Europe1 della sparizione di Ben Barka, alle 19, mise in allarme Leroy. Ma non potette fare niente a causa del lungo week end che stava cominciando. Si annotò comunque “mentalmente di ricordare al generale Jacquiers, dopo le feste di Ognissanti, il successivo martedì, i nostri due rapporti del 19 maggio e del 22 settembre”, e di redigerne un altro nuovo, a seguito di una conversazione da tenere con Lopez (63). Il capo del servizio VII già immaginava di essere stato ingannato dal suo HCI. Ne aveva avuto il presentimento fin dal 22 settembre, quando Lopez gli aveva svelato l’operazione israeliana. In questa occasione Leroy non disse al suo redattore per le questioni arabe, Marcel Chaussée (Marc Desormes): “Credo che i Marocchini vengano a Parigi piuttosto per far fuori (sic) Ben Barka”. Parole che vennero pronunciate tre quarti d’ora dopo che il capo del servizio VII aveva chiesto al suo subordinato di redigere una nota sulla politica di Hassan II, dopo le rivelazioni di Lopez (64). Leroy pronunciò queste parole durante una conversazione avuta il 22 settembre col suo superiore, il colonnello Bertrand (Jacques Beaumont)?
La questione non venne mai posta, giacché il SDECE fu trascinato in una vasta “operazione di manipolazione dell’informazione” (65), Subito dopo l’annuncio della sparizione di Ben Barka, gli “amici francesi” di Oufkir si ingegnarono di fornire alla stampa una verità che chiamava in causa la responsabilità del servizio di informazione esterno. Il 3 dicembre, l’ambasciatore britannico Cynlais Morgan James annotò: “Asseritamente corrotto, disonesto, privo di una buona direzione o di un vero controllo, lo SDECE sta per prendere una severa batosta”. (66)
A questo giochetto mediatico, lo SDECE rispose con il più grande mutismo, che lasciò spazio libero a tutte le possibili ipotesi, prima di tutto quella del coinvolgimento dell’agenzia nella sparizione. A questo silenzio all’esterno corrispose, all’interno, una nota del direttore generale, il 3 novembre, che prescriveva al suo direttore della ricerca – che influenzò tutto l’apparato dell’agenzia – di “non far nulla nella vicenda di Ben Barka (nessuna iniziativa)” e soprattutto, di “non sollecitare particolarmente le nostre fonti” (67), in particolare gli uffici di Rabat. Nel suo dispaccio del 3 dicembre, Cynlais Morgan James ipotizzava che in quest’ultima città fosse stato organizzato il complotto “da parte del servizio di sicurezza marocchino e di rappresentanti regionali del SDECE. I due agenti del SDECE non sembrano essere di alto rango” (68); l’informazione proveniva da una “fonte sicura”, ma nulla ci garantisce che questo ex ufficiale dell’intelligence delle Forze Armate Reali durante la Seconda Guerra Mondiale non fosse stato anch’egli manipolato dagli stessi “amici francesi” del Marocco che attaccavano lo SDECE.
Un ufficiale del Foreign Office, anch’egli ex ufficiale della intelligence fino al settembre 1956, tentò di “riassumere quello che la (diplomazia britannica) sapeva della vicenda Ben Barka”. Dovette concludere che, “a parte un telegramma da Parigi (…) e due lettere da Rabat, noi dipendevamo dagli articoli apparsi sulla stampa, alcuni dei quali inaffidabili” (69). Anche i telegrammi declassificati della CIA, tra il 2 novembre 1965 e il 1° gennaio 1967, fanno riferimento, per il 77% a quanto pubblicato sui giornali (70)
Forse il 3 novembre 1965 Jacquier non si fidava dei suoi agenti sul campo, uno dei quali, il capitano Jarry, era molto amico di Oufkir? (71) O del suo responsabile geografico Mondo Arabo (III/A), il colonnello Tristan Richard? O ancora del colonnello René Bertrand (Jacques Beaumont), vero capo dello SDECE e primo reclutatore a Tangeri di Lopez? O magari aveva capito che questa campagna veniva proprio dai responsabili di questa vicenda, nonché dalla Prefettura di Polizia e dal ministero dell’interno e che la cosa migliore da farsi era di lasciare la rete marocchina del servizio in letargo, per vedere cosa sarebbe successo? Il direttore Generale del SDECE, il generale Paul Jacquier, che non era un uomo dei servizi, non si è mai pronunciato sui suoi dubbi e le sue scelte. E tuttavia la questione si spiega con il clima che vi era nell’agenzia, all’indomani del lungo week end di Ognissanti. Come d’abitudine, a partire dal 1958, gli ufficiali del servizio, militari e civili, si aspettavano una nuova purga. Leroy diventò ben presto il capro espiatorio ideale. Egli stesso cercò invano di sbarazzarsi di alcuni dipendenti, ritenuti vicini all’OAS, come Marcel Chaussée (Marc Desormes).
Questa soluzione di corto respiro si impose a causa delle elezioni presidenziali che dovevano svolgersi e col generale De Gaulle, presidente uscente, che non aveva ancora annunciato se si sarebbe ripresentato. Uno scandalo che avesse coinvolto la polizia, e attraverso essa lo Stato, sarebbe stato disastroso per la sua rielezione. Ma soprattutto questo accendersi dei riflettori sul servizio di intelligence consentiva di fare pulizia. Da un lato, eliminando i simpatizzanti dell’OAS, che rendevano questa amministrazione poco governabile dal 1961, dall’altro riformando tutto il servizio.
Queste importanti decisioni vennero rinviate al dopo elezioni, tanto era prevedibile che il generale De Gaulle sarebbe stato rieletto. Il 18 gennaio 1966, Leroy venne sospeso dalle funzioni; il 10 febbraio successivo venne arrestato. Il giorno dopo il Consiglio dei Ministri sottrasse il SDECE alle deleghe del Primo Ministro, per affidarlo al Ministro dell’Esercito. Il generale Jacquier fu autorizzato a collocarsi in pensione. Bertrand rimase la suo posto ancora quattro anni. Il 10 novembre 1970, sospettato di essere un “agente dell’Est” fu discretamente sostituito (per un anno) dal colonnello Richard. Il servizio VII venne soppresso, il suo personale e le sue funzioni operative vennero ripartite tra le altre sezioni, specialmente Action. Il Primo ministro, George Pompidou, cui era stato sottratto il controllo sul SDECE, notò che:
“i capi dei servizi non (sembrano) avere coperto nessuno, né il Prefetto di Polizia Papon, né il generale Jacquier che essi stessi non sapevano nulla”
Puntò comunque il dito sulla assenza di “cooperazione tra i servizi. Le polizie (72) si detestavano e tutte insieme detestavano i servizi speciali, e tutti quanti detestavano la Giustizia” (73).
Anche in Israele la rivelazione della sparizione di Ben Barka ebbe conseguenze politiche. Le poche persone che sapevano del coinvolgimento del Mossad pensarono in un primo tempo di potere evitare ulteriori conseguenze. In fondo il servizio aveva solo offerto una “assistenza tecnica minima”, secondo un telegramma inviato dalla stazione parigina del Mossad a Amit. Il 5 novembre, quest’ultimo disse al Primo Ministro Eshkol che i “Marocchini avevano ucciso Ben Barka. Israele non aveva alcuna connessione fisica con l’atto in se stesso”. Solo, questa visione era solo una descrizione parziale, addirittura evasiva, degli avvenimenti. Secondo Amit:
“La situazione era soddisfacente (…) Se erano stati commessi degli errori qui e là, essi non erano dovuti a disattenzione, ma all’impossibilità di prevedere quel che sarebbe successo. Gli uomini che avevano operato sul campo incalzati dagli avvenimenti e nelle circostanze più difficili, fecero qualche errore, e io ne assumo tutte le responsabilità su di me. Nonostante gli errori, siamo rimasti nei limiti di sicurezza che ci siamo imposti”.
Ma Amit dimenticava la stessa storia del suo servizio. Contro di lui si levò il suo predecessore, Isser Harel, noto come il “padre della intelligence israeliana” e per questo convinto di avere dei diritti sul Mosad. Consulente di Eshkol per le questioni dell’intelligence, aspettava solo un passo falso di Amit per dimostrare che il suo successore non era degno delle sue funzioni. La mediatizzazione internazionale della sparizione di Bern Barka era un passo falso e voleva approfittarne. Ma, al contrario di quanto accadde a Parigi, qui il Primo Ministro sostenne il suo direttore dei servizi di informazione. Harel rimase al suo posto fino al giugno 1966, e gli successe il suo più grande alleato all’interno del Mossad, l’ideatore del rapporto col Marocco, Yaagov Caroz (74). Deluso dalla piega che avevano preso gli avvenimenti, consegnò a Maxime Ghilan e a Schmuel Mohr, due giornalisti di Bul (Bersaglio), un periodico semipornografico, una documentazione dell’apporto tecnico fornito dal Mossad (appartamento di emergenza, passaporti, trucchi, targhe false, veleno), ma tacendo l’operazione di manipolazione, pur se il coinvolgimento di Arthur Cohn era menzionato. L’autorità militare israeliana sequestrò il numero dell’11 dicembre 1966 di Bul, ma cinquecento copie avevano già lasciato il paese. L’articolo “Israeliani coinvolti nella vicenda Ben Barka” venne pubblicato nel New York Times del 19 febbraio 1967 e ripreso da Le Monde e France Soir del 22 febbraio successivo.
L’operazione di manipolazione mediatica toccò anche, fin dal 2 novembre 1965 (75), la CIA che, come IL SDECE, non c’entrava niente. “Non sappiamo esattamente di che cosa si tratti, e non vogliamo esserne coinvolti”, fu la risposta che l’agenzia statunitense diede attraverso il dipartimento di Stato (76). Ma la confusione che tutto ciò aveva provocato nei servizi di informazione fu anche l’occasione per i servizi dell’est (guerra fredda oblige) di sfruttare le difficoltà degli avversari. Fin dal 12 dicembre 1965, il Stb decise di lanciare una “Operazione Dimissioni” con l’obiettivo di gettare sospetti sul governo USA e la CIA, per far credere che erano gli organizzatori diretti del rapimento, denunciando contemporaneamente la polizia, i servizi di informazione francesi e Charles De Gaulle, da un lato, e Hassan II, Oufkir, Dlimi, i quadri del regime marocchino, dall’altro, tutti presentati come “lacché dell’imperialismo” e spie statunitensi. In Francia un giornalista del Canard enchainé (Pipa) diede il suo contributo all’operazione di destabilizzazione avviata dal StB. (77).
Nonostante per il Marocco l’operazione fosse stata un completo fallimento, né il ministro dell’interno, né il vicedirettore della Sureté nationale, né il capo del CAB1 ebbero delle conseguenza dall’inchiesta giudiziaria che si svolgeva in Francia. Il 3 novembre l’ambasciatore marocchino a Parigi, Moulay Ali, venne sostituito da Laghzaoui. Hassan II optò per il conflitto con Charles De Gaulle. Quanto ai pregiudicati reclutati per l’operazione, vennero posti sotto sorveglianza del CAB1. Le incolpazioni elevate contro Oufkir e Dlimi, non solo restarono prive di conseguenze, ma il ministro dell’interno diventò la posta in gioco dei rapporti diplomatici (78) tra i due paesi per 15 anni. Quando cominciò il processo contro gli imputati francesi il 5 settembre 1966, il sovrano marocchino tentò una nuova manovra dilatoria; il 19 ottobre il comandante Dlimi si presentò al Palazzo di Giustizia e si costituì. Questa “iniziativa personale” gli valse 120 giorni di prigione e una promozione al grado di luogotenente colonnello. Dopo una nuova istruttoria, il processo riprese il 17 aprile 1967. Il 5 giugno Dlimi venne assolto dalla Corte d’Assise di Parigi, mentre Oufkir e la manovalanza vennero condannati in contumacia all’ergastolo. Antoine Lopez e Louis Souchon ebbero da sei a otto anni di reclusione. Leroy venne liberato, ma la sua carriera nei servizi era finita. Quanto a Oufkir, la sua fama crebbe tra il popolo ma la sua stessa si appannò agli occhi del sovrano. Prese a bere e finì col partecipare ad un tentativo di colpo di Stato contro Hassan II. Venne giustiziato il 16 agosto 1972. Poco dopo venne eliminata anche la manovalanza. Dlimi morì in un incidente il 22 gennaio 1983. Così si concluse, da punto di vista dei servizi di informazione, la vicenda Ben Barka.
Note:
[1] Jean-Paul Marec, La ténébreuse affaire Ben Barka. Les grandes affaires de ce temps, Paris, Les Presses noires, 1966 ; François Caviglioli, Ben Barka chez les juges, Paris, La Table ronde de Combat, 1967 ; Roger Muratet, On a tué Ben Barka, Paris, Plon, 1967 ; Daniel Guérin, Les assassins de Ben Barka, dix ans d'enquête, Paris, Guy Gauthier, 1975 et Ben Barka, ses assassins, Paris, Syllepse & Périscope, 1991 ; Bernard Violet, L'affaire Ben Barka, Paris, Fayard, 1991 ; René Gallissot, Jacques Kergoat (dir.), Medhi Ben Barka. De l'indépendance marocaine à la Tricontinentale, Paris, Kerthala/Institut Maghreb-Europe, 1997 ; Zakya Daoud, Maâti Monjib, Ben Barka une vie une mort, Paris, Michalon, 2000 ; Maurice Buttin, Ben Barka, Hassan II, De Gaulle, ce que je sais d'eux, Paris, Karthala, 2010 ; Mohamed Souhaili, L'Affaire Ben Barka et ses Vérités, Paris, La Procure, 2012...
[2] Archivi della Prefettura di Polizia di Paris, E/A 1390 (articoli di stampa) e HB3 1-9, Renseignements généraux (1965-1967)* ; Archivi nazionali, Pierrefitte, 19870623/41-42, dossier della Sezione stranieri e delle minoranze dei Renseignements généraux*, 2003327/2, inchiesta giudiziaria (1965-1967), 19920427/42-44, dossier della Direzione generale della Polizia nazionale (1965-1967) ; Documenti diplomatici francesi [DDF], 1965-II, 1966-I et 1966-II, Paris/Bruxelles, Ministère des Affaires étrangères/Peter Lang, 2004 et 2006 ; Roger Faligot, Pascal Krop (RFPK), La Piscine. Les services secrets français 1944-1984, Paris, Seuil, 1985, p. 390-405 ; Pascal Krop (PK), Les secrets de l'espionnage français de 1870 à nos jours, Paris, Lattès, 1993, p. 798-821 (in entrambi i casi si tratta di documenti provenienti dal dossier di Marcel Le Roy, colonello del SDECE costretto alle dimissioni dopo l’epilogo della vicenda).
[3] FOIA CIA et David S. Patterson, Nina Davis Howland (Dir.), Foreign Relations of the United States, 1964-1968, XXIV, Africa [FRUS], Washington, United States Government Printing Office, 1995.
[4] Service historique de la Défense, Département de l'armée de Terre, Vincennes, 6 Q 32/3.
[5] Ignace Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l'indépendance à nos jours, Paris, Fayard, 2004, p. 203.
[6] Juris-classeur marocain, Paris, Editions techniques, 1972, p. 219.
[7] Maurice Buttin, op. cit., p. 68.
[8] Gérald Arboit, Des services secrets pour le France. Du dépôt de la Guerre à la DGSE (1856-2013), Paris, CNRS Editions, 2014, p. 269-274.
[9] Stephen Smith, Oufkir. Un destin marocain, Paris, Calmann-Lévy, 1999, p. 204.
[10] Ufficio centrale degli archivi amministrativi militari, Pau, 134953.
[11] Citato da Ignace Dalle, op. cit..
[12] Roger Muratet, op. cit., p. 160.
[13] Citato da Ignace Dalle, op. cit., p. 288.
[14] Dlimi era a Pau nell’autinno 1956 come vide del comandante della 1° compagnia di paracadutisti marocchini in formazione [Jamila Abid-Ismaïl, Calvaire conjugal, Casablanca, Eddif, 2007, p. 53].
[15] Con la prudenza da usarsi nei confronti di ogni lavoro giornalistico ignorando gli effetti sulle forze di sicurezza marocchine, cf. Marie-Monique Robin, Escadrons de la mort. L'Ecole française, Paris, la Découverte, 2004.
[16] Maurice Buttin, op. cit., p. 72 ; Gérald Arboit, op. cit., p. 278-279 ; Raymond Aubrac, Où la mémoire s'attarde, Paris, Odile Jacob, 1996, p. 233.
[17] Philippe Bernert, SDECE Service 7. L'extraordinaire histoire du colonel Le Roy-Finville et des clandestins, Paris, Presses de la Cité, 1980, p. 89, 268.
[18] FOIA CIA, 51966ec6993294098d509ff5, note de criblage, 19 mars 1963 ; 51966ec6993294098d509ff5, Ugo Antonio Emanuele Dadone (Desdemone), « "colloquio Mediterraneo" Firenze 3/6 ottobre 1958 », p. 14.
[19] Yigal Bin-Nun, « La quête d'un compromis pour l'évacuation des Juifs du Maroc », Pardès, n° 34, 2003/1, p. 75-98.
[20] Archivi dello Stato di Israele (ASI), Gerusalemme, Ministero degli Affari esteri, 2525/9, Easterman a Goldmann, 1° luglio 1957 ; 4317/10/II, telegramma Shneurson dopo la sua conversazione con Easterman, 19 gennaio 1958 ; 4318/10/II, Easterman a Laghzaoui, 26 novembre 1958. Cf. Yigal Bin-Nun, « The contribution of World Jewish Organizations to the Establishment of Rights for Jews in Morocco (1956-1961) », Journal of Jewish Modern Studies, n° 9/2, 2010, p. 251-274.
[21] Ibid., 4317/10/II, Levinsky lors d'une rencontre d'agents du Mossad à Paris, 7 novembre 1958.
[22] Ibid., 4319/4/1, rapport de Chouraqui, Chouraqui à Castel et Gazit à Castel, 24 mars 1960. Cf. Yigal Bin-Nun, « Chouraqui diplomate. Débuts des relations secrètes entre le Maroc et Israël », Perspectives, Revue de l'Université hébraïque de Jérusalem, n° 15, 2008, p. 169-204.
[23] Archives de l'Úřad pro zahraniční Styky a Informace (AÚZSI), Prague, 43802-20, rapport de Mičke, 1° aprile 1960.
[24] AEI, op. cit., 4319/4/2, Caroz a Gazit, 3 aprile 1960 ; 2052/84/2, Verad a Maroz, 13 luglio 1960.
[25] AÚZSI, op. cit., Čermák, 25 febbraio 1963.
[26] Ibid., Rezidentura Rabat, 23 maggio 1963.
[27] Ignace Dalle, op. cit., p. 288.
[28] AÚZSI, op. cit., Rezidentura Rabat, 23 ottobre 1963.
[29] Petr Zídek, Karel Sieber, Československo a Blízký východ v letech 1948-1989 [La Tchécoslovaquie et le Moyen-Orient, 1948-1989], Prague, Ústav mezinárodních vztahů, 2009, p. 220-225.
[30] Medhi Ben Barka, Ecrits politiques 1957-1965, Paris, Syllepse, 1999, p. 199-218.
[31] Ian Black, Benny Morris, Israel's Secret Wars. A History of Israel's Intelligence Services, New-York, Grove Press, 1992, p. 179 ; Yigal Bin-Nun, « La quête d'un compromise..., op. cit., p. 83-95.
[32] Stephen Smith, op. cit., p. 232.
[33] Raouf Oufkir, Les invités, Vingt ans dans les prisons du Roi, Paris, Flammarion/J'ai lu, 2005, p. 370-373, citant Y. Bin-Nun, Les relations secrètes entre le Maroc et Israël, 1955-1967, manuscrit et cycle de conférences au Centre Communautaire de Paris, 2004 ; Yigal Bin-Nun, « Les agents du Mossad et la mort de Mehdi Ben Barka », La Tribune juive, 1er avril 2015.
[34] Cf. Karen Farsoun, Jim Paul, « War in the Sahara: 1963 », Middle East Research and Information Project, n°45, mars 1976, p. 13-16 ; Piero Gleijeses, « Cuba's First Venture in Africa: Algeria, 1961-1965 », Journal of Latin American Studies, vol. 28, n° 1, février 1996, p. 159-195.
[35] Michel Bar Zohar, Nissim Mishal, Mossad les grandes opérations, Paris, Plon, 2012, p. 178-179 et Ronen Bergman, Shlomo Nakdimon, « The Ghosts of Saint-Germain Forest », Yediot Aharonot, 23 mars 2015.
[36] Ahmed Boukhari, Raisons d'Etats. Tout sur l'affaire Ben Barka et d'autres crimes politiques au Maroc, Casablanca, Maghrébines, 2005, p. 89 [questo libro, assai affabulatorio, deve essere letto con precauzione, nonostante le informazioni di provenienza CAB1 non ancora decalssificate].
[37] Ephraim Kahara, « Mossad-CIA Cooperation », International Journal of Intelligence and Counterintelligence, vol. 14, n° 3, 2001, p. 409-420.
[38] Yigal Bin-Nun, « La négociation de l'évacuation en masse des Juifs du Maroc », Shmuel Trigano (dir.), La fin du Judaïsme en terres d'Islam, Paris, Denoël, 2009, p. 357.
[39] Muhammad Hassanein Haykal, كلام في السياسة (Propos politiques), Le Caire, Al-Misriyya linarch, 2001, citato da Abdelhadi Boutaleb, Un demi siècle dans les arcanes du pouvoir, Rabat, Az-Zamen, 2002, p. 274.
[40] Ha prodotto solo due documentari, Le ciel et la boue (1961) et Paris secret (1965).
[41] Zakya Daoud, Maâti Monjib, op. cit., p. 347.
[42] Ronen Bergman, Shlomo Nakdimon, op. cit..
[43] Citata da Maurice Buttin, op. cit., p. 230-231.
[44] Ahmed Boukhari, op. cit., p. 103.
[45] Maurice Grimaud, Je ne suis pas né en mai 1968. Souvenirs et carnets (1934-1992), Paris, Tallandier, 2007, p. 270-271.
[46] Roger Muratet, op. cit., p. 163-164.
[47] Cf. les propos d'Ali Benjelloun, in DDF, 1966-1, Beaumarchais, 20 agosto 1966.
[48] Nota declassificata dalla DGSE il 12 novembre 2004, citata da Maurice Buttin, op. cit., p. 407.
[49] Philippe Bernert, op. cit., p. 320-321.
[50] Roger Muratet, op. cit., p. 144-145.
[51] PK, p. 798-800, « Compte rendu de voyage effectué du 8 au 10 mai 1965 », allegata alla nota VII/102/010/100 del 17 maggio 1965 di Leroy a Richard. Nota VII/1912/R del 22 settembre 1965 di Leroy a Bertrand (non pubblicata) ripresa in RFPK, p. 391-393, nota 5140/DG/CAB del 22 dicembre 1965 da Jacquier a Zollinger ; Ibid., p. 395-397, Leroy a Bertrand, sd [3 novembre 1965].
[52] Roger Muratet, op. cit., p. 169-174.
[53] Philippe Bernert, op. cit., p. 328.
[54] World's Press News and Advertisers' Review, 18 giugno 1965, p. 14 ; Roger Muratet, op. cit., p. 221.
[55] Bernard Violet, op. cit., p. 153.
[56] Zakya Daoud, Maâti Monjib, op. cit., p. 347.
[57] Maurice Buttin, op. cit., p. 239, 282.
[58] Nota VII/1912/R, op. cit..
[59] Lucien Aimé Blanc, L'indic et le commissaire, Paris, Plon, 2006, p. 242-244.
[60] Philippe Bernert, op. cit., p. 348.
[61] Ibid., p. 350-352 ; Ronen Bergman, Shlomo Nakdimon, op. cit. ; Yigal Bin-Nun, « Les agents du Mossad et la mort de Mehdi Ben Barka », La Tribune juive, 1er avril 2015.
[62] DDF, 1965-II, télegr. N° 3671, 31 ottobre 1965.
[63] RFPK, p. 395-397, e PK, p. 807-809, Leroy a Bertrand, sd.
[64] Archivi privati, M. Chaussée-Desormes, 13 febbraio 1981.
[65] Philippe Bernert, op. cit., p. 350, 353.
[66] The National Archives, Kew (TNA), Foreign Office, 371/184006, James a Brown.
[67] Philippe Bernert, op. cit., p. 368, RFPK, p. 398, et PK, p. 801, Bertrand a Leroy, 3 novembre 1965.
[68] TNA, op. cit..
[69] Ibid., 16 novembre 1965.
[70] FOIA CIA, serie 75-00149R.
[71] Maurice Buttin, op. cit., 434.
[72] Police judiciaire, DST, RG, Préfecture de Police de Paris.
[73] Alain Peyrefitte, op. cit., p. 43.
[74] Ronen Bergman, Shlomo Nakdimon, op. cit. ; Ian Black, Benny Morris, op. cit., p. 204-205.
[75] FOIA CIA, CIARDP-75-00149R000100360072-6.
[76] FRUS, p. 179, McCluskey à Ball, 25 gennaio e Rusk a Johnson, 12 febbraio 1966.
[77] AÚZSI, 43802-100.
[78] Cf. DDF 1965-II, telegramma 2299/2300, Couve de Murville a Gillot, 6 novembre 1965