Distrutto Tel Quel
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Nichane sequestrato, TelQuel distrutto, Benchemsi incriminato….
Quello che è successo veramente
di Ahmed R. Benchemsi
Quando si tratta di reprimere la libertà di stampa, le autorità marocchine sanno essere sempre imprevdeibili, folgoranti e brutali.
Sabato 4 agosto 2007 , verso sera, tutto andava ancora bene: Nichane era nelle edicole, Tel Quel ancora in stampa e le loro redazioni in ferie dopo una difficile chiusura (232 pagine in totale!).
48 ore più tardi, i due periodici erano stati sequestrati e distrutti per ordine del primo ministro e del ministro dell’interno. Tutti i giornali non parlano d’altro e io stesso sono stato, dopo un lungo interrogatorio di polizia, incriminato del più grave reato previsto in materia di stampa: offesa al re.
L’oggetto dell’”offesa”
Il mio torto secondo gli accusatori: avere nel mio ultimo editoriale (pubblicato in entrambi i periodici) effettuato una lettura analitica dell’ultimo discorso reale, interrogandomi sul ruolo dei partiti, la separazione dei poteri, ecc., e per di più in dialetto darija (su Nichane). Una lingua ritenuta irrispettosa, trattandosi di analizzare un discorso del re. Tale non è la mia opinione. La darija è la lingua di tutti i marocchini. Come tutte le lingue contiene delle parole insultanti, ma io non ne usata alcuna in questo editoriale. Non è mia abitudine offendere nessuno e, trattandosi del re, ritengo di averlo sempre rispettato e intendo continuare a farlo pur esercitando il mio mestiere di editorialista: analizzare liberamente le istituzioni politiche del mio paese, ivi compresa la prima e più importante: l’istituzione monarchica.
20 ore di interrogatorio
Le 20 ore di interrogatorio che ho subito nella prefettura di polizia di Casablanca (sabato 4 agosto, dalle 18.00 alle 2.00 del mattino, poi domenica 5, dalle 9.00 alle 21.00) sono state particolarmente dure. Non che sia stato maltrattato: la dozzina di ufficiali di polizia incaricati di interrogarmi sono stati corretti, e anche loro hanno passato 20 ore in prefettura in mia compagnia, senza uscire. Ma avevano chiaramente il compito di destabilizzarmi il più possibile. Ufficialmente io non ero né in stato di arresto né in stato di fermo. Ma non avevo il diritto di usare il mio telefono, né di andarmene prima che l’interrogatorio fosse terminato. E di fatto si è trascinato in modo tanto interminabile quanto caotico: le identiche domande riproposte a diverse ore di intervallo da diversi interlocutori, lunghi periodi di silenzio, occhi negli occhi (fino a due ore!), seguite da raffiche di domande pressanti (sempre le stesse), una mala fede costante e dura da sopportare, con i miei interlocutori che facevano finta di non capire o fraintendevano le mie espressioni in darija, lingua che essi conoscono perfettamente, utilizzandola quotidianamente come tutti i marocchini…
Tutto questo perché…
Infine il verbale che mi hanno chiesto di firmare era di soli 5 disgraziati foglietti, quando avrebbe potuto facilmente raggiungere le 30 pagine. E’ leggendolo, nella serata di domenica, che ho finito per capire l’obiettivo di tutte queste manovre poliziesche: sfiancare il mio sistema nervoso ponendomi interminabilmente le stesse domande, intervallate da due lunghi periodi di silenzio, per non conservare alla fine se non le più imprecise delle mie risposte. Risposte che erano state, per soprammercato, amputate di tutto quello che poteva giocare in mio favore in vista del futuro processo: la mia condivisione degli orientamenti generali fissati dal discorso reale (Stato di diritto, democrazia sociale, etc., salvo che questo non era affatto il contenuto del mio articolo), la mia ferma negazione tutte le volte che mi si accusava di avere voluto deliberatamente offeso il monarca… Mi si facevano anche dire, nella prima versione del verbale che mi è stata presentata, delle cose che non avevo detto e che miravano visibilmente a incastrarmi. Io ho naturalmente rifiutato di firmare il verbale, fino a quando non sono state introdotte tutte le modifiche che avevo chiesto. Cosa che è stata fatta, ma non senza problemi. Da notare che durante l’ultima ora, quella nella quale io ho chiesto di inserire le mie correzioni, nessun ufficiale di polizia ha più cercato di mostrarsi (falsamente) amabile. Mi fulminavano con gli sguardi in un bel ensemble, dispiacendosi indubbiamente di non poter fare di più.
Nichane sequestrata, Tel Quel distrutto
Se Nichane è stata ritirata dalle edicole da sabato 4 agosto, TelQuel, dal canto suo, è stato semplicemente distrutto. Domenica 5, all’inizio del pomeriggio, un battaglione di poliziotti ha fatto irruzione nella stamperia Idéale, a Casablanca, e vi ha distrutto i 50.000 esemplari di TelQuel già stampati, ma non ancora fascicolati. Un atto assolutamente illegale e non ancora notificato per iscritto fino ad oggi. Se la legge prevede il sequestro dei giornali, non ne prevede in alcun caso la distruzione prima che siano sul mercato. Durante tutta la durata di questa azione sbalorditiva, la stamperia è stata chiusa a chiave, nessuno poteva entrarvi o uscirne. Un gruppo di giornalisti di TelQuel e Nichane vi si sono recati intorno alle 17.00, scontrandosi con dei vigili assai nervosi che sbarravano loro il passaggio. Il direttore generale della stamperia era quel giorno in vacanza all’estero, e il suo vice… interrogato nella prefettura di polizia, dove l’ho incrociato domenica all’inizio della serata. Stava lì da mezzogiorno. In totale il sequestro e la distruzione di 100.000 esemplari stampati hanno fatto perdere più di un milione di dhirams al gruppo TelQuel. In due giorni!
E ora?
Il fatto che abbiate la rivista tra le vostre mani è un primo successo: TelQuel ritorna, Nichane anche. Per non interferire col processo in corso, il famoso editoriale è stato naturalmente soppresso, come tutti gli altri argomenti sui quali si è incentrato il mio interrogatorio-maratona (senza però che sia stato contestato alcun capo di imputazione). Per il resto, il procuratore del re presso il Tribunale correzionale di Casablanca mi ha comunicato, lunedì 6 agosto, la mia incriminazione per “violazione del rispetto dovuto al re”. Un reato passibile di 5 anni di prigione e di 100.000 dhirams di ammenda. Il mio processo comincia il 24 agosto, e io intendo ben dimostrare la mia innocenza e la mia buona fede. Ma senza mai rinunciare ai fondamenti del mio mestiere: la libertà di informare, di commentare e analizzare. Appuntamento a settembre.
Elezioni in vista, giro di vite sulla stampa
A circa un mese dalle elezioni politiche del 7 settembre, il sequestro da parte del governo marocchino di due noti settimanali, accusati di oltraggio alla monarchia e alla religione di Stato, ha rilanciato l’allarme sulla situazione della libertà di stampa nel Paese maghrebino. Per decisione dell’esecutivo di Driss Jettou, le autorità hanno sequestrato le ultime edizioni di “TelQuel” - il settimanale francofono considerato la punta di diamante del progressismo locale - e “Nichane”, testata umoristica della stessa casa editrice, e hanno fermato per interrogarlo il direttore editoriale dei due periodici, Ahmed Reda Benchemsi. Secondo fonti ufficiali, il sequestro è stato deciso dopo la pubblicazione di un editoriale su TelQuel, firmato dal suo direttore, nel quale si poneva in dubbio il valore democratico delle elezioni di settembre, e di vari pezzi umoristici su Nichane, considerati offensivi per la religione musulmana.
E’ la seconda volta in pochi mesi che le autorità decidono la chiusura di Nichane. Il suo direttore precedente, Driss Ksikes, si è dimesso dopo aver ricevuto una condanna (sospesa) a tre mesi di carcere e aver subito una sospensione di due mesi nella pubblicazione del periodico, a causa di un dossier sulle barzellette più note del Paese.
In quanto all’editoriale di Benchemsi, nel testo il giornalista diceva che le elezioni legislative hanno un peso relativo in un Paese nel quale il re mantiene una quota di potere che non è soggetta a controllo alcuno, poiché nomina i principali ministri a suo pacimento e non è soggetto ad alcuna censura o controllo da parte del Parlamento. I due sequestri di giornali tornano a porre il problema della libertà di stampa in Marocco, un Paese considerato molto liberale a paragone di altre nazioni arabe o musulmane, ma dove alcuni argomenti - come la monarchia, la religione e la questione del Sahara Occidentale - continuano a essere tabù per giornalisti e opinionisti. Mentre editori e giornalisti continuano a criticare il progetto di codice della stampa presentato dal governo e ancora non varato, a causa delle sanzioni a loro avviso troppo pesanti previste dal testo, i casi di chiusure di testate, inchieste aperte contro cronisti e altre censure si moltiplicano.
Nello scorso mese di luglio, il settimanale “Watan” ha pubblicato un dossier sulla minaccia terroristica nel paese, citando documenti confidenziali, e da allora è sotto inchiesta.
Un’altra testata è attualmente sotto processo per aver diffuso presunte rivelazioni sulla trattativa in corso con il Polisario per il futuro del Sahara Occidentale.
re. de.
8-08-2007