Lettera a mia madre
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TelQuel (4-11 marzo 2009)
L’omosessualità spiegata a mia madre
di Abdellah Taia
Senza polemizzare, né farsi condizionare dai tabù e dalle leggi, lo scrittore Abdellah Taia (L’armé du salut, Une mélanconie arabe) spiega in questo documento esclusivo il suo essere diverso alla persona più amata: sua madre
Cara famiglia,
E’ la prima volta che vi scrivo, una lettera per tutti voi. Per te, mamma M’Barka. Per voi sorelle, le mie sei sorelle. E per voi, i due miei fratelli. Vi scrivo con il cuore e con la pelle queste parole che finalmente vengono fuori e che oggi per me diventano urgenti. Io non posso più non dirle, non scriverle. Mandarvele. Spiegare il mio modo di essere, ciò che sono, ciò che scrivo e perché lo faccio. Spiegare? Sì, spiegare prima di tutto perché ne sento la necessità interiore e perché voi, che pure siete la mia famiglia, non avete sentito il bisogno di leggere, leggere bene, quello che ho pubblicato – libri, articoli, interviste… Spiegare, perché è questo che da tanto tempo ci manca in Marocco: di essere considerati finalmente come degli esseri degni di ricevere spiegazioni, che ci si coinvolga davvero nelle questioni che riguardano il paese e che si cessi di umiliarci, giorno dopo giorno.
So di essere scandaloso. Per voi. E per gli altri intorno a voi: i vicini, i colleghi di lavoro, gli amici, le suocere… So bene quanto male, quante preoccupazioni, involontariamente vi procuro. Io mi espongo, firmando col mio vero nome e cognome. E con me, espongo anche voi. Vi trascino in questa avventura, appena iniziata per me e per quelli come me: finalmente esistere! Uscire dall’ombra! Rialzare la testa! Dire la verità, la mia verità! Essere: Abdellah. Essere:Taia. Essere tutte e due. Solo. E contemporaneamente non più solo.
Al di là della mia omosessualità, che rivendico e di cui mi faccio carico, so che cosa vi sorprende, cosa vi fa paura: che io vi sfugga. Io sono sempre lo stesso, sempre magro, sempre questo eterno volto di bambino, eppure non sono più lo stesso. Voi non mi riconoscete più e vi dite: “Ma da dove vengono queste idee bizzarre? Che cosa gli dà questa audacia? Non è così che l’abbiamo educato… Non solo parla pubblicamente di sessualità, no, no, questo non gli basta, parla di omosessualità, di politica, di libertà… Ma chi si crede di essere?”
Io vengo dal Marocco. Io conosco il Marocco. Riuscire, esistere, significa avere i soldi. Schiacciare gli altri con i propri soldi. Fin da quando sono nato, nel 1973 a Rabat, è sempre stato questo l’ideale marocchino, il modello da seguire. Come voi, io sono nato povero, sono cresciuto povero a Salé. E pure oggi, per certi versi, lo sono ancora. Io però rifiuto questo sterile ideale marocchino. Questa bassezza. Non mi piace. Io vado oltre. L’ideale marocchino, io nel mio piccolo lo reinvento. Lo riempio di nuovi contenuti, di senso, di coraggio e di dubbio… E’ questo in fondo che vi sciocca: io mi rivelo diverso, qualche cosa che non avevate previsto, di cui non vi eravate accorti. Un mostro. Tanto più che, quando stavo con voi, io sono sempre stato tanto gentile, tanto studioso e bene educato.
Penso che ogni giorno vi poniate sempre la stessa domanda: Che cosa gli abbiamo fatto? Che cosa gli abbiamo fatto per meritare questo, questo scandalo? Penso che oramai mi detestiate anche, mi malediciate. Non mi considerate più un buon mussulmano. Forse avete anche paura per me: corro dei rischi esponendomi così sui libri e sui giornali.
Mamma: lo so che tu non condividi le mie scelte, ma che continui a pregare per me. E questo mi commuove. Io ho bisogno, da lontano, di credere che anche tu reinventi il mondo e le preghiere mussulmane. Mamma, tu certo non lo sai, ma il desiderio di rivolta sei tu ad avermelo trasmesso. A casa sempre tu sei stata la guida, la stratega, la ribelle. La regista. Mamma, per quanto analfabeta, nei 25 anni che ho trascorso vicino a te, tu sei stata una scuola di femminismo. E che scuola! Io ti ammiro. Molto più che amarti, lo ripeto: io ti ammiro! Tu hai imposto le tue scelte a mio padre, a noi. Tu hai realizzato il tuo progetto: la casa di Hay Salam. Sei tu che risparmiavi i soldi, che compravi il cemento, la sabbia, i mattoni, sei tu che ingaggiavi i muratori e trattavi col “moqqadem” (una specie di agente amministrativo, ndt). Tu hai capito presto che non avevi altra scelta se non quella di essere un uomo al posto degli uomini. Meglio e più coraggiosa di tutti gli uomini che ci stavano intorno.
Certo, la tua determinazione ad andare fino in fondo rasentava qualche volta la dittatura. Certo, gridavi invece di parlare. Certo, era impossibile discutere con te. Ma stare vicino a te era sempre una lezione.
Mamma, il tuo nome è bellissimo, M’Barka. Viene dalle campagne di Oulad Brahim. La tua storia e il tuo itinerario, da Tadla a Salé, passando per El Jadida e Rabat, quando ci ripenso, mi incantano. Una epopea. Senza lacrime. Tu non hai mai rinunciato. Non sei sempre stata giusta, soprattutto con le mie sorelle, ma ancora oggi, ogni mattina, io mi levo il cappello davanti a te. E riconosco i debiti che ho con te.
La tua lingua, mamma, è la mia lingua. Io scrivo ispirandomi al tuo modo poetico di vedere il mondo e di inventare dei riti strani che sono bellissimi, seducenti. Scrivo ricordando i tuoi strilli. Io strillo oggi per rendere omaggio ai tuoi strilli. Per fissarli. Per farli vedere. Per farli entrare nei libri, nella letteratura. E’ anche questa, tra le altre, la mia ambizione. I tuoi strilli come un’immagine del Marocco. Il tuo nome come il simbolo della donna marocchina. Mamma, io posso fare tutto questo per te. E’ la mia sola ricchezza. Il mio regalo. Il mio dovere.
Mamma, il Marocco non è gli altri, il governo, i religiosi, gli eterni burloni, i “casseur”, i guastafeste, i gelosi, i meschini… Il Marocco tutto intero, quello che è in me ed al quale parlo attraverso questa lettera, sei tu. E’ un Marocco che non è perfetto. Un Marocco in cui c’è tensione, c’è la febbre. Un Marocco nello slancio. Il possesso.
Mamma, quello che dicono gli altri di negativo su di me, non mi importa. Quello che dici tu, anche se non sono d’accordo con la tua dittatura, io lo ascolto, lo analizzo. Ed ho voglia di risponderti.
Il Marocco sei tu. La mia verità, il mio “io”, che lo voglia o meno, la mia omosessualità, i miei libri pubblicati e quelli che verranno, sono per te. Per me è importante che anche tu mi ascolti. Che tu sappia che io sono come te. Non nella stessa tua rivolta, ma almeno come te. E’ te che voglio convincere.
Noi ci telefoniamo spesso. Ma io non posso dirti tutto al telefono. Quando parlo con te ritorno ad essere un bambino timido e un po’ imbecille. Allora te lo scrivo. Credimi, mamma, io non ho alcun desiderio di infangarti, di umiliarti, di riempirti di vergogna. Ma la verità, la mia verità, io ho bisogno di rivelartela. Comunicarti quello che in me cambia. In Marocco. Il cambiamento passa prima di tutto attraverso te. Tu hai imposto le tua idee a mio padre, al quartiere. Al mondo. Io non posso fare altro se non di importi le mie. Tu griderai. Tu hai gridato: “Ancora mi ferisci”. Non fa niente. Io non amo la tranquillità. Il mio poeta preferito è il portoghese Fernando Pessoa. Lo scozzese Francis Bacon, il mio pittore preferito. La francese, di origine algerina, Isabelle Adjani, la mia stella. Nessuna di queste tre persone fuori del comune ha vissuto ( o vive) nella calma. Tu non le conosci? Ti ripeto i loro nomi, sono degli artisti importantissimi per me e per il mio impegno di vita: Fernando Pessoa, Francis Bacon, Isabelle Adjani. Tu sei analfabeta e non sai niente di cultura? Permettermi di dubitarne. Tu conosci il mistero, il mondo invisibile. Tu conosci la trasgressione. E la cultura, tutta la cultura, non è che questo. Raccontare quello che si vede. Quello che viene. Imporre la propria diversità. E la propria lingua. Andare oltre. Trasformarsi. La letteratura, il cinema, la pittura, ecc… non sono che questo. La rivelazione. Poi la rivoluzione. Dici alle mie sorelle ed ai miei fratelli tutto questo. La mia ambizione, la mia modestia, la mia intransigenza.
Io non sono il solo in Marocco, mamma. Qualcosa è cominciato in questo paese. Una vera rottura con le generazioni precedenti che, o hanno abdicato, o si sono integrate. Noi, è il 21° secolo.
Si cerca di intimidirci. Di riportarci a un sedicente ordine morale, di farci tornare ai nostri sedicenti valori fondamentali. Prima di tutto quali? E chi decide, poi, che è di questi valori che i Marocchini hanno oggi bisogno?
In questo momento il mondo attraversa una crisi senza precedenti. Il mondo fa la l’autocritica. Si muove. Il mondo accoglie Barack Obama come un’immensa speranza. E cosa si fa in Marocco? Ancora una volta ci si vuole spaventare. Ricetta antica. Ci riportano indietro. Fino a quando questo accecamento? Fino a quando questa arroganza? Fino a quando si continuerà ad ignorare e ad uccidere la gioventù di questo paese? Fino a quando questa finta politica? Il Marocco non merita di più? Una vera modernità? Una vera rivoluzione delle mentalità?
A ben guardare, questa rivoluzione è già cominciata. L’unico problema è che non la si vuole vedere. Ci sono alcuni in Marocco che hanno grande interesse a che questa nostra mentalità non cambi di una virgola. Ma questa identità, sono anni che non è più la stessa. I giovani Marocchini di oggi, d’altronde, hanno capito tutto di questa questione complessa. Sono perfino troppo sofisticati nelle loro riflessioni sul tema. Si potrebbe dire perfino che essi sono, in una certa misura, nella post-modernità. Ma chi lo capisce questo in Marocco? Chi li aiuta in questo cambiamento? Chi, in questo paese, lavora per una loro diversa integrazione e dà loro fiducia?
Scusami mamma, adesso parlo come in un libro. Ma voi, sorelle e fratelli miei, voi capite quello che dico. Voi avete studiato come me Avete come me letto i libri che ci portava nostro padre dalla Biblioteca Generale di Rabat, dove lavorava come chaouch (guardiano, ndt). Voi avete gli strumenti intellettuali per capire quello che dico. Non mi dite che parlo in aria, che mi arrabbio per niente, che la mia lotta è persa in partenza. Non mi dite di rientrare nei ranghi come gli altri. Di riallinearmi. Di dire: “Wana mali?” (Che me ne importa, ndt)
Io non posso. Io sono nella scrittura. Dunque ho delle responsabilità verso me stesso e la società da cui provengo. Io mi pongo domande. Un libro, viene da sé, interpella il mondo, la società. Non so fare le cose a metà. Devo farle fino in fondo. Non voglio più abbassare la testa. Io non sono un eroe. E’ giusto che non sopporti più l’ipocrisia e i danni che provoca in Marocco. Non sopporto più che si dia di noi un’immagine da cartolina, folcloristica, per attirare i turisti. Non sopporto più che non si veda la reale ricchezza di questo paese: l’immaginario, le storie, il mistero. LA GIOVENTU’. Io non sopporto che non si aiuti abbastanza il Marocco a rialzarsi ed a crescere. Non sopporto più questo sistema che annulla dalla mattina alla sera i Marocchini e che fa tacere le voci nuove che emergono per raccontare in altro modo questo paese. Non sopporto più la mediocrità e la piccineria che ci impongono. Il Marocco, per me, è più grande di tutto ciò. E’ compito nostro di rivelarlo al meglio. Anche se ci si deve battere per questo, fare una guerra. Dare a qualcuno l’impressione di tradire.
Cara famiglia, io vi tendo la mano. E’ sincera. E’ ingenuo. Sono io: io sono fatto così. Io non vi chiedo di comprendere le mie nevrosi, né di aiutarmi ad uscirne. No. Io vi prego solo di non farmi sentire un paria. Un miscredente. Io sto, a modo mio, nella continuità della vostra storia, della nostra storia. Dalle origini. Io non posso offrirvi niente perché voi siate socialmente fieri di me. Oggi. Non è questo il mio obiettivo. Io non amo la fierezza, sentimento che rende immobili. Io sogno il dialogo. Un dialogo fino ad oggi impossibile. Io non faccio parte della minoranza. Io sono voi, con voi, sempre con voi, anche quando sfido i tabù. Anche quando rubo le vostre vite per trasformarle in frammenti letterari.
Nei miei libri e nelle mie conferenze, io vi difendo. Vi racconto, vi faccio esistere. Io sogno che un giorno, se qualcuno mi insulta davanti a voi, dicendo: “Tuo figlio, tuo fratello è zamel (frocio, ndt) “, voi rispondiate: “No, non è zamel, è mathali (una parola inventata pochi anni fa in Libano per indicare in modo non ingiurioso gli omosessuali, ndt)”. Una parola, una parola semplicissima che cambia tutto. Una parola-rivoluzione. Fate voi. Io non pretendo niente. Io vado, Io volo come posso. Io prego, come mia madre, a modo mio: scrivo.
Da noi c’è una cosa terribile: l’odio dei Marocchini! Da dove viene? Perché esiste ancora? Perché non osare di essere se stessi: liberarsi. Liberarsi anche nella provocazione e nello scandalo. In ogni caso non c’è altro modo. Tanto vale dimenticare la paura e andare nudi ad affrontare il mondo. Ecco, ancora una volta, con la tenerezza, la mia verità. Per voi.
Io non amo gli scontri inutili. Sono solo per le battaglie necessarie. Quella che combatto con e contro il Marocco è utile. Lo penso sinceramente. Non devo restare solo. Io posso parlare, scrivere. Per me e per gli altri. Lo faccio. E’ un dovere.
Salam caloroso a voi tutti