I costi del conflitto
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TELQUEL, 11/17 aprile 2009
Caro, carissimo Sahara
1200 miliardi di dirhams spesi dall’inizio del conflitto, il 3% del PIL perso ogni anno… Grandi aggregati e piccoli dettagli del costo economico di una causa sacra.
Per facilitare la lettura del dossier, le cifre, calcolate sulle stime di esperti marocchini ed internazionali, sono state calcolate sul rapporto medio di 1 dollaro= 10 dirhams.
Dal novembre 1975, data di avvio della Marcia Verde, il Sahara è l’argomento tabù per eccellenza. Fino all’inizio degli anni 1980, era pericoloso anche solo pronunciare o scrivere la parola Polisario, senza aggiungere che si trattava di “mercenari”, o “nemici dell’integrità territoriale”. In seguito la situazione è fortunatamente cambiata, ma il Sahara resta ancora un soggetto tabù, un po’ segreto, di difficile accesso. Lo scopo di questo dossier non è quello di intaccare il consenso politico intorno alla marocchinità del Sahara, ma solo quello di spiegare i costi del Sahara, in dirhams ed in occasioni perdute (il considerare prioritario lo sforzo militare a spese dello sviluppo dei settori vitali del paese, il costo del non-Maghreb, ecc.) . Per potere valutare meglio gli sforzi fatti per recuperare il nostro carissimo Sahara. E per conservarlo.
Novembre 1975. Una donna dà gli ultimi consigli a suo marito che si è appena iscritto nella lista dei partecipanti alla Marcia Verde. “Soprattutto mi raccomando, voglio che la nostra casa in Sahara sia ad angolo e che sia molto luminosa”. L’aneddoto è rivelatore delle motivazioni profonde che hanno spinto una parte dei 350.000 marocchini a rispondere all’appello di Hassan II. Motivazioni che, con tutta evidenza, non si esaurivano nel solo aspetto patriottico. “I partecipanti erano senza dubbio volontari. Ma molti erano soprattutto interessati ai benefici materiali che speravano di trarre dalla riconquista del Sahara. D’altra parte la gente piangeva quando non veniva accettata nella lista dei marciatori e accusava le autorità di fare mercato dei posti”, ci racconta Fouad Abdelmoumni, militante in una associazione e liceale al tempo della Marcia Verde. Armati di una copia del Corano, di bandiere nazionali e di una serie di foto del re, i marciatori sono tuttavia tornati a mani vuote. Perché la gita in Sahara non è andata più in la di qualche chilometro e la riconquista del Sahara, colpo di genio di Hassan II, rispondeva prima di tutto ad un obiettivo politico: pacificare una volta per tutte l’opposizione di sinistra e approfittare delle esitazioni della Spagna franchista. I sogni di ricchezza sono stati semplicemente rinviati a più tardi.
Il tabù economico, il malcontento politico
Oggi è giocoforza constatare che l’eldorado saharaiano, così come è stato “sognato” negli anni ’70, si è rivelato essere solo un miraggio. E’ anzi diventato un peso per lo Stato marocchino, perfino per il contribuente, al quale si è fatto firmare praticamente una cambiale in bianco. Consolidare le posizioni nel Sahara, annetterlo amministrativamente, attrezzarlo e lavorare per stabilizzare la sovranità comportano, dal 1975, pesanti spese che gravano sul bilancio dello Stato.. Argomento allo stesso tempo tabù e complesso, il costo economico del Sahara appassiona poco i nostri economisti. Nelle amministrazioni marocchine non v’è alcun documento ufficiale che calcoli i costi del Sahara, o i mancati guadagni per il paese. Quando si parla di questo, le porte si chiudono e i telefoni si abbassano. Perché con tutta evidenza vi è una duplice difficoltà: economica e politica.
Fouad Abdelmoumni è il solo economista marocchino ad essersi occupato della questione, in occasione di una tavola rotonda tenutasi qualche mese fa in Spagna. I suoi studi traggono origine dalla lunga lista (costi umani, sociali, economici, politici e di sicurezza) preparata nel 2007 dal think tank International Crisis Group. “Lo studio- precisa Abdelmoumni - non è affatto esaustivo. Apre solo il dibattito e sollecita altre iniziative di questo genere”. E tuttavia le prime conclusioni fanno riferimento a cifre stratosferiche, il cui dato-chiave è il seguente: il Marocco ha sborsato non meno di 1200 miliardi di dirhams dal 1975 in spese militari e civili nei territori saharaiani. “Il costo del conflitto – sintetizza Abdelmoumni – è praticamente il mancato sviluppo del Marocco. Il regno potrebbe impegnare annualmente, in modo produttivo, più del 3% del suo PIL, se riuscisse a liberarsi di questa spina che grava sulla sua economia”.
Le folli spese in armamenti
Mantenere un esercito, come è ovvio, è la prima delle spese direttamente legate al dossier del Sahara. Il grande esercito si è dimostrato particolarmente costoso nel corso di questi tre decenni, segnati da una dozzina di anni di conflitto armato. Al primo rullare dei tamburi di guerra, le FAR (Forze armate reali) hanno cominciato a reclutare in massa militari e ad equipaggiarli, dopo che Hassan II aveva ridimensionato in modo sostanzioso l’esercito in seguito ai tentativi di colpo di stato del 1971 e 1972. Senza il Sahara, il regno non avrebbe certamente mai scelto il modello islandese(che non spende un kopeck per il suo esercito), ma le spese militari non avrebbero mai raggiunto le somme che sappiamo. Secondo i calcoli di Forecast International, un centro studi nordamericano specializzato nelle questioni strategiche e militari, “l’effettivo totale dell’esercito marocchino tocca i 250.000 uomini, dei quali quasi 150.000 sono stazionati in Sahara”. In un rapporto della CIA intitolato The World Fact Book, si calcola che le necessità militari del Marocco assorbono il 5% del suo PIL, e questo lo colloca al ventesimo posto tra i paesi che spendono di più per il loro esercito. “Se si tien conto della crescita del PIL – calcola Fouad Abdelmoumni - si ricava che il Marocco spende annualmente 36 miliardi di dirhams,vale a dire 100 milioni di dirhams al giorno”. Il conto dall’inizio del conflitto si rivela maledettamente salato: 95 miliardi di dirhams, di che finanziare un centinaio di INDH (progetti di sviluppo, ndt)…
E le spese militari non finiscono di aumentare. La corsa agli armamenti imposta dal vicino algerino (rimpinguato, lui, dalla manna petrolifera) costringe i nostri ufficiali a fare nuovi acquisti. Negli ultimi due anni vi sono state grandi commesse militari: un ampliamento della flotta aerea attraverso l’acquisti di F16 per 24 miliardi di dirhams, l’acquisto di una fregata francese per 5 miliardi di dirhams, oltre a tre corvette olandesi, la costruzione di una nuova base navale per 1,4 miliardi di dirhams, ecc. La Legge finanziaria 2009, d’altronde, stanzia 30 miliardi di dirhams per il budget dell’Amministrazione della Difesa nazionale, ivi compreso il Fondo speciale del Tesoro per l’acquisto e la riparazione del materiale delle FAR (Forze Armate reali).
Il bilancio colossale dell’esercito (circa il 5% del PIL) passa ogni anno in Parlamento come una lettera alla Posta. Non diventa mai oggetto di discussioni in commissione o nelle camere parlamentari, se non per ribadire l’indefettibile attaccamento dei deputati alle istruzioni del comandante supremo dell’esercito. Fouad Abdelmoumni stima che, “senza il Sahara, il Marocco si sarebbe collocato nella media della classifica mondiale (fatta dalla CIA) e spenderebbe annualmente per l’esercito l’1,90% del PIL.” In sostanza il Regno economizzerebbe circa 20 miliardi di dirhams per anno, di che coprire abbondantemente gli interessi e le commissioni pagate annualmente per il debito pubblico.
Le sovvenzioni, la “cartiya” ed altri privilegi
Oltre alla presenza militare, il Sahara registra una forte concentrazione di servizi di sicurezza e di dipartimenti di ogni genere. E questo costa caro, dal momento che il personale statale nelle zone del sud gode di un trattamento privilegiato. “I funzionari beneficiano di una indennità, che va dal 25% al 75% del salario, oltre all’accesso a prodotti alimentari sovvenzionati”, si può leggere sul rapporto dell’International Crisis Group. La maggior parte dei funzionari statali non è originario delle province sahariane, dal momento che vi è stato un intenso spostamento della popolazione in questi tre ultimi decenni.
“Circa i 2/3 dei 500.000 abitanti delle province del Sud provengono dall’interno del paese”, stima Mostafa Naimi, antropologo e membro del Consiglio reale consultivo per gli affari sahariani (Corcas). Che spiega: “Nelle province del Sud vi è sempre stato un impegno particolare di investimenti”. Ciò che non ha evitato che l’equilibrio sociale restasse assai precario. “In una regione come Laayoune, dove il tasso di disoccupazione è il più elevato del regno (29% contro la media nazionale del 9%), l’Agence de promotion nationale è il primo datore di lavoro con circa 7000 posti di lavoro” ci spiega Mohamed Laghdef, direttore di Laayoune TV, la televisione regionale.
Al sud lo Stato fa una chiara politica di assistenza, che assorbe la maggior parte del bilancio per la Promozione nazionale. Mimetizzata nel conto speciale del tesoro relativo ai “finanziamenti di spesa per infrastrutture e lotta alla disoccupazione”, lo stanziamento si avvicina al miliardo di dirhams , un terzo del quale è direttamente destinato al “programma di sviluppo delle province saharaiane”.
Un rapporto del Ministero delle Finanze fornisce i dettagli: “Questo programma punta, dal 1976, alla mobilitazione della forza lavoro disponibile in queste province. Il numero di giornate lavorative realizzate in questo ambito nel periodo 2005/2007 raggiunge gli 11,89 milioni”.
Altra particolarità concessa alle province del Sud : il sistema di distribuzione della tessera detta “cartiya”. Un privilegio che assicura al beneficiario saharaoui un’entrata mensile pari allo SMIG (il salario minimo garantito, ndt), da 1200 a 1500 dirhams, oltre alla gratuità sui mezzi di trasporto pubblici. Il sistema equivale, di fatto, ad una indennità di disoccupazione simulata… che non si fonda su alcuna base scientifica di ripartizione. “Ciascun governatore ha il suo metodo. Ma più frequentemente ci si basa su criteri tribali, con una sorta di quota e rotazioni tra le diverse tribù”, ci spiega sotto copertura di anonimato una fonte della wilaya di Dakhla.
Il sistema può tranquillamente sfuggire al controllo e dare luogo ad eccessi. Esempio di quello che può succedere con alcuni capi tribù che fanno la bella vita a spese altrui. “Ci sono gran nomi saharaoui che godono di una rendita a vita – riconosce un membro del Corcas. Tra i privilegiati figurano alcuni che aderiscono al Polisario. “La situazione può diventare ingestibile. Degli aderenti poco influenti rifiutano di lasciare l’hotel, dove si trovano temporaneamente alloggiati, se non ottengono un posto di alto funzionario di stato”, prosegue la nostra fonte.
Il paradiso fiscale e la “paga” sociale
Occupiamoci adesso delle sovvenzioni applicate a talune derrate alimentari. Zucchero, farina, olio e idrocarburi sono molto meno cari che nel resto del Regno (1 pan di zucchero: 9 Dh – 6,5 Dh; 50 kg di farina: 100Dh- 52,5 Dh; 1 litro d’olio: 10,2 Dh – 5 Dh; 1 litro di diesel: 7,15 Dh – 5 Dh). E anche qui il sistema è inquinato. “La quasi totalità dei prodotti sovvenzionati, pure se rientrano in settori di largo consumo, vengono distratti”, ci spiega il nostro interlocutore. E questo vale sia per l’agroalimentare che per gli idrocarburi: si stima che 500 o 600 milioni di dirhams siano ogni anno spesi nelle province del sud. “E’ totalmente sproporzionato rispetto al parco auto della regione”, commenta un giornalista di Laayoune.
Gli esoneri fiscali comportano una riduzione di entrate per il bilancio dello Stato. Sul sito internet del Centro regionale di investimenti di Laayoune vengono pubblicizzati i vantaggi fiscali: “La regione beneficia di un esonero totale di imposte e tasse associate. Niente IVA, nessuna imposta sulle società, nessuna imposta sui redditi”. Insomma, un paradiso fiscale che non manca di attirare gli investimenti, sia quelli veri, che quelli falsi. “Il Tribunale del commercio di Laayoune è uno dei più vivaci del Marocco; diverse società fissano qui la loro sede legale, anche se l’essenziale della loro attività si svolge al Nord”, ci confida una fonte al Tribunale del Commercio della città. A quanto ammonta il costo di questi esoneri e queste evasioni (è questa la parola giusta) fiscali? Nessuna risposta. Anche il Ministero dell’Economia, che pure pubblica in occasione di ogni legge finanziaria un rapporto sui diversi esoneri fiscali del Regno, tace a proposito del regime particolare vigente nelle regioni del sud.
Il totale delle prebende offerte al Sahara raggiungerebbe , secondo le stime di Fouad Abdelmoumni, “la somma di almeno 1000 Dh al mese a vantaggio di almeno 300.000 beneficiari”. Vale a dire lo 0,5% del PIL del Marocco. Questo rappresenta 3,25 miliardi di dirhams, sufficiente a raddoppiare l’organico o i salari dei funzionari del Ministero della Giustizia, dell’Agricoltura, dell’Energia e del Commercio riuniti. Sufficiente dunque a finanziare un prolungato salario sociale.
Il costo della diplomazia, gli investimenti di cortesia
Un altro aspetto importante, relativo alle spese per il Sahara, è legato allo sforzo diplomatico svolto dal Regno. Il bilancio del Ministero degli esteri non è molto nutrito (1,5 miliardi di dirhams), ma la “causa nazionale” vi fa la parte del leone. Ne è testimonianza il numero eccessivo di rappresentanze diplomatiche. “Nel 2007 il Marocco disponeva di più di 80 ambasciate nel mondo, quando gli studi ufficiali stimavano necessarie solo venti prima del conflitto del Sahara”, spiega Fouad Abdelmoumni. E chiarisce: “In Perù, il cui scambio commerciale col Marocco è ridicolmente basso, ci sono appena cinque residenti marocchini. Questo non ha impedito tuttavia la realizzazione di una bella e costosa ambasciata a Lima, con tanto di diplomatici, personale, residenze e viaggi…” Perché? Perché il Perù, come altri paesi dell’America del Sud, ha una posizione altalenante sulla questione della marocchinità del Sahara…
Le operazioni di lobbying diplomatico realizzate dal Regno restano segrete e gelosamente segreto è mantenuto il loro costo reale. Ad eccezione di qualche fuga di notizie organizzata qui o lì. Il quotidiano inglese The Guardian ha rivelato per esempio nel 2007 che il Marocco, attraverso la Moroccan American Policy Center (una organizzazione no-profit filo marocchina negli USA), ha incaricato delle agenzie di lobbying nordamericane di promuovere il suo piano di autonomia delle province saharaiane. Costo dell’operazione: quasi 300 milioni di dirhams.
Nei corridoi del Ministero degli Affari esteri si raccontano a bassa voce i casi di quegli Stati per i quali il Maorcco ha dovuto mettere mano al portafoglio, o ha dovuto cancellare i loro debiti, perché ritirassero il riconoscimento alla Repubblica saharaoui. Senza dimenticare le spese del Corcas (Comitato consultivo per gli affari del Sahara), il cui bilancio fa parte di quello della Corte reale e, dunque, è coperto dal più assoluto top secret. Ma esse devono essere molto elevate, se solo si pensi che un semplice (e spesso infruttuoso) round di negoziati a Manhasset costa circa 6 milioni di dirhams, tra spese di albergo e spostamenti per una sessantina di persone per un periodo minimo d dieci giorni.
Ma la lobbying diplomatica può anche, all’occasione, prendere forma di “partenariati”: apertura all’estero di università e di ospedali, sovvenzione di confraternite religiose. Senza dimenticare il coinvolgimento di imprese pubbliche (il caso della RAM e della Comanav prima della privatizzazione) nel mantenimento di attività economiche non remunerative nei paesi amici della sacra causa marocchina. Talvolta il problema del Sahara è anche direttamente all’origine di iniziative che non hanno ragioni propriamente economiche. Secondo Fouad Abdelmoumni, il progetto di una ferrovia ad alta velocità che colleghi Tangeri a Marrakech, affidato ad un consorzio francese, rientrerebbe in questa categoria. “Un tale investimento non è in alcun modo difendibile, né sul piano delle priorità, né dell’efficienza. E’ legittimo chiedersi fino al qual punto il desiderio di continuare a beneficiare dell’influenza diplomatica della Francia, a proposito della questione del Sahara, abbia pesato su una tale scelta”, spiega l’economista. Domanda più che appropriata dal momento che questo progetto, il cui costo si stima in 20 miliardi di dirhams, è stato firmato con la Francia, senza alcun dibattito parlamentare e senza neppure indire una gara, subito dopo il fallimento delle trattative per l’acquisto dei caccia Rafale. I partner vengono ben consolati…
Alla luce di tutti questi impegni, Fouad Abdelmoumni calcola il costo di queste spese direttamente legate alla questione del Sahara, che definisce come investimenti “di cortesia”, ad almeno lo 0,75 del PIL annuale. Vale a dire 4,4 miliardi di dirhams, che rappresentano, tra l’altro, quattro volte le spese per investimenti del ministero della salute.
I sintomi del malgoverno
Nella pratica, è visibile ad occhio nudo l’assoluta sproporzione delle risorse rispetto a criteri di logica economica e sociale. Le regioni del sud sono privilegiate rispetto al resto del Regno. “Da più di 30 anni lo Stato marocchino ha impegnato 24 miliardi di dirhams come investimenti nelle strutture di base”, sottolinea una nostra fonte. Due aeroporti, 3 aerodromi, quattro porti marittimi, 10.000 chilometri di strade e un tasso di collegamenti all’elettricità ed all’acqua potabile che oltrepassa l’80%... Cifre degne del più bel paese del mondo, se non fosse che sarebbe difficile credere che questi investimenti sarebbero stati effettuati senza il conflitto del Sahara. Soprattutto se si pensi che il “livello” delle infrastrutture oltrepassa talvolta i reali bisogni della regione. A Tarfaya è stata installata una nuova centrale di desalinizzazione dell’acqua marina, con una portata sufficiente a soddisfare quasi 40.000 abitazioni, quando la città conta solo 2000 case.
Un'altra dimostrazione degli impegni esagerati in Sahara è fornita dal “Programma delle priorità 2004/2008”, il cui ammontare globale di investimenti è di 4,35 miliardi di dirhams, vale a dire lo 0,75% del PIL. “Si può legittimamente affermare – prosegue Abdelmoumni -, facendo il paragone con altre regioni dalle condizioni socio-economiche simili, che una buna parte di questi soldi è semplicemente dilapidata”. Stima minima: un altro mezzo punto di PIL che se ne va ogni anno.
L’economista attribuisce al Sahara un altro mezzo punto di PIL sprecato per il malgoverno. E’ proprio il minimo quando si sa che la “causa nazionale” ha ridotto al silenzio tutta la classe politica ed è stata il pretesto per frenare un processo di democratizzazione irreversibile. “L’impunità e l’opacità dei processi decisionali favoriscono ogni genere di malversazione, dal racket all’appropriazione di risorse. Tutto questo pesa sullo sviluppo del paese”.
Tra spese dirette e guadagni mancati per la mancata realizzazione del Grande Maghreb, il conflitto in Sahara priva il Marocco di più di 6 punti di PIL. Anche se l’economista stima che la metà di questi punti di crescita “si perderebbe in progetti non remunerativi o sarebbe dilapidato ad altro titolo” resta tuttavia un 3% di PIL supplementare ogni anno. Di che trasformare radicalmente la vita quotidiana dei marocchini. Il reddito di ciascun abitante potrebbe essere più che triplicato per tutta la durata del conflitto. Di conseguenza il Marocco si situerebbe nella classifica del reddito pro capite al livello di paesi come il Messico o il Cile. La posizione del Regno nella classifica dello sviluppo umano migliorerebbe di molto, rispetto all’attuale 123° posto. Il 3% del PIL è anche l’equivalente del deficit di bilancio annuale.
In conclusione, mantenere lo status quo nel conflitto del Sahara è sopportabile, ma per nulla conveniente. “Anche se alcuna soluzione miracolistica potrà far recuperare il tempo e le risorse perdute, è tempo oramai di arrestare l’emorragia”, assicura Fouad Abdelmoumni. Desiderio pietoso? La stessa idea del “costo economico” viene contestata a Rabat, dove si tende a considerare le spese legate al Sahara come investimenti produttivi e in ogni caso necessari, purché non si perda un solo centimetro del nostro carissimo territorio.
Il costo del Non-Maghreb
I contrasti intermaghrebini sono tanto numerosi che è difficile enumerarli. Ma gli specialisti sono unanimi: “Il conflitto del Sahara costituisce il principale ostacolo per l’integrazione e lo sviluppo del Maghreb”. Il Non-Maghreb comporta dunque un importante mancato guadagno per i paesi della Regione. Gli scambi inter-maghrebini, che rappresentano in media il 2% del commercio estero di ciascuno dei 5 paesi, sono bene al di sotto del loro potenziale. Mentre il Maghreb economico potrebbe creare un mercato di più di 75 milioni di consumatori. Si tratta di dimensioni simili a quelle di numerosi paesi leader nel commercio mondiale, che consentirebbero di sfruttare le economie di scala. Le complementarità, visibili a occhio nudo, dovrebbero poi provocare un aumento degli investimenti diretti stranieri. E inoltre, di fronte alla mondializzazione ed alla tendenza ai raggruppamenti regionali, il Maghreb economico diventa un imperativo. Divisi come sono, i membri di questo G5 maghrebino dispongono attualmente di un potere di negoziazione ridotto di fronte alle potenze internazionali. E’quanto fanno intendere gli analisti della Banca Mondiale quando parlano delle relazioni con l’Europa: “L’UE è la principale importatrice per i paesi del Maghreb. Questi scambi rappresentano più del 65% del commercio totale del Maghreb. Creare un blocco commerciale del Maghreb con l’Unione Europea comporterebbe migliori performance economiche”. Per la precisione: “Questo produrrebbe 1,5% di crescita addizionale del PIL per ciascuno dei 5 paesi”. In dirhams sarebbero 9,6 miliardi. Largamente sufficiente a decuplicare il bilancio di investimento in materia di pesca, agricoltura, investimenti e trasporti.
Le Journal Hebdomadaire, 9/15 maggio 2009
Le mani sulla città
Laayoune. Sullo sfondo della campagna elettorale, riaffiora il dossier relativo alla gestione della città. Il Parlamento è chiamato in causa, anche se sembra incapace di cambiare un sistema sostenuto dai massimi vertici dello Stato
La febbre elettorale approda sulle dune del deserto. Rien ne va plus per i fratelli Oulderrachid, Khalihenna e Hamdi, rispettivamente presidente e vice-presidente del Consiglio municipale di Laayoune e padroni incontrastati della città. In una lettera inviata ai presidenti dei gruppi parlamentari, Ahmed Zaidi, presidente del gruppo socialista alla prima Camera, chiede la costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione della città, diventata da poco un'altra occasione di confronto nella guerra in corso tra l’Union socialiste de forces populaires (USFP) ed il partito dell’Istiqlal.
Secondo il documento dei socialisti, la commissione, se dovesse essere costituita, dovrebbe indagare su diversi ettari di terreno demaniale che sarebbero stati distribuiti gratuitamente dal presidente del Corcas (Conseil royal consultatif des affaires sahariennes) e suo fratello a potenziali elettori. Si tratta di più di 2000 lotti di terreno edificabile, distribuiti gratuitamente per fini elettorali. E ancora, su delle irregolarità relative al bilancio della Promotion nationale.
Ma il gruppo socialista non rivela niente di nuovo. I fatti sono stati riportati a più riprese dalla stampa già da qualche anno. “Tutti sono colpevoli in questa storia”, afferma Hmoudi Iguilid, membro dell’AMDH (Association marocaine des droits de l’homme) a Laayoune, che punta il dito sulla Direzione del Demanio, Al Omrane, l’Agenzia cittadina e l’insieme dei partiti politici. “Noi abbiamo chiesto molte volte l’apertura di una inchiesta, molto prima dell’avvio della campagna elettorale – aggiunge – ma invano”. Per i socialisti, bisognerebbe raccogliere delle informazioni , addirittura delle prove, sufficienti a convincere i deputati. “Abbiamo ricevuti degli atti di cessione di terreni firmati in bianco”, spiega Ahmed Zaidi, presidente del gruppo socialista. “E anche se abbiamo atteso l’avvicinarsi delle elezioni, che c’è di male?”, aggiunge.
Buco nell’acqua
La Commissione di inchiesta non è stata ancora varata, e non sarà facile. La costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta richiede infatti la maggioranza assoluta. “Occorrono almeno 163 voti”, spiega un membro del PJD (Parti justice et dévèloppement), il solo partito che ha annunciato il suo voto favorevole. Ancora non si conosce la posizione degli altri partiti della maggioranza e dell’opposizione. Ai primi risulterà senz’latro difficile attaccare i fratelli Oulderrachid, che sono membri del partito Istiqlal. Tra quelli dell’opposizione, a molti manca il coraggio politico, secondo l’analisi del deputato del PJD. “E’ improbabile che il Mouvement Populaire (MP) aderisca all’iniziativa”, ipotizza un membro del partito di Mahjoubi Aherdane. Si tratterebbe infatti, secondo lui, solo di rivalità politiche tra Oulderrachid e Hassan Edderhem (USFP), l’altro signore della città di Laayoune.
Contattato da Le Journal Hebdomadaire, Khallihenna Oulderrachid non ha voluto esprimersi. “Io non partecipo alle guerriglie politiche” ha detto prima di abbassare il telefono. Un componente del Consiglio municipale ha voluto difendere il suo presidente ed il di lui fratello, ma preferendo mantenere l’anonimato. Ha smentito tutte le accuse rivolte al Consiglio di Laayoune, aggiungendo che nessun lotto di terreno sarebbe stato distribuito gratuitamente. “Tutti sanno che le procedure di pagamento al Demanio richiedono tempi lunghi – tuona, prima di aggiungere che “l’ufficio del registro immobiliare esige un certificato di pagamento del Demanio”. Ciò che spiega la posizione dell’ufficio locale dell’AMDH che ci informa che, a parte qualche eccezione, di queste cessioni hanno beneficiato solo Saharaoui. E se su queste pratiche è calato da anni il silenzio, ciò dipende certamente dalla politica generale del Marocco in Sahara Occidentale. Questi terreni ceduti fanno parte di un sistema di vantaggi accordati alla popolazione saharaoui per comprarne l’adesione alle tesi marocchine