Affaire Haidar, Storia di un fallimento
- Dettagli
- Visite: 3853
Le Journal Hebdomadaire n. 425 – 16/22 gennaio 2010
Inchiesta a Washington – Affaire Haidar, storia di un fallimento
di Aboubakr Jamai e Abdelkader Rhanime
Il caso della militante saharawi, scoppiato lo scorso dicembre, ha rivelato chiaramente i limiti della diplomazia del regno. Inchiesta sul discredito della lobby marocchina a Washington
Dirigendosi verso il 2201 C Street, in questo giorno di dicembre 2009 a Washington, la delegazione marocchina non si attende certo la lavata di testa che le spetta. E’ al Dipartimento di Stato, il ministero USA degli Affari Esteri, che questa delegazione ha un appuntamento con Hillary Clinton in persona. I responsabili marocchini sanno che la partita non sarà semplice, ma sono convinti di giocare in campo amico. Il Dipartimento di Stato della signora Clinton non è la Casa Bianca di Barack Obama, coi suoi rapporti amichevoli con l’organizzazione di difesa degli interessi degli Afro-Americani, il Black Caucus, sostegno importante delle tesi indipendentiste. Alla Casa Bianca, al Consiglio nazionale di sicurezza più precisamente, c’è Michael Mac Faul, uno specialista della Russia e delle transizioni democratiche, che ha co-pubblicato un importante articolo accademico sull’evoluzione politica del Marocco nel giornale Of Democracy nel gennaio 2008. Nel suo articolo analizzava le contraddizioni del governo del nuovo regno. E inoltre vi è la lettera inviata a Michelle Obama da un gruppo di partecipanti ad una riunione di rappresentanti di 350 città gemellate con i campi di Tindouf in sostegno di Aminatou Haidar. Vi è infine la prima lettera del presidente USA indirizzata al Re, inizio luglio 2009, nella quale parla della necessità della democrazia e del rispetto dei diritti umani in relazione alla soluzione del conflitto del Sahara occidentale. Nessun accenno per contro al progetto di autonomia. Il tono della lettera si spiega con un’altra lettera, quest’ultima a firma di quattro senatori democratici, due dei quali molto influenti, Ted Kennedy e Russ Feingold, di sostegno al diritto di autodeterminazione del popolo saharawi. La Casa Bianca è diventata terreno minato. Terminata l’amministrazione Bush e i suoi Elliott Abrahms – neoconservatore vicino alla destra israeliana – che tutto concedevano al Marocco in nome della guerra al terrorismo. Un regime marocchino talmente amico che – si racconta – non ha esitato a collocare in pensione il generale Ahmed El Harchi, comandante della DGED (servizi di informazione, ndt), perché non era troppo conciliante nel corso dei suoi vis-a-vis con la CIA. Ma era il buon tempo antico. Resta Hillary Clinton. E’ un segreto di Pulcinella, il Marocco aveva puntato su di lei. Lei che aveva accompagnato suo marito in Marocco e ne aveva conservato un ottimo ricordo. Inoltre uno dei membri della sua famiglia vive nei pressi di Marrakech.
Così, quella che ha voluto iscrivere il suo passaggio al Dipartimento di Stato sotto il segno della promozione dei diritti delle donne continuamente propone l’esempio marocchino. La riforma della Moudawana (codice della famiglia, ndt) è un argomento assai sfruttato sul terreno diplomatico e Hillary Clinton è assolutamente sensibile. Lo scorso 2 novembre era in Marocco per partecipare al Forum de l’Avenir, una manifestazione messa in piedi dall’amministrazione Bush per dimostrare il suo appoggio alle riforme nella regione. Un tentativo di attenuare lo choc dell’invasione dell’Iraq. H. Clinton aveva avuto l’estrema eleganza di non criticare il regime marocchino che stava conducendo una violenta campagna di repressione contro la stampa. Solo a fior di labbra, rispondendo ad un giornalista che le aveva posto una domanda a questo proposito, aveva risposo elusivamente: “La libertà di stampa è importante”. Il minimo sindacale per il paese del “Quinto emendamento”, il sacrosanto primo emendamento della Costituzione USA sulle libertà individuali e di espressione in particolare.
La collera di Hillary
In questa fredda giornata di dicembre, i membri della delegazione marocchina sanno che lo sciopero della fame di Aminatou Haidar ha fatto dei danni. Gli Spagnoli sono furiosi. Al punto che il Ministro degli Affari Esteri, Miguel Angel Moratinos, ha incontrato Hillary Clinton per chiederle di fare pressione sui Marocchini perché se ne facciano una ragione. Allora, mentre fa ingresso nella sala di riunione, in questo giorno d’inverno dello scorso mese di dicembre, la delegazione marocchina si aspetta una partita serrata ma aperta. Il re ha ultimamente pronunciato un discorso marziale sulla necessità di combattere i nemici della integrità territoriale. Su questa vicenda sono state impartite istruzioni ai giornali di regime e ai partiti e quasi tutti in Marocco sostengono l’intransigenza del regime. E non è tutto. L’unanimità nazionale non è il loro unico atout. I dirigenti marocchini, con in testa Yassine Mansouri e Taieb Fassi Fihri, pensano di avere un altro argomento. Un argomento schiacciante, pensano. Si avviano all’incontro con un dossier sotto al braccio, un dossier indiscutibile, dicono, sul ruolo dell’Algeria nella vicenda. Aminatou Haidar, questa sedicente fragile madre di due figli, sarebbe una specie di Mata Hari al soldo del governo algerino.
Non hanno avuto bisogno di molto tempo per rendersi conto che i loro argomenti non avrebbero convinto i loro interlocutori del Dipartimento di Stato e che non senza ragione Hillary Clinton gode di una reputazione da animale politico a sangue freddo. Quel giorno sembra lontanissima la Clinton gioviale del Forum de l’Avenir. Una fonte bene informata riferisce che ella avrebbe detto in sostanza: “Non vi seguiremo ciecamente”. E avrebbe aggiunto: “Dovete consentire il ritorno di Aminatou Haidar”. Non è tutto, il segretario di Stato USA butta lì una frase piena di significato: “Io rispettavo Hassan II”. Ha voluto manifestare la sua delusione per la gestione di questa vicenda dal parte del nuovo regno? Ha voluto lasciare agli atti l’incomprensione, che non è solo di Washington peraltro, ma anche di altre capitali di paesi amici del Marocco che si meravigliano dell’inutile ostinazione della monarchia in diverse vicende? E’ vivo il ricordo dell’affaire dell’isoletta Leila (lo scontro militare con la Spagna per il possesso di uno scoglio nel Mediterraneo, ndt), e le ripetute campagne contro la stampa anche. Gli USA avrebbero minacciato di divulgare un comunicato di condanna per l’atteggiamento marocchino. Inaccettabile, meglio piuttosto mangiarsi il cappello e autorizzare il ritorno della pasionaria saharawi a Laayoune.
Se i componenti della delegazione marocchina sui quali si è riversata la fredda collera della signora Clinton non si aspettavano una simile accoglienza, non è solo perché pensavano che il segretario di Stato USA era dalla loro parte. Pensavano anche che i milioni di dollari versati dal Marocco alle lobbie USA avrebbero loro assicurato una certa influenza sui decisori di Washington. Secondo le cifre disponibili, soprattutto presso il Dipartimento della Giustizia e Propublica/influence tracker, il Marocco ha pagato, nel solo 2008, 2,8 milioni di dollari a diverse organizzazioni lobbistiche. La parte del leone l’ha fatta il Moroccan American Center for Policy (MACP), diretto da Robert Holley, con più di 1,5 milioni di dollari. Gabriel & Co. Non è da meno con 495.000 dollari. Quest’ultima organizzazione fa capo a Edward Gabriel, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti a Rabat, diventato a Washington “Monsieur Maroc”, ed è sempre lui anche la testa pensante del MACP. Robert Holley era d’altronde il suo consigliere politico nell’ambasciata USA della capitale marocchina. Edward Gabriel è un democratico vicino ai Clinton. E fu proprio B. Clinton che lo nominò ambasciatore a Rabat nel 1998.
Fino all’episodio Hillary e la disfatta dell’affaire Haidar, si era piuttosto soddisfatti del lavoro di Gabriel. Si ricorda per esempio il coinvolgimento di John Mc Cain, ex candidato repubblicano alla casa Bianca ed ex prigioniero di guerra in Vietnam, nella liberazione dei prigionieri di guerra marocchini detenuti a Tindouf.
Gabriel e Holley rispondono tuttavia senza esitazione ai loro detrattori in Marocco. L’esperienza dello IER e la riforma della Moudouwana sono state sfruttate fino alla nausea. Qualche editorialista vi si è mostrato sensibile. Sono apparsi degli articoli favorevoli al Marocco sul Washington Post per esempio. Anche il New York Times ha pubblicato un articolo sul Marocco che si beve la tesi della necessità della lotta contro il terrorismo come spiegazione della campagna repressiva del regime. Vi è stata inoltre una lettera firmata, il 3 aprile 2009, da 229 deputati democratici e repubblicani del Congresso a favore del piano di autonomia.
Ma, contrariamente a quello che dicono i responsabili marocchini, non sono né il sostegno algerino né i suoi petrodollari la causa del cattivo rendimento della lobbying marocchina. E’ stata l’apparizione in USA di Aminatou Haidar che ha mutato il quadro. Secondo le stesse fonti ufficiali, sembra che l’Algeria abbia finanziato con soli 200.000 dollari le lobbying del Polisario negli USA durante tutto il 2008. Quando si chiede a Susan Sholte, presidente della Western Sahara Foundation, principale organizzazione USA di sostegno agli indipendentisti saharawi, se riceva del danaro dall’Algeria, lei nega risolutamente. E niente consente di contraddirla. E’ stata la signora Scholte la regista del conferimento ad Aminatou Haidar dei prestigiosi premi della Robert F. Kennedy Foundation e della John Thorne Foundation. Premi che ha ottenuto rispettivamente nel 2008 e nel 2009. E quando la signora Haidar ha cominciato lo sciopero della fame a Lanzarote, non è stato il governo algerino a dirigere la campagna, ma piuttosto la Robert F. Kennedy Foundation che si è mossa in suo favore a Washington. Il nuovo inquilino della Casa Bianca è vicino alla famiglia Kennedy. Il sostegno di Ted Kennedy alla sua campagna viene considerato uno degli elementi decisivi della vittoria di Obama. Questo non si dimentica. Haidar ne ha approfittato in danno del Marocco. Ma non sono solo i Democratici. Susan Sholte ha guadagnato anche John Bolton alla causa di Aminatou Haidar. Questo repubblicano duro e puro è stato il rappresentante degli USA all’ONU nel 2005 e 2006, oltre ad essere stato l’aggiunto di James Baker quando quest’ultimo era l’inviato speciale delle Nazioni Unite nel Sahara. Conosce il conflitto del Sahara. Giovedì 17 dicembre, era tra i manifestanti davanti all’ambasciata del Marocco a Washington che denunciavano il trattamento della militante saharawi da parte delle autorità marocchine. D’altronde è stato lo stesso giorno che il Marocco ha autorizzato il ritorno dell’indipendentista saharawi.
I capricci di un regime
Agli Affari Esteri marocchini, si impreca oggi contro questi lobbisti USA che si sono riempiti le tasche senza risultati tangibili. Secondo un universitario specialista della regione, quella collera è ingiustificata. “I Marocchini confondono lobbying e diplomazia”. In altri termini la lobbying che non è al servizio di una politica coerente e che non si fonda sul lavoro diplomatico è una perdita di soldi. Privare Aminatou Haidar della sua cittadinanza ed espellerla è stato percepito come il capriccio di un regime che crede gli sia permesso tutto perché è amico di Washington, Parigi e Madrid. Quest’ ultimo incidente si aggiunge alla strategia senza respiro di proporre un piano di autonomia inaccettabile perché privo dei più elementari criteri democratici. In queste condizioni non è di lobbying che il Marocco ha bisogno, ma di rivedere la sua politica estera.