HOGRA a Sidi Ifni
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(Hogra è termine algerino difficilmente traducibile, significa allo stesso tempo «corruzione ingiustizia abuso di potere arbitrio umiliazione» ).
di Hicham Houdaifa e Fedoua Tounassi
La capitale degli Ait Baamrane è stata teatro di violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Ricomparsa di una regione carica di storia e che dà corpo alle frustrazioni di un Marocco marginalizzato
Sidi Ifni oggi è una città ferita. Una città finita. Qualche giorno dopo la sommossa del 7 giugno, il capoluogo delle tribù degli Ait Baamrane è una città sinistrata. Tutto in città mostra che essa è stata teatro di una vera e propria guerra. Pietre dappertutto, mura sbrecciate, le porte della case divelte. “Quello che è successo è inammissibile. Lo Stato ha mostrato la stessa faccia mostruosa che aveva durante le manifestazioni sociali degli anni di piombo (quelli della monarchia di Hassan II, ndt)”- commenta Khadjia Ryadi, presidente dell’AMDH.
Veniamo ai fatti.
Dal 30 maggio la popolazione locale ha deciso di bloccare l’accesso al porto. Un gruppo di giovani disoccupati impedisce alle decine di camion pieni di sardine di lasciare la città. Le mediazioni dei notabili e del governatore non ottengono alcun risultato. “La decisione dei giovani disoccupati di bloccare l’attività del porto era assolutamente spontanea. Il rifiuto di levare il blocco era ugualmente giustificato. Da anni ci fanno promesse senza rispettarle. Questa volta bisognava andare fino in fondo”, ci confida Mohammed Issam, sindacalista e membro del Segretariato locale di Sidi Ifni, attualmente fuori città per paura di essere interrogato. Dopo oramai quattro anni, il Segretariato che raggruppa i principali attivisti e i disoccupati diplomati della città è diventato il portavoce delle rivendicazioni della popolazione degli Ait Baamrane. Rivendicazioni di carattere puramente sociale. “Questa località è forse la sola del paese in cui la popolazione si è ridotta col passare degli anni. Per partire verso la Spagna, soprattutto verso le Isole Canarie, l’arcipelago che si trova proprio di fronte alla costa. Le nostre richieste non sono mai state soddisfatte. A cominciare dal porto che bisognerebbe ampliare perché un maggior numero di giovani vi possa trovare lavoro. Noi abbiamo bisogno di infrastrutture industriali, per esempio una fabbrica di conserve. Una strada che colleghi Sidi Ifni a Goulimine per spezzare l’isolamento della città e soprattutto creare la prefettura di Sidi Ifni. Non è ragionevole che noi dipendiamo da Tiznit, mentre i nostri legami familiari sono più a sud”, spiega M. Issam. D’altro canto gli abitanti di Sidi Ifni, una composizione di arabi, berberi e saharaoui, non vogliono essere governati da un Soussis (originario del Souss, ndt) di Tiznit. Durante le precedenti rivolte i Baamraniani hanno reclamato lo stesso trattamento di favore degli abitanti del Sahara. Vi sono anche molti che pensano che dietro l’impoverimento degli abitanti vi sia una lobby potente, una lobby che non vuole un vero porto di sardine che potrebbe fare una forte concorrenza al porto di Agadir. “Il re ha inaugurato nel 2007 diversi progetti durante la sua visita a Sidi Ifni, nell’ambito di un piano di rinnovamento urbano. Tuttavia niente è ancora stato avviato”, dice inquieto un militante della città. E’ dunque per queste ragioni che i giovani di Sidi Ifni hanno deciso di sfidare le autorità. E questo solo qualche giorno prima del 30 giugno, una data altamente simbolica perché è l’anniversario del ritorno al Marocco di Sidi Ifni nel 1969. La città era spagnola dal 1454 e portava il nome di Santa Cruz. Il Suerte Loca, la sede del municipio che è stata costruita negli anni ’30 e che conserva la stessa architettura testimonia di questa presenza iberica, così come la chiesa, trasformata dopo l’indipendenza in Tribunale. La piccola enclave sembra avere subito una vera e propria erosione dopo il ritorno alla madre patria. “Al tempo degli spagnoli, aveva infrastrutture degne di una grande città: un aeroporto, una piscina comunale, campi di sport, un teatro e anche uno zoo. Oggi Sidi Ifni è una città marginalizzata e la situazione economica continua a peggiorare”, sostiene un abitante. Una nostalgia che ha spinto i Baamrani a chiedere nel corso degli ultimi anni la nazionalità spagnola, approfittando di una giurisprudenza favorevole agli abitanti delle ex colonie. Ironia della sorte, nel 1946 è stato proprio perché la Spagna voleva imporre la nazionalità spagnola agli abitanti della regione che essi si sono sollevati contro il colonizzatore. Sidi Ifni era allora considerata come la “Capitale del Governatorato dell’Africa del Nord spagnola”.
Dal 2004 il mese di giugno fa rima con la protesta sociale. Sempre le stesse rivendicazioni. E la medesima indifferenza da parte delle Autorità locali. “Gli abitanti di Sidi Ifni originarie delle coraggiose tribù degli Ait Baamrane hanno cacciato via gli spagnoli. Adesso pregano per il loro ritorno”, confessa Rachid, un giovane disoccupato. Prima di aggiungere: “E’ violentando le nostre donne che il Makhzen (sistema di potere della monarchia marocchina, ndt) ci ricompensa per la resistenza contro gli spagnoli”.
L’intervento delle forze dell’ordine porta la firma del generale Hamidou Laanigri. L’ex uomo forte del regime, attualmente alla testa delle forze ausiliarie, si trovava nella regione la sera di venerdì 6 giugno. Avrebbe proprio lui coordinato tutte le operazioni. Alla ricerca di un come back (“un ritorno”, ndt), il generale voleva certamente mostrare quello di cui era capace piegando i manifestanti di Ait Baamrane. Le immagini della rivolta, trasmesse dalla stampa e dai siti di video hanno prodotto piuttosto l’effetto opposto. La brutalità delle forze dell’ordine e i metodi utilizzati dai gendarmi, le forze ausiliarie e i CMI per arrivare sull’orlo di una insurrezione civile ricordano la stagione delle gravi violazioni dei diritti umani. Acquartierati a Mir Left, una località situata a 40 km da Sidi Ifni, conosciuta in tutto il mondo per le sue spiagge selvagge ed uno spot per surfisti, le forze dell’ordine sono piombate in città il 7 giugno verso l’una del mattino. Tre punti sono stati simultaneamente attaccati. Il porto, dove i 29 giovani che impedivano l’uscita dei camion sono stati pestati, quelli che sono riusciti a scappare si sono rifugiati nella montagna Bouaalam, che sovrasta la città. E ad Hay Lalla Meriem, il quartiere dove risiede la maggior parte dei militanti e dei manifestanti.
Black out dei media
Tutta la città è stata presa d’assalto, gli arresti si sono moltiplicati. “Irrompevano nelle case insultandone gli occupanti. Non esitavano a saccheggiarle: prendevano bigiotteria, argenti, telefonini. Tutto quanto aveva valore”, racconta M. Issam.
Si parla anche dello sbarco per nave di centinaia di elementi del pronto intervento che hanno dato una mano a sloggiare i diplomati disoccupati che bloccavano l’ingresso del porto.
Alle cinque del mattino è stato imposto il coprifuoco e sono stati eretti numerosi posti di blocco a più di 30 km da Sidi Ifni. Durante la giornata del 7 giugno, i militari hanno cercato di dissuadere tutti coloro che volevano raggiungere il centro città, dicendo che le strade non erano state messe in sicurezza.
Sidi Ifni vivrà al ritmo degli scontri. Le forze dell’ordine utilizzano manganelli, palle di gomma e candelotti lacrimogeni. Gli abitanti rispondono come possono, soprattutto con il lancio di pietre, fino all’incendio della macchina di un pezzo grosso. Un corteo pacifico fatto soprattutto da donne è violentemente represso. Anche la montagna Bouaalam è teatro di intense scaramucce. “Mentre i militari ricercavano i giovani, altri erano torturati nei posti di polizia, delle ragazze venivano violentate”, racconta un militante che preferisce mantenere l’anonimato. “Abbiamo registrato due casi di stupro documentato e numerosi furti, dei casi di torture di minorenni e bambini davanti ai loro genitori. Sidi Ifni è stato il teatro di una punizione collettiva. Noi domandiamo l’apertura di una inchiesta indipendente perché tutti i responsabili siano giudicati. Prima di tutti il ministro dell’interno, il wali di Agadir ed il governatore di Tiznit”, reclama la presidente dell’AMDH.
L’indomani regnava una calma precaria, ma Sidi Ifni presentava l’aspetto di una città saccheggiata. La città resterà accerchiata diversi giorni dopo il “sabato nero”, come lo chiameranno gli abitanti di Sidi Ifni. Al Jazeera parlerà di morti. Una informazione che non troverà conferme. “Ci sarebbero da uno a cinque morti” aveva dichiarato anche Brahim Sbaalil, presidente della sezione locale del Centre marocain des droits de l’homme (CMDH) di Sidi Ifni. Sia il governo che il primario dell’ospedale locale smentiranno.
Mentre sia i giornali spagnoli che Al Jazeera aprono i telegiornali con la sommossa di Sidi Ifni fin dal sabato sera, i due canali nazionali trasmetteranno la notizia solo l’indomani, ma per parlare della “bufala” del canale del Qatar che ha parlato di morti senza verificare l’informazione. Nessuna immagine sarà trasmessa né sulla RTM né su 2M né sulla stampa ufficiale (Le Matin du Sahara).
“Si accaniscono su Al Jazeera per nascondere quello che è veramente successo”, spiega un militante. Tuttavia in occasione del “ritorno di Sidi Ifni alla madre patria”, il 30 giugno di ogni anno, la televisione marocchina e la stampa ufficiale si soffermano a lodare le qualità dei resistenti delle tribù dei Ait Baamrane. Un po’ come fecero per un’altra regione sinistrata del paese, il Rif e la battaglia di Anoual! La reazione dei responsabili ricorda il tempo in cui Driss Basri era ministro dell’Interno e della Comunicazione. All’indomani della sommossa il governatore di Tiznit ha parlato solo di un “intervento pacifico senza vittime”. Quanto al primo ministro si è sprecato in un capolavoro di politichese: “Tutto questo dimostra la libertà che c’è in Marocco, che i Marocchini sono liberi nel loro paese”, esprimendo tutta la sua fierezza per la “stabilità che queste province conoscono, per i civismo di cui danno prova i loro abitanti e per il loro indefettibile attaccamento al glorioso trono alaouita ed alla loro marocchinità”. Il bilancio ufficiale di questa operazione è di 44 feriti e 30 arrestati per lancio di pietre. I militanti delle associazioni parlano di centinaia di arresti, senza contare le decine di scomparsi che sono ricercati dalle forze dell’ordine nella montagna o che sono riusciti a fuggire dalla regione.
Stato di assedio
Sidi Ifni è sempre assediata dalle forze dell’ordine. Vi regna un clima di paura, ed anche un sentimento di estrema ingiustizia. Le Autorità obbligano i commercianti ad aprire le loro bottegucce per mostrare ai giornalisti stranieri che sono andati in città che la vita continua il suo corso. I cittadini si vedono rifiutare anche un minimo certificato medico che serva da prova delle atrocità subite. Nelle campagne intorno però si organizza la resistenza. Un po’ dappertutto sul territorio dei Ait Baamrane hanno avuto luogo delle marce pacifiche. Il 12 giugno è stato dichiarato giornata di lutto. A Parigi si è svolta una manifestazione di sostegno alle vittime di Sidi Ifni. Le dichiarazioni di guerra dei giovani sui video che circolano su You Tube promettono una esclation. Somministrando una punizione collettiva a Sidi Ifni piuttosto che apportare soluzioni ai problemi della regione, il Makhzen ha ferito il senso di fierezza della tribù resistente degli Ait Baamrane, le cui conseguenze potrebbero essere disastrose.
Giugno 2004
Il 30 giugno, anniversario della indipendenza di Sidi Ifni, è diventato quello della contestazione sociale degli Ait Baamrane. Nel 2004, vi sono stati scontri tra le forze dell’ordine e centinaia di manifestanti che chiedevano lavoro per i giovani – soprattutto i diplomati - , il completamento dei lavori di ristrutturazione del porto di pesca e la costruzione di una strada litoranea per collegare la città a Guelmin, prefettura della regione. Le autorità hanno represso le manifestazioni selvaggiamente. Vi sono stati numerosi feriti ed arresti
Maggio e agosto 2005
Le rimostranze espresse nel corso delle manifestazioni del 2004 non hanno trovato alcuna eco presso le autorità che hanno ancora una volta scelto di fronteggiare i manifestanti con l’abituale violenza. Alla fine delle manifestazioni sarà tuttavia istituito un segretariato generale per seguire la vicenda. Gli Ait Baamrane chiedevano anche una riorganizzazione amministrativa più coerente, la creazione di posti di lavoro, la realizzazione di infrastrutture di base idonee a rompere l’isolamento della regione ed un miglioramento dell’accesso ai servizi sanitari.
Luglio 2006
Il 37° anniversario della liberazione della regione è stato per gli abitanti ancora una volta l’occasione per esprimere la loro rabbia con una manifestazione, il 4 luglio 2006, che ha raggruppato circa 5000 persone. Hanno denunciato le promesse non mantenute da parte dei rappresentanti dello Stato, oltre alle intimidazioni ed i soprusi amministrativi e giudiziari esercitati contro la popolazione. Le autorità locali hanno risposto con la repressione. 18 persone sono state arrestate al termine della manifestazione.
Maggio 2007
Ancora quest’anno, a qualche giorno di distanza dalla commemorazione del 38° anniversario della liberazione della città, centinaia di diplomati disoccupati hanno occupato la strada, costringendo le autorità a chiudere le sedi delle amministrazioni più importanti. E’ il segretariato locale di Sidi Ifni-Ait Baamrane (SLSIA), un collettivo che raggruppa associazioni e partiti della sinistra radicale, ad organizzare le manifestazioni. D’altronde aveva proclamato uno sciopero generale il 30 giugno ed il boicottaggio delle elezioni. Cosa che ha messo, ancora una volta, Sidi Ifni sotto alta tensione.
Giugno 2008
Sabato 7 giugno le forze dell’ordine sono intervenute in modo violento per sloggiare i manifestanti che bloccavano da una settimana il porto di Sidi Ifni, denunciando la povertà e la disoccupazione. L’operazione di polizia riesce male e migliaia di persone scendono in strada per esprimere la loro rabbia. Ufficialmente non vi è alcun ferito, solo qualche arresto ed il ritorno alla calma. Gli ambienti delle associazioni parlano invece di centinaia di arresti e di feriti gravi.