Dijy Sow, Biram Abeid e il suo vice presidente condannati a due anni
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Mauritania - Processo Biram Abeid
Dijy Sow, Biram Abeid e il suo vice presidente condannati a due anni
Ama Sy
Arrestati martedì 11 novembre e rinchiusi nella prigione di Rosso, Biram Dah Abeid, presidente dell’IRA Mauritania, il vice presidente Ould Bilal e Djiby Sow, presidente dell’ONG KAWTAL, sono stati condannati oggi, giovedì 15 gennaio, a due anni di reclusione senza condizionale. Gli altri imputati sono stati rilasciati. Lunedì 29 dicembre, il procuratore aveva chiesto 5 anni di reclusione. Vi sono stati scontri davanti al tribunale, la polizia ha fatto uso di gas lacrimogeni per disperdere i militanti dell’IRA che contestavano il verdetto. Per la trentina di avvocati del collegio difensivo e per i militanti, si tratta di un “processo politico” e “senza prove”
Arrestati l’11 novembre, quando la polizia ha bloccato la carovana di “sensibilizzazione contro l’accaparramento delle terre della valle”, definito come “schiavitù fondiaria” (1), Ould Abeid e gli altri rispondevano, tra l’altro, di “resistenza alle forze dell’ordine, partecipazione ad una associazione non autorizzata”. Dopo due mesi e cinque giorni di prigione, è giunto il verdetto. Si sono beccati la metà della pena massima edittale. La requisitoria interamente scritta, pronunciata il 3° giorno del processo, dal procuratore, “fedele al testo che ha letto tutto di un fiato”, lasciava presagire una condanna, piuttosto che una assoluzione.
Secondo fonti giornalistiche, si sono registrati casi di asfissia durante “l’assalto” al palazzo di giustizia da parte dei militanti dell’IRA, che contestano il verdetto e l’uso indiscriminato del gas lacrimogeno da parte delle forze dell’ordine. I cristalli dei bus della polizia che trasportavano i detenuti sarebbero stati rotti durante gli scontri.
Djiby, della ONG KAWTAL, aveva chiesto l’autorizzazione per la carovana e l’aveva ottenuta, prima che l’iniziativa assumesse l’ampiezza che sappiamo. Durante l’interrogatorio ha dichiarato: “Io e i miei amici siamo pacifici. Vogliamo che la Mauritania progredisca. Noi siamo contro l’accaparramento delle terre. Questa è la ragione per la quale abbiamo partecipato alla iniziativa”. “Signor Presidente, come è possibile che in un paese mussulmano qualcuno possa appropriarsi dei cimiteri dove sono sepolti i mussulmani per farvi un campo o una canalizzazione, e obbligare gli abitanti ad attraversare la frontiera per seppellire i morti?”
Gli avvocati della difesa hanno sottolineato che l’accusa non ha prodotto alcuna testimonianza, alcun elemento materiale per provare le imputazioni di violenza nei confronti degli imputati. Secondo l’avvocato LO, l’IRA già esisteva quando Biram era candidato alla presidenza della Repubblica sfidando il vincitore Ould Abdel Aziz. Ha domandato: ”Perché parlare solo oggi di appartenenza ad una organizzazione non riconosciuta?” e ha concluso: “Ci si voleva liberare di Biram, e lo si è fatto a Rosso”.
Si ricorda che Biram, l’imputato più noto, aveva messo in evidenza “il carattere selettivo” degli arresti, che hanno interessato solo i partecipanti haratine della carovana, che era stata organizzata da diverse ONG, tra cui l’AMDH (Associazione mauritana per i diritti dell’uomo), guidata da Faimata Mbaye. E’ stata forse questa sottolineatura all’origine della condanna anche di Djiby Sow alla stessa pena dei suoi coimputati. Egli era stato posto in libertà provvisoria e non appartiene certamente ad una associazione non riconosciuta e, inoltre, non era stato nemmeno interrogato dal procuratore.
Dalla sua cella, durante la carcerazione preventiva, Biram Abeid, insignito del premio ONU per i diritti dell’uomo 2013, dichiarava: “Mando questo messaggio alle autorità. Io aspiro ad essere giudicato per tutti i capi di imputazione che gli estimatori, gli schiavi della falsa testimonianza, i razzisti e gli schiavisti inaciditi hanno senza tregua continuato ad affibbiarmi nei media di Stato, in altri media schiavisti, razzisti e nelle moschee. Noi siamo animati dallo spirito di sacrificio che ci viene dal resistere moralmente a ogni condanna, anche a morte, perché noi dedichiamo la nostra vita agli oppressi, agli umili, alla democrazia” (dichiarazione raccolta dal nostro collega Samba Camara).
Le ore e i giorni che verranno ci forniranno delle indicazioni sulla direzione che prenderanno le cose. Gli scontri seguiti alla chiusura del processo lasciano presagire un fine settimana movimentato tanto a Rosso che a Nouakchott. L’arresto prima, e poi il processo hanno già fatto scorrere fiumi di inchiostro e di saliva nei quattro angoli del globo, soprattutto in Mauritania
(1) Quello che i militanti mauritani chiamano la “schiavitù fondiaria” (esclavage foncier) non è un retaggio d’altri tempi, ma il modernissimo processo di accaparramento delle terre fertili in Africa, operato dalle multinazionali
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