ANCORA UNA STORIA DI SCHIAVITU’
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Fonte: Nouakchott Info, 19 luglio 2007 (traduzione a cura di Ossin)
ANCORA UNA STORIA DI SCHIAVITU’
Mentre le autorità politiche rendono pubbliche le linee della legge che criminalizza le pratiche di schiavitù, ecco che si assiste a dei casi che si realizzano alla luce del sole. Dei comuni cittadini che si dichiarano vittime della barbarie degli uomini (i padroni) chiedono aiuto alla giustizia che dice di non vedere niente.
Si chiama Ghayba Mint Hartane, abita in una sperduta località del Trarza che si chiama Manhar, situata a qualche chilometro da Rkiz.
Aveva certamente di che riempire la sua giornata con le varie responsabilità di una madre di famiglia ma, da due mesi a questa parte, la sua sola preoccupazione è diventata quella di far luce sul divorzio forzato di sua figlia. La storia che racconta parla di un negriero della peggiore specie che approfitta dei suoi schiavi (violenta le donne), promettendo loro le chiavi del paradiso. La credulità delle sue vittime è tale che alcune, da anni, si piegano a tutti i suoi insaziabili piaceri bestiali. Ma oggi, e grazie al sostegno morale di qualche persona di buona volontà, come l’ONG SOS-ESCLAVES, alcune osano sollevare la testa per dire: “Sono stufa dell’arbitrio e dello sfruttamento”.
Ghayba è di quelle donne che, malgrado la loro ignoranza dei testi scritti, sentono che le cose sono cambiate. Ed ha il coraggio e la temerarietà di volere la verità e di sfidare colui che ha per lungo tempo tenuta in suo dominio lei e i suoi. E’ dunque quando viene a sapere che suo genero ha divorziato da sua figlia Toueidimatt Mint Ethmane, perché il “padrone” Mohamedou Ould Baba aveva intimato allo sposo di lasciarla, costituendo la donna “sua proprietà personale”, che Ghayba ha deciso di sperimentare la reale attuazione del principio di criminalizzazione delle pratiche schiaviste nel nostro paese.
Un uomo è sempre assoggettato alla schiavitù dal lato materno. Ora, il brigante credeva di avere dei diritti di vita e di morte sulla progenie di Ghayba che fu sua schiava, prima di lasciarlo davvero. Ghayba a questo punto è andata al posto di gendarmeria per denunciare il fatto, ma questa volta ha rivelato anche tutti i segreti dello schiavista che manteneva le sue vittime in una prigione psicologica, al punto di far loro credere di poterle mandare in paradiso o all’inferno. Ma nell’inferno c’erano già: quello dei ferri invisibili con i quali le ha tenute incatenate per tutti questi anni, private della loro libertà e asservite.
Quanto a Ghayba, lei non aveva nulla da perdere e tutto da guadagnare. La sua lotta personale, non la considera solo come sua, ma anche come quella di sua figlia, di suo genero che ha lasciato la moglie sulla quale il negriero pretende di avere dei diritti.
Infatti lei combatte per tutti: presenta una denuncia, presidia l’ufficio della gendarmeria tutti i giorni. Stoica, crede alle cose che le dicono. L’attesa è lunga e finalmente, di fronte a tanta tenacità, le si confida che il suo dossier è stato trasmesso alla procura di Rosso. Non si fa pregare due volte e si reca nella capitale regionale, traffica nei dossier, perduti di vista un momento, prima di ritrovare il suo. Compare davanti al Procuratore della regione e conferma la sua denuncia contro colui che accusa di aver abusato di diverse ex schiave, di avere rinnegato la propria stessa progenie, di avere fomentato con falsi pretesti il divorzio di sua figlia. L’uomo ricercato viene catturato e condotto davanti al giudice. Lei chiede un confronto con lui, senza successo. Ma aspetta, sicura del suo buon diritto, che sarà condotta una inchiesta diligente per accertare la verità.
Ma è qui che le sue previsioni si rivelano false. L’uomo viene rilasciato senza processo e le lancia perfino la sfida di far fallire tutti i suoi sogni di liberazione.
Per evitare di perdere la faccia e la sua lotta, Ghayba ha abbandonato tutto per venire a Nouakchott e sensibilizzare le autorità, i militanti per i diritti dell’uomo e l’opinione pubblica nazionale sul totale statu quo che si mantiene nella sua località, non lontana da Rkiz. Sarà ascoltata?
I suoi sperano che il suo disperato appello non cada in orecchie sorde e che sia fatta luce per mettere fine alle pretese di Mohamedou. Altrimenti a che serve di promulgare leggi se gli uomini le calpestano ogni giorno.
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Legge di criminalizzazione - Il dibattito tra le ONG
Nouakchott Info – 9.7.2007
di Bakari Guèye
Con la questione dei rifugiati, che fa attualmente versare molto inchiostro, la soluzione del problema della schiavitù in Mauritania occupa il dibattito politico. Con le ultime misure giudicate positivamente, prese dalle Autorità che hanno innestato un processo promettente e l’ultimo discorso del Capo dello Stato, le cose sembrano ben avviate. Dal canto suo anche la società civile fa la sua parte. E’ in questo quadro che conviene trattare della “Giornata di concertazione per una strategia di sradicamento delle pratiche schiaviste in Mauritania”, organizzata questa domenica da SOS- Esclaves, in collaborazione con l’AMDH, il FONADH e il settimanale “La Tribune”. I numerosi partecipanti ai lavori si sono confrontati con un programma piuttosto denso, comprensivo, tra l’altro, della esposizione dei risultati dell’inchiesta sulla Schiavitù e due seminari, uno sulla natura delle misure da prendere per sradicare la schiavitù e l’altro sulla questione: Quale strategia globale per lo sradicamento della schiavitù?
Nel documento conclusivo dell’inchiesta nella quale si è fatto il punto sulla schiavitù in Mauritania, viene sottolineato che la Mauritania è un paese multietnico con una popolazione molto gerarchizzata. Questa stratificazione sociale è segnata dall’esistenza di fasce nobili, di tributari e di schiavi. La schiavitù – si legge – esiste in seno a tutte le componenti nazionali ma si concreta in pratiche diverse a seconda delle componenti sociali. Questa tara sociale resiste fino ai giorni nostri, quando pure si può notare una evoluzione conseguente alle drastiche condizioni ecologiche determinate dalla siccità ricorrente che regna nella zona del Sahel da più di trenta anni.
Le classi nobili della società arabo – berbera sono: i guerrieri e i marabutti (stregoni); le componenti tributarie ma libere sono: Aznaga o Lahma (cortigiani), Iggawen (cantastorie), M’almine ( fabbri, ciabattini, sellai, artigiani manuali). Questi gruppi subalterni si sono quasi trasformati in caste. Presentano gli stessi tratti fisici dei nobili arabo-berberi, dai quali si distinguono pochissimo, se non per la gestualità e l’abbigliamento. Gli Haratine discendenti dagli schiavi stanno costruendosi uno statuto sociale, i cui tratti provvisori prefigurano la costituzione di una casta.
Gli schiavi occupano il livello sociale più basso nella società arabo-berbera.
L’origine della schiavitù nella società arabo-berbera è spesso attribuita alle guerre inter-tribali che permettono ai vincitori di imporre il loro dominio sugli altri. A volte questi conflitti assumono la forma di una conquista o di razzie, in seguito alle quali degli esseri umani vengono strappati alle famiglie sotto forma di bottino.
In seno alla società negro-africana, si ritrova una strategia dei fenomeni sociali identica: la differenza tra i due sistemi di schiavitù risiede nelle forme delle pratiche schiaviste.
Gli schiavi nella società negro-africana sono sul punto di essere identificati come casta soggetta ai pregiudizi negativi o positivi che conseguono alla loro posizione sociale, ma pur sempre godono della possibilità di disporre di un bene e di lasciarlo in eredità. Nella società negro-africana si riscontrano pratiche assai differenti le une dalle altre. La schiavitù presso gli Haalpoularen assomiglia molto a quella del sistema arabo-berbera. Tuttavia l’evoluzione verso l’emancipazione è diventata una realtà ammessa senza resistenze e sembra sempre di più una fatalità irresistibile.
Presso i Sonniké, la pratica è più rigida e soprattutto statica: fino a poco fa lo schiavo sonniké, alla sua morte, non poteva essere inumato vicino alla tomba di un nobile.
Presso i Wolof, è una realtà residuale e tende a sparire come una ideologia di oppressione. Tutt’al più ne persiste qualche traccia che attiene più a un fenomeno di prestigio sociale che a relazioni codificate tra i gruppi sociali.
I risultati di questa inchiesta condotta in talune regioni (Brakna, Trarla e il Distretto di Nouakchott) sono rivelatori e confermano la persistenza della schiavitù. In effetti, al livello della popolazione interrogata, le vittime di pratiche schiaviste sono state più numerose degli affrancati; la ricorrenza dello status di schiavo al momento della nascita è confermata dal tasso elevato di risposte positive: circa il 73%; il tasso non trascurabile di coloro che si considerano attualmente liberi rivela l’evoluzione della mentalità soprattutto nelle città, dove coloro che si considerano, de facto, liberi da costrizioni schiaviste raggiungono circa il 41%.
Per il presidente di SOS: “Di fronte a questi anacronismi, negatori della dignità umana e ostacolo sulla via della democrazia, lo Stato continua a brandire, senza tradurle in atti concreti, le sue leggi abolizioniste e la sua giurisdizione a due velocità. La parzialità è nascosta male dalla retorica dell’impotenza, da quella di lasciare tempo al tempo, ad esclusivo profitto dei padroni di schiavi. E’ per questo che è indispensabile, in questo inizio del XXI secolo, di procedere ad una eliminazione definitiva di questa pratica odiosa, su questa terra degli uomini”.
Per SOS Esclaves, bisogna impegnarsi ad applicare delle misure idonee a sradicare la schiavitù.
L’elaborazione e la messa in opera di una vera politica di sradicamento della schiavitù in Mauritania passa, secondo tale organizzazione, per:
1) Unificare il diritto – leggi e decreti – per giungere alla definizione e alla sanzione penale e civile della schiavitù: la cosa può essere realizzata attraverso un emendamento al codice penale o introducendovi una legge che criminalizzi la schiavitù;
2) Pubblicare una circolare amministrativa sul carattere illegale della pratica della schiavitù e l’obbligo, per le autorità amministrative, di tradurre davanti ala Giustizia tutte le infrazioni a questo divieto di cui vengano a conoscenza;
3) Creare un organismo nazionale incaricato di coordinare la lotta contro la schiavitù e i suoi postumi, al quale possa rivolgersi chiunque si trovi in difficoltà: occorre dotarlo di mezzi prioritari, soprattutto in materia di lotta contro la povertà, ma a vantaggio esclusivo degli schiavi e dei loro discendenti.
4) Applicare realmente la riforma fondiaria per permettere l’accesso degli ex schiavi alle proprietà in stato di abbandono o che essi lavorino regolarmente e avviare progetti educativi di massa, specialmente nelle campagne.
5) Democratizzare il credito bancario e gli strumenti per valorizzare gli sfruttamenti agricoli, così come la promozione delle opportunità, grazie ad ambiziosi programmi di qualificazione professionale.
6) Ampliare la sfera di competenza degli ispettori del lavoro all’ambito del reclutamento o delle modalità di assunzione degli ex schiavi nei confronti dei loro ex padroni, coi quali siano restati di loro spontanea volontà, nell’ambito di un rapporto lecito.
7) Informare il pubblico, su larga scala, sulle pene previste per chiunque violi le leggi che proibiscono tali attentati alla integrità personale.
8) Sviluppare, nei programmi scolastici, l’educazione al rispetto dei diritti dell’uomo e alla lotta contro la schiavitù.
9) Impegnare il magistero religioso, soprattutto l’Alto Consiglio Islamico, nel compito di spiegare e divulgare l’idea della conformità dell’abolizione della schiavitù alla Charia.
10) Diffondere, a intervalli frequenti e regolari, attraverso i media ed in tutte le lingue nazionali, programmi che insistano sull’importanza dello sradicamento della schiavitù nel paese; promuovere una giornata, una volta all’anno, di commemorazione della abolizione del 1981, in uno spirito di memoria e di pedagogia civica.
11) Sviluppare la ricerca sociologica sulle disuguaglianza degli statuti tradizionali nella società.
Bakari Guèye
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Proposta di legge per la criminalizzazione della schiavitù (emendamenti al Codice penale) di SOS ESCLAVE
Esposizione dei motivi:
La Mauritania, paese multietnico e multirazziale, ha una composizione sociale complessa e soprattutto una stratificazione sociale con caratteristiche favorevoli allo sviluppo della pratica della schiavitù nelle sue diverse forme. La schiavitù tradizionale può assumere, tra le altre, le seguenti caratteristiche:
1) essere proprietà, per nascita o per acquisto, di un’altra persona, il padrone
2) essere oggetto di commercio o di ogni altra forma di transazione a carattere gratuito o oneroso
3) non percepire un salario né essere sottoposto ad orari fissi di lavoro per incarichi domestici o agro-pastorali
4) essere assoggettato al lavoro manuale o agro-pastorale
5) non avere il diritto di ereditare
6) lo statuto di schiavo è trasmesso per eredità, dalla madre ai suoi figli
7) subire costrizioni fisiche, psicologiche ed economiche
8) essere sottoposto a controlli o restrizioni della libertà di movimento
9) essere coscienti della propria inferiorità
10) vulnerabilità della cellula familiare
Da queste forme di schiavitù discendono delle conseguenze, tra le quali soprattutto occorre citare:
1) tutti gli uomini liberi possono possedere degli schiavi
2) lo schiavo è protetto in modo insufficiente dalla legge
3) subisce punizioni corporali, insulti, umiliazioni
4) le donne possono subire abusi sessuali
5) sequestro dei figli
6) captazione di eredità
7) limitazioni alle scelte matrimoniali
8) modesto tasso di iscrizione allo stato civile
9) analfabetismo
10) restrizioni all’esercizio dei diritti civici (soprattutto il voto)
Il consolidamento della democrazia nel nostro paese passa obbligatoriamente per lo sradicamento delle disuguaglianze sociali ed economiche, in particolare quelle che abbiano natura sistemica e che portano solo dolori e sofferenze al nostro popolo.
Le diverse pratiche di schiavitù sono sopravvissute ai diversi interventi legislativi, malgrado le persistenti denunce delle vittime e delle ex vittime e le rivendicazioni popolari sostenute dalle ONG dei diritti dell’uomo e da una maggioranza di formazioni politiche che continuano a chiamare in causa autorità e opinione pubblica per l’obbligo di trovare una regolamentazione appropriata della questione, che sia conforme agli impegni assunti in campo internazionale dalla Mauritania.
La ratifica effettuata dalla Mauritania il 6 luglio 1986 della Convenzione internazionale sulla schiavitù e le pratiche assimilate avrebbe dovuto essere l’occasione per introdurre nell’ordinamento giuridico nazionale le disposizioni penali che, da un lato, qualifichino le pratiche di schiavitù come un crimine contro l’umanità e, d’altra parte, stabiliscano le relative pene.. L’approvazione della legge n. 2003-025 del 17 luglio 2007 in materia di tratta delle persone avrebbe dovuto colmare il vuoto nel codice penale introducendo delle pene appropriate per le differenti pratiche di schiavitù che persistono nel paese.
A proposito delle nuove forme di schiavitù, i principi della libertà di lavoro e di obbligo di remunerazione sono consacrati dal codice del lavoro, che vieta ogni costrizione. In effetti l’art. 5 dispone che “il lavoratore si impegna liberamente. E’ vietato il lavoro forzato, secondo cui un lavoro o un servizio viene preteso da qualcuno sotto minaccia di una qualunque sanzione e per il quale questa persona non si è resa disponibile di sua volontà”.
E’ ugualmente vietato ogni rapporto di lavoro, anche se non vi sia un contratto di lavoro, nel quale si prevede che una persona fornisca un lavoro o un servizio per il quale non si sia reso disponibile di sua propria volontà.
L’art. 319 del codice penale dispone che: “saranno puniti con la pena del lavoro forzato a tempo tutti coloro che, senza ordine dell’autorità e fuori dei casi in cui la legge lo prevede, avranno arrestato, tenuto in detenzione o sequestrato qualsiasi altra persona. Chiunque avrà messo a disposizione un luogo dove eseguire la detenzione o il sequestro subirà la medesima pena.
Saranno ugualmente puniti con la stessa pena quelli che avranno concluso un accordo avente ad oggetto l’alienazione, sia a titolo gratuito che oneroso, della libertà di una terza persona”.
L’articolo 1 della legge n. 2003-025 del 17 luglio 2003 definisce anche la tratta degli esseri umani: “L’espressione tratta delle persone designa l’arruolamento, il trasporto, il trasferimento di persone effettuato con la forza o il ricorso alla forza o alla minaccia a ad altre forme di costrizione, con la sottrazione, l’inganno, l’abuso di autorità o lo sfruttamento di una situazione di vulnerabilità o attraverso l’offerta di pagamento o altri vantaggi per ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un’altra a fini di sfruttamento”.
Tali strumenti devono tuttavia essere completati.
Le diverse forme di schiavitù costituiscono una violazione dei diritti dell’uomo in generale. L’articolo 2 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, e le costituzioni della Repubblica islamica di Mauritania, soprattutto quella del 10 luglio 1992, modificata col referendum del 25 giugno 2006, secondo la quale “i cittadini sono uguali davanti alla legge”.
Infatti le disposizioni citate consentono di evitare il diniego di giustizia, senza tuttavia riuscire a regolare in modo definitivo la repressione delle pratiche di schiavitù, che costituiva già un obbligo positivo per il 1^ Stato Mauritano, nella misura in cui l’articolo 1 della Convenzione del 1926 sulla schiavitù disponeva: “derivano necessariamente delle obbligazioni positive per i Governi, di adottare norme di carattere penale che sanzionino le pratiche di cui trattasi e di applicarle. Tali obblighi positivi impongono la criminalizzazione e la repressione effettiva di ogni atto tendente a mantenere una persona in questo genere di situazione”.
La schiavitù non è repressa dal diritto penale mauritano. Le disposizioni del codice penale, del codice del lavoro e la legge che reprime la tratta delle persone riguardano il sequestro, il lavoro forzato e la tratta delle persone. Ma non condannano tuttavia la schiavitù nelle sue pratiche tradizionali come tali, ciò che è molto più complesso e molto più gravido di conseguenze per le persone che ne sono vittime.
Il progetto di legge introduce nel nostro codice penale il crimine e il delitto di schiavitù. Permette dunque di colmare le lacune del diritto e di adempiere agli obblighi che derivano dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla schiavitù.
Le definizioni proposte per queste infrazioni si ispirano nello stesso tempo al diritto internazionale e alla legislazione nigeriana, che sembra ad oggi l’unica in Africa ad avere chiaramente corrisposto ai problemi della schiavitù nella sua forma arcaica.
I nuovi testi completano la lotta contro il reato di schiavismo e di messa in stato di servitù.
La soluzione giuridica tuttavia non può limitarsi a fornire la definizione dei reati e delle pene, deve soprattutto rendere i diritti riconosciuti più accessibili alle vittime, sia per i costi che per i termini.
Così il progetto propone di:
- attribuire competenza generale a tutti i Tribunali per far cessare in via di urgenza gli atti incriminati
- assicurare alle vittime, spesso prive di mezzi, la gratuità della procedura e l’assistenza giudiziaria, in assenza di un Organismo speciale che si occupi di ciò
- permettere alle associazioni di lotta contro la schiavitù di costituirsi parte civile nei processi relative a fatti di schiavitù
- trarre e promuovere, dalle decisioni giudiziarie definitive, le conseguenze pedagogiche, con una capillare diffusione pubblica di queste decisioni.
- Il presente progetto di legge non pretende certamente di risolvere il problema della schiavitù, la cui soluzione non è solo di ordine giuridico ma anche economico, sociale e culturale.
- La presente legge non può risolvere il problema della schiavitù e della discriminazione, la cui soluzione non è solo di ordine giuridico, ma anche economico, sociale e culturale. Essa deve necessariamente essere completata da una legge di programmazione che crei delle strutture dinamiche appropriate per l’eliminazione della schiavitù, delle sue conseguenze e ogni altra forma di discriminazione in vista della costruzione di uno stato di diritto.
Articolo 1: le presenti disposizioni sono inserite nel codice penale mauritano dopo l’articolo 319, comma primo: Crimine di schiavitù
Articolo – “La schiavitù” è il fatto o la condizione di una persona sulla quale si esercitino, in tutto o in parte, le attribuzioni del diritto di proprietà. Lo schiavo è la persona che si trovi in queste condizioni e/o abbia questo statuto. La persona di condizione servile è quella posto in una situazione che discende da una delle istituzioni o pratiche di schiavitù, soprattutto:
1) la servitù o ogni altra forma si sottomissione o di dipendenza assoluta (ereditaria o acquisita) da una persona, il padrone.
2) Tutte le istituzioni o le pratiche in virtù delle quali:
a) una donna sia – senza che la stessa abbia diritto di rifiutarsi – promessa o data in sposa mediante una contropartita in moneta o in natura versata al padrone;
b) il padrone di una persona considerata schiava abbia il diritto di cederla a una terza persona, a titolo oneroso o gratuito;
c) il padrone abbia il diritto di intrattenere relazioni sessuali fuori del matrimonio con una donna schiava;
3) Tutte le istituzioni o pratiche in virtù delle quali:
un bambino sia consegnato dai genitori o dal suo tutore o dal suo padrone o dal padrone di uno dei genitori a un terzo, contro pagamento o meno di una contropartita in moneta o in natura, in vista dello sfruttamento o del lavoro del detto bambino.
Articolo. Il fatto di ridurre o aiutare a ridurre in schiavitù altri o di incitare altri ad alienare la propria libertà o la propria dignità o quella di una persona a carico, per essere ridotto in schiavitù, è punito con la pena della prigione da dieci a trenta anni e con una ammenda da un milione a cinque milioni di ouguiyas, senza pregiudizio dei danni e interessi pagati per il risarcimento della vittima.
E’ punito con la stessa pena il fatto di un padrone o un suo complice:
1) di intrattenere rapporti sessuali con una donna sposata considerata come schiava
2) di mettere a disposizione di un’altra persona una donna considerata come schiava al fine di intrattenere rapporti sessuali
3) sottrarre bambini, considerati schiavi, per metterli in stato di servitù
La complicità, la ricettazione e il tentativo relativi alle infrazioni previste negli articoli precedenti sono passibili della pena prevista nel presente articolo.
Paragrafo secondo: del delitto di schiavitù
Articolo – Costituisce delitto di schiavitù:
1) ogni attentato all’integrità fisica o morale di una persona in ragione della sua condizione servile, ogni trattamento degradante, inumano o umiliante esercitato contro questa persona sulla base della sua condizione servile;
2) il fatto, per un padrone di percepire i frutti o i redditi derivanti da lavoro di qualunque persona di condizione servile
3) l’estorsione e il ricatto esercitato nei confronti di una persona di condizione servile;
4) il fatto, per un padrone, di percepire un tributo da una persona in ragione del diritto di proprietà esercitato su di lei;
5) la privazione di eredità legale di una persona in ragione della condizione servile sua o del defunto;
6) la privazione per le donne di condizione servile della potestà legale sui figli prevista dal codice della famiglia;
7) il matrimonio forzato o qualunque forma di ius primae noctis di un padrone nei confronti di una donna di condizione servile;
8) la privazione per i bambini di condizione servile dell’accesso alla scuola o all’educazione; l’onere della prova della non privazione incombe sul padrone e non sull’inquirente;
9) la privazione o le restrizioni di accesso per gli adulti di condizione servile alla proprietà della terra;
10) la privazione o le restrizioni per gli adulti di condizione servile alla proprietà di ogni altro bene;
11) le parole ingiuriose, umilianti o degradanti tenute in pubblico o dimostrate e che si riferiscano alle origini sociali, razziali, etniche dei cittadini e ogni produzione culturale e artistica che faccia l’apologia di questi riferimenti
Articolo - Ogni pratica discriminatoria fondata su delle considerazioni razziali, sociali o etniche tendente a sopprimere l’uguaglianza tra i cittadini o a privare una persona di un diritto è passibile della pena prevista dalla presente legge per i delitti di schiavitù.
La sanzione è aggravata quando i fatti o le parole discriminatorie o ingiuriose sono imputabile ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.
Articolo – ogni persona riconosciuta colpevole di un delitto di schiavismo sarà punita con la prigione da un anno a tre anni e con una ammenda da 500.000 a 1 milione di ouguiyas.
Il tentativo e la ricettazione sono passibili della pena prevista nel capoverso precedente.
Articolo – Le circostanze sono aggravanti e dunque le pene stabilite contro gli autori di delitti e crimini previsti nella presente legge sono quelle massime in tutti i casi in cui vi sono più vittime.
Paragrafo terzo: regime comune
Articolo – I bambini posti in condizione servile e privati della scolarizzazione possono pretendere una indennità compensatrice.
Articolo – Tutti i Tribunali mauritani sono competenti, qualsiasi sia il luogo dell’infrazione o il luogo di domicilio della vittima o dell’autore, a far cessare la condizione servile.
Articolo – Le vittime delle infrazioni previste nella presente legge beneficiano della gratuità di tutti gli atti di giustizia e dell’aiuto giudiziario anche nei casi in cui non era inizialmente previsto.
Articolo – Tutte le associazioni regolarmente dichiarate da almeno un anno dalla data dei fatti e soprattutto quelle nel cui statuto è fissato l’obiettivo di combattere la schiavitù o le pratiche assimilate sono abilitate a costituirsi parte civile.
Articolo – Le decisioni giudiziarie definitive ed esecutorie rese in conformità della presente legge sono pubblicate e diffuse dai media più accessibili al pubblico a spese del condannato.
Articolo 2 - Tutte le disposizioni anteriori contrarie alla presente legge sono abrogate e sostituite da questa.
Articolo 3 – La presente legge e promulgata e pubblicata…