Il sequestro della coppia italiana in Mauritania
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La Mauritania tra i due fuochi delle prediche degli ulema e dei fucili dei discepoli
di Biram Abeid (militante contro la schiavitù in Mauritania, collaboratore di Ossin)
Non si hanno ancora notizie circa la sorte di Nicola Sergio Cicala e Philomen Kabouree, i due turisti italiani rapiti nello scorso dicembre in Mauritania da AlQaida in Maghreb. In questo articolo Biram Abeid ci parla delle ragioni profonde della diffusione dell’ideologia islamista in Mauritania, un paese nel quale una minoranza di arabo-berberi, portatori di un’ideologia arcaica e autoritaria, domina una maggioranza di Neri, anche attraverso la schiavitù. La Mauritania aveva conosciuto un’esperienza democratica, con il governo democraticamente eletto di Mohamed Abdellahi. Un governo che sembrava aprire nuovi orizzonti alla speranza di democrazia e che ha varato la prima legge che punisce la schiavitù. Esso è stato però rovesciato da un colpo di Stato militare, l’8 agosto 2008, per mano di un gruppo di generali guidati da Mohamed Abdelaziz, sostenuto dagli ambienti islamisti e dei governi europei. Oggi il generale Abdelaziz è capo del governo e deve pagare il conto…
La colonia Mauritania è stata creata dalla Francia nel 1903 e poi unita all’Africa Occidentale Francese (AOF), allo scopo di fare da collegamento tra i possedimenti dell’Africa dell’ovest e quelli dell’Africa del Nord. Ciò a cagione della sua collocazione geografica tra il Marocco e il Senegal e i suoi confini con l’Algeria ed il Mali.
Il 28 novembre 1960 è diventata indipendente col nome di Repubblica Islamica di Mauritania. La sua popolazione è composta da tribù arabo-berbere o maure (o ancora bidhane, che nel dialetto arabo locale vuol dire “bianchi”, in contrapposizione ai Sudanesi neri – vale a dire haratin o altri negri mauritani-). I mauri si sono imposti dopo l’arrivo dei Francesi come gruppo dominante, ponendo sotto il loro giogo numerose popolazioni servili di origine negro-africana (gli Haratin) ed etnie nere, come i Pular, i Sonniké, i Wolof e i Bambara, istallati in queste contrade da tempo immemorabile.
La Mauritania conta circa tre milioni di abitanti. Le tribù arabo-berbere che sono attualmente dominanti hanno sviluppato da secoli una lunga tradizione di fanatismo, xenofobia e di violenza confessionale, culturale e razziale.
In effetti queste popolazioni arabo-berbere di Mauritania da sempre sono animate da una fortissima aspirazione di appartenenza e collegamento agli altri popoli del mondo arabo (“Nazione araba”), che si è espressa attraverso la condivisione da parte di questi nomadi di tutte le passioni e i rivolgimenti ideologici che hanno attraversato, e attraversano, il Maghreb ed il Medio Oriente. Così, con la creazione di un partito detto nasseriano, i Mauri hanno aderito all’anticolonialismo dell’egiziano Gamal Abdel Nasser; con un locale movimento Baath, si sono collegati, al suo apogeo, all’ex dittatore iracheno Saddam Hussein; si sono anche appropriati delle prediche delle sette dei fratelli mussulmani e/o di altri rami della nebulosa salafista Jaidista.
Ma tutte queste tendenze politiche, ideologiche e religiose che attraversano l’intellighenzia dell’etnoclasse dominante si coagulao attorno a due questioni. La questione della Palestina, il sostegno della quale è percepito come un dovere religioso, nazionale e identitario. E quella concernente l’arabità e l’Islam, strumentalizzata con l’obiettivo di legittimare e rafforzare un sistema politico e sociale che schiaccia gli Haratin (dal 50 al 55% della popolazione totale) e i negri mauritani (dal 20 al 30% ), a profitto di una minoranza arabo-berbera (da 15 a 20%).
A partire da questi due conflitti, di portata sopranazionale e nazionale, l’Occidente e il mondo giudeo-cristiano sono considerati senza distinzioni come sostenitori dello Stato ebraico e come i veri aggressori della Nazione Araba e dei luoghi santi dell’Islam (Gerusalemme). Sono inoltre considerati come i principali sostenitori dei tentativi reali o supposti dei Neri e degli haratin di emanciparsi dal giogo della supremazia arabo-berbera.
Durante l’occupazione francese del territorio che oggi si chiama Mauritania (1903 – 1960), l’amministrazione coloniale ha consentito alle tribù arabo-berbere di autogestirsi con le loro regole anacronistiche, il loro stile di vita schiavista e le loro barriere culturali, tutte fondate su una interpretazione non egalitaria e oscurantista dell’Islam. Queste prerogative e privilegi, di cui hanno beneficiato soprattutto i Mauri tra tutte le altre comunità indigene della colonia, hanno rafforzato la loro chiusura verso ogni universalismo e la loro propensione alla dominazione. Sono questi i favori coloniali che le comunità svantaggiate tentano di mettere in discussione e che i mauri vogliono, alla meno peggio, salvaguardare e rafforzare e che sono all’origine delle tensioni intercomunitarie che scuotono la Mauritania.
In effetti, fin dalla sua nascita, lo Stato mauritano postcoloniale che le tribù arabo-berbere hanno ereditato dalla colonizzazione ha consacrato, nella sua Costituzione, l’Islam come religione di Stato e unica fonte della legge, interdicendo del tutto le alte cariche dello Stato ai non mussulmani.
Qualche anno dopo, l’arabo è stato decretato lingua nazionale e, nello stesso tempo, lo Stato ha manifestato una volontà egemonica ed assimilazionista, diretta a cancellare le altre lingue e culture autoctone berbere, Pular, Sonniké, Wolof e Bambara.
A partire dal 1966, è stata avviata l’arabizzazione dell’amministrazione, che ha comportato l’espulsione dalle funzioni amministrative dei quadri negro-mauritani formatisi alla scuola francese moderna, a profitto di elementi arabo-berberi usciti dalle scuole coraniche tradizionali.
Nel 1978 il primo presidente della Mauritania, Mokhtar Ould Daddah, è stato rovesciato da un gruppo di militari tradizionalisti e nazionalisti arabi stretti. Questi hanno decretato l’applicazione della Charia (la legge islamica) e accelerato l’arabizzazione. E il processo di persecuzione dei quadri francofoni e /o delle etnie non arabe ha assunto una nuova forza.
Questa politica ha raggiunto il suo culmine, tra il 1986 ed il 1991, col tentativo di genocidio delle popolazioni negro-mauritane e la demonizzazione e repressione di coloro, nelle elite Haratin (gruppi di schiavi ed ex schiavi), che si erano pronunciati contro la persistenza delle pratiche schiaviste ed altre forme di vessazione ed oppressioni che costituiscono un modello di vita per gli arabo-berberi e che traggono le loro origini nella schiavitù.
Questa epurazione etnica scatenata dallo Stato sotto la guida dei movimenti panarabisti ed islamisti si è conclusa con dei pogrom contro i neri autoctoni nelle strade della grandi città, con centinaia di esecuzioni extragiudiziarie in seno all’élite delle etnie nere, deportazione di decine di migliaia di neri nei vicini Mali e Senegal, migliaia di licenziamenti dai settori pubblici e privati ed espropriazioni di beni mobili e immobili, soprattutto di terre coltivabili. Durante questo periodo, il regime di Saddam Hussein era il principale sostenitore del governo mauritano e della sua politica di persecuzione contro i Neri.
Alla caduta del dittatore iracheno, questo potere, diretto dall’ex dittatore Maawiya Ould Sid’Ahmed Ould Taya, si è rivolto all’occidente, ha cercato di abbellire la sua immagine decretando una pseudo-democrazia e, soprattutto, stabilendo relazioni diplomatiche con Israele.
Questo nuovo orientamento della diplomazia mauritana verso lo Stato di Israele è stato accolto da una generale protesta della intellighenzia arabo-berbera. La fronda degli Ulema e degli ufficiali nazionalisti, le prediche infiammate che denunciavano la compromissione del potere col sionismo, le manifestazioni di strada ed i tentativi di putsch, a volte sanguinosi, hanno accompagnato gli avvenimenti che condurranno poi alla caduta del regime.
Nella metà del 2005, la prima azione armata realizzata da un gruppo islamista, composto essenzialmente da Mauritani, si è conclusa con la morte di 15 militari e più di 17 feriti in una caserma del Nord. Decine di islamisti, tra cui degli Imam e degli ufficiali dell’esercito, sono stati per questo arrestati, processati e imprigionati. Ma, meno di tre mesi più tardi, il 3 agosto 2005, il regime è stato rovesciato da un colpo di Stato militare.
Qualche settimana più tardi, i prigionieri islamisti, civili e militari, sono usciti dalla prigione acclamati dalla folla come eroi nazionali. Nel 2006, in occasione delle elezioni municipali e legislative, diversi ex detenuti islamisti sono stati eletti come sindaci, deputati e senatori nelle nuove istituzioni. Per contro altri, tra coloro che erano stati scarcerati, sono rimasti implicati nei mesi successivi in azioni sanguinarie in Mauritania e in Algeria. Si tratta di azioni come quelle che si sono concluse con l’assassinio di quattro turisti francesi a sud di Nouakchott nel dicembre 2007, la morte di tre militari nel Nord del paese nel gennaio 2008, l’attacco contro l’Ambasciata di Israele, l’assassinio di un residente nordamericano in pieno centro a Nouakchott, i violenti scontri tra forze dell’ordine e cellule islamiste armate a Nouakchott. Tutte queste azioni sono state rivendicate da AlQaida nel Maghreb islamico (AQMI), organizzazione sub regionale terrorista, da quel momento diretta da arabo-berberi di nazionalità mauritana, dopo il declino dell’egemonia degli algerini.
Da dove vengono i terroristi jaidisti mauritani?
Non è un segreto per nessuno che conosca la Mauritania che la mentalità dominante, l’ideologia sociale e gli opinion leader del paese (gli Imam delle Moschee e altri predicatori in occasione delle prediche del Venerdì) considerino personaggi come Oussama Ben Laden, Ayman Zawahiri, Saddam Hussein, Moulah Oumar o Oumar Hassan Al Bechir… come degli eroi venerati dall’insieme dei mauritani. Nei taxi, nei bus e anche nel chiuso delle case, i Mauritani espongono fieramente le effige di questi uomini; quartieri e località portano i nomi “simbolo” di Ghandahar, Fellouja, Bagdad…, magazzini e centri commerciali portano nomi simili, e anche ai neonati si impongono i nomi di questi “eroi” con fierezza e banalità.
Durante tutte le discussioni, il Mauritano di ogni livello sociale, si schiera in tutta semplicità dalla parte di questi “combattenti dell’Islam”.
I gruppi e gli elementi terroristi mauritani sono usciti tutti dalle scuole coraniche locali mauritane e non hanno mai, o raramente, a cagione della loro giovane età e del loro curriculum (l’età media è di 21-24 anni), viaggiato o studiato all’estero.
Di conseguenza la loro dottrina Jaidista è di fonte e origine locale e ciò si collega alla loro formazione mahadrale (da Mahadra: scuola coranica di diritto mussulmano tradizionale) ed al loro ambiente tribale e sociale oscurantista e schiavista. Sono questi i tratti caratteristici della società mauritana di oggi.
Attraverso la richiesta di riscatto per la liberazione di ostaggi, è possibile individuare la pratica tradizionale dell’economia di razzia che i nomadi arabi, berberi e tuareg hanno eletto a modello di vita e che hanno costantemente adottato nei confronti dei popoli circostanti fino alla pacificazione coloniale dei territori africani. Questa pratica è legittimata dal principio della decima, o della jizia del diritto mussulmano; questo principio applicabile ai non mussulmani in terra d’Islam venne successivamente allargato dai gruppi dominanti alle comunità conquistate o vassallizzate, mussulmane o non mussulmane.
AlQaida, branca armata della Mauritania, beneficia a più di un titolo di larghe complicità tra le popolazioni Mauritane che si sono socializzate in una xenofobia confessionale multisecolare e che va crescendo, per effetto della competizione teorica civilizzatrice tra il polo arabo-mussulmano e quello giudeo-cristiano. Questa competizione, che si è cristallizzata da decenni sulla questione della Palestina, tende ora a spostarsi sul fronte della domanda universale di democrazia e di rispetto dei diritti umani, due concetti percepiti dalle autorità politiche, sociali e religiose delle società e degli Stati arabo-mussulmani come il cavallo di Troia dell’Occidente cristiano.
E’ anche importante sapere che questi gruppi terroristi salafisti si sono distinti nella scalata dei centri finanziari. Questi attacchi diretti a conquistare un bottino sono equivalenti ad atti di guerra a scopo lucrativo nei quali gli ostaggi occidentali sono una fonte di reddito per i Jaidisti, e gli assassini e i sequestri un’azione di indebolimento dei poteri, dei regimi locali e della sicurezza dei residenti occidentali.
Bisogna ricordare che il regime del Presidente democraticamente eletto, Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdellahi è stato indebolito anche dai generali che hanno sfruttato a fondo le azioni armate che i salafisti mauritani hanno realizzato durante il primo anno del suo mandato. A questo fine il generale Mohamed Ould Abdelaziz si è avvalso dei servigi di un branco di notabili ed eletti, tradizionalmente subalterni e portavoce dei regimi militari, per sostenere l’idea di un lassismo e di una debolezza intrinseca del Presidente Abdellahi di fronte alla sfide terroriste in Mauritania. La Francia ha aderito per prima alle tesi allarmiste dell’ambizioso generale e dei suoi numerosi laudatori. L’ex potenza coloniale ha trascinato al suo seguito le adesioni euforiche della Germania e del governo spagnolo.
Dunque la prima manifestazione della nocività della branca mauritana di AlQaida è stata quella dell’assassinio della democrazia mauritana in gestazione, con la benedizione dei democratici europei. Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdellahi, primo presidente democraticamente letto nella storia della Mauritania, all’esito di un processo la cui regolarità e trasparenza sono state addirittura elogiati dalla comunità internazionale, è stato rovesciato da un trio di generali felloni l’8 agosto 2008.
Dal momento della presa del potere da parte del generale Aziz, la sezione mauritana di AlQaida ha attaccato una unità dell’esercito a Tourine, nel nord del paese, sgozzando dodici militari mauritani. Poi gli islamisti hanno intrapreso azioni temerarie come l’esplosione di un kamikaze davanti all’Ambasciata di Francia a Nouakchott, l’uccisione di un cooperante nordamericano in pieno giorno nella capitale ed il sequestro, a distanza di qualche settimana l’uno dall’altro, di tre residenti spagnoli e di una coppia di italiani.
Ma il paradosso maggiore è che il generale Mohamed Ould Abdelaziz ha adottato nei confronti delle correnti islamiste un atteggiamento molto più conciliante e lassista di quello rimproverato al presidente Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdallah. Questo atteggiamento del nuovo uomo forte di Nouakchott ha caratteri molto opportunisti perché liscia il pelo all’opinione nazionale mauritana, assai succube ai discorsi dei religiosi, soprattutto dei gruppi jaidisti. Dunque in tal modo il generale ed il suo entourage si sono guadagnati il sostegno degli ambienti religiosi o islamisti e, conseguentemente, di larghi settori della popolazione mauritana.
Allo stesso tempo il generale ha congelato le relazioni diplomatiche con Israele, riavvicinandosi in gran pompa ai regimi Libico, Sudanese e Iraniano, che costituiscono modello e riferimento per gli islamisti e gli sciovinisti mauritani di ogni tendenza. In conseguenza di questo nuovo orientamento della diplomazia Mauritana, l’Iran, il Sudan e la Libia hanno impegnato i loro alleati nel paese a sostenere la giunta militare durante i momenti più difficili dopo il colpo di Stato. Mohamed El Hacem Ould Deddew, capo spirituale della tendenza radicale del movimento salafista, ha incontrato il generale e gli ha accordato il suo sostegno. E di seguito il partito Tawassoul (la faccia legalista delle correnti islamiste) si è distaccato dal fronte dei partiti anti-putsch (FNDD: Front National pour la défense de la démocratie, fondato per contrapporsi al colpo di stato del generale Mohamed Ould Abdelaziz) per collocarsi gradualmente su una posizione di sostegno alla giunta militare. Questo voltafaccia della faccia legalista e “democratica” delle correnti islamiste ha fortemente contribuito a ridurre le speranze di vittoria delle forze democratiche alla vigilia delle elezioni del 18 luglio 2009. Elezioni vinte dal generale Mohamed Ould Abdelaziz, completando il passaggio dal colpo di stato al riciclaggio attraverso le urne elettorali, e l’occupazione da parte di alcune correnti e personalità islamiste di posizioni chiave all’interno della nuova maggioranza.
I cattivi maestri
Ma prima di terminare questo azzardato tentativo di dare un contributo alla spiegazione del fenomeno della violenza a carattere religioso o islamista, è importante sottolineare che non c’è gran differenza tra i discepoli che, galvanizzati dalla giovane età, sono passati alla pratica dell’azione armata dopo essere stati sufficientemente indottrinati dalle teorie jaidiste propinate dagli eruditi, e gli Ulema (plurale di Alem o sapiente, nella specie in materia religiosa) che, per tattica e/o per opportunismo, mantiengono un rapporto di scambio col potere politico, procurando a questo l’appoggio morale necessario in contropartita di rilevanti elargizioni materiali.
Bisogna altresì notare che la categoria dei discepoli o jaidisti non ha niente da invidiare, sul piano teorico, al gruppo degli Ulema, che invece sono confortevolmente collocati negli ingranaggi dello Stato e partecipano all’esercizio del potere.
Per meglio illustrare tale tesi, vale la pena di evidenziare i casi di Mohamed El Hacen Ould Deddew, Ahmedou Ould Lemrabott Ould Habibou Rahmane e di Hamden Ould Tah.
Il primo, Mohamed El Hacen Ould Deddew, è il capo spirituale dei Salafisti di Mauritania. E’ anche amico ed eminenza grigia del dittatore sudanese Oumar Hacen Al Bechir; negli ultimi mesi ha emanato una fatwa (ordine giuridico di carattere sacro) secondo la quale tutti i mussulmani sono tenuti a sostenere Oumar Al Bechir contro la Corte Penale Internazionale sotto pena di scomunica. E’ molto vicino all’attuale Presidente Mohamed Ould Abdelaziz, del quale ha sostenuto il colpo di stato dell’agosto 2008. In cambio ha ottenuto che il generale liberasse gli uomini d’affari incarcerati per avere stornato diverse decine di migliaia di dollari dalla Banca Centrale Mauritana.
Ahmedou Ould Lemrabott Ould Habibou Rahmane è l’imam della moschea centrale di Nouakchott; è stato, tra i membri del clero, il più zelante sostenitore del putsch del generale Mohamed Ould Abdelaziz. Nel corso di tutta la crisi politica succeduta al putsch dell’agosto 2006, questo tribuno senza pari ha dedicato tutte le sue prediche trasmesse dalla radio e dalla televisione nazionale ad attaccare l’opposizione che accusava di essere “smarrita e anti-islamica a causa della sua alleanza con i democratici satanici, l’Occidente e le Nazioni Unite, gli empi (Kafr) e i crociati”. Dopo la vittoria del suo candidato e la nomina del nuovo governo, Ould Habibou Rahmane ha denunciato in una predica virulenta il colmo del sacrilegio, consistente secondo lui nell’avere nominato una donna come Ministro degli Affari Esteri in un paese islamico.
Hamden Ould Tah, da parte sua, è il presidente dell’Associazione degli Ulema Mauritani; è noto per le sue posizioni assai critiche nei confronti del sistema democratico e del suffragio universale. Secondo la sua teoria che diffonde attraverso conferenze trasmesse dai media statali, gli uomini si dividono in due categorie: khawas ennas e awam ennas. I Khawas Ennas sono i dignitari, le autorità morali, insomma le persone che hanno un nome, una minoranza di “ben nati” e gli Awam Ennas sono la gente del popolo, il popolino, le persone ordinarie, quelle che non hanno un nome importante. Secondo Ould Tah, solo i primi hanno diritto di partecipare alla gestione degli affari di Stato. Allo stesso modo Hamden Ould Tah condanna il sistema democratico, facendo l’apologia della forza e della violenza come le sole fonti legittime del potere secondo il diritto mussulmano. Egli esalta continuamente la schiavitù e ultimamente, nel corso di un’intervista largamente diffusa dai giornali mauritani, ha dichiarato che la schiavitù ha prodotto cose molto buone. Tra queste anche la buona riuscita degli ex schiavi USA, uno dei quali (Barak Obama) è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti.
La Mauritania è dunque più che mai stretta nella tenaglia di due fuochi, tra le prediche e i discorsi degli Ulema che rappresentano la legittimità e una parte stessa del potere politico, e i fucili dei giovani discepoli che, imbevuti di questi discorsi, hanno abbandonato le pratiche teoriche per perseguire, con la violenza fisica, ciò che la violenza verbale e ideologica degli Ulema non riesce ad ottenere.