Siccità nel nord Niger
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Air Info n. 112 dal 1 al 15 luglio 2010
Siccità nel nord Niger. Quando il bestiame degli uomini è in pericolo, le donne piegano le tende
Contribuendo con un 14,6% al PIL nazionale del 2008, l’allevamento pesa fortemente sullo sviluppo economico del Niger. Costituisce la seconda voce di esportazione del paese dopo l’uranio. Ma oggi questo settore va male
E giustamente! Secondo le statistiche del ministero dell’allevamento e delle industrie animali a Niamey, la capitale, il deficit foraggero registrato quest’anno in Niger è di oltre 16 milioni di tonnellate di materie secche. Questa situazione pone in pericolo la sopravvivenza di circa il 65% del bestiame nigerino. Dipendente da un’alea climatica chiamata pluviometria, che né gli uomini di Stato né le loro politiche sono in grado di dominare, il settore dell’allevamento in Niger è in agonia. A Agadez, regione del Niger, è tale il calvario che c’è chi leva le tende e chi se ne va e i più resistenti piombano piano piano ma inesorabilmente nella disperazione. Cronaca di uno dei più grandi drammi che la regione di Agadez ha conosciuto. Reportage.
Dopo una cattiva pluviometria registrata nel 2009, la regione di Agadez si è ritrovata con un deficit cerealicolo dell’ordine di 87.361 tonnellate e un bilancio foraggero deficitario dell’ordine di 213.037 tonnellate di materie secche, stando ai dati forniti dal governatore della regione, il colonnello Garba Yayé. Nelle case le provviste di miglio sono da tempo finite. Le banche cerealitiche dei villaggi, svuotate da diverse settimane, restano ancora – nonostante gli sforzi e le richieste di aiuto dei comitati di gestione – disperatamente vuote.
L’erba che era spuntata durante le rare piogge dell’anno scorso non è stata risparmiata. E come si sarebbe potuto col numero impressionante di animali che giungeva dappertutto. Al mercato del bestiame di Agadez, gli allevatori interpellati da Air Info erano disperati. Costretti a vendere i loro cari animali, compagni di una vita, testimoni di una storia tanto intima: quella di una famiglia. E a quale prezzo? Il macellaio del posto dice sempre la stessa cosa: “Sono venuto a cercare qualche montone, ma non ne ho trovati. Sono tutti magri. Aspetto le donne della città che qualche volta vengono qui a vendere degli animali. Quelli che arrivano dalla brousse (campagna) sono dei morti-viventi. Io non li pago quasi più niente”, afferma Ado, conosciutissimo al mercato del bestiame. E tuttavia, qualche minuto dopo, lo vediamo discutere il prezzo di un montone che un peul (appartenente al gruppo etnico omonimo) aveva appunto portato dalla brousse. “E’ rarissimo che Ado paghi un montone a più di 3.500 franchi CFA (poco più di 5 euro)”, ci confida un dillali – un intermediario – tra allevatori e acquirenti. Per non vederli morire tutti, Hassane, un peul di Fidouk, un villaggio situato nel comune rurale di Ingall, accetta di vendere i suoi due montoni allevati al prezzo di mille e un sacrificio! Non ci guadagna niente, ma non perde nemmeno niente, perché tutto considerato “se li riporto con me nella brousse, essi moriranno come gli altri. E’ la fine del mondo! E’ finita! – dice - Ho perduto tutto, davvero tutto. Non mi resta più niente!” “La siccità mi ha preso tutto quello che ho di più caro al mondo”, spiega Hassane, pieno di amarezza. Lo stesso sconforto lo troviamo in Tanko, un allevatore originario di Kirboubou, non lontano dal comune urbano di Agadez. “Non è possibile citare un solo allevatore da noi che non abbia perduto almeno una ventina di capi di bestiame! Sono tutti morti davanti a noi! Io sono venuto qui perché ho sentito dire che ci sono dei Bianchi che acquistano gli animali a dei prezzi ragionevoli e che vi aiutano anche a curarli perché non muoiano di malattia. Purtroppo però non li ho trovati”.
Ghabdou, un allevatore di Tiruirwit, nel comune di Ingall, è il solo che non sembra rattristato da quello che succede. Dice di aver previsto tutto e ogni volta che ne ha bisogno porta qualche capo di bestiame al mercato “per venderli e comprare della carne, del sale e dei viveri per la famiglia. E’ una scelta dura, lo so, ma sono obbligato a venderli per proteggere gli altri”. Llagamo ha un’altra ragione: “Vendo questi animali prima che arrivino le piogge, perché se arrivano, potrebbero essere più nefaste per noi della siccità”.
Informazioni fornite dal Servizio di allevamento ad Air Info confermano che “le prime piogge cadute in certe zone della regione di Agadez hanno provocato enormi danni decimando il bestiame. E’ il caso di alcuni villaggi nei comuni di Gougaram, di Ingall e di Tchirozérine”.
“E’ l’ecatombe!” esclama Mahamane Ousmane detto Jaho, un allevatore peul che viene da Touhoumounte, un accampamento sito nel villaggio di Tchintaborak.
Lontano dalle telecamere e dai microfoni, gli allevatori del nord Niger piangono oggi il loro bestiame decimato da lunghi mesi di siccità e gli ultimi capi di bestiame che costituivano la speranza di una ripresa, che sono stati loro strappati dalle prime improvvise piogge. “E’ l’ecatombe!” esclama Mahamane Ousmane detto Jaho, un allevatore peul che viene da Touhoumounte, un accampamento sito nel villaggio di Tchintaborak. “E’ veramente da tanto tempo che non si vedeva una simile situazione” confida un vecchio dall’alto dei suoi settanta anni. Come per confermare queste parole, Mahaman, un giovane di trent’anni di passaggio a Assamaka, dice a Air Info: “Ero partito per andare a trovare la mia famiglia dopo più di un anno di lontananza. E ho visto quello che i miei occhi non avrebbero mai voluto vedere: cadaveri di animali che giacevano nei letti dei laghi. Gli allevatori non hanno più risorse, anche se tornano le piogge. Hanno perduto tutto. Perfino la speranza. Passando davanti allo stagno di walat Aderbissanat, per esempio, ho dovuto turarmi il naso per non sentire l’odore putrido di animali in decomposizione. Sono stato male, molto male durante il mio soggiorno”.
Sulla strada che porta ad Aderbissanat, un grosso villaggio sito a sud di Agadez, lo spettacolo è crudele. Gli accampamenti si sono quasi svuotati. I giovani sono quasi tutti partiti per il sud, più precisamente verso Kaduna, in Nigeria, per offrire i loro servizi nei servizi di guardiania. Solo qualche bambino cammina ai bordi della strada. Al passaggio del nostro veicolo, tendono la mano verso di noi gridando: “Aman! Aman!”, che vuol dire in amache: “Acqua! Acqua!”. Dopo aver diviso con loro la nostra provvista d’acqua, abbiamo saputo che due di essi sono scolari alla scuola del villaggio di Tiguidit. Rimpiangono la scuola, che ha chiuso per le vacanze. Almeno lì avevano di che mangiare. Due allevatori prostrati, tutti pelle e ossa, che seguono lentamente dei capi di bestiame che beccheggiano più che camminare, si avvicinano. Uno di loro si lascia andare, felice di parlare, felice di condividere: “Non c’è niente da fare per noi. Non vogliamo restare qui e io penso che oramai è finita. Gli animali sono stanchi e anche noi. Se ci rassegniamo a restare, rischiamo di morire insieme a loro su queste strade deserte”. Abalama è un villaggio di allevatori con qualche negozio sui bordi della strada. Qui il dramma è tale che gli allevatori non vogliono nemmeno parlarne. Discrezione o fatalismo? Tutti e due forse.
“Michinan” (Dio ha voluto così), Allora sia fatta la sua volontà”, mormora Mouhamed, un allevatore smarrito davanti alla tragedia. Anche se lui non conferma, il suo vicino Moussa è stato più loquace: “Ha perduto più di una cinquantina di bestie giovani. Non vuole parlarne perché pensa che Allah si è ripreso quello che gli aveva dato”, poi aggiunge: “Dite al gomnati (Stato) che abbiamo tutti bisogno di aiuto qui”.
Quel poco d’erba che ancora c’era qualche mese fa oramai è sparita. La riserva di foraggio di Toumboulaga è stata svuotata da commercianti loschi. “Vediamo questa gente rubare tutto il foraggio. Non lasciano niente. Io ho personalmente parlato con le autorità perché queste pratiche venissero fermate, ma ahimè non è stato fatto niente”, racconta desolato Ardo Magoga. “Perfino la crusca di miglio o di sorgo è stata accaparrata da commercianti ricchi e stoccata”, aggiunge Moagoga infuriato.
Il male di alcuni diventa la fortuna di altri
Effettivamente, per quanto ci risulta, una grande quantità di foraggio è stata stoccata in alcune case di Aderbissanat. Dei talibé (alunni delle scuole coraniche utilizzati per chiedere la carità e altri lavori umili), venuti per la maggior parte dal Sud, sono stati utilizzati da alcuni commercianti per la questua del foraggio. Sono stati raccolti grossi quantitativi di foraggio e accumulati nelle case. E adesso essa viene rivenduta a prezzi inaccessibili per i poveri allevatori del luogo. I prezzi continuano a crescere mano mano che la siccità si aggrava. Un fascio d’erba che in tempi normali si vendeva a centro franchi CFA, oggi non costa meno di tre o quattrocento franchi CFA.
Si dà la colpa alla siccità quando si rompono dei rapporti o si litiga
Nelle angosce che nascono dalle privazioni, si rompono dei rapporti, nascono litigi per la raccolta delle acque dai pozzi e le aree di pascolo invase dagli allevatori che non sanno più dove andare. Con la rarefazione dei punti d’acqua, il loro controllo è diventata un’impresa difficile per le autorità municipali e tradizionali. Elhadji Boha, capo del gruppo Kel Ferwan, osserva e mitiga gli umori dei suoi amministrati: “E’ difficile, lo so, ma bisogna pregare Dio perché quest’incubo finisca!”
Lamido Birgi, capo del gruppo peul Kaskassawa di Aderbissanat dice che a causa di questa siccità prolungata succede che scoppino “delle risse vicino ai pozzi e che la gendarmeria sia costretta ad arrestare i rissanti. Io credo che se vi fosse acqua in quantità sufficiente, questo non succederebbe”. “E’ lo stress da siccità che non fa sconti”, aggiunge il capo peul.
“Dio è arrabbiato con me!” afferma laconicamente Ballah, un giovane allevatore che non capisce più quello che sta succedendo
Per Ballah, questa siccità che non finisce mai lo ha lasciato in mutande: “Anche mia moglie mi ha lasciato per tornare a casa dei genitori. Ha sopportato tutto e alla fine, stanca di passare giornate intere senza mangiare ed a sollevare le vacche stanche che cadono a terra, ha preso i nostri due figli e se ne è andata”. “Dio è arrabbiato con me”, afferma laconicamente Ballah, un giovane allevatore che non capisce più quello che sta succedendo
Aspettando soluzioni durevoli, c’è veramente urgenza
Niamey, la capitale, fa del suo meglio per correre in aiuto a questi allevatori, ma i suoi modesti sforzi si scontrano con l’immensità dei bisogni sul piano nazionale. Le conclusioni di una inchiesta di vulnerabilità, accuratamente svolta nel dicembre scorso, testimoniano della ampiezza del pericolo giacché circa 3.500.000 persone sono state dichiarate in situazione di insicurezza alimentare grave o media. Lo studio del governo sulla nutrizione infantile ha rivelato che il tasso globale di malnutrizione acuta ha toccato il 16,7% dei bambini di meno di cinque anni, mentre nel 2009 era del 12,3%. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha fissato al 15% la soglia di urgenza. Ma, malgrado tutto, si stanno per avviare degli interventi urgenti. Si tratta soprattutto di operazioni di cash for work (letteralmente: soldi in cambio di lavoro), realizzate nelle sacche di insicurezza alimentare individuate attraverso le zone vulnerabili; la vendita di cereali a prezzo controllato; gli aiuti con sementi e carne; la presa in carico di bambini malnutriti ed altre attività che mirano a trattenere le braccia valide, prima che prendano la strada dell’esilio. Le rare organizzazioni umanitarie come il CICR fanno anche loro del loro meglio per cercare di salvare il salvabile nelle zone di Arlit e di Agadez. Dopo l’ascesa al potere del generale di corpo d’armata Salou Djibo, il Niger ha lanciato un appello al soccorso. Ahimè, la comunità internazionale non l’ha ancora ascoltato! Dall’est all’ovest, dal sud al nord, il paese va male e si impantana a poco a poco nell’incubo.
Dossier realizzato da Ibrahima Ag Abouhamis e Ibrahim Manzo Diallo