Come un safari: soldati israeliani in jeep danno la caccia ad un adolescente palestinese e lo uccidono con un colpo alla testa
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Haaretz, 9 febbraio 2018 (trad.ossin)
Come un safari: soldati israeliani in jeep danno la caccia ad un adolescente palestinese e lo uccidono con un colpo alla testa
Gideon Levy
Un ragazzo che gettava pietre contro le jeep militari è stato punito: un soldato l’ha ammazzato. E’ la terza volta nelle ultime settimane che i soldati mirano alla testa di chi lancia le pietre
Il campo dell’esecuzione sommaria del piccolo Laith Abu Naim è un terreno abbandonato nel remoto villaggio di Al-Mughayyir, a nord di Ramallah. Qualcuno ha tentato un tempo di costruirvi una casa, ma non è andato oltre un muro di sostegno e qualche sbarra di ferro che si allunga inutilmente verso l’alto. Il ragazzo è corso tra queste sbarre per salvarsi la vita, inseguito da due jeep blindate delle Forze di difesa israeliane. La caccia è terminata quando si è aperto sportello di uno dei due veicoli e un soldato ha puntato il fucile dritto sulla fronte di Laith a una distanza di 20 metri. Ha sparato un colpo, ammazzando l’adolescente, proprio come un animale braccato e abbattuto durante un safari.
Un ragazzo di 16 anni che sognava di diventare portiere di calcio ha gettato pietre contro una jeep ed ha subito la punizione da parte di un soldato: l’esecuzione, forse per dargli una lezione, forse come vendetta. La pallottola di acciaio rivestita di gomma ha colpito esattamente il punto preso di mira – la fronte del ragazzo, al di sopra dell’occhio sinistro – e ha ottenuto il risultato voluto: Laith è caduto a terra ed è morto poco dopo. L’eccellente tiratore scelto delle FDI avrebbe potuto mirare alle gambe, usare dei gas lacrimogeni o tentare di arrestarlo in altro modo. Ma invece ha scelto, secondo quello che sembra essere diventato un protocollo quasi standard nelle ultime settimane, di sparargli un colpo direttamente in testa.
E’ così che i soldati hanno sparato contro due ragazzi di nome Mohammed Tamimi, uno di Nabi Saleh, l’altro d’Aboud, ferendoli gravemente. Il secondo è ancora ricoverato in gravi condizioni in un ospedale di Ramallah; il primo, con parte del cranio mancante, si sta rimettendo a casa sua.
Laith Abu Naim riposa adesso nel cimitero del suo villaggio.
Il campo dell’esecuzione si trova nella piazza principale di Al-Mughayyir, quasi del tutto vuota, a parte una drogheria. Il proprietario, Abdel Qader Hajj Mohammed, di 70 anni, è stato testimone oculare dell’omicidio. Due amici di Abu Naim erano con lui ma non hanno visto il momento dello sparo – si erano gettati lungo la strada sterrata che scende dalla piazza verso le case del villaggio. I due scolari, Majid Nasan e Osama Nasan, due ragazzi magri di 16 anni, testimoniano oggi dinanzi a un ricercatore della Croce Rossa Internazionale, Ashraf Idebis, venuto con un collega europeo ad indagare sulle circostanze dell’assassinio del 30 gennaio.
I due ragazzi portano entrambi una camicia blu sulla quale è stata stampata la foto del loro amico morto, e due kefiah che avvolgono le spalle. Sul loro volto, non più del tutto imberbe, sono ancora impressi i segni del trauma subito. Il banco dove sedeva in classe Laith è vuoto, e i suoi amici gli hanno messo sopra una sua foto, come se stesse ancora con loro. Domenica scorsa, una cerimonia commemorativa si è svolta nel cortile della scuola.
E’ un villaggio povero di 4 000 abitanti che vivono principalmente di quel che resta dell’agricoltura, circondati come sono da colonie e da avamposti di colonie, la cui espansione in questa regione – la valle di Shiloh – è stata particolarmente selvaggia. La località palestinese vicina, Turmus Ayya, è ricca: alcune case sono ville di lusso, che sono però chiuse: i loro proprietari vivono in esilio negli USA.
I due amici di Abu Naim e il proprietario della drogheria raccontano una storia quasi identica su quel che è successo martedì scorso.
Nel pomeriggio, qualche decina di bambini e di adolescenti di Al-Mughayyir si è diretta verso Allon Road, a circa un chilometro dal centro del villaggio, dove ha gettato pietre e dato fuoco a qualche pneumatico. Da quando il presidente USA Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele a dicembre, vi sono scontri quasi quotidiani, anche in questo villaggio assediato.
Quel giorno, le forze israeliane hanno respinto i giovani con l’aiuto di gas lacrimogeni, e due jeep si sono gettate al loro inseguimento mentre battevano in ritirata verso il villaggio. La maggior parte dei giovani si è dispersa in tutte le direzioni. Laith è rimasto quasi solo nel campo di fronte alle jeep. Aveva deciso di gettare un’altra pietra contro i veicoli prima di scappare. E’ avanzato tra i ferri della costruzione verso la jeep che si era fermata dall’altro lato, ha gettato la pietra e si è messo a correre. Hajj Mohammed, della drogheria che affaccia sulla piazza, dice che uno dei soldati, probabilmente quello che sedeva sul lato passeggero, ha aperto lo sportello, ha puntato il fucile e ha sparato un solo colpo.
Sulla piazza c’è il relitto di un veicolo commerciale che apparteneva a Leiman Schlussel, un distributore di dolci in Israele, ora ridipinto in marrone e usato per la vendita di falafel. Quando abbiamo visitato il sito lunedì, le portiere dell’automobile erano chiuse con un catenaccio. Sembra che Laith abbia tentato di ripararsi dietro quel vecchio relitto, ma non ce l’ha fatta.
Saliamo sul tetto dell’edificio dove si trova la drogheria, e alcuni appartamenti non completati. Osserviamo l’arena: Allon Road, gli insediamenti e gli avamposti circostanti, inclusi Adei Ad e Shvut Rachel, e il cantiere abbandonato con i ferri che si allungano inutilmente.
Dove è caduto Abu Naim, la terra è ancora macchiata di sangue e tutto intorno ci sono frammenti di poster con la sua foto stampata. Secondo il droghiere, il soldato che ha sparato si è avvicinato poi all’adolescente morente e lo ha girato col piede, forse per verificare le sue condizioni. I soldati hanno ordinato al droghiere di rientrare nel suo magazzino e di chiudere. Se ne sono andati senza soccorrere la vittima. Un taxi ha trasportato poi il ragazzo alla clinica di Turmus Ayya, da dove è stato poi trasportato in una ambulanza palestinese all’ospedale governativo di Ramallah.
Un grande poster con la foto di Laith, insieme a striscioni di organizzazioni palestinesi, ora è appeso sulla facciata dell’edificio incompiuto, vicino al punto in cui è caduto. Il giorno in cui venne ucciso, raccontano i suoi due amici, ha lasciato la scuola verso le 10, perché non si sentiva bene. Lo hanno incontrato di nuovo verso le 16, nella piazza del villaggio. Non ha partecipato al lancio di pietre vicino ad Allon Road, unendosi ai manifestanti solo quando hanno raggiunto la piazza.
Il nonno di Abu Naim ci ha detto poi che Laith doveva andare a Turmus Ayya per giocare a calcio. Uscendo di casa, il pomeriggio, aveva con sé la sua borsa di sport. La borsa non è stata trovata, e si pensa che qualcuno se l’è forse presa come « souvenir ».
La casa della sua famiglia è ai margini del villaggio. La madre di Laith, Nora, è morta di cancro quando aveva 26 anni e Laith 2 anni. Suo padre, Haitham Abu Naim, si è risposato e si è trasferito a Beit Sira, un villaggio a ovest di Ramallah. Laith è stato allevato dai nonni paterni Fat’hi et Naama, nella casa che adesso visitiamo con Iyad Hadad, un ricercatore sul campo dell’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem.
Solo all’età di 10 anni hanno detto a Laith che la madre era morta. Prima pensava che i nonni fossero i suoi genitori. Anche dopo ha continuato a chiamare sia il padre che il nonno « papà », usando espressioni diverse: « Yaba » per il nonno, « Baba » per il padre.
Haitham lavora per una società di infrastrutture a Modiin. Vedeva Laith tutti i week-ends, quando il ragazzo andava a Beit Sira. Ha visto suo padre per l’ultima volta quattro giorni prima di essere ucciso. In quel giorno fatidico della settimana scorsa, la zia di Laith ha telefonato a suo padre per dirgli che il ragazzo era stato ferito. Haitham si è precipitato all’ospedale di Ramallah, dove ha visto i medici tentare vanamente di salvare la vita di suo figlio.
«Gli abbiamo dato tutto», spiega Fat’hi, il nonno di Laith. Fat’hi ha studiato cucina a Tadmor, la veterana scuola di gestione alberghiera a Herzliya; la firma di Rehavam Ze’evi, l’ex generale di Tsahal, all’epoca ministro del turismo (ed è stato assassinato nel 2001), figura sul suo diploma. Fino a poco fa Fat’hi, che ha 65 anni, lavorava come cuoco all’hotel Métropole di Gerusalemme.
Qualcuno porta i guanti da portiere di Laith – verdi e bianchi e consunti dall’uso. Gli piaceva farsi fotografare; suo padre ci mostra delle foto. Era un bel ragazzo coi capelli neri che gli si riversavano sulla fronte. Eccolo allo scivolo d’acqua di Al-Ouja. Era il portiere della squadra della scuola, tifoso del FC Barcellona, e gli piaceva anche nuotare. Come tutti i bambini di questa regione, l’unica spiaggia che ha mai visto è quella del Mar Morto.
Il nonno dice che tutte le volte che c’erano scontri a Al-Mughayyir, usciva per riportare il ragazzo a casa. Non lo ha fatto martedì scorso, perché pensava che Laith stesse giocando a calcio. L’unità dei portavoce di Tsahal ha dichiarato questa settimana, rispondendo a una richiesta di Haaretz: «Il 30 gennaio vi sono stati violenti manifestazioni con la partecipazione di una trentina di Palestinesi, che hanno bruciato degli pneumatici e gettato pietre sui soldati di Tsahal che si trovavano vicino al villaggio di Al-Mughayyir. I soldati hanno risposto con mezzi per disperdere le manifestazioni. Conosciamo l’ affermazione che un Palestinese sarebbe stato ucciso. La polizia militare ha aperto un’inchiesta, le cui conclusioni saranno trasmesse all’unità dell’avvocato generale militare».
Fat’hi, il cui volto è tutto uno sconforto, chiede: « Esiste un altro esercito nel mondo che, dopo avere sparato su qualcuno, gli mette un piede sul corpo? Gli hanno sparato a sangue freddo per ucciderlo. E’ stata un’esecuzione, un assassinio. Avrebbero potuto arrestarlo, ferirlo, ma non ucciderlo. Uccidere un Palestinese non è niente per loro. Non hanno alcun sentimento umano. L’ufficiale che ha sparato non ha figli? Ha visto che Laith era un ragazzo come i suoi figli? I soldati hanno perso ogni ritegno. Ogni soldato può ammazzare chiunque secondo l’umore ».
Poi ci mostrano altre foto sul cellulare del padre. Ecco Laith che fuma un narghilè con degli amici; ecco i funerali. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha telefonato e migliaia di persone hanno partecipato, e questo è stato un motivo di conforto per la famiglia.