ProfileLe schede di Ossin, marzo 2016 - Che cosa spinse il presidente George W. Bush a invadere l'Iraq nel 2003? (nella foto, l'improvvido annucio del presidente Bush il 1° maggio 2003, a bordo della portaerei USS Abraham Lincoln)

 

Le Schede di Ossin
 
La Guerra in Iraq del 2003, ovvero “la guerra di Sharon”
 
Questa scheda è quasi integralmente saccheggiata dal saggio di John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt - "La Israel Lobby e la politica estera americana", Mondadori 2009
 
La decisione presa dall’amministrazione di Bush junior nel 2003, di spodestare Saddam Hussein, è apparentemente incomprensibile. E’ vero, si trattava di un tiranno brutale con ambizioni preoccupanti, fra le quali il desiderio di procurarsi armi di distruzione di massa; ma la sua stessa incompetenza aveva posto questi pericolosi obiettivi al di fuori della sua portata. Il suo esercito era stato duramente sconfitto nella guerra del Golfo del 1991, e ulteriormente indebolito da dieci anni di sanzioni delle Nazioni Unite. Di conseguenza, la potenza militare dell'Iraq - che non è mai stata impressionante, se non sulla carta - nel 2003 era ridotta a nulla o poco più. Accurate ispezioni delle Nazioni Unite avevano reso inefficace il programma nucleare iracheno e, alla fine, indotto lo stesso Saddam a smantellare il proprio arsenale batteriologico e chimico. Non esistevano prove convincenti di un legame fra Saddam e Osama bin Laden (anzi, i due erano reciprocamente ostili); e il terrorista arabo, con i suoi accoliti, aveva trovato rifugio in Afghanistan o in Pakistan, non in Iraq. Eppure, immediatamente dopo l'11 settembre, quando tutti si aspettavano che gli Stati Uniti si concentrassero in maniera assoluta ed esclusiva su al-Qaeda, l'amministrazione Bush decise di invadere un paese già distrutto, che non aveva niente a che fare con gli attacchi al World Trade Center e al Pentagono, e che era già efficacemente sotto controllo.(1)
 
"Mission accomplished", l'improvvido annuncio della vittoria del presidente Bush il 1° maggio 2003, a bordo della portaerei USS Abraham Lincoln 
 
Il mistero si risolve, tuttavia, quando si analizzino i motivi di fondo della decisione di intervenire in Iraq, che poco hanno a che vedere con la “guerra ad Al Qaeda”, e molto con l’intento di approfittare della straordinaria occasione costituita dagli attentati dell’11 settembre per rafforzare la posizione di Israele in Medio Oriente. 
 
E ci sono attestazioni sufficienti circa l'importanza del ruolo rivestito da Israele e dai gruppi filoisraeliani negli Stati Uniti (e particolarmente dai neoconservatori) nella decisione di invadere l'Iraq. Philip Zelikow, membro del Foreign Intelligence Advisory Board del presidente (2001-03), direttore esecutivo della Commissione sui fatti dell'11 settembre e consigliere del segretario di Stato Condoleezza Rice (2005-06), il 10 settembre 2002 ha dichiarato davanti a una platea della University of Virginia che Saddam non rappresentava una minaccia diretta per gli Stati Uniti. «La vera minaccia» affermava allora «è quella contro Israele.» E continuava dicendo «e questa è una minaccia di cui non si osa fare il nome, perché gli europei non ne sono particolarmente preoccupati ... e il governo USA non vuole farvi riferimento troppo apertamente, perché non sarebbe facile farla accettare». (2) Nell'agosto 2002 il generale Wesley Clark, ex comandante della NATO e candidato alla presidenza, ha detto che «anche chi è favorevole a un attacco immediato vi direbbe candidamente, ma in privato, che è probabilmente vero che Saddam Hussein non rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti. Ma esiste il timore che, una volta procuratosi un ordigno nucleare, lo possa usare contro Israele» (3) Nel gennaio 2003 un giornalista tedesco ha chiesto a Ruth Wedgwood, un'importante studiosa di fede neoconservatrice, membro dell'influente Defense Policy Board presieduto da Richard Perle, perché la giornalista sostenesse la guerra. Wedgwood rispose: «Non vorrei essere scortese, ma devo rammentarle la particolare relazione che intercorre fra la Germania e Israele. Saddam rappresenta una minaccia all'esistenza di Israele. Questa è la pura verità». Wedgwood non giustificò la guerra affermando che l'Iraq rappresentava una minaccia diretta per la Germania o per gli Stati Uniti. (4) 
 
Una settimana prima dell'invasione americana dell'Iraq, sul settimanale «Time» il giornalista Joe Klein scrisse: «Il rafforzamento di Israele è un elemento imprescindibile della giustificazione di una guerra con l'Iraq. È parte di un'argomentazione che non si osa rivelare pienamente, di una fantasia nutrita dalla fazione neoconservatrice nell'amministrazione Bush e da molti leader della comunità ebraica statunitense». (5) L'ex senatore Ernest Hollings ha addotto un'argomentazione analoga nel maggio 2004. Dopo aver notato che l'Iraq non rappresentava una minaccia diretta per gli Stati Uniti, si domandava che cosa avesse indotto gli Stati Uniti a invadere quel paese (6). «La risposta» - che, secondo lui, «tutti conoscono» - è «perché volevamo rendere più sicuri i nostri amici israeliani.»
 
La guerra di Sharon
Un altro gruppetto di personaggi pubblici - Patrick Buchanan, Arnaud de Borchgrave, Maureen Dowd, Georgie Anne Geyer, Gary Hart, Chris Matthews, l'esponente del Congresso James P. Moran (democratico, Virginia), Robert Novak, Tim Russert e il generale Anthony Zinni - hanno detto esplicitamente o lasciato chiaramente intendere che i filoisraeliani statunitensi più radicali sono stati fra i principali suggeritori dell'invasione dell'Iraq.(7) Novak, per esempio, si è riferito alla guerra, ben prima che scoppiasse, come alla «guerra di Sharon» (l'allora presidente dello Stato di Israele, Ariel Sharon - nella foto di lato) e continua a sostenerlo ancora oggi. «Sono convinto» ha detto nell'aprile 2007 «che Israele abbia dato un forte contributo alla decisione di imbarcarsi in questa guerra. So che alla vigilia della guerra Sharon ha detto, in un incontro privato con alcuni senatori, che se fossero riusciti a liberarsi di Saddam Hussein il problema della sicurezza di Israele si sarebbe risolto.» (8). Nel maggio 2005, due anni dopo l'inizio del conflitto, Barry Jacobs dell'American Jewish Committee ha riconosciuto che la convinzione della responsabilità di Israele e dei neoconservatori nella decisione di far entrare in guerra gli Stati Uniti era «pervasiva» nell'ambiente dei servizi segreti. (9)
 
Israele ha sempre considerato l'Iraq un nemico, ma ha cominciato a preoccuparsi in modo specifico dell'Iraq solo a metà degli anni Settanta, quando la Francia si accordò per la fornitura di un reattore nucleare a Saddam Hussein. Per ottime ragioni, Israele temeva che questo potesse costituire per l'Iraq un primo passo nella costruzione di un ordigno nucleare. In reazione a tale minaccia, nel 1981, gli israeliani bombardarono il reattore di Osiraq prima che diventasse operativo. (10) Nonostante questo contrattempo, l'Iraq continuò a sviluppare il proprio programma nucleare in località segrete e sparpagliate. Questa situazione contribuisce a spiegare l'entusiastico appoggio israeliano alla prima guerra del Golfo, nel 1991: la principale preoccupazione dello Stato ebraico non era cacciare le truppe irachene dal Kuwait, ma rovesciare il regime di Saddam Hussein e, soprattutto, assicurarsi che il suo programma nucleare fosse smantellato. (11) Sebbene gli Stati Uniti non abbiano allora allontanato Saddam dal potere, il regime di ispezioni delle Nazioni Unite imposto a Bagdad dopo la guerra ridusse - senza peraltro eliminare - le preoccupazioni israeliane. Anzi, il 26 febbraio 2001 « Ha'aretz» riferiva che «Sharon ritiene che, più dell'Iran, l'Iraq rappresenti una minaccia per la stabilità della regione, a causa del comportamento erratico e irresponsabile del regime di Saddam Hussein». (12)
 
Le rovine del reattore di Osiraq, dopo il bombardamento israeliano
 
Dopo l’Iraq, l’Iran e la Siria
Nonostante le convinzioni di Sharon, all'inizio del 2002, quando cominciava a diventare evidente che l'amministrazione Bush stava pensando a un'altra guerra contro l'Iraq, alcuni leader israeliani rivelarono a funzionari degli Stati Uniti di pensare che l'Iran rappresentasse la minaccia più seria. (13) In ogni caso, non erano contrari al rovesciamento del regime di Saddam; e i leader israeliani, i quali non si fanno mai pregare quando possono dare un buon consiglio ai colleghi americani, non hanno mai cercato di convincere l'amministrazione Bush a rinunciare alle proprie intenzioni bellicose nei confronti dell'Iraq. Né il governo di Israele ha mai cercato di mobilitare i propri sostenitori negli Stati Uniti per esercitare pressioni contro l'invasione. Al contrario, i leader israeliani si preoccupavano solo dell'eventualità che gli Stati Uniti perdessero di vista la minaccia iraniana per dare la caccia a Saddam. Una volta capito che l'amministrazione Bush stava gettando le basi di un progetto più ampio, che vedeva in una rapida vittoria in Iraq la premessa per affrontare efficacemente anche il problema dell'Iran e della Siria, cominciarono a sostenere con forza l'invasione USA. A concepire l’idea, sono stati i neoconservatori statunitensi, che vanno quindi considerati come i primi responsabili delle pressioni politiche per la sua messa in atto immediatamente dopo 1'11 settembre. Ma Israele ha unito le proprie forze a quelle dei neoconservatori per aiutare a «vendere» la guerra all'amministrazione Bush e al popolo statunitense ben prima che il presidente prendesse la decisione di dare il via all'invasione. Anzi, i leader israeliani erano continuamente preoccupati dell'eventualità che il presidente Bush rinunciasse ad avviare il conflitto, e hanno fatto tutto quanto in loro potere per assicurarsi che Bush fosse continuamente sotto pressione. 
 
L'impegno degli israeliani ha avuto inizio nella primavera 2002, alcuni mesi prima che l'amministrazione Bush desse inizio alla propria campagna per convincere l'opinione pubblica statunitense della necessità di attaccare l'Iraq. L'attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si recò negli Stati Uniti alla metà di aprile di quell'anno per incontrare, fra gli altri, alcuni senatori e i giornalisti del «Washington Post», e avvertirli che Saddam stava sviluppando ordigni nucleari celati in valige o borse in grado di colpire obiettivi sul territorio degli Stati Uniti. (14) 
 
Poche settimane dopo, Ra'anan Gissen, portavoce di Sharon, dichiarò a un giornalista di Cleveland che «se Saddam non viene fermato adesso, fra cinque o sei anni dovremo gestire il problema di un Iraq dotato di armi nucleari e di sistemi di lancio di armi di distruzione di massa». (15) Alla metà di maggio, l'ex primo ministro di Israele Shimon Peres, in quel momento responsabile del dicastero degli Esteri, apparve alla CNN, dove dichiarò che «Saddam Hussein è pericoloso quanto bin Laden» e che gli Stati Uniti «non possono stare seduti a guardare» mentre si dota di un arsenale nucleare. Anzi, Peres suggeriva di rovesciare il leader iracheno. (16) Un mese dopo, un altro ex primo ministro di Israele, Ehud Barak, scrisse un editoriale per il «Washington Post» nel quale auspicava che l'amministrazione Bush «si concentrasse, in primo luogo, sull'Iraq e sulla rimozione di Saddam Hussein. Una volta che ce ne saremo liberati, il mondo arabo sarà completamente diverso». (17)
 
II 12 agosto 2002 Sharon dichiarò alle commissioni Affari esteri e Difesa della Knesset che l'Iraq «è il maggior pericolo che Israele deve affrontare». (18) Poi, il 16 agosto, dieci giorni prima che il vicepresidente Cheney lanciasse la campagna per la guerra nel suo discorso al congresso dei Veterans of Foreign Wars (VFw) a Nashville, Tennessee, diversi quotidiani, stazioni televisive e radiofoniche (fra i quali «Ha'aretz», «Washington Post», CNN e CBS News) riferivano che Israele stava premendo affinché gli Stati Uniti non ritardassero l'attacco all'Iraq. Sharon disse all'amministrazione Bush che rimandare l'operazione militare «non creerebbe un clima più favorevole a un'azione futura». Non attaccare, secondo Ra'anan Gissen, avrebbe dato a Saddam «più di un'opportunità di accelerare il proprio programma per la produzione di armi di distruzione di massa». Il ministro degli Esteri Peres disse alla CNN che «il problema attuale non è il se, ma il quando». Rinviare l'attacco sarebbe stato solo un grave errore, ribadì, perché Saddam sarebbe stato meglio armato in breve tempo. Il viceministro della difesa Weizman Shiry offrì il proprio punto di vista, avvertendo che «se gli Statunitensi non lo fanno immediatamente, in futuro avranno più difficoltà a farlo. Fra un anno o due, Saddam Hussein sarà molto più avanti nello sviluppo di armi di distruzione di massa». E stata forse la CBS a fornire la migliore sintesi di quello che stava accadendo nel titolo di un servizio: Israele agli Stati Uniti: non rinviate l'attacco all'Iraq. (19)
 
L’immagine che riassume tutto questo intenso lavorio di falsificazione della realtà, pur di raggiungere uno scopo che nulla aveva a che vedere con la “guerra contro il terrorismo”, è la sceneggiata che vide protagonista l’allora segretario di Stato Colin Powel che, all’ONU il 6 febbraio 2003, agitò una boccettina di antrace, per illustrare le “prove” della presenza in Iraq di armi di distruzione di massa. (20) Colin Powel si ritirerà in seguito dalla vita politica.
 
 
Conclusione
Interesse di Israele è la eliminazione di tutti gli Stati (o le milizie armate, come Hezbollah) che possano mettere in discussione la sue egemonia regionale. Per raggiungere questo scopo, poco importa che il mondo vada in fiamme, che si sviluppino organizzazioni terroristiche pronte a insanguinare il Medio oriente, l’Europa e gli stessi Stati Uniti. Anche quello di Israele, tuttavia, è un ragionamento a corto respiro. L’esempio della guerra in Iraq ne è la prova: conseguenza diretta del rovesciamento di Saddam Hussein sono state, da un lato, la crescita di influenza dell’Iran e, dall’altro, la nascita del Califfato di Daesh. Oltre al declino di influenza del principale protettore di Israele: gli Stati Uniti.
 
Note:
 

1 - John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt - "La Israel Lobby e la politica estera americana", Mondadori 2009, pp 279-319

http://www.ossin.org/press-room/download/dossier-bush/14-mearsheimer-walt/file

 

2 – Citato in Emad Mekay, “Iraq Was Invaded ‘to Protect Israel’—US Official,” Asia Times Online, 31 marzo 2004. Vedi anche “Letters,” London Review of Books, 25 maggio 2006. Zelikow ha anche collaborato con Rice nel Consiglio di sicurezza nazionale durante la prima amministrazione Bush, è poi co-autore di un libro con Rice sulla riunificazione tedesca. E 'stato uno dei principali autori del documento che è probabilmente la dichiarazione più completa della dottrina Bush: La strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America (Washington, DC: White House, Setembre 2002)

 

3 - Citato in “US Assumes UK Help in Iraq, Says General,” Guardian, 20 agosto 2002

 

4 – Citato in una intervista con Sascha Lehnartz, “Dann helfen uns eben die Osteuropaer,” Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, 26 gennaio 2003. Vedi anche Stephen J. Hedges, “Iraq Hawks Have Bush’s Ear,” Chicago Tribune, 18 agosto 2002

 

5 - Joe Klein, “How Israel Is Wrapped Up in Iraq,”Time, 10 febbraio 2003

 

6 - Senatore Ernest F. Hollings, “Bush’s Failed Mideast Policy Is Creating More Terrorism,” Charleston Post and Courier (online), 6 maggio 2004; e “Sen. Hollings Floor Statement Setting the Record Straight on His Mideast Newspaper Column,” 20 maggio 2004,  www.shalomctr.org/node/620

 

7 - Aluf Benn, “Scapegoat for Israel,” Ha’aretz, 13 maggio 2004; Matthew Berger, “Will Some Jews’ Backing for War in Iraq Have Repercussions for All?” JTA.org, 10 giugno 2004; Patrick J. Buchanan, “Whose War?” American Conservative, 24 marzo 2003; Arnaud de Borchgrave, “A Bush-Sharon Doctrine?” Washington Times, 14 febbraio 2003; Ami Eden, “Israel’s Role: The ‘Elephant’ They’re Talking About,” Forward, 28 febbraio 2003; “The Ground Shifts,” Forward, 28 maggio 2004; Nathan Guttman, “Prominent U.S. Jews, Israel Blamed for Start of Iraq War,” Ha’aretz, 31 maggio 2004; Spencer S. Hsu, “Moran Said Jews Are Pushing War, ”Washington Post, 11 marzo 2003; Lawrence F. Kaplan, “Toxic Talk on War,” Washington Post, 18 febbraio 2003; E. J. Kessler, “Gary Hart Says ‘Dual Loyalty’ BarbWas Not Aimed at Jews,” Forward, 21 febbraio 2003; Ori Nir and Ami Eden, “Ex-Mideast Envoy Zinni Charges Neocons Pushed Iraq War to Benefit Israel,” Forward, 28 maggio 2004; e Robert Novak, “Sharon’s War?” CNN.com, 26 dicembre 2002

 

8 - Citato in Akiva Eldar, “Sharp Pen, Cruel Tongue,”Ha’aretz, 13 aprile 2007 - Ori Nir, “FBI Probe: More Questions Than Answers,”Forward, 13 maggio 2005 -  Shai Feldman, “The Bombing of Osiraq—Revisited,” International Security 7,n. 2 (Autunno 1982); e Dan Reiter, “Preventive Attacks Against Nuclear Programs and the ‘Success’ at Osiraq,” Nonproliferation Review 12, n. 2 (Luglio 2005) -  Joel Brinkley, “Confrontation in the Gulf: Israelis Worried by U.S. Restraint,” New York Times, 30 agosto 1990; Joel Brinkley, “Top Israelis Warn of Deep Worry over Diplomatic Accord in Gulf,” New York Times, 4 dicembre 1990; Hugh Carnegy, “Pullout Not Enough, Says Israel,” Financial Times, 10 gennaio 1991; Sabra Chartrand, “Israel Warns Against a Gulf Retreat,” New York Times, 6 dicembre 1990; Jackson Diehl, “Israelis Fear Iraqi Threat Will Endure,” Washington Post, 29 agosto 1990; Rowland Evans and Robert Novak, “Israel’s Call for Action,” Washington Post, 24 agosto 1990; Michael Massing, “The Way to War,”New York Review of Books, 28 marzo 1991; Martin Merzer, “Israel Hopes Diplomacy Won’t Let Iraqi Stay in Power,” Miami Herald, 29 agosto 1990; e “Sharon to Americans: Blast Iraqis Immediately,” Jerusalem Post, 12 agosto 1990

 

12 - Aluf Benn, “Sharon Shows Powell His Practical Side,” Ha’aretz, 26 febbraio 2001

 

13 -  Seymour Hersh, “The Iran Game,” New Yorker, 3 dicembre 2001; Peter Hirschberg, “Background: Peres Raises Iranian Threat,” Ha’aretz, 5 febbraio 2002; David Hirst, “Israel Thrusts Iran in Line of US Fire,” Guardian, 2 febbraio 2002; “Israel Once Again Sees Iran as a Cause for Concern,” Ha’aretz, 7 maggio 2001; e Alan Sipress, “Israel Emphasizes Iranian Threat,” Washington Post, 7 febbraio 2002

 

14 - Robert Novak, “Netanyahu’s Nuke Warning,” Chicago Sun-Times, 14 aprile 2002; Robert Novak, “War on Iraq Won’t Be ‘Cakewalk,” Chicago Sun-Times, 25 aprile 2002; e William Raspberry, “To Solve the Crisis,” Washington Post, 15 aprile 2002

 

15 - Elizabeth Sullivan, “Sharon Aide Expects United States to Attack Iraq; He Says Saddam Must Be Stopped from Making Nuclear Arms,” Cleveland Plain Dealer (online), 3 maggio 2002

 

16 - Citato in Joyce Howard Price, “Peres Encourages U.S. Action on Iraq,”Washington Times, 12 maggio 2002

 

17 - Ehud Barak, “No Quick Fix,” Washington Post, 8 giugno 2002

 

18 – Citato in Gideon Alon, “Sharon to Panel: Iraq Is Our Biggest Danger,”Ha’aretz, 13 agosto 2002. Vedi anche Nina Gilbert, “Iraq Poses Greatest Threat,”Jerusalem Post, 13 agosto 2002

 

19 - “Israel to US: Don’t Delay Iraq Attack,” CBSNews.com, 16 agosto 2002.

 

20 – “Colin Powel presenta del prove all’ONU” in Corriere della sera online, 6 febbraio 2003

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2003/02_Febbraio/05/powell.shtml?refresh_ce-cp

 

 
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