Il piano Yinon e il “Grande Medio Oriente” di Bush
- Dettagli
- Categoria: Le Schede di Ossin
- Visite: 8711
Le schede di ossin, aprile 2016 - Il progetto neocon di Bush, la "Iniziativa per un Grande Medio Oriente", riprende quasi alla lettera un'idea israeliana (il piano Yinon) di spezzettamento degli Stati mediorientali, per garantire l'egemonia ebraica nella regione (nella foto, Ralph Peters)
Le schede di Ossin
Huffington Post, 12.5.2011 (trad. ossin)
Il piano Yinon e il “Grande Medio Oriente” di Bush
Charles Saint-Prot
Già dal 1957, il Primo Ministro israeliano coltivava l’idea di spezzettare il Libano su base confessionale. In un articolo pubblicato, nel febbraio 1982, sulla rivista dell’Organizzazione sionista mondiale Kivunim (Direzioni) col titolo: “Una strategia per Israele nel decennio 1980”, Oded Yinon, un giornalista israeliano che aveva lavorato per il ministero israeliano degli Affari esteri, sosteneva che la strategia israeliana doveva consistere nel favorire lo smembramento degli stati arabi su base confessionale o etnica. Sosteneva inoltre che il piano di divisione del Libano in piccoli cantoni confessionali, al quale gli Israeliani lavoravano dalla fine degli anni 1960 con la complicità di alcuni estremisti maroniti, doveva essere applicato a tutto il mondo arabo, specialmente all’Iraq (tre Stati: sunnita, curdo e sciita), alla Siria (tre Stati: alauita, druso, sunnita), alla Giordania (una parte per i beduini, un’altra per i Palestinesi) e all’Arabia Saudita, che doveva essere privata delle sue province petrolifere e riportata alle dimensioni di un mosaico tribale. In una intervista rilasciata a Paul Balta, in Le Monde del 17 agosto 1982, un dirigente iracheno, Tarek Aziz, prevedeva che, “perché questo piano di atomizzazione possa riuscire pienamente, bisogna aggredire il punto centrale del dispositivo, vale a dire l’Iraq, l’unico paese che possiede insieme l’acqua e il petrolio e che persegue l’obiettivo del proprio sviluppo con determinazione. Occorre dunque cominciare con lo smembrare l’Iraq, ed è quello che già si sta tentando di fare da più di venti anni…”
Questa teoria, da tempo avanzata dagli strateghi israeliani, è stata di tutto punto ripresa ed attualizzata dai circoli neoconservatori che ispirano la diplomazia dell’amministrazione Bush. Il progetto di rimodellamento del Vicino Oriente attraverso una politica di “caos costruttore” venne elaborata negli anni 1990, e poi illustrata da George Bush II in un discorso pronunciato il 26 febbraio 2003, pochi giorni prima dell’aggressione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti. Conosciuta col nome di “Iniziativa per il Grande Medio Oriente” (Greater Middle East Initiative), si tratta di una dottrina che mira al rimodellamento di un preteso Grande Medio Oriente, che comprende un vasto insieme di Stati, dal Marocco alla frontiera cinese, con i paesi arabi, Israele, la Turchia, l’Iran, l’Afghanistan e il Pakistan.
Se questa teoria – che mira in definitiva a consolidare, con l’aiuto di Israele, l’egemonia statunitense in questa parte del mondo che detiene il 65% delle riserve di petrolio e quasi un terzo delle riserve di gas – è stata oggetto di molti commenti, sono meno noti invece i progetti di ricomposizione geografica che sottintende. Tuttavia, fin dagli inizi degli anni 1990, gli esperti conoscono l’esistenza di nuove carte geografiche del “Grande Medio Oriente”. Nell’edizione del giugno 2006, la rivista militare statunitense Armed Forces Journal pubblicò un articolo, a firma del tenente colonnello della riserva Ralph Peters, dal titolo evocatore: How a better Middle East would look (Come migliorare il Medio oriente). Secondo Ralph Peters, un ex specialista della Intelligence ed esponente del think tank neoconservatore “Project for the New American Century”, le nuove frontiere “dovranno essere rimodellate su basi etniche e confessionali”, proponendo che fossero seguite queste grandi linee: costituzione di un Grande Libano (inglobante la costa mediterranea della Siria fino alla frontiera turca); creazione di uno Stato curdo (comprendente il nord dell’Iraq, il nord ovest dell’Iran e il sud-est anatolico); frantumazione dell’Iraq che, oltre a perdere la regione settentrionale, dovrebbe essere ulteriormente diviso tra un piccolo Stato sunnita arabo e un grande Stato sciita comprensivo anche della regione saudita di Hasa (tra l’emirato del Kuwait e la penisola del Qatar), dove peraltro gli sciiti non sono maggioranza, dell’Arabistan (l’attuale Khuzestan iraniano, popolato da Arabi… sunniti!) e della zona di Bouchir; formazione di una grande Giordania a detrimento dell’Arabia Saudita, che dovrebbe perdere anche la regione delle città sante di La Mecca e Medina (Stato autonomo) e l’Asir (a profitto di uno Yemen ingrandito). Oltre alla sua regione curda, l’Iran dovrebbe perdere il Baloutchistan che dovrebbe diventare indipendente, recuperando però la regione afghana di Herat. Il Pakistan si ridurrebbe considerevolmente, con la perdita del Baloutchistan ed una estensione dell’Afghanistan nelle sue regioni pashtun. L’autore si mantiene prudente sulle nuove frontiere di Israele, ma si comprende che qualsiasi prospettiva di uno Stato palestinese resta esclusa. I due grandi perdenti sarebbero l’Iraq e l’Arabia Saudita, vale a dire due dei più importanti paesi arabi. Il mondo arabo dovrebbe dunque essere suddiviso attraverso tagli surrealisti, produttivi di tensioni e divisioni senza fine.
Di fatto, questo nuovo “Grande Medio Oriente”, concepito su basi confessionali, nazionali ed etnici del tutto arbitrarie, non sarebbe affatto più sicuro di quello attuale. Al contrario diventerebbe una vera e propria polveriera. Ma la cosa non sembra preoccupare Ralph Peters che dichiarò in una conferenza del 1997: “Il ruolo affidato de facto agli Stati Uniti consisterà (in futuro) nel gestire il mondo a salvaguardia della nostra economia, mantenendolo aperto alla nostra influenza culturale. Per far ciò noi dovremo fare un bel po’ di massacri”. Peters è anche l’autore di un’altra formula lapidaria che ben riassume l’ideologia dei neoconservatori: “Vincere significa uccidere” (Armed Forces Journal, settembre 2006)
Secondo il ricercatore Pierre Hillard (Balkans infos, settembre 2006), “le proposte di Ralph Peters e gli inviti a realizzare cambiamenti radicali delle frontiere del Medio oriente non sono evidentemente il frutto delle riflessioni di un solo uomo impegnato a occupare in qualche modo il proprio tempo. Molti altri studi sono stati realizzati da organismi militari statunitensi e da molti think tank, per rivedere i limiti frontalieri di questi Stati”. Sul punto è interessante notare che Ralph Peters fa parte del Project for the New American Century, un think tank neoconservatore e filo israeliano presieduto da William Kristol, il cui obiettivo è la promozione del dominio USA e che ha per membri i più importanti esponenti dell’amministrazione Bush: Dick Cheney, vice presidente degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa, Elliot Abrams, incaricato della Casa Bianca per il Medio Oriente, Lewis Libby, un amico di Benyamin Netanyahou, e Paul Wolfowitz, attuale direttore della Banca Mondiale che è stato il fulcro dell’aggressione e dell’occupazione dell’Iraq.
Queste carte (“Before”: situazione nel 2006 e “After”: situazione dopo il rimodellamento) sono state pubblicate in una rivista militare USA, AFJ (Armed Forces Journal), nel giugno 2006 (1), per la firma di un tenente colonnello a riposo, Ralph Peteres. Quest’ultimo ha militato in una divisione di fanteria meccanizzata a partire dal 1976, per proseguire poi la sua attività nella intelligence militare nel 1980. Autore di molti saggi di strategia delle relazioni internazionali, Ralph Peters si è ritirato dall’esercito nel 1999, mantenendo tuttavia stretti legami con esso, facendo parte della redazione di AFJ. Questa rivista è una sola di un vero e proprio impero della stampa militare USA. Fondato nel 1863, questo mensile si rivolge agli ufficiali degli Stati Uniti, trattando di varie questioni come la tecnologia militare, la logistica, la strategia, la dottrina e la tattica. Essa è controllata da una casa madre, Army Times Publishing Company, le cui pubblicazioni si articolano lungo tre assi:
1) The Military Times Media Group che pubblica: Army Times, Navy Times, Air Force Times e Marine Corps Times.
2) The Defense News Media Group, gruppo mondiale delle riviste della difesa che pubblica: Defense News, Armed Forces Journal (AFJ), Training & Simulation Journal e C4ISR Journal (intelligence, sorveglianza e ricognizione).
3) The Federal Times, settimanale di informazione che tratta delle nuove tecnologie e di questioni finanziarie.