L’imposizione di Stati artificiali al Medio Oriente: il caso di Arabia Saudita e Israele
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Le schede di ossin, febbraio 2017 - Le ideologie del wahhabismo saudita e del sionismo israeliano, pur se decrepite, sono però importantissime, se non centrali, nell’analisi dell’attuale fiasco mediorientale e del pessimo clima generale del mondo
Oriental Review, 30 settembre 2016 (trad. ossin)
L’imposizione di Stati artificiali al Medio Oriente: il caso di Arabia Saudita e Israele
Alexander Azadgan
Le ideologie del wahhabismo saudita e del sionismo israeliano, pur se decrepite, sono però importantissime, se non centrali, nell’analisi dell’attuale fiasco mediorientale e del pessimo clima generale del mondo. Non meraviglia che queste due ideologie corrosive siano ampiamente trascurate dai media occidentali mainstream, dal momento che queste due nazioni artificialmente create vengono considerate alleate di Washington
Si tratta di una storia appassionante, per quanto un po’ sinistra, che parte dalla Prima Guerra Mondiale, la creazione degli Stati di Israele, Giordania, Iraq, Libia, Siria, Arabia Saudita (e tutti gli emirati del Golfo), senza parlare di Lawrence d’Arabia, fino all’assassinio di Muammar Gheddafi nel 2011, alla guerra per procura imposta alla Siria (anch’essa cominciata nel 2011) e l’emergere dei selvaggi di ISIS, tra le altre regressioni geopolitiche. E’ una storia di manipolazione a lungo termine, di insidiosi indottrinamenti, e di mitiche opere di letteratura diabolicamente segrete.
Queste due ideologie – il wahhabismo nell’islam e il sionismo nella cultura ebraica – possono apparire disomogenee. Ma in realtà sono assimilabili, come cerco di dimostrare in questo articolo. Queste due dottrine malevole potrebbero essere considerate come responsabili della maggior parte dei mali dell’odierno Medio Oriente, situazione che non riguarda solo il Medio Oriente ma – come abbiamo potuto vedere l’11 settembre e, a un ritmo accelerato, dopo l’11 settembre – tocca oramai gli Stati Uniti, l’Europa, l’Eurasia e assai probabilmente il mondo intero!
Queste due filosofie religiose/politiche sono responsabili di decenni di violenze, di guerre, di sofferenze e manipolazioni. E’ dimostrabile che esse sono le due facce della stessa medaglia. Esse risalgono infatti più o meno alla stessa epoca – circa cento anni fa, durante gli avvenimenti della Prima Guerra Mondiale.
Quale è l’eredità del wahhabismo e del sionismo nel mondo? E quale la verità sulle loro origini? Per cominciare, ecco una storia sintetica delle origini, prima del sionismo, poi del wahhabismo, per quelli tra voi che ne avessero bisogno.
La Dichiarazione di Balfour e le origini del sionismo
«Sionismo» è una espressione complicata da definire in un certo modo, tanto più a causa dell’enorme disinformazione che la circonda. C’è il sionismo politico, che è strumentale agli interessi dello Stato di Israele. C’è il sionismo religioso, che giustifica la presenza ebraica (o cristiana) in Israele in termini di compimento della «profezia biblica» o «volontà divina». Queste due scuole di sionismo sono talvolta nettamente distinte. Vi sono dei sionisti politici che non sono sionisti religiosi e viceversa. Un esempio è dato dalle organizzazioni evangeliche statunitensi di destra che sono sioniste convinte per ossequio ai testi biblici – per come essi li interpretano.
Il sionismo è cristiano evangelico quanto ebraico. Ma è un fatto che l’obiettivo del sionismo, in origine, era la costruzione di una patria ebraica nei luoghi che sono stati per duemila anni la Palestina; un obiettivo che è stato raggiunto in modo compiuto nel 1948, all’ombra dell’Olocausto, per quanto affondi le sue radici come movimento internazionale a partire dalla Prima Guerra Mondiale. In seguito il sionismo può essere considerato come un movimento politico mirante a promuovere gli interessi [nazionali e internazionali] di questa nazione artificialmente creata e ad assicurare sicurezza e protezione al sedicente Stato di Israele.
Numerosi commentatori anti-sionisti legano anche il sionismo – sia religioso che politico – al concetto di un programma ebraico mondiale per controllare il mondo. Il sionismo nella sua forma tradizionale si crede abbia avuto origine nel 1896 con Theodor Herzl, giornalista ebreo austro-ungarico, drammaturgo e attivista politico. Verso la fine del 1895, Herzl cominciò a scrivere “Der Judenstaat” o “Stato degli Ebrei”. In questa opera sosteneva che l’unica soluzione alla «questione ebraica» in Europa fosse la creazione di uno Stato per il popolo ebraico. I sentimenti anti-ebraici erano così diffusi in tutta Europa che Herzl vide la creazione di un santuario nazionale per gli ebrei come la sola possibile soluzione a lungo termine. Ed è così che è nato il sionismo, o almeno questa è la versione dominante. Altri ricercatori contestano questa versione e propongono argomenti che testimonierebbero di una origine molto più antica. Ovviamente, se parliamo del sionismo religioso distinguendolo dal sionismo politico, allora certamente l’origine è molto più antica e molto più misteriosa. L’idea che la terra di Israele (in ebraico: אֶרֶץ יִשְׂרָאֵל Erets Yisraël) sia sempre appartenuta agli Ebrei o che essa sia stata promessa ai «Figli di Israele» dal loro dio biblico, è un mito antico e falso, nella migliore delle ipotesi. Ovviamente questa follia profonda non ha un fondamento solido sul quale costruire nazioni del XX secolo, o almeno così abbiamo pensato e sperato.
Sono state le Potenze coloniali della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, soprattutto la Gran Bretagna, che hanno attivamente perseguito il programma sionista, sotto la guida di potenti e ricchi ebrei britannici come Lord Rothschild, pervenendo alla famosa Dichiarazione Balfour. I Britannici hanno fatto sontuose promesse in tempo di guerra (durante la Prima Guerra Mondiale) di creare una «patria ebraica» in Palestina. Benché l’emigrazione ebraica di massa in Palestina sia cominciata dopo la Prima Guerra Mondiale, è stato solo dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto che le promesse sono state pienamente mantenute.
Un’altra pietra miliare del folclore sionista è il famoso libro, “I Protocolli dei Savi di Sion”, nel quale molti hanno visto con timore un piano di insieme per la conquista del controllo del mondo. Torneremo su questo punto più avanti.
Nonostante le iniziative ufficiali della Gran Bretagna, né l’opinione pubblica né il governo sono stati unanimi nell’appoggiare il rilevante impegno della Gran Bretagna nella promozione del programma sionista. Winston Churchill, in un messaggio telegrafato del 1922, si ritiene abbia scritto di «un crescente movimento di ostilità contro la politica sionista in Palestina», aggiungendo: «E’ sempre più difficile rispondere all’argomento secondo il quale è ingiusto chiedere al contribuente britannico, già vessato dal fisco, di sopportare I costi della imposizione in Palestina di una politica impopolare». Questa disapprovazione del sionismo politico è continuata lungo tutti I decenni successivi ed è ancora più diffusa e sentita oggi di quanto non fosse un secolo fa!
Mahatma Gandhi ha scritto nel 1938: «La Palestina appartiene agli Arabi come l’Inghilterra appartiene agli Inglesi o la Francia ai Francesi. E’ ingiusto e inumano imporre gli Ebrei agli Arabi […] La Palestina della concezione biblica non è una regione geografica».
E, contrariamente a ciò che sostengono coloro che ritengono l’antisionismo una forma di «anti-semitismo», alcuni esponenti ebraici hanno, a varie riprese, parlato apertamente contro il programma sionista. Tra gli altri, il rabbino Elmer Berger ha pubblicato il saggio “The Jewish Dilemma” (Il dilemma ebraico), nel quale ha sostenuto che l’assimilazione ebraica è ancora la migliore soluzione per gli ebrei nel mondo moderno, piuttosto che la segregazione e la mentalità da stato di assedio dello Stato sionista. Nell’analisi del rabbino Berger, il sionismo è una forma di rassegnazione alle credenze razziali prevalenti sugli ebrei e un giocare con esse.
Nel 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che definiva il sionismo una «forma di razzismo e discriminazione razziale». Più recentemente, nel 2010, l’ex giornalista della BBC e di ITN, Alan Hart, ha pubblicato il saggio “Zionism: The Real Enemy of the Jews” (Sionismo: il vero nemico degli ebrei), mentre il famoso ateo in capo Richard Dawkins ha dichiarato nel corso di una intervista (parlando del sionismo e della lobby ebraica negli Stati Uniti): «Se gli atei potessero ottenere una frazione minima della loro influenza, il mondo sarebbe un posto migliore».
Questa è solo una parte della dichiarata opposizione al sionismo, manifestata da parte di gente rispettabile e di buona reputazione. Ne parlo qui solo per dimostrare che l’anti-sionismo non è una scusa dietro cui si nascondono i sedicenti «anti-semiti» e che dobbiamo ricordare il considerevole numero di ebrei che si oppongono fortemente al sionismo.
Nemmeno i più ardenti partigiani del sionismo possono negare che l’influenza del sionismo politico, e molte delle azioni e politiche del loro Stato sionista, oltre alla prolungata oppressione del popolo palestinese, hanno contribuito fortemente alla polarizzazione in Medio Oriente e alla crescita del radicalismo jihadista.
Oltre l’effetto distruttivo e tossico che la creazione del regime sionista ha avuto all’inizio (nella stessa Palestina, ma anche con riguardo agli effetti di contrapposizione con il Libano, la Siria e altri paesi vicini), tali effetti sono proseguiti fino ad oggi, oltre le frontiere del Medio Oriente. E’ assolutamente dimostrabile, per esempio, che un piano statunitense-israeliano di lunga data per la ricomposizione del Medio Oriente sia stato perseguito nel corso degli ultimi anni, rovesciando dei governi indipendenti e delle nazioni stabili, avendo come obiettivo intermedio la balcanizzazione e la sottomissione dell’Iraq, della Siria della Libia, ecc, e quello finale di sottomettere l’Iran, che è il loro principale bersaglio.
Il presunto Piano sionista per il Medio Oriente, anche conosciuto col nome di Piano Yinon, era la grande strategia messa in campo per assicurare la superiorità regionale sionista attraverso una riconfigurazione radicale del contesto geopolitico di Israele, con la balcanizzazione delle nazioni arabe (e non arabe) trasformate in Stati più piccolo e più deboli. Anche la strategia Clean Break ha essenzialmente lo stesso obiettivo. Quello che abbiamo visto accadere in Siria, in Libia, e anche in Yemen, deve essere certamente letto come l’esecuzione di questa strategia sionista appoggiata dagli Stati Uniti. E’ particolarmente da notare che l’Iraq, la Siria e la Libia erano tre Stati nazionalisti arabi tra i più stabili, moderni, laici, indipendenti e non settari, ma sono attualmente tutti e tre distrutti, geo-settari, terre desolate in attesa di essere fatte a pezzi.
Esaminando il progetto della Grande Israele, non v’è dubbio che il sionismo sia stata una imposizione tossica e problematica sulla regione e forse sul più vasto mondo, tanto più che il regime sionista è stato sostenuto, armato e difeso aggressivamente dai suoi mecenati occidentali, soprattutto Washington. In questi giorni siamo tutti scioccati per l’impegno assunto dall’amministrazione Obama per 38 miliardi di dollari verso questo regime malefico e mostruoso.
Si può dire qualcosa di simile a proposito dell’influenza del wahhabismo nella regione. Il wahhabismo, al pari del sionismo, non è una seta religiosa vecchia di diversi secoli, ma una ideologia relativamente nuova, politicamente opportunista ma barbara.
Le origini moderne del wahhabismo possono collocarsi nel Najd (la regione centrale geografica della odierna Arabia Saudita) e al predicatore del XVIII° secolo Muhammad Ibn Abd Al-Wahhab (1703-1792) che intendeva «purificare» l’islam riportandolo a quelli che egli credeva fossero I principi originali di questa religione. Lungi dall’essere considerate come una legittima interpretazione dell’islam, Al-Wahhab si scontrò anche con suo padre e suo fratello, proprio a causa delle sue credenze fondamentaliste e fanatiche. Ma il movimento è riuscito ad ottenere una influenza incontrastata nella maggior parte della penisola Arabica, quando si è realizzata un’alleanza tra Muhammad Ibn Abd Al-Wahhab e la famiglia di Muhammad Ibn Saud, che ha fornito il potere politico e finanziario agli ideologi di Al-Wahhab per assicurare ad essi la preminenza.
Alla fine è stata questa alleanza alla base della nascita del Regno di Arabia Saudita. Dopo il crollo dell’Impero ottomano, I Saud hanno assunto il controllo di Hijaz e della penisola Arabica e una nazione è stata fondata sui principi fanatici di Al-Wahhab – che è così diventata la forma dominante dell’islam nei luoghi di nascita di questa religione.
Il mio interesse per questa parte della storia araba è cominciato venti anni fa col film epico di David Lean, “Lawrence d’Arabia”, con Peter O’Toole. Per amore di questo film del 1963, lessi per la prima volta il libro di TE Lawrence, “I sette pilastri della saggezza”, e poi diversi altri libri sulle imprese di TE Lawrence e la rivolta araba durante la Prima Guerra Mondiale, oltre che sugli Accordi Sykes-Picot (menzionati da ISIS attualmente nel suo «manifesto») e la politica dei governi coloniali britannico e francese nel dopo guerra del Medio Oriente.
Il riconoscimento della famiglia dei Saud come «famiglia reale» e la costituzione del Regno di Arabia Saudita sono avvenuti nonostante il fatto che, nel corso della guerra, fossero stati conclusi accordi per investire e sostenere non i Sauditi, ma gli Hashemiti. Sono stati gli Arabi hashemiti, non i Sauditi, a guidare la rivolta araba contro i Turchi ottomani e sono stati loro i più impegnati nella campagna. E tuttavia è stata la fazione saudita fanatica (e qualcuno dice erotica), ispirata dal wahhabismo, ad assicurarsi il potere reale dopo la guerra.
Dico questo per sottolineare come il Regno saudita di ispirazione wahhabita non fosse l’unico, e neppure il più legittimato, ad ottenere questa posizione immensamente privilegiata ed enormemente potente nella regione. Infatti essi hanno usurpato questo potere così come i Sionisti hanno usurpato il loro in Palestina.
E che cosa ci ha dato questa Arabia Saudita ispirata dal wahhabismo? Ebbene, se l’influenza sull’Arabia Saudita stessa e gran parte della regione circostante è incontestabile, le dottrine wahhabite hanno esercitato una importante influenza sull’estremismo, il jihadismo e il terrorismo, fino all’odierno ISIS – l’incarnazione stessa del wahhabismo fuori dalla penisola arabica. Osama bin Laden stesso era un vero wahhabita. Quasi tutti gli estremisti dello jihadismo, ivi compresi altri gruppi takfiri (come i salafiti), seguono una ideologia essenzialmente wahhabita.
Un takfiri, sia detto per inciso, è un mussulmano sunnita che accusa un altro mussulmano (o un seguace di un’altra fede di Abramo) di apostasia. L’accusa stessa viene chiamata «takfir» (in arabo), derivato dalla parola «kafir» che in arabo vuol dire non credente, ed è quando «uno che è – o pretende di essere – un mussulmano, viene dichiarato impuro».
In ogni caso, questo dannoso dogma pseudo-islamico è stato disseminato sistematicamente nel mondo islamico per decenni, grazie ai fondi sovrani sauditi, col finanziamento dell’educazione e della letteratura religiosa fanatica nelle università e nelle moschee, dovunque in Egitto e in Iraq, in Pakistan e in Indonesia. Quel che è peggio, questa propaganda ispirata al wahhabismo, finanziata dall’Arabia Saudita, si è estesa a lungo oltre il Medio Oriente, nelle società occidentali, in particolare nelle comunità mussulmane del Regno Unito, in Francia, nei Paesi Bassi.
Uno studio recente durato due anni del dottor Denis MacEoin, professore di studi islamici all’Università di Fes, ha scoperto un tesoro di letteratura maligna in più di un quarto delle moschee britanniche.
Tutto questo era stato pubblicato e distribuito da organismi legati al governo del Regno di Arabia Saudita.
I volantini, i DVD, i siti web e le riviste sono pieni di dichiarazioni arcaiche ed estremiste che affermano per esempio che gli omosessuali dovrebbero essere bruciati, lapidati o gettati dall’alto di montagne o di alti edifici, così come gli adulteri e gli apostati (quelli che intendono cambiare religione). Le donne vengono presentate come esseri inferiori intellettualmente che hanno bisogno di «essere battute quando non obbediscono», mentre i bambini di più di 10 anni devono essere battuti se non vogliono pregare. La metà di questa letteratura è scritta in inglese, da cui si capisce che essa è diretta ai giovani mussulmani britannici che non parlano necessariamente l’arabo o l’urdu. Il materiale, liberamente circolante in molte moschee, consiglia vivamente i mussulmani britannici di tenersi a distanza dai non mussulmani, considerati come esseri inferiori.
Non si tratta di novità, certo. I giornalisti investigativi hanno scoperto documenti simili in più di una occasione, e le persone educate nelle comunità mussulmane summenzionate sono consapevoli di queste idee e di questa letteratura da molto tempo. La letteratura wahhabita finanziata dall’Arabia Saudita può essere considerata la più importante influenza (ma non la sola) nell’indottrinamento dei giovani britannici alienati della società dominante e nella seduzione dei ragazzi da parte di organizzazioni estremiste come al-Qaeda e ISIS / Daesh in tutto il mondo. Peggio ancora, in paesi come il Pakistan, ma anche il Regno Unito, la maggior parte dei ragazzi non hanno la possibilità di avere accesso ad un alto livello di educazione o a fonti affidabili di informazione pubblica, ma possono solo entrare in scuole religiose (madrasa) e nelle moschee, che insegnano servendosi di questi fanatici riferimenti finanziati dall’Arabia Saudita.
Si tratta in realtà di un punto strategico: la letteratura finanziata dall’Arabia Saudita si rivolge tradizionalmente alle regioni più povere del mondo mussulmano, come il Pakistan, la Somalia, l’Afghanistan, il Bangladesh, la Nigeria, l’Indonesia, ecc. dove manca praticamente qualsiasi infrastruttura educativa. In questi paesi, la ricchezza saudita è in grado di pagare per la costruzione o il mantenimento di scuole e moschee – ma a condizione che la loro interpretazione dell’islam sia quella wahhabita e che questa dottrina venga insegnata e divulgata. Grazie a questa situazione, protrattasi per molti anni, migliaia di giovani influenzabili sono cresciuti apprendendo questa interpretazione estremista dell’islam, perché vi sono stati costretti dalla mancanza di forme di educazione o informazione più raffinate. In sostanza, non hanno niente di meglio.
E’ interessante constatare che questa specie di indottrinamento wahhabita era tradizionalmente meno diffuso in paesi arabi più sviluppati o raffinati, come la Libia di prima della guerra, la Siria di prima della guerra, le zone wahhabite del Libano o l’Iraq di prima della guerra. Ciò si spiega in parte col carattere forte, laico e indipendente delle società che, almeno a livello di Stato, erano più sensibili ai sentimenti di fierezza nazionale e di identità culturale che al fondamentalismo religioso. Infatti, in paesi come la Siria e la Libia, lo Stato ha realizzato forti campagne per reprimere ogni forma di estremismo religioso.
La situazione è mutata in modo spettacolare dopo l’invasione e l’occupazione illegale dell’Iraq del 2003, il complotto della NATO in Libia e la sanguinosa guerra imposta alla Siria dal 2011. Di conseguenza tutti questi paesi sono attualmente infestati da estremisti religiosi dai barbari costumi. Il sedicente «Stato Islamico», alias ISIS o ISIL o Daesh che si è insediato in Siria e in Iraq è essenzialmente al 100% un movimento ideologicamente maturato nella dottrina wahhabita dell’Arabia Saudita. ISIS in fondo è come una Arabia Saudita senza ambasciate! I rapporti sono ulteriormente rafforzati dal fatto che, dietro questi selvaggi wahhabiti e salafiti, ci sono soprattutto armi e finanziamenti sauditi e qatarini, che le guerre in Siria e in Libia sono ampiamente finanziate dai Sauditi e dal Qatar e che la nascita di ISIS è in gran parte frutto di questa situazione. Si è detto, per esempio, che predicatori wahhabiti dell’Arabia Saudita erano di casa ad Aleppo, in Siria, e lì esortavano i selvaggi jihadisti armati a combattere una «guerra santa» contro lo Stato siriano, ad ogni costo.
Tuttavia, mentre paesi come l’Afghanistan e l’Iraq erano sottoposti ad una invasione (e il secondo ad una destabilizzazione pressoché totale) e il rovesciamento dei governi di Siria e Libia (due paesi che non hanno avuto alcuna influenza nella crescita e nella mondializzazione del jihadismo) è stato apertamente incoraggiato e aiutato dai grandi governi occidentali e dall’Arabia Saudita – senz’altro a cagione della loro ricchezza e a causa dell’importanza che rivestivano nelle strategie di Washington e dei loro alleati –, quest’ultima non è mai stata raggiunta da alcuna minaccia o visto mettere in causa la sua cinica attività di sistematica disseminazione delle dottrine estremiste in tutto il mondo mussulmano.
Prima Guerra Mondiale, wahhabiti, hashemiti e Lawrence d’Arabia
Per tornare alla Prima Guerra Mondiale, è bene ricordare che non era affatto scontato che i Saud diventassero i governanti dell’Arabia Saudita. L’hashemita Hussein bin Ali, è stato lo sceriffo ed emiro di La Mecca dal 1908 al 1917. La rivolta araba della Prima Guerra Mondiale impegnò tribù trans-giordane, oltre a tribù delle regioni di Hijaz e del Levante, che si sono battute contro l’Impero turco al fianco della Gran Bretagna e dei suoi alleati. La rivolta fu iniziata dagli hashemiti e guidata dallo sceriffo Hussein di La Mecca, non dai Saud o dai wahhabiti. Essa ha trovato l’appoggio della Gran Bretagna e dei suoi alleati della Prima Guerra Mondiale, che hanno utilizzato lo slancio dei nazionalisti arabi che volevano l’indipendenza per allargare il fronte contro la Germania e i suoi alleati.
La cronaca completa della rivolta è stata scritta da T. E. Lawrence che, da giovane ufficiale dell’esercito britannico, ha giocato un ruolo chiave di ufficiale di collegamento durante la rivolta. Ha poi pubblicato questa cronaca nel 1922 col titolo “I sette Pilastri della Saggezza”. Lo stesso Lawrence è certamente una delle figure più affascinanti ed emblematiche del XX° secolo. Mentre “I sette pilastri della saggezza” possono essere discutibili a causa di talune imprecisioni, anche I detrattori e i nemici non hanno potuto mettere in discussione il ruolo essenziale giocato dagli Hashemiti nella rivolta. E’ un fatto storico che il governo britannico dell’epoca promise agli Arabi hashemiti molto più di quanto abbia davvero concesso dopo la guerra.
A settembre del 1918, gli attivisti della rivolta araba hanno formato a Damasco un governo fedele allo «Sceriffo di La Mecca». Hussein era stato dichiarato «Re degli Arabi» da un gruppo di capi religiosi e da altri notabili a La Mecca. Dopo l’abolizione del califfato turco, Hussein si auto-proclamò califfo, re degli Hejaz, e re di tutti gli Arabi, Malik bilad-al-Arab, in arabo.
Però Hussein venne estromesso e cacciato dall’Arabia dai Saud, un clan rivale con il quale gli hashemiti avevano già pessime relazioni, avendo già in precedenza combattuto contro di loro a causa di radicali differenze religiose, principalmente a proposito delle dottrine fanatiche di Al-Wahhab. Benché i Britannici abbiano appoggiato [e utilizzato] Hussein fin dagli esordi della rivolta araba, decisero poi di non aiutarlo a respingere gli attacchi dei Saud, che hanno alla fine conquistato le principali città di La Mecca, Medina e Gedda. E’ così venuta meno la speranza di una Arabia governata dagli Hashemiti, per quanto Hussein abbia continuato a rivendicare il titolo di «Califfo» anche durante il suo esilio.
All’indomani della Prima Guerra Mondiale, gli Arabi si sono ritrovati liberi dopo secoli di dominazione ottomana, ma sono stati sottoposti alla dominazione coloniale della Francia e della Gran Bretagna, nonostante le promesse dei Britannici durante la guerra. Quando i mandati coloniali terminarono, i figli di Hussein vennero fatti re della Trans-Giordania, poi chiamata più semplicemente Giordania, oltre che della Siria e dell’Iraq. La monarchia in Siria fu però di breve durata, e in seguito Faisal, figlio di Hussein, è stato a capo del nuovo Stato iracheno. Ma queste furono solo offerte di consolazione rispetto a quanto era stato inizialmente previsto e auspicato dagli Hashemiti. Sono stati i Saud i veri vincitori, istallati in un regno potente che è durato fino ad oggi e che non mostra alcun segno di indebolimento.
Le Memorie del signor Hempher e i Protocolli dei Savi di Sion
Non è esagerato dire che il sionismo e il wahhabismo sono state le forze chiaramente divisive e distruttive della regione del Medio Oriente e oltre. Il sionismo ha prodotto la situazione irrisolvibile e l’umiliazione del popolo palestinese, oltre a fare in modo che il moderno Stato di Israele venga percepito in termini esclusivamente negativi. Infatti tutti i sondaggi dicono che Israele è la nazione meno popolare sulla terra! Nel frattempo il wahhabismo ha ispirato una quantità incommensurabile di estremismi, un terrorismo del genere peggiore, l’indottrinamento e la polarizzazione tossica di molte società arabe.
Possiamo guardare l’andamento dell’influenza del wahhabismo nel mondo, fino allo stadio attuale, e legittimamente definirlo un cancro. Ma per quanto riguarda le sue radici? Partendo dalla considerazione condivisa di una cospirazione sionista ispiratrice della Dichiarazione di Balfour e di tutto quanto è accaduto poi, è possibile che il wahhabismo, che ha cominciato ad acquisire influenza più o meno nella stessa epoca, sia stato qualcosa di molto più importante di quanto non sia apparso- nemmeno all’epoca?
E’ possibile che il wahhabismo non sia solo il frutto di un rozzo predicatore venuto dal deserto della penisola Arabica, ma qualcosa di molto più cinico?
Il libro “Le memorie del signor Hempher”, una spia Britannica in Medio Oriente o “Le confessioni di una spia britannica”, è stato considerato da taluno come un falso fabbricato; un documento che dovrebbe raccontare la storia di un agente britannico in Medio Oriente nel XVIII° secolo, Hempher, e del suo ruolo nella creazione del wahhabismo nell’ambito di una cospirazione per corrompere e, alla fine, distruggere l’islam. Questo libro è stato pubblicato nel 1888 in turco. E’ stato considerato come una variante anglofona del libro “Il Protocollo dei Savi di Sion”.
La maggior parte dei ricercatori in materia di cospirazione conoscono l’infame libro “I protocolli dei Savi di Sion”, considerato come rivelatore della cospirazione ebraica mondiale. I Protocolli dei Savi di Sion, così come le “Confessioni di una spia Britannica”, sono stati considerati a lungo dalle fonti tradizionali come un falso e una bufala. Ma è davvero così?
I Protocolli sono stati ampiamente tradotti e diffusi e sono sempre stati considerati come autenticamente storici in gran parte del mondo mussulmano, fonte di informazione sulla visione predominante in Medio Oriente sugli ebrei e suoi sionisti. Quelli che negano l’autenticità del libro, lo citano come una delle cause che contribuisce fortemente ad alimentare l’odio contro gli ebrei in quasi tutte le società mussulmane e non solo. Purtroppo i nazisti, come molti nelle società mussulmane odierne, erano intemperanti, incapaci di tenere distinto il sionismo come forza politica globalista corrosiva, dagli ebrei come popolo.
La verità è che, se pure i “Protocolli dei Savi di Sion” si rivelasse storicamente autentico, il sionismo che essi raccontano non è più rappresentativo degli ebrei come popolo, di quanto non lo sia il wahhabismo nei confronti dell’intera comunità mussulmana – vale a dire che solo una percentuale relativamente bassa dei mussulmani nel mondo è wahhabita, e lo stesso vale per la comunità ebraica e il sionismo. Ma le cospirazioni del genere del quale parliamo funzionano in modo insidioso, spesso impercettibile. Vale a dire che il numero dei mussulmani e quello degli ebrei incoscientemente complici del wahhabismo e del sionismo è rispettivamente molto più elevato.
Ma che cose ne è delle “Confessioni di una spia Britannica”? E’ una semplice coincidenza che queste due ideologie politiche, contemporanee, che hanno entrambe provocato la grave situazione in atto in Medio Oriente, abbiano anche prodotto dei libri che rivelano la loro vera origine e il loro programma – ma che sono stati poi disconosciuti dai commentatori dei media tradizionali come dei falsi?
“Le Confessioni di una spia Britannica” dicono la verità? Il wahhabismo è stato costruito da organismi esterni come un piano a lungo termine per corrompere l’islam? Ed è solo una coincidenza che sia proprio quello che il wahhabismo ha fatto nel corso di un secolo – corrompere la grande religione islamica al punto da venire attualmente considerate da molti non mussulmani [e anche da mussulmani non praticanti] come una fonte di male nel mondo?
E i “Protocolli dei Savi di Sion”? E’ una semplice coincidenza che I protocolli descritti in questo documento siano perfettamente compatibili con la realtà del sionismo mondiale attuale?
Tornando all’islam, ricordiamo che questa religione non è stata sempre stigmatizzata come avviene oggi, ma piuttosto il contrario. Le società islamiche sono state storicamente percepite come intellettualmente e anche scientificamente illuminate, in un’epoca in cui il cristianesimo occidentale era caratterizzato da retro-pensieri superstiziosi, le inquisizioni, la tortura, le persecuzioni di massa, i roghi per gli eretici e le dottrine e i proclami assolutamente ridicoli. Le narrazioni storiche raccontano la brutalità dei crociati cristiani occidentali e la nobiltà di cui davano prova Saladino e gli eserciti mussulmani. Il mondo islamico ha conosciuto il suo illuminismo molto prima dell’Occidente cristiano, nonostante la sua religione fosse più giovane. In un’epoca in cui gli Europei mandavano al rogo le «streghe», le città islamiche classiche di Esfahan, di Damasco, di Bagdad e del Cairo erano dei centri di formazione e di filosofia.
La lenta decadenza e la divisione delle società islamiche è un fenomeno che è cominciato solo da un centinaio d’anni, perché la crescita del wahhabismo sembra avere agito come un virus ad azione lenta con un lungo periodo di incubazione. Ed è stato solo negli ultimi 10/15 anni che l’influenza delle dottrine wahhabite è diventata una questione internazionale di primo piano.
Per quanto riguarda il libro “Le Confessioni di una spia britannica”, si tratta di una bufala? Forse sì o forse no. Ma è lecito chiedersi il perché di un simile falso documento – per gettare cattiva luce su una setta religiosa all’epoca minoritaria che avrebbe avuto la sua importanza solo un secolo dopo? Lo stesso vale per i “Protocolli dei Savi di Sion”.
11 settembre, un tentativo di distruggere il vero islam
Perché gli alleati occidentali del re Hussein non hanno aiutato gli Hashemiti quando sono stati cacciati dall’Arabia dai Saud dopo la Prima Guerra Mondiale? E perché da decenni gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e le altre potenze mondiali non hanno considerato come un problema il finanziamento saudita della letteratura e delle ideologie estremiste? Eppure noi sembriamo più che desiderosi di precipitarci quando si presenti una occasione di rovesciare un leader laico come Gheddafi in Libia o Assad in Siria, due dittature, forse non democratiche, ma due società relativamente idilliache in confronto all’Arabia Saudita – non più adesso, purtroppo – e che non costituivano un grave fattore nell’indottrinamento dei giovani frustrati, arrabbiati e impressionabili di tutto il mondo mussulmano. Quale è la ragione di questa politica estera così profondamente incoerente?
Perché i Sauditi non sono stati posti sotto accusa quando 15 dei 19 presunti pirati dell’aria dell’11 settembre sono stati identificati come originari dell’Arabia Saudita e non dell’Iraq? O forse questi 15 capri espiatori sono stati considerati una risorsa preziosa che Washington potrà mettere a frutto per esempio con «le 28 pagine mancanti del rapporto sull’11 settembre», delle quali abbiamo tutti sentito parlare negli ultimi tempi, per ottenere un vantaggio geopolitico sui Sauditi e figurativamente tirare loro il tappeto da sotto i piedi come ha fatto con l’Egitto di Mubarak nel 2011? La lista delle domande curiose cresce a dismisura. Senza troppo divagare e per non complicare una questione già troppo complessa, occorre ricordare che una delle teorie del complotto più accreditate sull’11 settembre è quella di Phillip Marshall, che conclude ritenendo che gli attacchi al WTC erano un complotto statunitense-israeliano-saudita, non una semplice operazione di Al Qaeda. Due caratteristiche centrali e ricorrenti nella maggior parte delle ricerche sul complotto dell’11 settembre riguardano la possibile partecipazione di agenti sauditi e l’eventuale coinvolgimento del Mossad israeliano in collusione con una ampio ventaglio di agenzie statunitensi.
Ciò detto, quando si guarda la storia del Medio Oriente, risulta sempre più difficile non chiedersi se le divisioni, le manipolazioni, le guerre e gli scenari apocalittici che hanno raggiunto l’apogeo all’inizio del XXI° secolo non siano state orchestrate da molto tempo in una storia che si proponeva proprio di arrivare ad una situazione come questa. E’ il punto di vista di molti a proposito dei “Protocolli dei Savi di Sion” – vale a dire che il presunto «falso» documento ha effettivamente reso la situazione molto più chiara.
Più si studia la storia, più viene da chiedersi se la verità sul wahhabismo e le sue origini non sia solo una vicenda similare, ma una operazione sincronica, con le sue ideologie – wahhabismo e sionismo – che lavorano insieme per creare l’ambiente tossico che oggi abbiamo nella regione.
E’ anche interessante notare che la cospirazione cui si accenna nelle “Confessioni di una spia Britannica” – a ragione o a torto – gode di grande considerazione in certe parti del Medio Oriente, soprattutto in Iraq, dove questo libro viene considerate da molti autentico, come anche i “Protocolli dei Savi di Sion”.
Deve anche notarsi che Washington viene considerato un alleato potente di Israele e anche come supporter durevole del regime saudita, con grande disappunto di altre nazioni e dei loro leader nella regione, come Gheddafi, Assad e la Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Khamenei, ecc. Lo Stato sionista di Israele e il Regno wahhabita dell’Arabia Saudita potrebbero essere considerati – e sono considerati da molti in Medio Oriente – come Stati artificiali imposti alla regione e mantenuti in piedi dalle potenze occidentali – soprattutto Washington – per finalità a lungo termine che solo dio conosce. Così come Israele viene armata fino ai denti dai suoi patron occidentali, lo stesso è per il regime saudita, impegnato attualmente a decimare la piccola nazione yemenita in una guerra illegale nella quale usa quasi esclusivamente armi britanniche e statunitensi – senza una sola parola di condanna da parte dei governi occidentali.
La percezione spesso inevitabile è che I più importanti governi occidentali marcino al ritmo dello Stato saudita, proprio come di Israele. E questo, nonostante sia noto da tempo il ruolo dell’Arabia Saudita come principale fonte del terrorismo jihadista.
Risulta sempre più evidente che gli Stati wahhabita e sionista hanno interessi comuni e lavorano di comune accordo in varie occasioni. Per esempio nella loro politica anti-iraniana e nel coinvolgimento di entrambi nella guerra estremista di ISIS contro il governo siriano.
Nel numero del 14 settembre 2016 del magazine Politico, il neocon Zalmay Khalilzad (ex ambasciatore degli Stati Uniti in Afghanistan, in Iraq, alle Nazioni Unite e attualmente uomo di paglia della lobby saudita a Washington) ha dichiarato: «Israele e l’Arabia Saudita condividono una percezione simile della minaccia iraniana, e questa vecchia ostilità non deve impedire una maggiore cooperazione tra i due Stati nel futuro. I Sauditi hanno dichiarato con franchezza inabituale che essi non considerano Israele come un nemico e che il regno non ha alcun piano di emergenza militare diretto contro Israele…»
Il XX° secolo e la malignità del wahhabismo nel mondo islamico
L’influenza distruttiva ed egemonica del sionismo è stata descritta e commentata in ogni sua forma per diversi decenni. Ma le dottrine wahhabite possono oggi essere considerate come ispiratrici della maggior parte dei movimenti estremisti e folli del jihadismo, ivi compresi Al Qaeda e attualmente ISIS. Sarebbe impossibile calcolare quante persone, soprattutto giovani, sono state nel mondo indottrinate dal wahhabismo.
Ancora una volta, per citare l’ex ambasciatore Khalilzad (dal numero del 14 settembre 2016 del magazine Politico):
«Una volta, durante una riunione col re Salman, il principe ereditario Nayef, il vice-ministro Mohammad Bin Salman e diversi ministri, un alto funzionario saudita ha ammesso: “Ci siamo sbagliati”. Mi ha spiegato che i Sauditi hanno sostenuto l’estremismo islamico dagli inizi degli anni 1960, come un contrappeso al nasserismo – l’ideologia politica socialista dell’egiziano Gamal Abdel Nasser – che minacciava l’Arabia Saudita e era in guerra con essa lungo le frontiere dello Yemen. Questa tattica ha loro permesso di contenere con successo il nasserismo, e i Sauditi si sono convinti che l’islamismo poteva essere uno strumento potente in un contesto più ampio».
Il wahhabismo saudita non è solo una cattiva interpretazione intollerante e barbara dell’islam. E’ un culto della morte in sé con una metodologia politica molto accorta e diretta. Il sionismo, che è spesso utilizzato per indottrinare i giovani ebrei [e molti stupidi evangelici statunitensi detti «cristiani»], ha una visione essenzialmente estremista, delirante, intransigente, che parla di superiorità razziale e del «diritto divino» su una terra che non è la loro, su un paese che non hanno MAI avuto, se non per un limitato periodo, e del quale si sono dimostrati totalmente indegni, dopo di ché ha avuto inizio la loro espulsione e la diaspora.
L’influenza del wahhabismo, proprio come quella del sionismo, sono difficili da individuare per coloro che osservano superficialmente gli avvenimenti dall’esterno, e possono essere considerati quasi come un indottrinamento furtivo. Anche se nessuno ha mai negato l’esistenza del wahhabismo o la sua predominanza in Arabia Saudita, è solo da qualche anno che la massiccia presenza di materiale wahhabita in giro per il mondo mussulmano ha cominciato ad essere compresa. Mentre l’influenza religiosa saudita non può essere citata come l’unico fattore dietro la crescita del fanatismo e dell’estremismo in Medio Oriente e oltre, in gran parte del mondo islamico, essa però è un fattore centrale di questo fenomeno, insieme alla politica estera statunitense e allo Stato sionista di Israele E se si giungesse alla conclusione che tutti questi fattori agiscono di concerto tanto da doverli considerare come un unicum, allora esso sarebbe con tutta evidenza il motore principale dei terribili eventi di questa parte del mondo.
Anche a voler considerare altri fattori di causalità – per esempio le popolazioni oppresse da varie dittature – si potrebbe affermare che tali dittature sono state per qualche tempo della loro storia sostenute dall’influenza saudita o statunitense (o da entrambe) – salvo quella di Gheddafi, e guardate come è andata a finire per lui. Se si analizzano gli avvenimenti storici delle sedicenti «primavere arabe» o, per meglio dire, del caos arabo, alcuni tendono a dimenticare che Bahreïn, per esempio, ha avuto le sue proteste popolari e i suoi civili che rivendicavano diritti e libertà fondamentali. Queste proteste sono state schiacciate e non hanno ricevuto alcun sostegno o solidarietà da Washington o da altre potenze occidentali. Invece queste potenze si sono affrettate a contribuire al rovesciamento violento e brutale di Gheddafi in Libia e stanno cercando attualmente di fare lo stesso in Siria, imponendo un prezzo enorme al popolo siriano povero e indifeso.
Non stupisce che la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad fossero due regimi che non nutrivano alcuna simpatia né amore per i wahhabiti sauditi. E lo stesso può dirsi per l’Iraq di Saddam Hussein, mentre il governo del Bahreïn godeva del pieno appoggio saudita. Ancora più grottesco, i Sauditi venivano essi stessi «consultati» dalle potenze occidentali su quanto occorreva fare a proposito del «problema di Gheddafi», proprio come erano «consultati» su quanto occorresse fare con Assad e la Siria, o per quanto riguardava la campagna per cacciare Saddam Hussein dall’Iraq.
E’ curioso che, con tutti i regimi che sono crollati o che sono stati presi di mira nella regione (anche quello di Mubarak in Egitto), il regime saudita non è sembrato incontrare alcuna difficoltà, per quanto esso sia detestato da tanti suoi sudditi oltre che da molti vicini, e per quanto sia ancora più oppressivo degli altri regimi accusati di essere «anti-democratici».
Secondo il sociologo Quintan Wiktorowicz, anche l’espressione «wahhabismo» viene spesso utilizzato dai suoi avversari per designare l’influenza straniera, in particolare nei paesi dove esiste una piccola comunità mussulmana minoritaria, ma che hanno subito recenti incursioni dirette a convertire la popolazione locale a questa ideologia. Grazie a questo metodo di infiltrazione a lungo termine, le nazioni straniere possono essere destabilizzate, i movimenti radicalizzati e i regimi colpiti o addirittura rovesciati. Muammar Gheddafi conosceva bene i wahhabiti – e li odiava di tutto cuore. Ha ugualmente commesso l’errore di affrontare apertamente la famiglia reale saudita nel corso dei summit arabi. Ancora una volta, rileviamo che né l’Iran, né la Siria, né la Libia di Gheddafi, né l’Iraq di Saddam Hussein hanno mai contribuito alla esportazione o alla diffusione dell’estremismo o del terrorismo contro l’occidente. Ma il wahhabismo saudita lo ha fatto apertamente e lo fa tuttora.
Risulta sempre difficile per i ricercatori indipendenti analizzare la cospirazione internazionale ordita contro Gheddafi e il popolo libico, senza chiedersi quale alleanze di forze e di interessi vi fosse veramente dietro e perché. Questo argomento meriterebbe un saggio intero, ma risulta ugualmente difficile analizzare la crisi che lacera la Siria un tempo pacifica e non porsi le stesse questioni, per non parlare dell’Iraq e dell’avanzata di ISIS.
E’ un dato acquisito che i Sauditi e i loro Stati clienti satelliti abbiano finanziato e addestrato i terroristi ultra-violenti di ISIS in Siria fin dall’inizio del conflitto. E’ egualmente certo che Israele sia stata coinvolta nell’aiuto ai ribelli siriani. E’ dunque assolutamente ragionevole chiedersi se un programma sionista/wahhabita venga perseguito all’unisono con, evidentemente, l’appoggio dei neocon a Washington.
Questo, sia detto per inciso, non è un tentativo di diffamare l’Arabia Saudita o lo Stato saudita – che anch’esso può trovarsi di fronte al pericolo dell’estremismo jihadista – ma più specificamente il suo clero religioso e le sue reti religiose. Si ignora in quale misura queste reti siano legate allo Stato stesso. Ma vi è sicuramente un certo grado di collusione che coinvolge le persone più influenti dello Stato.
In conclusione, va chiaramente oltre i compiti di questo articolo stabilire se i “Protocolli dei Savi di Sion” o “Le Memorie” del signor Hempher siano dei falsi del XIX° secolo, o autentici dati storici che rivelano le vere origini delle due ideologie, le più distruttive e tossiche del XX° e del XXI° secolo.
Ciò che risulta in termini di obiettività assoluta, però, è il ruolo sostanziale che le due ideologie hanno giocato nella creazione delle condizioni difficili, quasi apocalittiche, che vi sono attualmente in Medio Oriente e altrove nel mondo. Quando si ha familiarità con la storia, non ci si può impedire di collegare l’amaro settarismo, le guerre le divisioni e il sangue di oggi alle grandi ombre del sionismo e del wahhabismo che si levano dietro gli avvenimenti. E questo anche prima di considerare la questione dell’islam sciita. Cosa che è anche molto interessante, tenuto conto del fatto che la politica degli Stati Uniti nel corso degli ultimi anni si è sforzata di aggravare il più possibile un conflitto falso e artificiale sunnita-sciita nella regione. L’intelligence israeliana è ugualmente coinvolta nella nascita di questo conflitto geo-settario.
Il cupo quadro è quello di un cancro sociale e politico seminato all’alba del XX° secolo, che ha toccato il livello più mortifero all’inizio del XXI° secolo: un’agenda anteriore alla Prima Guerra Mondiale che potrebbe provocare la Terza Guerra Mondiale.