Ben Barka, un omicidio israeliano-marocchino
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Le schede di ossin, 20 novembre 2021 - Cinquantasei anni fa, intorno al 29 ottobre 1965, Mehdi Ben Barka, militante per la liberazione dei popoli, veniva ucciso a Parigi da agenti marocchini e israeliani... Un patto scellerato tra due regimi canaglia, quelli della monarchia marocchina e dello Stato ebraico (nella foto, Mehdi Ben Barka)
Cf2r (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), marzo 2021 (trad.ossin)
Ben Barka, un omicidio israeliano-marocchino
Eric Denécé
Ci sono miti che sono duri a morire, anche se totalmente infondati.
È il caso dell’omicidio di Ben Barka (1965), ingiustamente addebitato da oltre mezzo secolo al SDECE (Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage, l'intelligence francese, ndt). Ancora oggi, leggendo un manoscritto di due ufficiali dei servizi di informazione – esperti, ma non ancora in servizio all’epoca dei fatti [1] –, ho dovuto constatare che perfino alcuni specialisti continuano, in difesa del loro Servizio, a spacciare questa diceria infondata, che molti giornalisti e certi storici ripetono da decenni, senza mai averne verificato la verità, né avere consultato le fonti straniere che hanno fatto luce – e in che modo – su questa oscura vicenda. Attribuire la responsabilità di questo assassinio al SDECE [2] è quindi assolutamente sbagliato, per quanto anche dei cittadini francesi – compresi alcuni ex agenti – vi abbiano svolto un ruolo.
I fatti
Ricordiamo innanzitutto i fatti accertati.
Mehdi Ben-Barka, ex precettore del re Hassan II ed ex presidente dell’Assemblea nazionale consultiva marocchina, diventò un oppositore del sovrano marocchino Mohamed V a partire dalla metà degli anni 1950, quando fondò l’Union socialiste des forces populaires (USFP). Si affermò rapidamente come il principale capo dell’opposizione e partecipò a diversi tentativi di rovesciare la monarchia marocchina. Per tale ragione, venne condannato due volte a morte in contumacia dai tribunali del Regno dello Sceriffato. Costretto all’esilio, rifugiato a Parigi, Ben-Barka proseguì la sua attività sovversiva. Hassan II, salito al trono nel 1961, decise di farla finita con questo oppositore e ne affidò la missione al generale Mohamed Oufkir, suo ministro dell’interno [3] e al colonnello Ahmed Dlimi, capo della polizia. Consapevole di essere in pericolo di vita, Ben Barka lasciò Parigi per Ginevra dove, pensava, gli uomini di Oufkir non potevano raggiungerlo [4]. E infatti ne persero le tracce.
Nell’estate del 1965, il giornalista Phillipe Bernier, il cineasta George Franju ed il produttore George Figon contattarono l’oppositore marocchino volendo intervistarlo, a Parigi, per un documentario sulla decolonizzazione cui stavano lavorando. Ben Barka accettò e fissò loro un appuntamento per l’autunno.
Il 29 ottobre 1965, verso mezzogiorno, a Saint-Germain-des-Prés, mentre si recava ad un appuntamento con queste persone per fare insieme colazione, Ben Barka venne abbordato da due uomini che, presentandosi come poliziotti, lo invitarono a seguirli. Fecero montare il Marocchino su una Peugeot 403 priva di contrassegni, che si infilò nel traffico veicolare. Da quel momento, Ben Barka non sarà mai più visto vivo e il suo corpo mai ritrovato.
Con qualche rara eccezione, questo caso oscuro continua in Francia ad essere presentato come una operazione del SDECE, e la gran parte dei nostri compatrioti resta convinta che questo Servizio sia responsabile del rapimento dell’oppositore marocchino e della sua morte, tanto più che, dopo cinquanta anni di inchieste giudiziarie, permangono ancora molte zone d’ombra.
Eppure immediatamente era insorto il sospetto che all’operazione avesse partecipato il MOSSAD, il servizio di informazione israeliano. Ma nessuno sembra averne voluto tener conto o evocarlo… Eppure si tratta di una realtà incontestabile, come confermato da diverse testimonianze. Infatti, più di quaranta anni dopo la sparizione del leader della sinistra marocchina, è stato rivelato il ruolo svolto dai servizi israeliani.
I primi a parlarne sono stati Ian Black e Benny Morris, nel loro saggio Israel’s Secret Wars : A History of Israel’s Intelligence Services, pubblicato nel 1991, vale a dire trent’anni fa ! Sette anni dopo, anche Michael M. Laskier ne ha parlato nel suo libro Israel and the Maghreb : from Statehood to Oslo (2004). L’autore ha avuto accesso ai documenti del MOSSAD e ha intervistato alcuni protagonisti, come il capo del servizio dell’epoca [5]. In seguito molti altri saggi, pubblicati in Israele o negli Stati Uniti, sono venuti a confermare questi fatti [6]. Poiché la gran parte di essi non sono stati tradotti in francese, le informazioni che hanno fornito – quasi tutte testimonianze di ufficiali del MOSSAD che hanno partecipato all’operazione – restano per lo più sconosciute nel nostro paese.
Che cosa è davvero successo a Ben Barka
Dopo che Ben Barka ebbe lasciato Parigi all’inizio degli anni 1960, i Servizi segreti marocchini cercarono inutilmente di localizzarlo. Infatti l’oppositore di Hassan II curava di nascondere il suo luogo di residenza e si spostava continuamente da un posto ad un altro, servendosi di pseudonimi. Di fronte al fallimento, il generale Oufkir chiese allora l’aiuto del MOSSAD per « prenderlo » ed eliminarlo [7]. E gli Israeliani accettarono.
Le ragioni dell’accettazione israeliana
Fin dalla creazione dello Stato ebraico, gli Israeliani hanno sempre guardato con interesse al Marocco, terra di emigrazione – in un primo tempo clandestina, poi tollerata – da cui quasi 250 000 ebrei hanno raggiunto Israele, in tappe successive, tra il 1948 e il 1975 [8]. Per quanto il Marocco fosse un paese arabo, con stretti rapporti coi principali nemici di Israele, esso era moderato e non aveva alcun contenzioso territoriale con Israele. Inoltre era piuttosto filo-occidentale. (Ottimi rapporti che proseguono ancora oggi. Il Marocco ha recentemente dato la propria adesione al Patto di Abramo contro i Palestinesi, ndt)
A partire dagli anni 1950, il Mossad sviluppò relazioni privilegiate col Regno dello Sceriffato. I primi contatti coi Marocchini vennero presi da Yaakov Caroz e Rafi Eitan. Isser Harel – direttore del MOSSAD dal 1952 al 1963 – intravvide subito l’enorme potenzialità di legami clandestini con Rabat [9]. Perciò Eitan e un altro responsabile del MOSSAD, David Shomron, si recarono a Rabat per incontrarsi col generale Oufkir, ministro dell’interno e responsabile dei servizi di sicurezza, e col suo aggiunto, il colonnello Dlimi. Eitan e Oufkir si intesero sin dal primo incontro e conclusero un accordo: il MOSSAD avrebbe riorganizzato e avrebbe formato i servizi segreti marocchini, e si sarebbe fatto carico anche dell’addestramento dell’unità responsabile della sicurezza del re. In cambio, il Marocco avrebbe offerto agli agenti del servizio israeliano delle coperture che essi avrebbero potuto utilizzare nelle loro operazioni. Si dette anche vita ad uno speciale organismo per raccogliere in comune le informazioni [10]. La cooperazione si sviluppò rapidamente e, nel dicembre del 1959, il servizio israeliano avvisò il Palazzo di un complotto contro il Principe ereditario.
Con l’incoronazione di Hassan II nel 1961, l’alleanza con lo Stato ebraico si rafforzò. Il re la considerava indubbiamente una garanzia di stabilità per il suo regime [11]. I due paesi avevano un nemico comune: il presidente egiziano Nasser e le sue aspirazioni panarabe e repubblicane. Nel 1963, Isser Harel confidò a Eitan : « Hassan Il, il re del Marocco, teme che Nasser, il presidente egiziano, possa farlo assassinare per le sue simpatie filo-occidentali. Hassan vuole che il MOSSAD si occupi della sua sicurezza personale [12]». Anche il successore, Meir Amit (1963-1968), coltivò assiduamente le relazioni col Regno dello Sceriffato. Quindi, nell’ambito della collaborazione segreta tra Rabat e Tel Aviv, il Marocco ricevette da Israele informazioni ed assistenza tecnica; in cambio, Hassan II permise agli ebrei marocchini di emigrare in Israele, e il MOSSAD ottenne la possibilità di installare una stazione permanente nella capitale marocchina, dalla quale poteva spiare i rappresentanti dei paesi arabi e il Maghreb.
All’inizio del 1965, il generale Oufkir andò segretamente in Israele per incontrare il suo omologo e amico Meir Amit e il suo aggiunto David Kimche. In questa occasione chiese l’aiuto del MOSSAD per trovare ed eliminare Ben Barka [13]. Ma, in un primo tempo, gli Israeliani rifiutarono. Poi Amit, preoccupandosi della sicurezza degli Ebrei in tutto il mondo – compreso il Marocco – fu preso dal timore che il rifiuto di aiutare il governo potesse arrecare pregiudizio alla comunità ebraica di quel paese [14].
Nel settembre 1965, il servizio segreto israeliano ottenne da Rabat l’autorizzazione a spiare il summit della Lega Araba a Casablanca [15]. La riunione doveva discutere della istituzione di un comando arabo comune per le successive guerre contro Israele. Ma siccome le relazioni di re Hassan con diversi leader arabi erano pessime, quest’ultimo temeva che qualcuno di essi ne approfittasse per accordarsi su una sua destituzione. Per questo prestò il suo assenso all’operazione del MOSSAD, perché anch’egli aveva interesse a sapere che cosa si sarebbe detto.
La squadra del MOSSAD, guidata da Zvi Malchin e Rafi Eitan, piazzò quindi microspie in tutte le sale di riunione e nelle suite private di tutti i leader degli Stati arabi e dei loro comandanti militari. Le informazioni raccolte fornirono ad Israele una visione senza precedenti dei segreti militari dei loro nemici e della mentalità dei leader dei paesi arabi. Soprattutto, nel corso della riunione, i comandanti degli eserciti arabi dichiararono che le loro forze non erano preparate ad una nuova guerra contro Israele. Tale fondamentale informazione permetterà a Tsahal (l’esercito israeliano, ndt) di passare vittoriosamente all’offensiva due anni dopo, in occasione della Guerra dei sei giorni (1967)[16].
Ma il 30 settembre 1965, vale a dire l’indomani stesso del summit, quando il MOSSAD ricevette le registrazioni, Ahmed Dlimi contattò nuovamente Meir Amit e gli fece capire che il suo paese attendeva una rapida contropartita per il servizio reso allo Stato ebraico. Rabat esigeva dal MOSSAD il suo aiuto per trovare ed eliminare Ben Barka, che i suoi servizi non erano riusciti ancora a localizzare [17].
Il 1° ottobre 1965, i Marocchini indirizzarono al MOSSAD una serie di precise richieste: un appartamento a Parigi che potesse essere usato come nascondiglio, cinque falsi passaporti stranieri e un kit di travestimento. Oufkir e Dlimi chiesero inoltre che gli Israeliani si occupassero di rintracciare Ben Barka dovunque si trovasse e lo attirassero a Parigi. Le cose si facevano serie. Assi Amit decise di informare il suo Primo Ministro, Levi Eshkol e gli spiegò : « Da una parte, ci hanno dato queste cassette, ma dall’altra ci hanno detto : « Date » ! Vogliono qualcosa di molto semplice. C’è questo goy (non ebreo, ndt), Ben Barka, che si oppone al re… e il re ha dato l’ordine di eliminarlo. Sono venuti da noi e ci hanno detto: « Voi siete dei grandi assassini… Fatelo voi! »[18]. Oufkir e Dlimi avevano infatti evocato la cattura di Adolf Eichmann da parte dei servizi israeliani nel 1960, che ritenevano fosse qualcosa di simile a quanto essi stessi stavano progettando [19].
Ma il Primo Ministro rispose che non se ne parlava proprio di coinvolgere Israele in una simile operazione. Amit condivideva il suo punto di vista, ma non vedeva come fosse possibile respingere la richiesta dei Marocchini senza mettere in discussione l’alleanza con loro [20]. Alla fine, Eshkol prestò il suo consenso per una assistenza logistica, in particolare il pedinamento di Ben Barka a Ginevra [21]. Ma il 12 ottobre, dopo che il MOSSAD ebbe fornito il nascondiglio, Dlimi reclamò un’altra cosa; del veleno ed un’auto con targa falsa [22].
Nel mese di ottobre, Amit e Oufkir si incontrarono in Francia e raggiunsero un accordo secondo il quale gli agenti del MOSSAD non avrebbero partecipato all’omicidio di Ben Barka, ma avrebbero dato una mano a tendergli una trappola [23] spingendolo a lasciare Ginevra ed a venire in Francia per incontrarsi coi registi di un film [24].
Il MOSSAD si impegnò quindi in questa operazione perché era in debito con Rabat, pur non nutrendo particolari ostilità nei confronti dell’oppositore marocchino, che intratteneva peraltro relazioni con alcuni funzionari israeliani ed ammirava « le realizzazioni dello Stato ebraico in campo agricolo, dello sviluppo regionale e militare »[25]. Un’analisi attenta, tuttavia, dei cablogrammi e dei dossier interni del MOSSAD dimostra che l’organizzazione fu fortemente coinvolta sia nel rapimento che nell’omicidio [26].
La partecipazione del MOSSAD all’operazione
L’oppositore marocchino, che viaggiava molto per il mondo, si serviva abitualmente di un’edicola di giornali a Ginevra come recapito postale, e vi si recava regolarmente a ritirare la corrispondenza. Furono le unità Caesarea [27] e Colossus [28] del MOSSAD a localizzare il luogo, e lo comunicarono ai servizi segreti marocchini. Una volta informato, Oufkir piazzò degli uomini davanti all’edicola giorno e notte. Due settimane dopo, videro Ben Barka. A questo punto agli agenti marocchini non restò che seguirlo per scoprire che aveva un pied-à-terre in Svizzera [29].
In seguito, il MOSSAD escogitò il piano di attirare Ben Barka a Parigi, su invito di un uomo che si spacciava per un documentarista affascinato dalla storia della vita dell’esule marocchino e che si diceva interessato alla realizzazione di un film sulla de-colonizzazione [30]. Il piano funzionò appieno [31].
Il 29 ottobre 1965, Ben Barka arrivò a Parigi proveniente da Ginevra, con un passaporto diplomatico algerino. Lasciò le valige da un amico e si recò a piedi alla brasserie Lipp per incontrarsi coi tre documentaristi francesi e parlare del progetto di film. Due poliziotti francesi in borghese lo controllarono proprio all’ingresso del celebre ristorante. Lo fecero montare sulla loro vettura, un’auto a noleggio, e lo portarono in una villa nella parte sud di Parigi [32]. Le versioni divergono sul seguito,
– Secondo Ian Black e Benny Morris, l’oppositore marocchino venne condotto a Fontenay-le-Vicomte, in una villa appartenente a George Boucheseiche [33], un personaggio della malavita francese. Venne interrogato, torturato e ucciso in presenza di Oufkir, poi seppellito in giardino. Il cadavere venne riesumato e qualche settimana dopo sepolto nuovamente sulle rive della Senna [34].
– Secondo Ronen Bergman, Ben Barka venne portato in una casa del MOSSAD, dove i Marocchini lo interrogarono brutalmente. Morì rapidamente per asfissia, dopo essere stato immerso a più riprese in un bagno di acqua salata. Seppure il MOSSAD non avesse partecipato materialmente all’omicidio e i suoi agenti non fossero stati presenti all’esecuzione, si attivarono comunque per farne sparire le spoglie. Gli agenti di Caesarea e di Colossus lo portarono nella vicina foresta di Saint-Germain, dove scavarono una buca in cui lo seppellirono, dopo aver asperso il corpo con una speciale polvere chimica in grado di dissolverlo. Tale polvere diventa particolarmente attiva quando viene in contatto con l’acqua, e le piogge abbondanti seguite quasi subito fecero sì che, nel giro di pochi giorni, non rimanesse probabilmente quasi niente del corpo di Ben Barka. Peraltro, secondo alcuni Israeliani intervistati da Bergman, le ultime spoglie del Marocchino furono spostate altrove e si troverebbero oggi nel bosco di Boulogne, sotto la strada che porta alla Fondazione Louis Vuitton, o addirittura sotto lo stesso edificio [35].
« Dopo il 29 ottobre », scrive Michal Laskier, « gli Israeliani vennero lasciati all’oscuro degli sviluppi degli eventi. Giunsero a chiedersi se fossero stati per caso imbrogliati dai Marocchini [36] ». Il 1 ° novembre, Dlimi reclamò nuovamente del veleno, dei revolver e due passaporti falsi. Amit glieli fornì e ne dedusse che Ben Barka fosse ancora in vita. L’indomani Dlimi reclamò anche delle pale. Il MOSSAD le acquistò a Parigi e le depositò nel rifugio. Amit pensò allora che Ben Barka non fosse più in vita, ma che fosse stato assassinato nell’appartamento fornito dal suo servizio, dove però tutto era rimasto intatto: il veleno, il revolver, i passaporti e le pale. Nel suo rapporto redatto il 25 novembre, il capo del MOSSAD stimò che « tutto era andato bene » : il coinvolgimento di Israele era stato secondario e le relazioni col Marocco erano consolidate [37].
Resta qualche domanda. Perché i Marocchini non hanno usato gli strumenti forniti dal MOSSAD ? Secondo « Hamid [38] », l’ipotesi più plausibile è che non ne abbiano avuto bisogno, disponendo evidentemente anche di altre opzioni. Oufkir e Dlimi hanno organizzato il rapimento coi loro sbirri francesi. Ma allo stesso tempo hanno previsto un piano B coi loro amici israeliani, che sarebbe stato molto utile se le cose fossero andate male. « Chiedendo l’aiuto del MOSSAD, i Marocchini avevano più bisogno della copertura, dell’alibi che avrebbe potuto eventualmente fornire loro, che della sua assistenza logistica propriamente detta. Intendevano non tanto utilizzarlo materialmente, quanto coinvolgerlo, comprometterlo. Per intorbidare le acque. Chi si sarebbe mai bevuto, ad ogni modo, che i servizi marocchini avevano bisogno del MOSSAD per procurarsi un rifugio a Parigi, del veleno o una pala ? [39] ».
Le conseguenze per la Francia
Comunque, anche la Francia ha delle responsabilità. Il delitto è stato commesso sul suo territorio e sono stati alcuni suoi poliziotti e suoi delinquenti a provvedere al rapimento. Ciò nonostante, Parigi non aveva alcun interesse all’eliminazione dell’oppositore marocchino [40].
Certo, Ben Barka pare fosse nella lista del Brain Trust Action [41], e dunque avrebbe anche potuto essere la vittima designata di un’operazione « homo » [42]. Ma una simile azione avrebbe dovuto essere autorizzata dal generale de Gaulle. E l’oppositore di Hassan II era soprattutto tenuto d’occhio dal SDECE, in ragione degli stretti rapporti che intratteneva coi rivoluzionari del Terzo Mondo, viaggiando regolarmente a Cuba, in Egitto, in Algeria [43]. E veniva più utile ai servizi sorvegliarlo, piuttosto che eliminarlo.
Il SDECE messo sotto accusa
Nonostante tutto, si gettò la colpa sul SDECE, col pretesto che alcuni dei suoi agenti pagati dai Marocchini, parteciparono all’azione all’insaputa dei loro superiori, che ne sarebbero stati informati da altri.
In realtà nessun ufficiale del SDECE fu coinvolto in questa operazione. Soltanto un ex informatore, che non lavorava più per il servizio, vi partecipò e rivelò, durante il processo, la sua antica collaborazione col servizio, nel tentativo di attenuare la sua personale responsabilità e imbrogliare le carte.
In effetti, il 29 ottobre 1965, nell’auto che portava Ben Barka verso il suo tragico destino c’era anche Antoine Lopez, caposcala dell’Air France all’aeroporto di Orly ed ex-corrispondente onorario (HC) del SDECE. Dal 1965, su richiesta del generale Jacquier, direttore generale del SDECE, aveva cessato la sua attività alle dipendenze del Servizio 7 [44] di Leroy-Finville, per passare alle dipendenze della Prefettura di Polizia (PP) di Parigi, dove era agli ordini dell’ispettore Souchon, della « buon costume ». Lopez era allora diventato l’uomo della PP a Orly, con l’incarico di informare i poliziotti sul traffico di droga nell’aeroporto. Da quel momento, non ha lavorato più per il SDECE, per quanto avesse tentato più di una volta di riallacciare i contatti coi suoi ex committenti [45].
Lopez fu un protagonista di questo caso perché era legato alla mafia e molto vicino al maresciallo Oufkir, il ministro dell’interno di Hassan II [46]. Fu lui a convincere i due poliziotti, coi quali intratteneva rapporti di lavoro, a fermare Ben Barka, facendo loro credere che l’operazione fosse coperta da Leroy-Finville del SDECE e aggiungendo anche: « Jacques Foccart è al corrente [47] ».
Nel suo interrogatorio, Lopez ha riconosciuto di avere organizzato il rapimento su richiesta di Larbi Chtouki, un emissario dei servizi marocchini. Ha detto di avere pensato che si trattasse solo di « organizzare un incontro privato e pacifico tra Oufkir e Ben Barka ». In cambio del suo aiuto, i Marocchini gli avrebbero promesso un posto importante nella compagnia Royal Air Maroc. Lopez dichiarerà anche di avere preventivamente informato il suo superiore nel SDECE, Marcel Leroy-Finville, capo del Servizio 7. Ebbene questi non è mai stato un suo superiore, in quanto Lopez era solo un agente; inoltre non lavorava più per il SDECE da diversi mesi. Leroy-Finville ha detto di essere stato informato da Lopez, il 31 ottobre, solo del passaggio-lampo di Oufkir nella regione parigina, assicurando di non avere avuto alcuna parte nel rapimento [48]. Il capo del Servizio 7 trasmise questa informazione ai superiori gerarchici.
Ma nel corso dell’inchiesta, anche i poliziotti della PP coinvolti nell’operazione hanno cercato di incastrare il SDECE per scagionarsi e far dimenticare che erano stati diretti da Lopez… che pure avrebbe dovuto operare sotto il loro controllo [49]. Alcuni giungeranno ad affermare di essere stati pagati da Oufkir [50].
Le note interne presentate dal SDECE nel corso del processo del settembre 1966 dimostrano tuttavia che il servizio ignorava del tutto il progetto di rapimento di Ben Barka e, a fortiori, l’esistenza di un intento omicida contro di lui. Però nessuno dei dirigenti del servizio ha cercato di confutare le accuse, né di difendere il SDECE di fronte alle più alte autorità dello Stato. Le ragioni sono eminentemente politiche [51].
Più sorprendente ancora, Lucien Aimé-Blanc, nel 1966 direttore aggiunto della brigata antigang, rivelerà, in un’intervista a Libération [52], di aver trovato nel baule del suo capo un fascio di brogliacci di intercettazioni telefoniche, effettuate prima dei fatti da qualcuno della Sûreté nationale sulla linea di un hotel parigino. « Leggendo questi 40 fogli, sono rimasto stupefatto nel constatare che era il luogo di riunione di tutta la banda che ha rapito Ben Barka. Comparivano tutti in queste intercettazioni (…) Risultava evidente, in queste conversazioni registrate il mese prima della sparizione di Ben Barka, che erano in contatto con un generale marocchino e progettavano il rapimento di un uomo che avrebbe dovuto atterrare a Orly. È chiaro quindi che la brigata centrale di ricerca criminale, che controllava questo hotel senza avere alcuna competenza su Parigi, era al corrente del progetto. All’epoca, simili intercettazioni venivano disposte dal ministero dell’interno e dal consigliere di Matignon. Ne deduco che il servizio della Sûreté nationale che ha intercettato questo hotel sapeva che cosa si stava tramando, e non è intervenuta per impedire il rapimento, o per colpevole negligenza, o per ordini precisi » [53]. Secondo Lucien Aimé-Blanc, queste intercettazioni non sono state trasmesse al giudice Zollinger, incaricato dell’inchiesta sulla sparizione di Ben Barka.
Lo sfruttamento del caso da parte dei gollisti
Le vive proteste dei partiti di opposizione seguite al rapimento di Ben Barka indussero il generale de Gaulle ad avviare un’inchiesta molto mediatizzata. E i suoi seguaci hanno approfittato dell’occasione per ripulire il SDECE degli elementi che non erano totalmente fedeli [54].
Infatti, nel 1961, la decisione di accordare l’indipendenza all’Algeria aveva mobilitato una parte della gerarchia militare contro la politica del generale de Gaulle e provocato una presa di distanza dei servizi nei suoi confronti. Il SDECE rifiutò di farsi coinvolgere nella lotta contro l’OAS, ritenendo tale compito non di sua competenza. In realtà, i membri del servizio non volevano agire contro dei camerati, anche se si erano uniti ad elementi faziosi. Quindi, nel 1963, il SDECE non volle procedere al rapimento del colonnello Argoud, dell’OAS, in Germania, missione che alla fine venne eseguita dalla Sécurité militaire, con l’aiuto di qualche spia. Pierre Messmer, all’epoca ministro delle Forze Armate del generale, se ne risentì a lungo. Per qualcuno, la risposta non tardò ad arrivare: « L’affaire Ben Barka è stato montato dai gollisti per mettere in trappola il SDECE. Infatti, qualche tempo prima, il generale aveva chiesto a un collaboratore di riorientare il SDECE su missioni di intelligence interna. La cosa aveva provocato un putiferio tra la gran parte degli ufficiali che ritenevano non fosse quello il loro ruolo. Il direttore generale quindi respinse il progetto, L’affaire Ben Barka permise di rimettere in riga l’agenzia, riorientando il DG e collocandolo alle dipendenze del Ministro della Difesa [55] ». Pierre Messmer approfittò quindi del caso Ben Barka per sottrarre il SDECE al controllo del Primo Ministro e collocarlo sotto l’autorità delle Forze Armate. Il ministro credette di « risolvere tutto suscitando clamore e smantellando il servizio più produttivo di quel team del quale il gollsimo non sembrava troppo soddisfatto [56] ».
In effetti, quelli del SAC (Servizio di Azione Civica, un gruppo di sostenitori di de Gaulle, ndt) [57] ottennero contemporaneamente anche lo scioglimento del Servizio 7, diretto da Leroy-Finville. Consideravano tale servizio affetto da un grave vizio: quello di astenersi da qualsiasi attività politica. Peggio ancora, non era gollista e vi erano al suo interno molti socialisti [58]. I militari accettarono tale decisione perché il carattere civile e le operazioni spregiudicate di questo servizio non incontravano il loro gradimento. « In effetti la maggior parte di loro vi veniva assegnato per un periodo limitato di tre o quattro anni, per poi tornare a ricoprire un incarico di comando nei reparti di provenienza, per conservare le loro posizioni nello scacchiere delle promozioni [59] ». Erano dunque assai poco inclini ad assumersi dei rischi. Così, la collocazione del SDECE alle dipendenze del ministero della Difesa fu per loro l’occasione di riprendere quel controllo sui servizi di intelligence che a malincuore si erano rassegnati a perdere nel dopo-guerra [60].
La vicenda diventò poi un caso giudiziario. Seguirono due processi : nel primo Leroy-Finville sarà condannato e sconterà quattro mesi di reclusione. Verrà quindi destituito dal SDECE, « non per aver commesso il delitto o partecipato alla sua preparazione, ma per aver avuto la disponibilità di informazioni che avrebbero potuto impedirlo e non averle trasmesse [61] », cosa che sembra del tutto non vera, stando alle testimonianze. Nel secondo, il generale Oufkir sarà riconosciuto colpevole di avere organizzato l’omicidio e condannato in contumacia [62]. Ma il re Hassan II non vorrà consegnare il suo ministro e i suoi sottosegretari alla giustizia francese per farli processare. Il generale de Gaulle avrebbe allora pensato di sospendere le relazioni diplomatiche con il Marocco [63]. Questa oscura vicenda perturberà le relazioni tra Parigi e Rabat per diversi decenni. Il procedimento penale non è stato d’altronde ancora archiviato in Francia, e ancora oggi un Giudice istruttore è investito delle indagini.
Le indagini hanno anche sollevato sospetti sul ruolo svolto dal MOSSAD. I Francesi erano consapevoli del ruolo giocato nella vicenda dal servizio israeliano, ma si sono convinti che era meglio mantenere il segreto [64]. Tuttavia il generale de Gaulle, furibondo per questa ingerenza, volle la chiusura immediata dell’ufficio di collegamento del MOSSAD a Parigi e la cessazione di qualsiasi relazione tra i servizi dei due paesi [65]. Gli agenti del MOSSAD coinvolti poterono lasciare la Francia, ma restarono per diversi anni sotto minaccia di un processo [66].
Le conseguenze in Israele
Il caso ebbe anche delle conseguenze in Israele. Si tratta della più grave crisi che abbia investito la comunità dei servizi di informazione dopo il caso Lavon [67]. All’epoca vi erano infatti forti rivalità tra i capi delle agenzie di intelligence, e lo scoppio del caso diventò un’occasione per regolare conti politici e personali.
Isser Harel – responsabile della cattura di Adolf Eichmann in Argentina nel 1960 – e Meir Amit – che gli era successo alla testa del MOSSAD – si detestavano appassionatamente. Harel era un civile, nato in Russia e appartenente alla generazione dei pionieri; mentre Meir Amit, un sabra (nato in Palestina), era un generale che aveva fatto la guerra del 1948 ed era entrato nel MOSSAD dopo molti anni di servizio in divisa [68].
Alla fine della primavera del 1963, Ben Gourion si dimise e venne sostituito, nella carica di Primo Ministro e Ministro della Difesa, da Levi Eshkol. Quest’ultimo nominò Isser Harel suo consigliere in materia di intelligence. Ebbene, Harel era deluso e inasprito per il modo in cui era stato sostituito alla direzione del MOSSAD, e risentito per la nomina di Amit. Quando seppe, nel 1965, che quest’ultimo aveva deciso di aiutare i Marocchini, decise di sfruttare il caso per ottenere le dimissioni del rivale [69].
In un lungo rapporto consegnato al Primo Ministro, scrisse: « Come ha potuto il MOSSAD intervenire in una vicenda conclusasi con un omicidio? Come ha potuto Amit intervenire in un’operazione tanto criminale e immorale, e compromettere l’alleanza strategica tra lo Stato ebraico e la Francia? (…) Il MOSSAD, e attraverso di lui lo Stato, si sono impegnati in diverse azioni finalizzate ad un assassinio politico, al quale non solo Israele non aveva alcun interesse, ma non avrebbe dovuto, credo, da un punto di vista morale, pubblico e internazionale, essere per niente coinvolto » [70]. L’operazione del MOSSAD sul territorio di un paese alleato aveva infatti messo in pericolo le relazioni franco-israeliane, pietra miliare della politica estera israeliana dal 1956, quando Parigi era il principale fornitore di armi allo Stato ebraico.
Dunque Harel pretese che Eshkol licenziasse Amit e inviasse un emissario personale a dire la verità a de Gaulle. Il Primo Ministro rifiutò e allora Harel lo accusò di essere lui stesso implicato nell’omicidio, esigendo le sue immediate dimissioni. Minacciò Eshkol di rendere pubblico il caso, che avrebbe coperto di vergogna il Partito Laburista (Mapai) nel quale militava [71]. Il Primo Ministro esitò, quindi nominò due commissioni di inchiesta, che giunsero alla conclusione che non c’erano ragioni per sanzionare Amit. Il MOSSAD aveva attirato Ben Barka a Parigi, ma non aveva preso parte né al rapimento, né all’omicidio.
Isser Harel tentò allora di scatenare una campagna di stampa. Rivelò per sommi capi la storia ad un settimanale sensazionalistico, ma la censura militare vietò rigorosamente qualsiasi menzione del caso [72]. Harel informò allora i massimi dirigenti del partito Laburista, invitandoli a ribellarsi contro Eshkol. Qualcuno accolse l’invito e tentò di convincere Golda Meir ad attuare un « colpo di Stato » contro Eshkol, ma la dirigente laburista rifiutò [73].
Il caso rischiò di costare il posto al Primo Ministro e al direttore del MOSSAD [74], ma essi riuscirono a superare la tempesta e a mantenere un quasi assoluto silenzio sulla vicenda. Che si concluse con le dimissioni di Harel nel giugno del 1966 [75], soprattutto dovute al fatto che Amit era in possesso di dossier compromettenti su alcune sue azioni di quando dirigeva il MOSSAD [76].
Per quest’ultimo, la principale lezione impartita dal caso era che « non dobbiamo mai impegnarci nell’esecuzione di missioni sensibili di altre persone, alle quali non abbiamo un interesse diretto, soprattutto gli omicidi. Dobbiamo ammazzare solo chi minacci gli interessi di Israele, dunque solo omicidi in bianco e blu », un riferimento ai colori della bandiera israeliana, che intendeva « solo in vista di interessi israeliani » [77].
Nonostante tutto, il caso finì comunque sui giornali. L’11 dicembre 1966, Bul, un tabloid israeliano a contenuto pornografico, pubblicò a firma di Maxim Gilan e di Shmuel Mor, un articolo di tre pagine intitolato : « Gli Israeliani nel caso Ben Barka ? ». Il giornale rivelava che vi era un’inchiesta, che rischiava di provocare la caduta del governo Eshkol. Non ci volle altro perché il governo, in accordo col MOSSAD, facesse sequestrare tutte le 30 000 copie del giornale. I due giornalisti venne processati a porte chiuse per « attentato alla sicurezza dello Stato » e il Tribunale decise di non rendere pubblico il verdetto. Furono condannati ad un anno di reclusione, ma liberati dopo 135 giorni [78]. Il caso sembrava definitivamente insabbiato… quando il New York Times ne pubblicò a sua volta tutti i dettagli nel febbraio 1967 [79].
Non vi sono dunque più misteri nel caso Ben Barka dopo le rivelazioni fatte, a partire dagli anni 1990, da diverse fonti israeliane. Si tratta di un’operazione marocchina effettuata con importanti aiuti da parte del MOSSAD – quale contropartita per l’aiuto fornito dal Marocco, che aveva permesso al MOSSAD di spiare una riunione della Lega Araba –, e da parte di spie sedicenti del SDECE – cui non appartenevano e che non li ha mai attivati per questa operazione che gli era estranea – e di poliziotti francesi ingenui e manipolati. Se una zona d’ombra resta, riguarda il ruolo giocato dalla Sûreté nationale nella vicenda.
Per quanto l’assassinio dell’oppositore marocchino non sia mai stata un’operazione del SDECE, né abbia coinvolto alcuno dei suoi funzionari, il servizio francese fu la principale vittima collaterale, in ragione della volontà dei fedeli del generale De Gaulle di rimettere in riga un’organizzazione che non consideravano abbastanza infeudata, soprattutto dopo i contrasti che si erano manifestati alla fine della guerra d’Algeria, e liberarla dagli elementi che si erano mantenuti neutrali durante la lotta contro l’OAS.
Di conseguenza, per molti anni le relazioni tra i servizi e le autorità politiche saranno inquinate da un clima di diffidenza e sospetto [80]. Il caso Ben Barka ebbe inoltre come conseguenza di screditare il SDECE di fronte all’opinione pubblica francese ed alla comunità internazionale [81].
Leroy-Finville, indubbiamente esagerando, pensò addirittura che il caso fosse stato sfruttato dai servizi dell’est per ottenere lo smantellamento del suo famoso Servizio 7, secondo lui l’unico settore del SDECE che i Sovietici temessero [82]…
Leggi anche:
Fonti dell'articolo di Denécé:
– Michel Bar-Zohar e Nissim Mishal, Mossad : les grandes opérations, Plon, Paris, 2012, pp. da 176 a 179.
– Ronen Bergman, Rise and Kill First. The secret history of Israel’s secret assassinations, Penguin, New York, 2018, pp. 87-88 e da 92 a 95.
– Philippe Bernert, SDECE, Service 7, Presses de la Cité, Paris, 1980, pp. da 319 a 334 e da 340 a 405.
– Ian Black e Benny Morris. Israel’s Secret Wars : A History of Israel’s Intelligence Services, New York, Grove Press, 1991, pp. 202-205.
– Eric Denécé e David Elkaïm, Les services secrets israéliens : Mossad, Aman, Shin Beth, Tallandier, Paris, 2014, pp. 183-184.
– Eric Denécé, Les services secrets français sont-ils nuls ?, Ellipses, Paris, 2012, pp. 27-28, 42, 149, 213-214.
– Claude Faure, Aux services de la République. Du BCRA à la DGSE, Fayard, Paris, 2004, pp. 348 e 362-363.
– Philippe Gourmet, Le Mossad en Algérie (https://www.amazon.fr/Mossad-en-Algerie-Philippe-Gourmet/dp/1539907422), pp. da 10 a 12.
– Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », Jeune Afrique, 30 ottobre 2005.
– Ephraim Kahana, Historical Dictionary of Israeli Intelligence, The Scarecrow Press Lanham/Toronto/Oxford, 2006, pp. XVIII, 38, 147 e 222.
– Michael M. Laskier, Israel and the Maghreb : from Statehood to Oslo, University Press of Florida, 2004.
– Jean-Pierre Lenoir, Un espion très ordinaire, Albin Michel, Paris, 1998, pp. 230-231 e 246.
– Douglas Porch, Histoire des services secrets français, Tomo 2 : De la guerre d’Indochine au Rainbow Warrior, Albin Michel, Paris 1997, pp. 156, 178 e 182.
– Samuel Segev, The Moroccan Connection: The secret ties between Israel and Morocco, Matar Books, 2008 (in ebraico). Vedi la recensione del libro in inglese: http://jewishmoroccanarchive.co/moroccan-connection/.
Note:
[1] Sergueï Jirnov e François Waroux, KGB-DGSE : deux espions face à face, entretiens avec Martin Leprince, Mareuil éditions, Paris, 2021.
[2] Servizio di documentazione estera e di contro-spionaggio, creato nel 1946, che diventerà DGSE nel 1982.
[3] Ephraim Kahana, Historical Dictionary of Israeli Intelligence, The Scarecrow Press, Lanham, 2006, p. 38.
[4] Eric Denécé e David Elkaïm, Les services secrets israéliens : Mossad, Aman, Shin Beth, Tallandier, Paris, 2014, pp. 183-184.
[5] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », Jeune Afrique, 30 ottobre 2005.
[6] Cfr. bibliografia al termine dell’articolo.
[7] Ronen Bergman, Rise and Kill First. The secret history of Israel’s secret assassinations, Penguin, New York, 2018, pp. da 92 a 95.
[8] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[9] Black, Ian e Benny Morris. Israel’s Secret Wars : A History of Israel’s Intelligence Services, New York, Grove Press, 1991, pp. 202-205.
[10] Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, Mossad, les grandes opérations, Plon, Paris, 2012, p. 178. L’edizione originale in ebraico è del 2010.
[11] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[12] Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, op. cit., p. 177.
[13] Black, Ian e Benny Morris. op. cit., pp. 202-205. Ephraim Kahana, op. cit., p. 147.
[14] Ephraim Kahana, op. cit., p. 38.
[15] Philippe Gourmet, Le Mossad en Algérie, https://www.amazon.fr/Mossad-en-Algerie-Philippe-Gourmet/dp/1539907422, pp. da 10 a 12.
[16] Ronen Bergman, op. cit., pp. 87-88.
[17] Philippe Gourmet, op. cit.
[18] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[19] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[20] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[21] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[22] Idem.
[23] Ephraim Kahana, op. cit., pp. XVIII e 38.
[24] Idem.
[25] Philippe Gourmet, op. cit.
[26] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[27] Divisione delle operazioni clandestine del MOSSAD, che impiegava agenti sotto copertura incaricati dello spionaggio nei paesi arabi e unità destinate ad azioni paramilitari di sabotaggio, ai rapimenti o all’uccisione dei nemici di Israele. Oggi ribattezzata Metsada.
[28] Divisione di ricerca operativa del MOSSAD, con compiti di pedinamento, contro-pedinamento, sorveglianza, effrazioni, intercettazioni clandestine. Oggi chiamata Nevioth.
[29] Philippe Gourmet, op. cit.,
[30] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[31] A priori, solo uno dei tre uomini collegato a questo progetto sarebbe stato associato a questa operazione.
[32] Philippe Gourmet, op. cit.
[33] Avrebbe collaborato col SDECE in occasione dell’indipendenza del Marocco e della guerra d’Algeria. Ricordiamo che durante i due mandati del generale de Gaulle, servizi come la polizia erano estremamente politicizzati, ampiamente infiltrati e perfino controllati dal SAC e dalle reti Foccart, e ancora impiegavano noti delinquenti per i servizi sporchi, come avevano fatto dopo il 1961 nella lotta contro l’OAS. Alcuni furono perfino utilizzati dal SDECE (Philippe Bernert, SDECE, Service 7, Presses de la Cité, Paris, 1980, pp. 340-341).
[34] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[35] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[36] Michael M. Laskier, Israel and the Maghreb : from Statehood to Oslo, University Press of Florida, 2004.
[37] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[38] Idem.
[39] Idem.
[40] Secondo qualche fonte, lo stesso non si può dire degli Stati Uniti, il giornalista « Hamid, » (pseudonimo) afferma che, al momento della sua sparizione, Mehdi Ben Barka non era solo l’avversario di Hassan II, ma anche di Washington a causa della sua collocazione al vertice della Conferenza Tricontinentale di La Avana, che riuniva i movimenti di liberazione e di opposizione dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.). Questa ipotesi è stata ripresa in un recente telefilm francese (https://fr.wikipedia.org/wiki/L%27Affaire_Ben_Barka). Tuttavia non è emerso alcun elemento consistente che la confermasse.
[41] Struttura creata nel 1956 dal governo Guy Mollet, da utilizzare contro la sollevazione algerina. Era un gruppo assai ristretto di alti funzionari del SDECE e delle Forze Armate, che proponeva al capo di Stato alcuni omicidi mirati, all’epoca realizzati dal servizio Action.
[42] Per omicidio.
[43] Philippe Bernert, op. cit., pp. 326 e 348
[44] Servizio di informazioni operativo del SDECE (aperture di valige diplomatiche, effrazioni, furto di documenti, ecc.)
[45] Philippe Bernert, op. cit., p. 324.
[46] Idem, p. 320.
[47] « Les révélations de l’officier de police Souchon », Le Monde, 17 gennaio 1966.
[49] Philippe Bernert, op. cit., p. 369.
[50] Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, op. cit., pp. 177 - 179.
[51] Claude Faure, Aux services de la République. Du BCRA à la DGSE, Fayard, Paris, 2004, pp. 362-363.
[52] Patricia Tourancheau, « Mon indic a flingué Peirre Goldman », Libération, 20 aprile 2006 (https://www.liberation.fr/societe/2006/04/20/mon-indic-a-flingue-pierre-goldman_36879/).
[53] Idem.
[54] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[55] Intervista al colonnello Louis Rouvroy de Saint Simon, 2011.
[56] Jean-Pierre Lenoir, Un espion très ordinaire, Albin Michel, Paris, 1998, p. 246.
[57] Servizio di azione civica : associazione politica e servizio d’ordine gollista.
[58] Jean-Pierre Lenoir, op. cit., p. 231.
[59] Idem, p. 230
[60] Jean-Pierre Lenoir, op. cit., p. 230
[61] Philippe Bernert, op. cit., p. 382.
[62] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[63] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[64] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[65] Eric Denécé e David Elkaïm, op. cit., pp. 183-184.
[66] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[67] Scandalo politico degli anni 1950 nel quale fu coinvolto il servizio di informazioni militare israeliano (Aman) che, realizzando sanguinosi attentati contro obiettivi occidentali da attribuire agli Egiziani, mirava ad avvelenare i rapporti tra il governo egiziano e gli Stati occidentali, per evitare l’applicazione dell’accordo anglo-egiziano sul ritiro delle truppe britanniche dalla zona del canale di Suez, considerate da Israele una garanzia contro un eventuale attacco militare egiziano.
[68] Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, op. cit., p. 176
[69] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95 ; Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, op. cit., p. 176.
[70] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[71] Idem.
[72] Bar-Zohar Michel e Mishal Nissim, op. cit., p. 179.
[73] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[74] Idem.
[75] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[76] Amit ha soprattutto minacciato di rivelare il dossier di Alexander Yisraeli, un ufficiale della Marina che aveva venduto dei segreti all’Egitto nel 1954 e che venne rapito per sottoporlo a processo. Ma morì durante il rimpatrio forzato per una overdose di sedativi. Harel ordinò allora di gettarne il corpo in mare e di dire alla famiglia che si era trasferito nell’America del Sud (Ronen Bergman, op. cit., pp. 202-205).
[77] Ronen Bergman, op. cit., pp. 92 - 95.
[78] Hamid, « Et le Mossad dans tout ça ? », op. cit.
[79] Black, Ian e Benny Morris. op. cit.
[80] Eric Denécé, Les services secrets français sont-ils nuls ?, Ellipses, Paris, 2012, pp. 27-28.
[81] Claude Faure, op. cit., pp. 362-363.
[82] Philippe Bernert, op. cit., p. 402.
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