La Croix, 20 gennaio 2012


Niente “primavera araba” per il Sahara Occidentale
Christelle Marot


Più di un anno dopo l’evacuazione forzata del campo di Gdeim Izik, a Laayoune, in Sahara Occidentale la situazione resta tesa


“A Laayoune si vive in una grande caserma!” Hassan Duihi, 47 anni, tre figli, è componente dell’Association sahraouie des victimes des violations graves des droits de l’homme commises par l’état du Maroc (ASVDH), non riconosciuta dalle Autorità. Nella città di 200.000 abitanti, spazzata dal vento e dalla sabbia del deserto, un impressionante spiegamento di forze dell’ordine presidia, per tutto l’anno, le strade principali, le scuole, la televisione regionale… La polizia è dappertutto. Anche le truppe ONU della MINURSO, il cui mandato scade il prossimo aprile, pattugliano a bordo di grandi 4x4 bianchi. Le donne saharawi, avvolte in drappi dai colori vivaci, portano in giro la loro noia con indolenza.

Nella città militarizzata, circondata da otto posti di blocco della polizia, più della metà della popolazione ha meno di 20 anni e non c’è niente per divertirsi. Mentre dal 20 febbraio 2011 soffia in Marocco un vento di libertà, a Laayoune la situazione si è irrigidita, e il sospetto caratterizza oramai i rapporti tra i Marocchini del nord e i Saharawi, così come denunciano i militanti per i diritti dell’uomo. “Dopo lo smantellamento del campo di Gdeim Izik, a Laayoune, sono vietate tutte le manifestazioni!” protesta Hammoud Iguilid, componente dell’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo (AMDH) e militante saharawi.

Nel novembre 2010 vi fu una rivolta sanguinosa in città, dopo l’assalto delle forze dell’ordine per evacuare il campo di protesta di Gdem Izik. Le autorità marocchine fecero un bilancio di 13 morti, 11 dei quali tra le forze dell’ordine. Dal canto loro, gli indipendentisti saharawi denunciano repressione e sparizioni forzate. Inoltre i 23 saharawi arrestati in quella occasione avrebbero dovuto essere processati il 13 gennaio, ma il tribunale militare davanti al quale è fissato il dibattimento lo ha rinviato senza motivazione e senza comunicare la nuova data.


Carica poliziesca
Su Laayoune è scesa la notte. Un piccolo gruppo si forma davanti alla sede del sindacato CDT (Confédération démocratique di travail) e grida qualche slogan contro il divieto di manifestare. “Stasera si manifesta per il diritto di manifestare”, spiega Lahcen Serbout, sindacalista, residente a Laayoune da 23 anni. Ma la risposta non si fa attendere. Dopo una intimazione, la polizia carica i manifestanti, che si rifugiano al primo piano della CDT. Nelle scale risuonano delle voci: “Non vogliamo né El Himma, né Benkirane” (rispettivamente, il consigliere del re e il primo ministro).

“Le rivendicazioni sociali di Gdeim Izik erano giustificate, abbiamo cercato di trovare delle soluzioni – spiega Khalil Dkhil, wali (prefetto) della regione – La primavera araba è una malattia, oggi la gente chiede qualsiasi cosa, è una provocazione! Il problema è la sicurezza, non vogliamo incidenti.  Se si forma una folla, possono scoppiare sommosse”.

Un timore piuttosto incongruo di fronte al sit-in di donne organizzato il 13 gennaio alle prime luci dell’alba, per chiedere che i 23 detenuti saharawi in attesa di giudizio siano processati da un tribunale civile e non da quello militare. Il sit-in è stato violentemente disperso dalle forze dell’ordine a colpi di manganello. Una decina di donne è stata ricoverata in ospedale, con ematomi al capo, alle braccia e al livello della gabbia toracica.

Distesa su un tappeto, in una casa modesta, una nonna saharawi di 80 anni, ferita, alza le dita a V in segno di vittoria. Un ragazzo la filma con una piccola videocamera  per poi trasmettere le immagini, via internet, alla RASD-TV, la televisione del Polisario.


Il Sahara poggia su un barile di polvere
A Laayoune  rivendicazioni economiche, sociali e politiche si mescolano. “Non si possono distinguere i problemi – spiega Hassan Duihi – I Saharawi, meno del 20% della popolazione, sono marginalizzati. Le autorità distribuiscono terre, case, posti di lavoro, buoni che sovvenzionano fino al 50% i prodotti di prima necessità. Ma si ha diritto a tutto questo solo se si viene considerati dei bravi Marocchini. Se si milita per i diritti dell’uomo, se si esprimono opinioni indipendentiste, allora si viene discriminati”.

A Laayoune il primo datore di lavoro è la funzione pubblica. I giovani laureati hanno prospettive assai limitate. Oltre agli impieghi pubblici, vi sono la pesca e i fosfati della miniera di Boukraa, 100 km a sud. Nonostante i forti incentivi, gli investitori privati latitano. L’università più vicina è ad Agadir, 700 km. Nonostante i forti investimenti pubblici degli ultimi anni per recuperare i ritardi, Laayoune soffre tuttora del suo isolamento.

 “Il Sahara poggia su un barile di polvere, ritiene Lakhal Mohamed Salem, componente del Collectif des défenseurs sarraouis des droits de l’homme (CODESA) Fin quando non si avrà una soluzione definitiva, c’è il timore di scontri e di una deriva estremista, di segno nazionalista o fondamentalista alqaidista. Noi abbiamo invece bisogno di una soluzione democratica”.


 

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