Plotone di esecuzione
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Plotone di esecuzione
Lo chiamano pomposamente “Tribunale”, ma è un plotone di esecuzione al comando del Ministro della Difesa. E’ il Ministro infatti che esercita l’azione penale (il Procuratore lo rappresenta soltanto) ed è sempre lui che nomina i giudici che dovranno decidere sulle sue richieste.
E nella notte tra il 16 e il 17 febbraio 2013, intorno alle 3, il plotone di esecuzione al comando del Ministro ha aperto il fuoco contro i 25 saharawi imputati per i fatti di Gdeim Izik sparando una raffica di condanne: 9 all’ergastolo, 4 a trenta anni, 8 a venticinque anni, 2 a venti anni. Per due imputati la pena è stata commisurata alla detenzione preventiva sofferta.
Ecco l’elenco completo:
- Abhah Sidi Abdellah (ergastolo)
- Al Ismaïli Ibrahim (ergastolo)
- Al Ayoubi Mohamed (20 anni, attualmente in libertà provvisoria)
- Almachdoufi Ettaki (pena commisurata alla carcerazione preventiva sofferta - scarcerato)
- Alyae Hassan (ergastolo - latitante, condannato in contumacia)
- Asfari Ennaama (30 anni)
- Banga Chikh (30 anni)
- Bani Mohamed (ergastolo)
- Boubit Mohamed Khouna (25 anni)
- Bouryal Mohamed (30 anni)
- Boutankiza Mohamed Lbachir (ergastolo)
- Dah Hassan (30 anni)
- Dich Eddafi (25 anni)
- El Bakkay Laarbi (25 anni)
- Faqir Mohamed (25 anni)
- Haddi Mohamed Lamine (25 anni)
- Khadda Lbachir (20 anni)
- Laâroussi Abdeljalil (ergastolo)
- Lakhfawni Abdallah (ergastolo)
- Lamjid Sidi-Ahmed (ergastolo)
- Sbaï Ahmed (ergastolo)
- Tahlil Mohamed (25 anni)
- Toubali Abdellah (25 anni)
- Zaoui Lahcen (25 anni)
- Zayyou Sidi Abderrahman (pena commisurata alla carcerazione preventiva sofferta - scarcerato)
Il processo era cominciato effettivamente il 1° febbraio (dopo alcuni rinvii che si erano trascinati per circa un anno). In quella udienza era stato deciso un ulteriore differimento all’8 febbraio. A partire da questa udienza, si è svolto a tappe forzate, con udienze che si sono succedute giorno dopo giorno senza interruzioni (nemmeno la domenica), dalla mattina fino a tarda sera.
Abbiamo già pubblicato il rapporto degli osservatori di OSSIN sulle udienze del 1° febbraio e dell’8 e 9 febbraio, nonché il rapporto sulle udienze del 13 e 14 febbraio.
Il Tribunale ha, fin dall’inizio, tentato di offrire una immagine trasparente e rassicurante, non frapponendo alcun ostacolo alla presenza degli oltre 50 osservatori internazionali provenienti da molti paesi, addirittura prevedendo la presenza di interpreti in lingua inglese, francese e spagnola ad uso e consumo degli osservatori stessi.
E il regime ha anche inviato alcuni osservatori, nazionali e internazionali, “embedded”, gli unici ai quali i media marocchina hanno aperto i microfoni. La MAP ha intervistato due “osservatori”, un semisconosciuto Mathieu Cardon, presentato come avvocato di Parigi (invece sembra sia di Lione) e un certo Charles Saint-Prot, che si è affannato a dichiarare, senza motivare, che il processo era stato equo e trasparente. M. Saint-Prot è un assiduo frequentatore dell’Ambasciata del Marocco a Parigi, l’ultima volta è stato il 10 gennaio 2013, quando nella qualità di Direttore di un sedicente Observatoire d'études géopolitiques di Parigi, ha presentato un suo saggio apologetico di Mohammed V dal titolo: "Mohammed V ou la monarchie populaire" (éditions du Rocher, 2011).
A dispetto di queste considerazioni e della esibita trasparenza e correttezza, il Tribunale che – ricordiamo - è composto da giudici designati dal Ministro della Difesa (cui è conferito anche il potere esclusivo di promuovere il processo) e pronuncia una sentenza non appellabile, ha respinto le più significative richieste della difesa, in particolare quella di sentire il Ministro dell’interno dell’epoca e alcuni deputati, che avrebbero potuto testimoniare sul fatto che gli accusati erano stati tutti impegnati, prima dell’intervento dell’esercito che ha smantellato il campo, nelle pacifiche trattative con le autorità per strappare concessioni sociali in favore della popolazione saharawi.
Il Tribunale non ha neppure preso in considerazione le accuse di torture rivolte dagli imputati ai poliziotti che li avevano arrestati e che hanno loro strappato, in questo modo, confessioni poi ritrattate. E ha anche respinto la richiesta di visionare gli oggetti sequestrati (bastoni e altri oggetti di aggressione) e di rilevare le impronte digitali presenti per confrontarle con quelle degli imputati.
Proprio in base alle confessioni degli imputati, e senza presentare alcuna altra prova, il Procuratore ha svolto la sua requisitoria che è durata circa due ore, chiedendo in conclusione delle pene “proporzionate alla gravità dei fatti”.
Quello appena concluso è un processo iniquo e le condanne comminate sono inaccettabili.
Da domani comincia l’impegno perché questa esecuzione sommaria in forma di processo venga cancellata. E perché la comunità internazionale prenda finalmente coscienza del fatto che il Marocco è un paese che, come dimostra anche questa sentenza, non rispetta i diritti fondamentali dell’uomo.