Ventiseiesimo giorno
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Ventiseiesimo giorno
Il sabato trascorre lento e niente cambia nella situazione di Aminatou Haidar che oggi è al ventiseiesimo giorno di sciopero della fame. Se non nel fatto che anche quelli che in tutti i modi hanno cercato di non accorgersene, sono anche loro oramai costretti a parlare del dramma che si sta consumando nell’aeroporto di Lanzarote. Perfino La Repubblica, oggi, dedica il suo primo articolo alla vicenda, a firma di Pietro Del Re.
Sul fronte diplomatico, devono registrarsi poche cose: la dichiarazione del ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, che ha assicurato come sia “negli auspici dell’Italia una costruttiva cooperazione del Marocco con le Autorità spagnole, che tenga conto innanzitutto dei dolorosi risvolti umani della vicenda”.
Anche il presidente della RASD (Repubblica araba democratica saharawi), Mohamed Abdelaziz, ha chiesto oggi l’intervento del Re di Spagna.
Ma qualcosa non va nella mobilitazione internazionale, se il Marocco continua a respingere a muso duro tutte le proposte. Evidentemente non si usano gli argomenti giusti, come sarebbero pretendere che il Marocco rispetti i diritti dell’uomo, anche in ottemperanze degli impegni assunti nei contratti commerciali firmati con l’Europa.
Le condizioni di Aminatou, intanto, continuano a peggiorare e ci si avvicina al momento in cui potrebbe entrare in una fase critica irreversibile. Lei è apparsa solo per qualche minuto ed è sembrata molto debilitata. Sembra che nei prossimi giorni potrebbe ricevere la visita dei familiari e dei suoi figli.
L’arma del disprezzo
La strumentalità della posizione marocchina ha trovato nuova conferma con la notizia, divulgata da Amnesty International, che Aminatou Hadar è entrata almeno sei volte all’aeroporto di Laayoune senza compilare la casella della nazionalità nella carta di sbarco. Ed ogni volta il funzionario di turno l’ha compilata al posto suo, salvo una, quando l’attivista indicò come nazionalità quella “saharawi”. Però sempre le è stato consentito l’ingresso in territorio marocchino.
Ciononostante la propaganda marocchina continua a battere il tamburo e ad usare l’arma del disprezzo contro Aminatou e i militanti saharawi. La Nouvelle Tribune, un settimanale marocchino, si compiace di gettare fango a tutto tondo, sostenendo che Aminatou, con il suo sciopero della fame, vorrebbe “piegare lo Stato ed il popolo marocchino ai suoi capricci di manipolatrice stipendiata. La signora Haidar – continua – che ha largamente approfittato del suo salario di funzionaria (fantasma) del comune di Boujdour, che ha attraversato il mondo intero col suo passaporto marocchino, oggi fa una sceneggiata a profitto dei seguaci del Fronte Polisario. La signora Haidar, infatti, non vuole più essere marocchina. Ha addirittura ricusato la sua appartenenza alla nostra nazione pubblicamente, per iscritto, davanti alle autorità giudiziarie ed ai rappresentanti della sua famiglia. L’ accampata di Lanzarote rifiuta anche un salvacondotto spagnolo, che le consenta di entrare legalmente nel territorio spagnolo delle Canarie, ed ancor meno l’offerta di un passaporto dell'ex potenza occupante del Sahara occidentale.
L’emerita manipolatrice, assai elegante nella sua veste quando si mette in posa per i paparazzi spagnoli, non può nemmeno chiedere ai suoi amici un passaporto algerino, perché significherebbe dover riconoscere agli occhi del mondo che non è altro che una mercenaria.
Risultato: mette in imbarazzo (e il termine non è veramente appropriato) la diplomazia di Madrid, mentre i "democratici" del Partido Popular ne approfittano per pestare Moratinos con tutta la forza delle braccia!
La sig.ra Haidar, che non vuole più essere marocchina, chiede tuttavia di ritornare in Marocco, non perché è la sua patria, ma perché le è stato affidato il compito di fare da quinta colonna, quella dei traditori stipendiati che agiscono all'interno del paese, per contestare la marocchinità inalienabile delle nostre province meridionali.
Nessuno Stato, nessuna autorità, nessun cittadino fiero della sua identità nazionale potrebbe accettare un simile ricatto.
La signora Haidar è oggi nulla più che un apolide.
Non c'è dubbio che le campagne mediatiche continueranno alle nostre frontiere, che "ONG" al soldo di Algeri continueranno le loro azioni infruttuose per qualche tempo. "La patata bollente" che è diventata la signora Haidar non passerà comunque in mano a quelli che lei ha rinnegato.
Quando si bruciano le navi, si resta a terra ...”
La polizia impedisce ogni manifestazione nei territori occupati
(da El Pais) Alla periferia di Laayoune esiste un quartiere abitato da persone segnate dalla sventura. Si chiama Il Ritorno, ed è stato costruito dalle autorità marocchine per accogliere i saharawi che avessero deciso di abbandonare i campi del Fronte Polisario a Tindouf (Algeria) ed accettare l'autorità di Rabat. Ma nelle sue case basse, distribuite intorno a fatiscenti cortili di sabbia,non vivono solo gli ex indipendentisti. Nel quartiere Il Ritorno abita anche la maggior parte dei compagni di lotta di Aminatou Haidar.
Qui c’è la casa di Djimi El Ghalia, che è stata desaparecida nelle carceri di Hassan II, padre dell'attuale re Mohammed VI, tra il 1987 e il 1991. Ed è il luogo di raccolta di questi difensori dei diritti umani. In una piccola stanza rivestita di tappeti con cuscini, cinque ex detenuti nelle carceri segrete del Marocco ascoltano con attenzione le notizie in arabo diffuse da un televisore al plasma. Tra essi, Mohamed Dadach, che ha il dubbio onore di aver subito la più lunga condanna per motivi politici di tutta l’Africa, dopo Nelson Mandela.
I poliziotti che stazionano nella piazza hanno ordinato loro di tenere aperta la porta d'ingresso, in modo da poter controllare ogni loro mossa. L'atmosfera in sala è di tristezza e di impotenza. "Non possiamo fare nulla per Aminetou", dice Ghalia. Bachir Azman, desaparecido tra il 1976 e il 1991, conferma: "Non abbiamo libertà di parola. Ci impediscono di muoversi perfino nelle nostre case, figuratevi in strada."
Dieci giorni fa ci fu un tentativo di rompere il blocco della polizia. Diverse vie di Laayoune furono trovate all’alba disseminate di opuscoli a favore della indipendenza del Sahara. Un testimone ha detto alla polizia che erano stati gettati da una jeep. Il mattino seguente gli agenti hanno interrogato, uno per uno, tutti i proprietari di tali veicoli in città, per scoprire cosa avevano fatto con la propria auto durante la notte.
La paura in questi giorni nelle strade si maschera di apatia. Di fronte alla mobilitazione della società civile spagnola a sostegno di Haidar, qui non c’è stata una sola manifestazione, e neppure una sola scritta murale fatta di notte. "Di questo argomento parliamo solo con i nostri amici, perché non si sa chi potrebbe essere una spia", dice un saharawi. Un altro, che fino ad un momento prima annuiva alle invettive di un funzionario marocchino contro Haidar, borbotta in fretta: "Aminetou sta facendo molto bene, ma io non posso parlare".
L’espulsione dei dissidenti, un esempio da seguire
L’espulsione della dissidente Aminatou Haidar sembra aver fatto scuola. Hafid Benhachem, il delegato generale dell’amministrazione delle carceri e della riabilitazione, ha finalmente risposto alle domande dell’ AMDH (Associazione marocchina dei diritti dell'uomo), sulle condizioni di detenzione nelle carceri marocchine. Però lo ha fatto a modo suo. Dopo aver "convocato" il presidente dell'associazione Khadija Riyadi ed il vice-Presidente Abdelilah Benabdeslam, il delegato generale ha cominciato a fare una esposizione completa delle sue “competenze, messe al servizio del paese." All’insistenza degli attivisti dell’AMDH per ottenere invece informazioni circa lo stato delle carceri marocchine, Benhachem ha reagito cominciando ad insultare l’associazione con tutti i nomi possibili. "Se non vi piace, potete andarvene dal Marocco", ha detto infine ad Abdelilah Benabdeslam. Il commento di Khadija Riyadi è che si tratta di "un torturatore che dovrebbe essere processato per le violazioni dei diritti umani che ha commesso, e che invece è stato posto a capo di una importante amministrazione».
A nostro modesto avviso, il caso Haidar ha fatto scuola: o si è cittadini fedeli o si è traditori, potrebbe dirsi parafrasando il Re, chi non approva se ne può anche andare, chi contesta può essere cacciato dal suo paese. E’ questo Il Marocco, i cui sforzi sulla via della democratizzazione del rispetto dei diritti umani l’Unione Europea tanto apprezza.