Missione a Laayoune

La missione di Ossin è proseguita con un breve soggiorno a Laayoune. I due osservatori sono stati pedinati continuamente, in modo intimidatorio

Dopo l’udienza del processo di Casablanca del 17 dicembre, e la conferenza stampa tenuta nella mattinata del giorno successivo a Rabat, nella sede dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti dell’uomo), la missione prevede una breve tappa a Laayoune, la capitale del Sahara Occidentale occupato. Siamo in due, Nicola Quatrano e Luciano Capuano.

Ricordiamo brevemente gli ultimi episodi che hanno scosso e insanguinato il Sahara Occidentale, dopo lo smantellamento del campo di Gmeil Izik.

Il campo di Gmeil Izik, a 12 km da Laayoune, è stata l’ultima manifestazione pacifica, in ordine di tempo, della resistenza saharawi. In migliaia hanno cominciato, all’inizio di ottobre, ad “auto esiliarsi” ed hanno eretto un campo di tende vicino a Laayoune, per protestare contro l’emarginazione, la mancanza di lavoro, le discriminazioni. Il campo ha rapidamente raggiunto il numero di 12.000 persone, con punte di 20.000. Non era una manifestazione dichiaratamente politica (i saharawi sapevano bene che inserire tra le loro richieste anche quella dell’indipendenza avrebbe provocato l’immediato intervento dell’esercito), ma piuttosto di carattere  economico e sociale. Certo, però, il sentimento dominante dei protagonisti di quella lotta era di opposizione all’occupazione.
Nonostante i manifestanti abbiano evitato qualsiasi cenno alla questione dell’indipendenza, il governo marocchino ha avuto paura che quel campo potesse diventare un centro di lotta contro l’occupazione e il giorno 8 novembre, all’alba, ha mandato l’esercito per raderlo al suolo.
Bilancio ufficiale, secondo il Marocco: 11 morti tra i militari, molti feriti da ambo le parti, un solo morto tra i manifestanti. E’ un bilancio ridicolo, perché non si comprende come possa essere successo che vi siano stati 11 morti da una sola parte. Il Polisario denuncia invece decine di morti e più di 4500 feriti tra i manifestanti, sia durante l’attacco al campo che nel corso della successiva repressione delle manifestazioni scoppiate a Laayoune. Vi sono stati anche molti arresti.
La verità completa di quanto è accaduto non si sa, perché il Marocco ha imposto un embargo mediatico nella zona. Aveva già espulso Al Jazeera dal paese, ha espulso diversi giornalisti stranieri, ha impedito che a Laayoune si recasse Ali Lmrabet, uno dei pochissimi giornalisti marocchini indipendenti (per questo motivo tenuto molti anni in carcere e attualmente interdetto dalla professione). Gli unici giornalisti e osservatori cui è stato consentito di accedere ai territori sono quelli di provata fedeltà.
Recentemente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha respinto (con il “veto” della Francia) la proposta messicana di inviare una missione di informazione nei territori. Il Parlamento europeo ha invece sollecitato (con una recente risoluzione adottata a grande maggioranza) una inchiesta indipendente sugli accadimenti.


Sulle prospettive della nostra missione regna la più grande incertezza, giacché continuano a giungere notizie da Laayoune, di osservatori, giornalisti e membri delle istituzioni cui viene negato l’accesso. Solo la settimana scorsa, agli avvocati spagnoli Ines Miranda Navarra e Dolores Travieso è stato addirittura impedito di scendere dall’aereo, dove sono rimaste in attesa che ripartisse per la Spagna.  
Si tratta di verificare se questi episodi segnalano la volontà delle autorità di impedire l’accesso a tutti gli stranieri, oppure se si tratta di ritorsioni contro la Spagna, rea di essere particolarmente sensibile al problema delle violazioni di diritti dell’uomo in Sahara Occidentale.

Va premesso, per meglio descrivere i fatti, che – a onta delle dichiarazioni ufficiali circa la “marocchinità” del Sahara Occidentale – recarsi a Laayoune, o in qualsiasi altra località del Sahara Occidentale, non è come andare a Marrakech o ad Agadir. E’ piuttosto come andare in un altro paese. Se ci si reca in auto, o in autobus, occorre passare per diversi posti di controllo, sia della polizia che della gendarmeria, dove ti chiedono all’infinito le stesse cose: passaporto, professione, motivo della visita. Procedure lente di registrazione del tuo passaggio, la cui vera natura non si comprende se sia una bulimia burocratica di controllo o piuttosto una strategia tesa a scoraggiare l’arrivo di persone indesiderate. Se si giunge in aereo da Casablanca, nonostante sia un volo “interno”, c’è egualmente il controllo dei documenti e – per gli stranieri – il supplemento delle solite domande sulla professione e sulle ragioni della visita.

Questa volta le procedure sono state insolitamente rapide, anche se al nostro passaggio si sono interessati diversi funzionari. Una fugace domanda sulla professione e sull’albergo in cui avremmo alloggiato. Circa i motivi della visita, abbiamo sinceramente dichiarato che venivamo a “vedere Laayoune dopo i fatti del novembre scorso”.

Se le procedure di passaggio sono state insolitamente “leggere”, il controllo cui siamo stati sottoposti nel corso delle poche ore di permanenza è stato strettissimo. Sono state impegnate diverse auto: una Fiat Palio, un furgoncino, due motorette e – saltuariamente – addirittura un blindato.
Il pedinamento è stato costante e scoperto. Gli uomini che ne erano incaricati non hanno fatto niente per tenersi nascosti, anzi sembrava quasi che facessero di tutto per farsi notare. C’era per esempio un furgoncino bianco che ci precedeva quando camminavamo per la città a piedi. Si fermava qualche metro davanti a noi e, quando stavamo per raggiungerlo, ripartiva per arrestarsi a un centinaio di metri più avanti. Quando ci siamo seduti ai tavolini di un caffè, potevamo vedere il furgoncino girare intorno all’isolato dove ci trovavamo, poi arrestarsi e riprendere poco dopo il giro. La stessa cosa era per gli uomini in motoretta che ci seguivano passo passo, come se il loro compito non fosse tanto quello di controllarci, quanto piuttosto di ricordarci a ogni momento che eravamo controllati.

Quando, il giorno 19, siamo stati a pranzo a casa di Elghalia Djimi (ex desaparecida saharawi e vicepresidente dell’ASVDH – associazione saharawi delle vittime delle violazioni dei diritti umani da parte dello stato marocchino), gli uomini che ci controllavano sono rimasti in strada. Ad un certo punto hanno incaricato un vicino di casa della signora Djimi di venire ad informarsi se noi eravamo ancora lì.
Va in ogni caso rilevato che, in molte altre occasioni, gli ospiti della signora Djimi sono stati allontanati dalla sua abitazione, mentre a noi hanno consentito di incontrarla.

Tutte queste attenzioni hanno prodotto conseguenze negative sulla nostra missione. La sera del 18, al nostro arrivo, abbiamo incontrato M.A., un uomo che era stato nel campo di Gmeil Izik. Ci interessava particolarmente parlare con lui perché appartiene a quella categoria di giovani non politicizzati che hanno partecipato massicciamente alla protesta popolare, e che costituiscono il dato più interessante della vicenda.
M.A. è stato contento di incontrarci. E’ stato gentile ed ospitale, voleva condurci a cena a casa sua ma, quando si è accorto che eravamo costantemente pedinati, ha cominciato a innervosirsi e ha preferito andare a mangiare in un piccolo ristorante. Subito dopo, è stato felicissimo di accettare la proposta che gli abbiamo fatto di salutarci e rinviare la discussione ad un prossimo futuro.

La valutazione che abbiamo fatto è che questi comportamenti non possono avere che una spiegazione. Questa continua presenza, questo continuo mostrarsi, questo fare di tutto perché ci sia chiaro che siamo pedinati non può ragionevolmente avere che una spiegazione: si tratta di intimidazione. Si vuole creare disagio preoccupazione nei visitatori non graditi, per scoraggiarne la presenza.    
Dunque deve ribadirsi la denuncia già fatta in occasione della terza udienza del processo contro i sette militanti saharawi di Casablanca: le autorità marocchine impediscono (nel caso degli osservatori spagnoli) o tentano di dissuadere (nel nostro caso), con gli strumenti della intimidazione e dell’ostruzionismo, la presenza di osservatori indipendenti ai processi contro i militanti saharawi e nei territori del Sahara Occidentale occupato.   

Laayoune, 19 dicembre 2010

Luciano Capuano, Nicola Quatrano


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