Le Quotidien, 9 marzo 2011


La storia della polizia politica in Tunisia: da Bourghiba a Ben Ali, la repressione della sinistra e degli islamisti


Ora che la Direzione della Sicurezza dello Stato è stata sciolta, i Tunisini pensano sia tempo di aprire questo gran dossier.
Questo corpo di polizia è servito per la liquidazione fisica e morale e la sistematica destinazione degli oppositori politici ad una sorte sconosciuta. Ma cosa era esattamente questa polizia? Quale il suo ruolo? Come agiva e chi la dirigeva?
Siamo nel 1962. Bourghiba si sveglia con la notizia di un colpo di stato che era stato organizzato da oppositori per rovesciarlo. All’epoca la Tunisia non era dotata di una struttura poliziesca capace di raccogliere informazioni di carattere politico per proteggere il regime da ogni possibile sollevazione.
Solo il Ministero della Difesa aveva un servizio di informazione militare in funzione di difesa nei confronti della propaganda antitunisina che si diffondeva nei paesi arabi che erano stati teatro di rivoluzioni dette nazionaliste. Ora, la Tunisia aveva scelto un altro modello vicino al liberalismo occidentale. Dunque l’esercito aveva l’incarico di contenere l’ondata nazionalista e preservare il paese da ogni infiltrazione straniera. Curiosamente questa minaccia è venuta invece dall’interno. Chraiti, Materi e i loro compagni hanno scelto il fronte interno per opporsi a Bourghiba. Abortito il putsch, Bourghiba cominciò a pensare seriamente a mettere in piedi una struttura poliziesca di informazione interna, che si infiltrasse nella popolazione per raccogliere informazioni sugli oppositori politici che potessero costituire una minaccia.
Cominciò così la ripartizione securitaria del paese.


La DSN o la Direzione della Sicurezza nazionale
La Tunisia era dotata all’indomani dell’indipendenza di una direzione della sicurezza nazionale e non di un ministero dell’interno. Il capo di questa direzione era l’attuale primo ministro, Béji Caid Essebsi.
Questa direzione ha curato i primi interrogatori politici in Tunisia, nel corso del processo contro Lazhar Chraiti e i suoi compagni coinvolti nella sollevazione dell’ottobre del 1962. Interrogatori che gli storici ci dicono essere stati duri e caratterizzati da violenze e torture. Gilbert Naccache dirà poi: “Sono spaventato all’idea che sia installato del materiale di tortura elettrico, in modo ufficiale, in una sala del Ministero dell’Interno, si tratta dunque di un metodo corrente…”
Bisogna dire che le tecniche di tortura sono andate via via raffinandosi.  Ciascuno dei ministri dell’interno di Bourghiba ha fornito il suo contributo ispirandosi ad una scuola determinata. A questo proposito, il ricercatore e blogger Sami Ben Abdallah precisa che “Ben Ali non ha inventato l’acqua calda in materia di tortura in Tunisia. Bisogna ricordare che è entrato al Ministero dell’interno come direttore della Sicurezza solo nel 1977. Tuttavia, dal 1956 al 1977 la tortura è continuata in Tunisia sotto tutti i ministri che si sono succeduti: Taieb Mhiri, Tahar Belkhoja, Beji Caid Essebssi, Ahmed Mestiri, Hedi Khefacha, Hedi Nouira”.
Comunque la tortura a fini politici si intensifica sotto il regime di Ben Ali. Volta a volta, islamisti e oppositori di sinistra conoscono la stessa sorte, vale a dire la liquidazione pura e semplice sulla base di processi montati pezzo su pezzo e secondo leggi fatte su misura per servire gli interessi politici del vecchio regime.


Oppositori e processi
Dopo l’indipendenza, in Tunisia vi sono stati diversi processi politici di cui si è avuto notizia nonostante la censura. Sotto il regime di Bourghiba, erano i nazionalisti e gli oppositori di sinistra ad essere nel mirino della polizia politica, mentre sotto il regno di Ben Ali è stato il turno degli islamisti di gustare tortura e processi sommari.
Vi sono nomi di militanti che restano nella memoria dei Tunisini, come quello di Noureddine Ben Kheder o di Gilbert Naccache. Entrambi appartenevano al movimento “Perspectives”, un gruppuscolo di sinistra, mezzo troskista e mezzo maoista, fondato nel 1963 e smantellato dagli agenti della sicurezza dello stato nel 1968. A proposito del suo processo, Ben Kheder, ormai morto, disse: “Sembra oggi stabilito che il Potere abbia deciso, all’esito dell’inchiesta, di incolpare undici persone che dovranno essere condannate severamente e di liberare tutti gli altri. I fatti del maggio 1968 in Francia e soprattutto quelli di Praga sono sembrati a Bourghiba e al suo gruppo sufficienti a giustificare una nuova procedura: allargare al massimo il campo della repressione e tradurre in tribunale centinaia di incolpati. La sentenza ha rispettato lo schema: undici dirigenti da mantenere perpetuamente in prigione e gli altri, puniti dal capo della nazione, da liberare dopo un tempo più o meno lungo”. Alla fine, tutti i prigionieri saranno liberati nel 1979. Perché all’epoca Bourghiba aveva altre gatte da pelare. E’ vero che poi il terrore ha cambiato campo e si è installato in quello degli islamisti. Migliaia di processi sono stati celebrati tra il 1992 e il 2010 e migliaia di oppositori sono stati condannati a pene varie, perfino all’ergastolo.

 

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