Un mondo in pericolo. David Barsamian intervista Noam Chomsky
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TomDispatch, 3 ottobre 2017 (trad.ossin)
Un mondo in pericolo
David Barsamian intervista Noam Chomsky
David Barsamian : – Lei ha già parlato del diverso modo con cui vengono trattate le pagliacciate di Trump, di cui la stampa parla continuamente, e le politiche che cerca di portare avanti, che godono invece di minore attenzione. Lei pensa che abbia obiettivi di politica economica o internazionale coerenti? Che cosa è riuscito a realizzare Trump nei suoi primi mesi di presidenza?
Noam Chomsky : – C'è una divaricazione in atto, forse solo l'effetto naturale dovuto alle diverse personalità del personaggio che sta in primo piano e di quelli che lavorano nelle retrovie.
A un certo livello, le buffonate di Trump fanno sì che l'attenzione si concentri su di lui, e poco importa come. Chi si ricorda ancora dell'accusa secondo cui milioni di immigrati clandestini avrebbero votato per la Clinton, privando il patetico omuncolo della sua grande vittoria? O quella che Obama avrebbe intercettato la Trump Tower ? Sono affermazioni che non hanno grande importanza in sé. Servono solo a distogliere l'attenzione da quanto accade nelle retrovie. E' là che, lontano dalla luce dei proiettori, la frangia più selvaggia del Partito repubblicano porta avanti con cura le politiche destinate ad arricchire la sua vera base elettorale: quella del potere privato e della ricchezza, « i padroni dell'umanità », per riprendere la frase di Adam Smith.
Queste politiche danneggeranno in generale la fetta irrilevante della popolazione e devasteranno le generazioni future, ma la cosa non preoccupa affatto i Repubblicani. Da anni cercano di far adottare leggi che sono tutte distruttrici. Paul Ryan, per esempio, ha da tempo annunciato il suo ideale di eliminare virtualmente il governo federale, a eccezione del servizio militare – per quanto in passato abbia avvolto le sue proposte in fogli elettronici perché avessero un aspetto più credibile agli occhi dei commentatori. Adesso, con tutta l'attenzione concentrata sulle ultime follie di Trump, la gang Ryan e la branca esecutiva danno l'assalto alla legislazione, per limitare i diritti dei lavoratori, paralizzare la protezione dei consumatori e nuocere gravemente alle comunità rurali. Cercano di devastare i programmi di assistenza sanitaria, di diminuire le imposte che permettono di finanziarli, in modo da continuare ad arricchire i loro sostenitori politici, e di eliminare la legge Dodd-Frank, che impone indispensabili vincoli al sistema finanziario predatore che si è sviluppato durante il periodo neoliberale.
Questo è solo un esempio di come il Partito Repubblicano, nuovamente al potere, si comporta come se usasse una palla da demolizione. In effetti non è più un partito nel senso tradizionale del termine. Gli analisti politici conservatori, Thomas Mann e Norman Ornstein, l’hanno più propriamente definito una « rivolta radicale », che ha abbandonato la normale politica parlamentare.
Una gran parte di questo lavoro viene svolto furtivamente, in stanze chiuse, con la minore pubblicità possibile. Altre politiche repubblicane sono più visibili, come il ritiro dall'accordo di Parigi sul clima, che ha isolato gli Stati Uniti facendone uno Stato paria che rifiuta di partecipare agli sforzi internazionali per contrastare la catastrofe ambientale imminente. Peggio ancora, hanno intenzione di incrementare l'uso dei combustibili fossili, anche i più pericolosi; di smantellare tutti i regolamenti; di ridurre fortemente la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia alternative, che saranno presto necessarie per una sopravvivenza decente.
Le ragioni alla base di queste politiche sono varie. Alcune sono solo delle concessioni alle circoscrizioni elettorali. Altre, che hanno poca importanza per i « padroni dell'umanità », servono a trattenere i segmenti del blocco elettorale che i Repubblicani hanno messo insieme, dal momento che le posizioni dei Repubblicani si erano talmente spinte verso destra, da non riuscire più ad attirare gli elettori. Per esempio, porre fine agli aiuti per la pianificazione familiare non è un servizio reso ai finanziari. Questo gruppo tenderebbe infatti a sostenere simili politiche. Ma accontenta la base elettorale evangelica – elettori che chiudono gli occhi sul fatto che un aumento delle gravidanze porta con sé un maggior ricorso all'aborto, in condizioni pericolose e perfino mortali.
Non tutti questi danni possono essere imputati al ciarlatano che ne è, teoricamente, responsabile, alle sue nomine stravaganti o alle forze del Congresso che ha scatenato. Alcuni degli sviluppi più pericolosi dell'amministrazione Trump risalgono alle decisioni di Obama, anche se assunte sotto la pressione del Congresso repubblicano.
La più pericolosa di tutte è da poco stata resa nota. Un importantissimo studio pubblicato nel marzo 2017 nel Bulletin of the Atomic Scientists rivela che il programma di ammodernamento delle armi nucleari promosso da Obama ha fatto crescere di « quasi tre volte il potere distruttivo dei missili balistici statunitensi esistenti, e ciò corrisponde esattamente al bisogno di uno Stato dotato di armi nucleari che preveda di poter combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i suoi nemici con un primo attacco a sorpresa ». Come sottolineano gli analisti, questa nuova capacità compromette l'equilibrio strategico da cui dipende la sopravvivenza della specie. E il bilancio tremendo delle catastrofi e del comportamento imprudente dei leader nel corso degli ultimi anni dimostra fino a quel punto la sopravvivenza della specie sia attaccata a un filo. Questo programma viene proseguito da Trump. Questi sviluppi, uniti alla minaccia di un disastro ambientale, mettono in ombra tutto il resto – e sono poco discusse in quanto tutta l'attenzione viene attirata dalle performance dell'attore che sta al centro della scena.
Non è facile capire se Trump abbia idea di quello che lui e i suoi accoliti stanno facendo. Forse è completamente autentico: un megalomane ignorante e fragile, la cui sola ideologia è lui stesso. Ma quello che accade sotto la dominazione dell'ala estremista dei Repubblicani è del tutto visibile.
– Vede qualche iniziativa incoraggiante da parte dei Democratici? O è venuto il tempo di cominciare a pensare ad un terzo partito?
– Prima di rispondere, occorre pensarci bene. La cosa più interessante delle elezioni del 2016 è stata la campagna elettorale di Bernie Sanders, che ha rappresentato una novità assoluta dopo oltre un secolo di storia politica. Un gran numero di ricerche in tema di scienze politiche afferma in modo convincente che le elezioni sono più o meno comprate; il finanziamento delle campagne elettorali, sia per il Congresso che per la presidenza, è già di per sé un rilevante indice di successo. I finanziamenti determinano anche le future decisioni dell'eletto. Di conseguenza, una considerevole maggioranza dell'elettorato – i più in basso nella scala del reddito – è effettivamente privata dei suoi diritti, giacché i suoi rappresentanti (che devono restituire il favore ai finanziatori più generosi, ndt) non terranno conto delle loro esigenze. In questa ottica, sorprende poco la vittoria di una star della televisione miliardaria che aveva un importante sostegno mediatico: sostegno diretto di una catena via cavo di primo piano, Fox News, di Rupert Murdoch, e di una radio con grandissimo ascolto; sostegno indiretto del resto dei grandi media, rimasti affascinati dalle buffonate di Trump e dalla entrate pubblicitarie che portavano con sé.
La campagna elettorale di Sanders, invece, ha completamente rotto coi modelli in vigore, Sanders era appena conosciuto. Non ha praticamente ottenuto alcun appoggio dalle principali fonti di finanziamento, è stato ignorato o ridicolizzato dai media, etichettato con l'espressione spaventosa di « socialista ». Nonostante ciò, oggi egli è di gran lunga la figura politica più popolare del paese.
Il successo della campagna elettorale di Sanders dimostra almeno che molte opzioni possono essere messe in campo nonostante l'impianto istituzionale bipartito, nonostante tutte le barriere istituzionali che vi si oppongono. Durante gli anni di Obama, il Partito Democratico si è disintegrato al livello locale e nazionale. Il partito aveva già ampiamente abbandonato la classe operaia anni prima, ancor più con le politiche commerciali e fiscali di Clinton, che hanno indebolito la produzione manifatturiera e l'occupazione relativamente stabile che forniva.
Le proposte politiche progressiste non mancano. Il programma sviluppato da Robert Pollin nel suo libro Greening the Global Economy è un approccio molto promettente. Il lavoro di Gar Alperovitz, sulla costruzione di una democrazia autentica basata sull'autogestione dei lavoratori, ne è un'altra. La messa in pratica di questi approcci e delle idee connesse stanno prendendo forma in molti modi diversi. Le organizzazioni popolari, alcune delle quali nate dalla campagna elettorale di Sanders, sono attivamente impegnate per approfittare delle molte occasione che si offrono loro.
Allo stesso tempo, la struttura bipartitica consolidata, per quanto antica, non è affatto scolpita nella pietra. Non è un segreto che, negli ultimi anni, le istituzioni politiche tradizionali deperiscono nelle democrazie industriali sotto i colpi di quel che viene chiamato « populismo ». Questa espressione viene abbastanza leggermente usata per indicare l'ondata di malcontento, di rabbia e disprezzo delle istituzioni che ha accompagnato l'assalto neoliberale della generazione passata, che ha portato alla stagnazione per la maggioranza e alla concentrazione spettacolare delle ricchezze nelle mani di pochi.
Il funzionamento della democrazia si erode come naturale effetto della concentrazione del potere economico, che si trasforma in potere politico attraverso mezzi che mal si conoscono, ma anche per ragioni più profonde e di principio. La dottrina dominante vuole che il trasferimento del potere decisionale dal settore pubblico al « mercato » contribuisca alla libertà individuale, ma la realtà è diversa. Il trasferimento si opera dalle istituzioni pubbliche sulle quali gli elettori hanno qualcosa da dire, almeno quando la democrazia funziona, alle tirannie private – le imprese che dominano l'economia – sulle quali gli elettori non hanno alcuna influenza. In Europa esiste un metodo ancora più diretto per stemperare le minacce della democrazia: attribuire il potere di decisioni cruciali ad una troika non eletta – il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea – che tiene conto dei desiderata delle banche del nord e della comunità dei creditori, e non degli elettori.
Queste politiche devono tendere a disgregare le società, la celebre descrizione del mondo di Margaret Thatcher, come lo percepiva o, più precisamente, sperava di farlo diventare: un mondo in cui non c'è più società, ma solo degli individui. Era la parafrasi che Thatcher ha involontariamente fatto della condanna amara di Marx della repressione in Francia, che aveva lasciato la società come un « sacco di patate », una massa amorfa che non può funzionare. Nel caso presente, il tiranno non è un leader autocrate – almeno in Occidente – ma una concentrazione di poteri privati.
Il deperimento delle istituzioni dirigenti centrali è stato evidente durante le recenti tornate elettorali: in Francia a metà 2017 e negli Stati Uniti qualche mese prima, quando i due candidati che hanno mobilitato le forze popolari erano Sanders et Trump − anche se Trump non ha tardato a rivelare la fraudolenza del suo « populismo » assicurando agli elementi più duri dell'establishment una solida collocazione nella lussureggiante « palude ».
Questi processi potrebbero condurre alla rottura del monolitico sistema statunitense basato su un partito unico, quello del mondo degli affari, diviso in due fazioni concorrenti, con gli elettori che passano dall'uno all'altro nel corso del tempo. E' l'occasione perché possa emergere un vero « partito popolare », un partito la cui base elettorale sia composta veramente dagli elettori, e i cui valori ispiratori meritino rispetto.
– Il primo viaggio all'estero di Trump è stato in Arabia Saudita. Quale significato vi vede e che cosa significa questo per le politiche medio-orientali? E che cosa pensa dell'aggressività di Trump verso l'Iran?
– L’Arabia saudita è il genere di posto in cui Trump si sente a casa sua: una dittatura brutale, miserabilmente repressiva (notoriamente dei diritti delle donne, ma anche di molti altri diritti), il primo produttore di petrolio (oggi superato dagli Stati Uniti), e molto denaro. Il viaggio ha prodotto massicce promesse di vendite di armi - la cosa che è più piaciuta al suo elettorato – e vaghi annunci di altri doni sauditi. Una delle conseguenze di questo viaggio è che gli amici sauditi di Trump hanno ricevuto il via libera per intensificare le vergognose atrocità in Yemen e per mettere in riga il Qatar, che è stato un'ombra troppo indipendente dai padroni sauditi. Anche l'Iran è stato un fattore. Il Qatar condivide un campo di gas snaturale con l'Iran e intrattiene relazioni commerciali e culturali, disapprovate dai Sauditi, con questo paese.
L’Iran è da tempo considerato dai leader e dai media statunitensi come un paese estremamente pericoloso, forse il più pericoloso del pianeta. Questo risale a ben prima di Trump. Secondo la narrativa corrente, l'Iran costituisce una doppia minaccia: è il principale sostenitore del terrorismo, e i suoi programmi nucleari costituiscono una minaccia esistenziale per Israele, se non per il mondo intero. E' talmente pericoloso che Obama ha dovuto installare un sistema avanzato di difesa aerea vicino alla frontiera con la Russia per proteggere l'Europa dalle armi nucleari iraniane – che non esistono affatto e che, in ogni caso, i dirigenti iraniani utilizzerebbero solo se fossero presi dal desiderio di essere, in risposta, inceneriti istantaneamente.
E' questa la dottrina dominante. Nel mondo reale, il sostegno iraniano al terrorismo si traduce nel sostegno ad Hezbollah, il cui crimine massimo è di essere l'unico strumento di dissuasione contro un'altra invasione israeliana per distruggere il Libano, e ad Hamas, che ha vinto libere elezioni nella Striscia di Gaza, crimine che ha immediatamente provocato severe sanzioni e spinto il governo statunitense a preparare un colpo di Stato militare. E' vero che le due organizzazioni possono essere accusate di atti terroristi, per quanto completamente diverse da quelli che derivano dal coinvolgimento dell'Arabia Saudita nella formazione e nelle azioni delle reti jihadiste.
Per ciò che concerne i programmi di armamento nucleare dell'Iran, i servizi di informazione hanno confermato quel che ognuno potrebbe facilmente intuire: se esistono, fanno parte della strategia di dissuasione dell'Iran. C'è anche il fatto inaccettabile che qualsiasi preoccupazione concernenti le armi di distruzione di massa (ADM) iraniane potrebbe risolversi semplicemente accettando la richiesta iraniana di istituire in Medio oriente una zona di interdizione per le armi di distruzione di massa. Una simile istituzione è fortemente sostenuta dagli Stati arabi e dalla maggior parte del resto del mondo, ma viene bloccata principalmente dagli Stati Uniti, che intendono garantire a Israele il mantenimento delle sue ADM.
Se lo si osservi bene, si vede che questa narrazione dominante sta crollando, resta dunque da capire quali siano le vere ragioni dell'aggressività statunitense verso l'Iran. Le risposte possibili vengono facilmente alla mente. Gli Stati Uniti e Israele non possono tollerare la presenza di un paese indipendente in una regione che considerano come loro. Un Iran dotato di forza di dissuasione nucleare è inaccettabile per gli Stati canaglia che intendono fare quel che piace loro in tutto il Medio Oriente. Ma c'è qualcosa di più. Washington non perdona all'Iran di avere rovesciato il dittatore che essi avevano istallato dopo un colpo di Stato militare nel 1953, un colpo che distrusse il regime parlamentare iraniano e la sua speranza di poter trarre benefici dalle proprie risorse naturali. Il mondo è troppo complesso per potersi accontentare di spiegazioni semplici, ma questo mi sembra il nocciolo di tutta la storia.
C'è anche da ricordare che, nel corso degli ultimi sei decenni, Washington ha continuamente tormentato gli Iraniani. Dopo il colpo di Stato militare del 1953, gli Stati Uniti hanno sostenuto un dittatore definito da Amnesty International come uno dei peggiori violatori dei diritti umani. Immediatamente dopo la sua cacciata, l'invasione dell'Iran da parte di Saddam Hussein, sostenuta dagli Stati Uniti, non fu cosa da poco. Centinaia di migliaia di Iraniani rimasero uccisi, molti con armi chimiche. L'appoggio di Reagan al suo amico Saddam era talmente incondizionato che, quando l'Iraq attaccò una nave statunitense, l’USS Stark, uccidendo 37 marinai, si è limitato a reagire con qualche schiaffetto sulle dita. Reagan ha anche cercato di attribuire all’Iran gli orribili attacchi chimici contro i Curdi iracheni, in realtà lanciati da Saddam.
Alla fine gli Stati Uniti sono intervenuti direttamente nella guerra Iran-Iraq, provocando l'amara capitolazione dell'Iran. Successivamente, George W. Bush invitò gli ingegneri nucleari iracheni negli Stati Uniti per una formazione avanzata nella produzione di armi nucleari – una minaccia straordinaria per l'Iran, a tacere di tutte le altre implicazioni. E, ovviamente, Washington è stata la promotrice di severe sanzioni contro l'Iran che proseguono ancora oggi.
Trump, da parte sua, ha incontrato i dittatori più duri e repressivi mentre imprecava contro l'Iran. Inoltre in Iran c'erano le elezioni durante il viaggio di Trump in Medio Oriente, elezioni che, anche se imperfette, sarebbero una manna nella terra dei suoi ospiti sauditi, che sono anche i promotori dell'islamismo radicale che avvelena la regione. Ma l'aggressività statunitense contro l'Iran va bene al di là dello stesso Trump. Tocca anche quelli che vengono considerati come le persone « mature » dell’amministrazione Trump, come James « Mad Dog » Mattis, il segretario alla Difesa. Ed essa viene da lontano.
– Qual è la posta strategica per la Corea? Si può fare qualcosa per disinnescare questo conflitto che si aggrava?
– La Corea è un problema che persiste dalla Seconda Guerra Mondiale, quando le speranze dei Coreani di riunificare la penisola vennero bloccate dall'intervento delle Grandi Potenze, Gli Stati Uniti in prima linea.
La dittatura nord-coreana potrà ben meritare il premio della brutalità e della repressione, ma essa tenta di realizzare, e in qualche modo ci riesce, un certo livello di sviluppo economico, malgrado il fardello schiacciante di un enorme sistema militare. Questo sistema comprende bene inteso un arsenale crescente di armi nucleari e di missili, che costituiscono una minaccia per la regione e, nel lungo periodo, anche per i paesi più lontani – ma poiché la loro finalità è solo la dissuasione, è poco probabile che il regime nord coreano si avvii su strade offensive, tanto più che è sotto minaccia di distruzione.
Adesso ci dicono che la grande sfida con cui il mondo deve confrontarsi è di capire come si possa costringere la Corea del Nord a congelare i suoi programmi nucleari e balistici. Quindi si dovrebbero forse imporre maggiori sanzioni, ricorrere alla cyber-guerra, alle intimidazioni; al dispiegamento del sistema antimissile di difesa dell'area ad alta altitudine (THAAD), che la Cina considera come una seria minaccia ai propri interessi; forse perfino attaccare direttamente la Corea del Nord, cosa che provocherebbe bombardamenti massicci di rappresaglia, che devasterebbero Seul e gran parte della Corea del Sud, anche se non si usassero armi nucleari.
Ma c'è un'altra opzione che sembra essere ignorata: potremmo semplicemente accettare l'offerta della Corea del Nord di fermare i suoi programmi. La Cina e la Corea del Nord hanno già proposto che la Corea del Nord congeli i suoi programmi di sviluppo nucleare e di missili. La proposta, però, è stata immediatamente respinta da Washington, come era già avvenuto due anni prima, perché comprende una contropartita: chiede agli Stati Uniti di porre fine alle loro minacciose esercitazioni militari sulla frontiera della Corea del Nord, ivi comprese le simulazioni di attacco nucleare con i B-52.
La proposta sino-coreana non è affatto irragionevole. I Nord Coreani si ricordano bene che il loro paese è stato letteralmente schiacciato dai bombardamenti statunitensi, e molti si ricordano forse del modo con cui le forze USA hanno bombardato le grandi dighe quando non avevano più altri bersagli. Si leggevano dei rapporti divertiti nelle pubblicazioni militari statunitensi sullo spettacolo appassionante dell'enorme flusso d'acqua che distruggeva le colture di riso da cui dipende l’« Asia » per la sua sopravvivenza. Vale davvero la pena leggerle, una parte utile della memoria storica.
L’offerta di congelare i programmi nucleari e balistici della Corea del Nord in cambio della cessazione degli atti provocatori sulla frontiera nord coreana potrebbe essere la base di negoziati più approfonditi che potrebbero radicalmente ridurre la minaccia nucleare e perfino risolvere la crisi nord coreana. Al contrario di quanto affermano tanti editoriali infiammati, vi sono buone ragioni di pensare che potrebbero avere successo. Tuttavia, anche se i programmi nord coreani vengono costantemente descritti come fossero forse la peggiore minaccia che incombe su di noi, la proposta sino-nordcoreana è stata definita inaccettabile da Washington e respinta dagli osservatori statunitensi con una unanimità impressionante. E' un altro capitolo del dossier vergognoso e deprimente di questa preferenza quasi automatica per la forza, anche quando siano disponibili opzioni pacifiche.
Le elezioni sud-coreane del 2017 potrebbero offrire un barlume di speranza. Il presidente eletto, Moon Jae-in, sembra volere invertire la politica di dura contrapposizione del suo predecessore. Ha invitato a esplorare le opzioni diplomatiche e a prendere misure per la riconciliazione, cosa che rappresenta senz'altro un passo avanti rispetto a manifestazioni di rabbia che potrebbero condurre ad un vero disastro.
– Lei ha espresso in passato delle inquietudini a proposito dell'Unione Europea. Cosa pensa possa succedere adesso che l'Europa sta diventando meno legata agli Stati Uniti e al Regno Unito?
– L’UE ha di fronte a sé problemi fondamentali, soprattutto una moneta unica senza unione politica. Ma vi sono anche degli aspetti positivi. C'è in giro qualche idea sensata per salvare quello che è buono e migliorare quello che non lo è. L’iniziativa DiEM25 di Yanis Varoufakis per una Europa democratica è un approccio promettente.
Il Regno Unito è stato spesso un sostituto degli Stati Uniti nella politica europea. Il Brexit potrebbe incoraggiare l'Europa ad adottare un ruolo più indipendente negli affari mondiali, e questo potrebbe essere accelerato dalle politiche di Trump che ci isolano sempre di più dal resto del mondo. Mentre lui grida forte e brandisce il suo gigantesco bastone, la Cina occupa la scena al livello di politiche energetiche mondiali, estendendo la sua influenza verso ovest, fino all'Europa, attraverso l'Organizzazione di cooperazione di Shanghai e la Nuova Via delle Seta.
Che l'Europa possa diventare una « terza forza » indipendente è un motivo di preoccupazione per i pianificatori statunitensi fin dalla Seconda Guerra Mondiale. Si sono fatte molte discussioni sulla concezione gaullista di una Europa che si estende dall'Atlantico agli Urali o, più recentemente, sull'idea di Gorbaciov di un'Europa comune da Bruxelles a Vladivostok.
Qualsiasi cosa succeda, la Germania è certa di conservare un ruolo dominante negli affari europei. E' piuttosto sorprendente sentire una cancelliera tedesca conservatrice, Angela Merkel, fare la lezione al suo omologo USA sui diritti umani e prendere l'iniziativa, almeno per un certo tempo, di affrontare la questione dei rifugiati che mostra la profonda crisi morale dell'Europa. D’altra parte, l'insistenza della Germania per l'austerità, la sua paranoia verso l'inflazione e la sua politica di promozione delle esportazioni mentre limita i consumi interni non sono l'ultimo dei motivi degli attuali problemi economici dell'Europa, soprattutto della disastrosa situazione delle economie periferiche. Tuttavia, nel migliore dei casi e senza spingersi troppo oltre con l'immaginazione, la Germania potrebbe influenzare l'Europa perché diventi una forza generalmente positiva negli affari mondiali.
– Cosa pensa del conflitto tra l'amministrazione Trump e i servizi di informazione degli Stati Uniti? Lei crede nello « Stato profondo » ?
Una burocrazia della sicurezza nazionale esiste fin dalla Seconda Guerra Mondiale. E gli analisti della sicurezza nazionale, dentro e fuori dal governo, sono rimasti costernati dai molti e scomposti sbandamenti di Trump. La loro costernazione è condivisa dagli affidabili esperti che hanno realizzato l'Orologio della Fine del Mondo, perché hanno spostato le lancette due minuti e mezzo in avanti, alla mezzanotte del giorno che Trump ha assunto le sue funzioni; il punto più vicino al disastro finale dal 1953, quando gli Stati Uniti e la Russia fecero esplodere delle bombe termonucleari. Ma io vedo pochi indizi che si vada più in profondo di così, che esista una cospirazione segreta da parte di uno « Stato profondo ».
– In conclusione, avvicinandosi il suo 89° compleanno, mi chiedevo: lei ha una teoria a proposito della longevità?
– Sì ed è semplice, veramente. Se corri in bicicletta e non vuoi cadere, devi continuare a pedalare, e veloce.