Gli Stati Uniti si preparano alla guerra
Alain Rodier
 
«Si vis pacem, para bellum»: se vuoi la pace, prepara la guerra. Questa espressione latina di cui non è ben chiara l’origine è oggi particolarmente di attualità. A patto di modificarne la prima parte: «Se vuoi la Pax Americana…»
 
 
Infatti gli USA sono più che mai determinati a dominare politicamente ed economicamente il mondo. Ambizione mirante a soddisfare i loro interessi a corto e medio termine – in ragione dell’argomento in voga a Washington «quel che è bene per gli Stati Uniti è bene per il mondo» -, ma essa si fonda anche su una convinzione profondamente radicata nelle élite statunitensi e anche nella popolazione: sono tutti convinti di rappresentare il «Bene» sulla terra, e si sentono investiti da una missione civilizzatrice globale. Di conseguenza, chiunque si opponga al loro punto di vista incarna il «Male assoluto». Dunque machiavellismo e messianismo sono le due molle della politica internazionale degli Stati Uniti.
 
Dalla fine della Guerra Fredda, Washington è impegnata nella costruzione di una società mondializzata che si uniformi ai suoi criteri, e di una politica che giustifichi l’eliminazione di chiunque tenti di porsi di traverso.
 
Per non apparire troppo in prima linea, gli Stati Uniti operano spesso attraverso terzi – i loro servizi speciali, le loro molteplici fondazioni e le varie ONG che il Dipartimento di Stato finanzia in parte – simulando l’emergere di «movimenti spontanei», qui e là nei paesi dei quali intendono rovesciare i governi. Così è stato nei Balcani (ex-Jugoslavia), nell’Europa dell’est e nel Caucaso (rivoluzioni colorate) poi in Maghreb e in Medio Oriente (primavere arabe).
 
Gli Statunitensi godono anche dell’appoggio incondizionato dei loro alleati ovest-europei, che condividono con essi i medesimi valori universali. Da notare in questo ambito che il Regno Unito si è sempre atteggiato un po’ come il «primo della classe». Vale a dire che Londra è sempre stata la punta di lancia, dando talvolta prova di uno zelo da qualcuno giudicato eccessivo.
 
Le prime resistenze all’egemonia statunitense 
 
Per più di un decennio, Washington non ha incontrato alcuna resistenza, in quanto la Russia era tutta presa dai suoi problemi (crisi del regime, ricostruzione), ed era troppo debole per reagire.
 
Le prime reazioni russe sono cominciate nel 2008, durante la Seconda Guerra di Georgia – l’Ossezia del sud e l’Abkhazia sono state di fatto annesse da Mosca -, poi nel 2013 in Ucraina e soprattutto con il recupero della Crimea nel 2014. L’orso russo si è risvegliato per impulso di Vladimir Putin, immediatamente designato come il nemico da abbattere da Washington e come espressione del «Male assoluto».
 
Anche la Cina, consapevole della sua crescente potenza, ha cominciato a guadagnare posizioni, soprattutto nel mare della Cina meridionale, con la costruzione di isole artificiali e basi navali su qualche roccia disabitata. In seguito ha anche sviluppato il suo progetto di «Nuova via della seta» (One Belt, One Road) che deve collegarla all’Europa. E’ assai evidente che Washington consideri questo grandioso progetto come una minaccia al suo dominio economico, da combattere energicamente.
 
Da lungo tempo, infine, il regime dei mullah in Iran è il nemico da abbattere. Peraltro sono stati gli Statunitensi e i Britannici a permetterne la scalata al potere nel 1979, quando abbandonarono lo scià Reza Pahlavi. Ricordiamo anche che, a onta dell’aiuto fornito a Bagdad in occasione della sanguinosissima guerra con l’Iran (1980-1988), gli Stati Uniti e Israele sostennero segretamente Teheran in quanto Saddam Hussein veniva allora considerato come più destabilizzatore per la regione, cosa che troverà conferma poi e porterà alla sua eliminazione. Ma, dalla fine del conflitto, vi è dichiarata ostilità tra Washington e Teheran. Bisogna riconoscere che i mullah non hanno fatto nulla per ridurre le tensioni: presa in ostaggio per 444 giorni del personale diplomatico statunitense di Teheran (1979-1980); attentati contro i marine USA a Beirut negli anni 1980; ripetute minacce contro la stessa esistenza dello Stato ebraico; infine atti di terrorismo di Stato in giro per il mondo, prima di tutto contro gli oppositori all’estero, poi contro interessi occidentali e israeliani.
 
Attualmente, dopo che il presidente Donald Trump si è ritirato dall’accordo JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) sul programma nucleare iraniano, gli atteggiamenti statunitensi e israeliani sono via via più bellicosi. In questo senso, assai rivelatrice è stata la Conferenza sulla sicurezza in Medio Oriente organizzata da Washington a Varsavia a metà febbraio 2019. Parlando al fianco del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il segretario di Stato USA Mike Pompeo ha dichiarato: «Non può essere assicurata la stabilità del Medio Oriente senza affrontare l’Iran. E’ semplicemente impossibile». Poco dopo Netanyahu – che è impegnato nella campagna elettorale in Israele in condizioni difficili – ha aggiunto in un discorso davanti ai cadetti dell’Accademia navale israeliana ad Haïfa: «L’Iran tenta di aggirare le sanzioni che le sono state imposte (NdA : soprattutto dagli Stati Uniti) contrabbandando segretamente il petrolio via mare. Mano a mano che questi tentativi si moltiplicheranno, la marina avrà un ruolo sempre più importante nel bloccare queste azioni iraniane (…). Invito la comunità internazionale a bloccare, con tutti i mezzi, i tentativi dell’Iran di aggirare le sanzioni per via di mare». Non ha peraltro spiegato come Israele agirà per bloccare le petroliere iraniane senza rischiare una escalation militare. Ancora, durante una visita ufficiale in Libano il 22 e il 23 marzo 2019, Mike Pompeo ha fatto appello ai Libanesi perché «si ribellino a Hezbollah». Una simile ingerenza nella politica interna del suo paese sembra abbia irritato il presidente Michel Aoun.
 
Al momento, i bombardamenti israeliani contro obiettivi iraniani e di Hezbollah libanese in Siria non hanno provocato risposta, giacché Teheran sembra avere intuito la trappola: offrire un pretesto agli Stati Uniti e a Israele per lanciare attacchi aerei sullo stesso Iran. Ma, fattore aggravante, il presidente Bachar El-Assad avrebbe concesso, nel corso della sua visita a Teheran il 25 febbraio 2019, la gestione del porto di Laodicea all’Iran a partire da ottobre di quest’anno. In tal modo, questo importante porto potrebbe diventare lo sbocco di un corridoio che collega l’Iran al Mediterraneo. Israele assumerà senz’altro delle iniziative per opporsi a questo progetto.
 
Per preparare l’offensiva contro Teheran, Washington moltiplica i gesti verso l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar (attualmente in freddo coi suoi vicini), tre Stati oramai alleati di Israele. Lo Stato ebraico continua ad essere il centro della politica USA in Medio Oriente, e Washington ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e le alture del Golan, conquistate nel 1967, come territorio israeliano. Il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, presentato come un casus belli da molti osservatori, ha provocato solo flebili proteste nel mondo arabo-musulmano. E’ possibile che accada lo stesso per il Golan. Infatti Israele è diventato un partner insostituibile per l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti per opporsi all’influenza iraniana in Medio Oriente.
 
L’intervento russo in Siria è un problema per la strategia di Washington. Gli Statunitensi denunciano anche le presunte operazioni di influenza lanciate da Mosca e l’uccisione degli oppositori. In questo, il Regno Unito sembra essere il campo di battaglia di una guerra di spie in cui, ovviamente, il presidente Putin svolge il ruolo del «cattivo». Ma i servizi di intelligence francesi cominciano ad avere dei dubbi, almeno in parte, sulle accuse continuamente lanciate dai loro omologhi statunitensi a proposito dei cyber attacchi che partirebbero dal GRU.
 
Negli stessi Stati Uniti questa strategia è stata smentita dalla pubblicazione del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller che, dopo due anni di inchiesta, ha concluso per l’assenza di prove sulla collusione tra i collaboratori di Trump e la Russia, durante la campagna presidenziale del 2016. La comunità USA di intelligence rischia di trovarsi al centro dell’attenzione perché ha dichiarato alto e forte che aveva le prove… senza mai produrle! E’ un vantaggio per Trump, nella prospettiva della campagna per un secondo mandato. Però questo non muterà l’atteggiamento globale di Washington nei confronti di Mosca. Quindi, il 6 marzo 2019, il generale Curtis Scaparrotti, comandante supremo della NATO, agitava dinanzi al Congresso una «minaccia di aggressione russa» per ottenere crediti supplementari.
 
Le spese militari, un indizio per nulla ambiguo
 
Per una visione obiettiva della realtà, conviene non fermarsi alle parole ma considerare piuttosto i mezzi che gli uni e gli altri mettono a disposizione delle reciproche strategie. Un buon indizio è quello del bilancio della Difesa. Nel 2018, gli USA hanno impegnato 646,3 miliardi di dollari [1], in seconda posizione, ma a grande distanza, la Cina con 168,2 miliardi di dollari, seguita dall’Arabia Saudita con 82,9 miliardi di dollari. Vi è poi la Russia con 63,1 miliardi di dollari [2]. Dunque, nel 2018, come negli anni precedenti, gli USA hanno speso dieci volte più dei Russi per la loro difesa [3].
 
A onta delle cifre, Washington continua a gridare che Mosca rappresenta una minaccia per la sicurezza internazionale a causa della sua logica espansionista… Così il recupero della Crimea da parte di Mosca è stata presentata come una aggressione, mentre tutti gli osservatori avvertiti sapevano che mai la Russia avrebbe abbandonato la base militare di Sebastopoli, considerata vitale per la propria sicurezza. I più allarmisti in Europa verso la Russia sono la Polonia e gli Stati Baltici che hanno, storicamente, un pessimo ricordo dell’occupazione da parte dell’URSS alla fine della Seconda Guerra Mondiale e durante la Guerra Fredda.
 
Un altro importante indizio è il progressivo rafforzamento delle forze USA in Europa nell’ambito della NATO o sulla base di accordi bilaterali. Per esempi, il 14 marzo 2019, Washington ha dispiegato 6 bombardieri Stratofortress B-52H del 2° Bomb Wingde Barksale (Louisiana) a Fairford (Regno Unito), una base aerea già utilizzata anche nel passato.
 
Anche il ritiro, il 1° marzo 2019, di Donald Trump dal Trattato sulle forze nucleari a portata intermedia (FNI [4]) ha un’importanza cruciale. Benché si sia detto che rappresenti un’ulteriore minaccia per l’Europa, bisogna capire che Washington e Mosca erano soprattutto inquieti per la crescita di potenza della Cina, che non ha mai firmato il FNI, tenendosi le mani libere. E’ comunque vero che questa novità spingerà la NATO e la Russia a dispiegare armi atomiche in Europa come ai tempi della Guerra Fredda [5]. Infatti, nel 2013, la Russia ha istallato nell’enclave di Kaliningrad – ufficialmente «con carattere provvisorio» – missili suolo-suolo Iskander-M che possono minacciare gli Stati Baltici e la Polonia. Si è trattato di una risposta ai missili SM-3 statunitensi, teoricamente destinati alla difesa antimissile, ma che potrebbero, secondo il Cremlino, essere «armi nucleari nascoste». Oramai le «provocazioni» aeree e marittime e gli scontri verbali sono continui tra Est e Ovest, come ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda.
 
La necessità di un «nemico» per Washington 
 
E’ evidente che gli USA hanno un bisogno assoluto di trovare dei nemici alla loro portata, per poter mantenere la loro supremazia mondiale, specie adesso che va declinando. Gli Europei devono fare i bravi perché, in caso di divergenze con Washington, la reazione statunitense si tradurrebbe subito in sanzioni finanziarie. Il commercio internazionale si fa ancora in dollari e gli Stati Uniti non esiterebbero a usare la loro posizione dominante. E’ bene ricordarsi della multa record – 8,9 miliardi di dollari – inflitta nel 2015 a BNP-Paribas per avere commerciato con l’Iran, in violazione delle sanzioni statunitensi ma nel rispetto di tutte le leggi europee e internazionali.
 
In questa prospettiva di «costruzione del nemico», la Russia rappresenta il nemico ideale a cagione della sua storica contrapposizione con gli Stati Uniti dopo la Rivoluzione del 1917, anche se l’ideale comunista e la logica espansionista dell’URSS sono spariti dal 1991. Washington e Londra vogliono far credere al mondo che Mosca sia ancora una potenza aggressiva, e si tratta di un evidente errore. Certamente il Cremlino intende conservare un’influenza sulle vicende mondiali, ma la Russia ha quale principale obiettivo la difesa dei suoi interessi vitali.
 
Ciò detto, gli Statunitensi non sembrano più in grado di fare quel che vogliono. Abbaiano molto ma mordono meno. La situazione in Venezuela – che, come tutta l’America Latina, fa parte della «zona di riserva» di Washington -, sarebbe stata senz’altro risolta più rapidamente negli anni 1960-80. Per altri versi, Kim Jung-un, il leader della Corea del Nord, ha inflitto uno smacco politico al presidente Donald Trump, mettendolo praticamente «KO». Facile alle sanzioni contro l’Iran, la Russia e la Cina, Trump sembra aver rinunciato a farlo con la Corea del Nord, manifestamente contro l’opinione dei suoi consiglieri. Nessuno osa riderne perché sarebbe la vita di migliaia di esseri umani ad essere in gioco in caso di sviluppi incontrollati.
 
Anche i Curdi siriani non hanno troppa voglia di ridere dal momento che i 200 militari statunitensi che resteranno a Est dell’Eufrate [6], stando alle indicazioni della Casa Bianca [7], sembrano piuttosto impotenti a calmare le velleità di invasione turche. E’ possibile che l’unica salvezza per i Curdi siriani sia di avvicinarsi al regime di Bachar El-Assad, che potrà garantire la loro sicurezza col sostegno più o meno marcato di Mosca che, a onta della propaganda ufficiale, resta in una posizione fragile in Siria. Infatti gli approvvigionamenti del loro corpo di spedizione sono alla mercé degli umori dei dirigenti politici dei paesi che costituiscono punti di passaggio obbligati: via aria, l’Iran e l’Iraq, e via mare, la Turchia.
 
Conclusione 
 
Gli Stati Uniti continuano a dispensare lezioni di morale. Eppure la storia recente dimostra che agiscono molto spesso in modo illegale pur di raggiungere i loro scopi: intercettazioni illegali generalizzate; operazioni di influenza nelle elezioni dei paesi esteri, soprattutto europei; appoggio ufficiale del Brexit; attività clandestine nei paesi amici [8], interventi militari senza mandato internazionale (Iraq, Siria), ecc. In termini ancora più immorali, non esitano ad affamare i popoli attraverso embargo miranti a provocare rivolte interne. Gli Stati Uniti sono ricorsi a questa tattica in Iraq per far cadere Saddam Hussein, ma essa non ha loro risparmiato la necessità di un intervento militare perché da tempo si sa che i blocchi economici sono controproducenti. Stanno però per fare lo stesso con l’Iran e la Russia e sembrano sul punto di accrescere le tensioni internazionali con questi Stati, addirittura di prepararsi alla guerra.
 
Che gli Statunitensi cerchino in tutti i modi di difendere i loro interessi è perfettamente comprensibile, la politica essendo cosa diversa dalla morale. Quel che è più difficile da capire, è che la maggior parte dei leader europei segue senza fiatare. Evidentemente non possono farlo perché Washington possiede immensi mezzi di pressione, soprattutto economici.
 
 
Note:
 
[1] E conviene aggiungere che le spese destinate alla guerra segreta e alle operazioni di influenza non vengono prese in considerazione.
 
[2] Il bilancio militare della Francia nel 2018 è di 53,4 miliardi di dollari, quello della Gran Bretagna di 57,9 miliardi e la Germania di 47,7 miliardi. Messi insieme, questi tre paesi totalizzano un budget di 155,2 miliardi di dollari, dunque ben più del doppio di quello della Russia!
 
[3] Queste cifre hanno bisogno di qualche precisazione: gli Stati Uniti hanno ambizioni e interessi mondiali mentre quelli dei Russi sono «solo» regionali. Peraltro il soldato russo e il suo equipaggiamento costano molto meno dei loro omologhi occidentali.
 
[4] Divieto dei missili suolo-suolo che possono essere armati con testate nucleari o convenzionali con una portata da 500 a 5 500 chilometri.
 
[5] SS-20 in Oriente e Pershing II a Occidente, dal 1977 al 1987.
 
[6] 200 altri saranno mantenuti nella regione di Al-Tanif alla frontiera con la Giordania in appoggio a quel che resta dell’Esercito Libero Siriano (FSA).
 
[7] Oggi si parla di 1 000 uomini da lasciare in Siria. Se sarà così, il ritiro completo promesso da Trump si ridimensiona giorno dopo giorno.
 
[8] L’ultima sarebbe stata a Madrid: penetrazione con violenza nella rappresentanza diplomatica nord-coreana. L’Informazione è ancora incerta, dunque da prendere con prudenza. La stampa statunitense fa il nome di un gruppo di oppositori nord coreani: «Difesa civile Cheollima» (DCC) ma, come si è già detto, i servizi USA operano spesso sotto falsa bandiera.
 
 
 
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