La mobilitazione politica nell’era della post-persuasione e le sue conseguenze geopolitiche
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Strategic Culture, 12 aprile 2021 (trad.ossin)
La mobilitazione politica nell’era della post-persuasione e le sue conseguenze geopolitiche
Alastair Crooke
La politica estera non è una priorità per il “Cerchio Biden”: il suo obiettivo principale è sceneggiare la propria "fermezza", scrive Alastair Crooke
Parlando all’inizio del 2020, Steve Bannon ha detto che l’era dell’informazione ci rende meno “curiosi”, e meno disponibili a prendere in considerazione punti di vista diversi dai nostri. Il contenuto digitale ci viene intenzionalmente offerto, attraverso algoritmi, in modo che la cascata di informazioni identiche che si succedono ci induca a « trincerarci » in una convinzione, piuttosto che « aprirci » verso altre. Chi lo desideri può, certamente, trovare online dei punti di vista diversi, ma pochissimi lo fanno.
A causa di ciò, le nozioni di persuasione e consenso politico sono quasi del tutto scomparse. Perché, qualsiasi sia la nostra visione politica o culturale, c’è sempre qualcuno che crea contenuti su misura per noi, rendendoci dei consumatori che si auto-stratificano.
La forte attrattività di contenuti che la pensano come noi spiega la « stranezza » psicologica che ha reso miliardari gli oligarchi della tecnologia. Bannon però la spiega in un altro modo : sì, pare oramai chiaro che la persuasione e l’argomentazione non siano più significative nel determinare le scelte dell’elettore marginale. Ma quel che davvero è in grado di determinare una scelta (questa è la principale intuizione di Bannon), non è tanto il bombardamento di messaggi per scoraggiare le tendenze indesiderate (come fanno i pubblicitari), ma piuttosto il rovesciare l’intero processo: vale a dire, partire dai dati stratificati per elaborare messaggi specificamente concepiti per piacere al lettore, che siano in grado di suscitare una risposta psichica incosciente (insomma una « influenza »), che potrebbe potenzialmente spingerlo verso un determinato orientamento politico.
Ciò significa, secondo Bannon, che la campagna elettorale di Trump, e in generale la politica, devono oramai centrarsi su di una politica di mobilitazione [emotiva, NdT], piuttosto che sulla persuasione [ragionata, NdT].
Bannon non ha mai preteso che si trattasse di un’idea nuova (attribuendone l’intuizione ai Democratici nel 2008), ma il suo specifico contributo sta nella nozione di reverse engineering del modello Big Tech a scopi politici. L’importanza particolare di questa idea risiede tuttavia in un mutamento che si andava contemporaneamente affermando.
Il saggio premonitore di Christopher Lasch, La Rivolta delle élite (1994), stava diventando realtà. Lasch aveva predetto una rivoluzione sociale che sarebbe stata promossa dalla radicalità dei figli della borghesia. Le loro rivendicazioni si sarebbero incentrate su ideali utopistici – diversità e giustizia razziale. Una delle principali intuizioni di Lasch era che i futuri giovani marxisti statunitensi avrebbero sostituito una lotta di culture alla lotta di classe. E questa lotta avrebbe segnato il « Big Divide » [Il grande fossato, NdT].
E per Bannon (come per Trump), « Una guerra culturale è pur sempre una guerra », come ha detto al Times. « E la guerra fa sempre delle vittime ».
La mobilitazione politica non è scomparsa; e attualmente è « dovunque ». Solo che adesso che questo tipo di mobilitazione politica è proiettato all’estero, attraverso la (sedicente) « politica estera » statunitense.
Esattamente come nell’arena domestica, dove si è persa completamente la nozione di persuasione politica, anche nella politica estera si sono perse completamente le nozioni di argomentazione e di diplomazia.
La politica estera è quindi sempre meno basata sulla geostrategia, ma si tende piuttosto a dare ai suoi « grandi temi » come la Cina, la Russia o l’Iran, una « carica emotiva » capace di mobilitare le « truppe » della guerra culturale interna allo scopo di influenzare la psiche degli Statunitensi (e quella dei loro alleati) e di spingerli a mobilitarsi su certi temi (per esempio più protezionismo per le imprese), o per suscitare immagini foche che delegittimino l’opposizione; o per giustificare dei fallimenti. Si tratta di un gioco assai rischioso, perché costringe i paesi presi di mira ad adottare una posizione di resistenza, che lo vogliano o meno.
Dipingere questi Stati stranieri in termini deformati costringe questi Stati a reagire. E ciò non vale solo per i rivali degli Stati Uniti, ma anche per l’Europa.
Peter Pomerantsev, nel saggio intitolato « This is not Propaganda », fornisce un esempio del modo in cui una « carica emotiva » (in questo caso, l’ansietà) può essere creata. Come ricercatore alla London Shool of Economy, ha creato una serie di profili Facebook per i Filippini per discutere questioni relative ai loro problemi comunitari. Quando questi gruppi hanno raggiunto dimensioni sufficienti (circa 100 000 membri), ha cominciato a pubblicare delle storie di crimini locali e ha chiesto ai suoi stagisti di pubblicare dei commenti che li collegassero falsamente ai crimini macabri dei cartelli della droga.
Le pagine Facebook si sono improvvisamente riempite di commenti spaventati. Sono apparse voci incontrollate e si sono moltiplicate le teorie del complotto. Per molti, tutti crimini sono diventati legati alla droga. (All’insaputa dei loro membri, i gruppi Facebook dovevano promuovere la candidatura alla presidenza di Rodrigo Duterte, il cui programma elettorale prevedeva la brutale repressione del traffico di droga).
Nella politica di oggi proliferano la psicologia comportamentale e la « psicologia dell’influenza ». Esperti britannici in psicologia comportamentale avrebbero suggerito al Primo Ministro, Boris Johnson, che le sue politiche in materia di coronavirus rischiavano di risolversi in un fallimento perché i Britannici non avevano « abbastanza paura » del Covid. E' successo quello che sappiamo. In effetti gran parte delle strategie occidentali di ansietà di fronte alle pandemie e al distanziamento sociale possono considerarsi quali « strategie di influenza » comportamentale, che utilizza il vieus in vista di una riorganizzazione pianificata su grande scala.
L’elemento centrale di questa tecnica è l’uso del micro-targeting. Il processo di frammentazione dell’elettorato in nicchie stratificate e l’utilizzo di « strategie psicologiche segrete » per manipolare il comportamento del pubblico è stato lanciato in gran parte da Cambridge Analytica. L’impresa ha esordito come appaltatore militare non di parte che realizzava operazioni psicologiche in internet per contrastare i tentativi di reclutamento jihadista. Ma, come ha scritto MacKay Coppins, ha subito poi profondi mutamenti :
" Tutto ha avuto inizio quando il miliardario conservatore Robert Mercer è diventato un grande investitore ed ha reclutato Steve Bannon come suo uomo di fiducia. Grazie all’enorme quantità di dati che aveva ottenuto da Facebook [...], Cambridge Analytica ha tentato di produrre dettagliati profili psicografici di ciascun elettore statunitense e di sperimentare tecniche di influenza psicologica degli stessi. Nel corso di una esercitazione, la società ha chiesto a degli uomini bianchi se avrebbero approvato il matrimonio della loro figlia con un immigrato messicano. Chi ha risposto sì, si è visto rivolgere un’ulteriore domanda mirante a suscitare irritazione nei confronti dei canoni del politicamente corretto: "Ha avuto l’impressione di essere stato costretto a rispondere in questo modo?".
Christopher Wylie, direttore della ricerca per Cambridge Analytica, ha detto che '"col giusto tipo di sollecitazione", le persone che presentavano talune caratteristiche psichiche potevano essere spinte verso convinzioni sempre più radicali e verso l’adesione a varie teorie del complotto. "Piuttosto che servirsi dei dati per interferire nel processo di radicalizzazione, Steve Bannon è stato capace di rovesciare il processo", ha dichiarato Wylie. "Stavamo praticamente ponendo le basi di una insurrezione negli Stati Uniti" ".
Bannon e Andrew Breitbart erano rimasti in precedenza impressionati dalla enorme forza populista di cui erano stati testimoni nell’ambito del Tea Party. Gruppo nato come risposta alla crisi finanziaria del 2008, quando i suoi aderenti vedevano che gli Statunitensi comuni dovevano pagare per rimettere in ordine nel casino finanziario, i cui responsabili restavano immuni e diventavano ancora più ricchi: « [Il Tea Party] era qualcosa di totalmente differente. Non era… non era il normale partito repubblicano. Era qualcosa di completamente nuovo. C’è stata l’enorme rivolta del Tea Party nel 2010, che ci ha fatto guadagnare 62 seggi. Il partito repubblicano non si era accorto di nulla », spiegava Bannon.
« L’incapacità del partito repubblicano a connettersi con gli elettori della classe operaia era il motivo principale delle sue sconfitte elettorali ». Ed è quello che Bannon ha detto a Trump : « Non lasciamo il ‘commercio’ al n. 100 del programma. Tutto il partito repubblicano ha un culto feticista per il libero scambio – è una reazione automatica, « Oh, libero scambio, libero scambio, libero scambio » – che è una cosa radicale, soprattutto quando hai un avversario mercantile come la Cina ».
« Spostiamo quindi il commercio dal n. 100 al numero 2, e passiamo l’immigrazione dal numero 3 al numero 1 [tra le priorità degli Statunitensi]. E sarà tutto incentrato sui lavoratori, vero ? In questo modo ricostruiremo il partito repubblicano ».
Venendo poi all’uso di strategie psicologiche che operano al livello del subconscio, fin dall’inizio esse si proponevano di fare esplodere l’establishment repubblicano. Dovevano essere esplosive e trasgressive. Bannon lo dice già in uno dei discorsi-chiave della campagna elettorale di Trump : « Parte dall’immigrazione e dal commercio, cose di cui nessuno mai parla – ma poi comincia a fare cose esagerate, e io dico: « Guardate, morderanno forte. E mordono forte; e fa saltare tutto in aria ».
« Io me ne sto seduto, a guardare questa cosa in TV. Quando comincia a parlare degli stupratori messicani, mi dico: « Oddio ». Ho detto: « E’… » Ho detto : « Li sta atterrando… impazziranno. CNN letteralmente trasmette questo discorso 24 ore su 24 ». A questo punto, si comincia in Iowa, credo quella notte. Non si parla che di lui. Passa dal 7° posto nei sondaggi al 1°, e non si guarda mai indietro ».
Nei sondaggi del giorno successivo, Trump guadagnava il primo posto. Molto trasgressivo, molto aggressivo e polarizzante. Era questo il suo intento. Come ha detto Bannon: « In una guerra ci sono delle vittime ».
Certo Bannon sapeva bene (viene da Goldman Sachs) che ci sono imprese statunitensi che hanno delocalizzato in Asia la loro produzione, negli anni 1980, alla ricerca di margini di profitto più elevati (e non è dunque la Cina responsabile di questo). E che le Camere di Commercio statunitensi propugnano un incremento della immigrazione per ridurre il costo della mano d’opera negli Stati Uniti. Ma tutte queste considerazioni non rappresentano un materiale abbastanza combustibile per poter vincere una guerra culturale totale. Era qualcosa di troppo ambiguo: No, la Cina « vuole sommergere culturalmente gli USA e dominare il mondo. Ha rubato i nostri posti di lavoro » : Ci ha rifilato il Covid. Improvvisamente la parte repubblicana degli Stati Uniti è stata « infiammata » da picchi di ansia. E lo è tuttora.
I Democratici, preoccupati da questa tendenza, hanno cercato in altri paesi lezioni per contrastarla. L’Indonesia, ad esempio, ha usato la mano pesante dopo che un’ondata di post virali ha determinato la sconfitta di un popolare candidato nelle elezioni per il governatore nel 2016. Per evitare il ripetersi di una simile perturbazione, un gruppo di giornalisti appartenenti a più di due dozzine di grandi media indonesiani ha dato una mano alla ricerca e alla demistificazione delle « bufale » prima che riscuotessero troppo successo nella rete.
Si trattava di un metodo di lavoro promettente. Esso è stato raccontato in un articolo del Time Magazine del 3 novembre dal titolo « The Secret History of the Shadow Campaign That Saved the 2020 Election » (La storia segreta della campagna elettorale nascosta che ha salvato le elezioni del 2020), che ha messo in evidenza come questa campagna segreta « sia riuscita a fare pressione sui gestori del media sociali perché adottassero una linea più dura contro la disinformazione, ed abbia utilizzato strategie fondate sull’uso di algoritmi per lottare contro le diffamazioni virali ».
Oggi Biden annuncia la sua intenzione di cambiare gli Stati uniti « per sempre » grazie ai suoi stanziamenti di bilancio. In definitiva, intento della sua amministrazione è quello di « decolonizzare » gli Stati Uniti dalla loro maggioranza bianca e – rovesciando il paradigma del potere – di mettere il potere nelle mani delle loro vittime. Si tratta di profondi rivolgimenti strutturali, politici ed economici, che sono molto più radicali di quanto la maggior parte delle persone riesca a percepire. Occorrerebbe però un consenso nazionale, del tipo di quello che il popolo statunitense manifestò con le sue scelte elettorali nel 1932 e nel 1980.
Oggi non vi sono le condizioni sociali per un cambiamento che c’erano nel 1932 o nel 1980. Realizzare il programma nazionale è però « capitale » : Significherebbe una « vittoria » decisiva nella guerra culturale statunitense. La politica estera è secondaria per il cerchio Biden ; il suo obiettivo primario è solo quello di mostrare « fermezza » ; non lasciare aprirsi alcuna « falla » attraverso la quale il partito repubblicano possa riuscire ad ottenere sufficiente consenso, nel 2022, per modificare il fragile equilibrio nel Congresso, dipingendo Biden come un debole che evita lo scontro.
I Democratici hanno sempre una paura nevralgica che il Partito repubblicano batta la cassa della « sicurezza degli Stati Uniti ». Storicamente, una strategia fondata sul nemico straniero e di ansietà pubblica gonfiata ha sempre consolidato il consenso dell’opinione pubblica verso un leader.
La Russia, la Cina, l’Iran – sono solo « immagini » utilizzate principalmente per le loro potenzialità di essere caricate « di una influenza » emotiva in questa guerra culturale occidentale, cui gli Stati uniti non prendono parte. Essi non possono fare altro se non restare fermi e mettere in guardia contro qualsiasi superamento di talune « linee rosse ». E’ ciò che fanno. Ma la mobilitazione politica trasgressiva sarà capace di capire che non si tratta di una contro-mobilitazione della stessa natura, e che quelle « linee rosse » sono reali, e non elementi di un « gioco di influenza » ?
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