Gli Uiguri, cinesi a pieno titolo o completamente diversi dai cinesi?


di Chems Eddine Chitour (Ecole nationale polytecnique)

L’Expression – 9 luglio 2009

“Voi abitate a Urumqi o in un’altra città dello Xinijiang, dove attualmente vi trovate. Raccontateci l’atmosfera nelle strade. L’informazione – soprattutto in internet – è bloccata? La polizia arresta? Una selezione delle vostre testimonianze sarà pubblicata su LeMonde.Fr”. 
Ecco come la stampa occidentale e il giornale Le Monde che, in forte calo di vendite, fa giornalismo dando credito a voci amatoriali che non controllano le proprie fonti e che sono manipolate e manipolabili e che saranno pubblicate purché le loro testimonianze vadano nella buona direzione, quella di demonizzare l’Altro, colui che non accetta di piegarsi all’opinione dell’Occidente.
Questo giornale non è il solo. Durante la vicenda iraniana, le televisioni mandavano degli spot pubblicitari che invitavano gli internauti ad inviare film e video, anche amatoriali. Tutti i mezzi sono buoni per vendere delle immagini dove si veda del sangue, indicando il carnefice all’opinione occidentale. Questo è stato il caso dell’Iran, dove anche Internet, Facebook e twitter sono stati coinvolti.
Di cosa si tratta questa volta? Una provincia del nord ovest della Cina è a ferro e fuoco. Lo Xinjiang, questa “nuova frontiera” che i Cinesi hanno battezzato in questo modo più di un secolo fa per indicate l’ex Turkestan orientale, è stato integrato tardivamente nell’impero. La singolarità della sua storia e della sua cultura, a paragone del resto della Cina, costituisce il seme della discordia e della diffidenza, da lustri, con gli Uiguri turcofoni.

Richiamo storico
Prima che gli Uiguri si sedentarizzassero nello Xinjiang (o Turkestan orientale) essi erano dei nomadi che vivevano in Mongolia. Nel 744 vinsero i Turchi Gok (celesti, ndt),e ne presero il posto come padroni della Mongolia. Durante un millennio lo Xinjiang è sfuggito al controllo cinese, dopo la sconfitta dell’esercito dell’Impero Tang di fronte agli eserciti mussulmani composti di arabi, Tibetani e Uiguri, presso il fiume Talas in Kazakistan (nel 751 d.C.), fino alla conquista mancese del 1759. Questa sconfitta segnò la fine del Regno uiguro del Turkestan orientale. L’occupazione mancese durerà fino al 1862. L’ultima rivolta, nel 1863, cacciò i Mancesi e diede vita ad un nuovo regno indipendente. Questo venne riconosciuto dall’Impero Ottomanno, dall’Impero Russo e dal Regno Unito. E tuttavia gli Inglesi, temendo una espansione russa verso est, persuasero la corte della Manciuria a riconquistare il paese. Le banche inglesi finanziarono la riconquista. L’esercito mancese, agli ordini del generale Zho Zhung Tang attaccò l’Uiguristan nel 1876. Il Turkestan orientale, ribattezzato Xinjiang (in cinese nuovo possesso), fu annesso all’Impero mancese dei Qing il 18 novembre 1884. Molto più tardi, (approfittando della crisi dell’Impero cinese) venne fondata nel novembre 1933 la prima Repubblica del Turkestan orientale, o Repubblica islamica del Turkestan orientale (RITO). Parallelamente Sabit Damollah, vicino alle correnti jaddiste (Jadid in arabo: nuovo. Mussulmani riformisti, attivi nell’impero russo – ndt), tentò di unificare la resistenza nell’est dello Xinjiang, sotto la presidenza di Khodja Niaz. L’emiro Mehmet Emin Bughra diventò Primo Ministro. Si realizzò così un’alleanza tra le correnti islamiche conservatrici e i riformisti jaddisti. Come dichiarato nella sua Costituzione, la Rito era uno Stato islamico fondato sull’applicazione della sharia. Oltre a difendere la propria sopravvivenza, la Rito tentava di sottrarre il Turkestan orientale all’occupazione cinese e all’influenza sovietica. Ma il fragile regime verrà  sconfitto il 6 febbraio 1934. Una seconda Repubblica del Turkestan orientale (1944-1949) avrà identica sorte dopo la fondazione della Cina comunista. In seguito si parlerà in Occidente di una resistenza uigura (Movimento islamico del Turkestan orientale) dal profilo piuttosto indistinto e oscuro (è stata inserita nella lista delle “organizzazioni terroriste” dai governi USA e dall’ONU nel settembre 2002). La resistenza uigura di oggi risale alla fine degli anni 1980. La campagna contro il crimine, lanciata col nome di “Colpire forte” dal governo cinese nel 1996, se intendeva rispondere alle inquietudini della popolazione di fronte all’espandersi della criminalità e della delinquenza, è stata anche l’occasione per la polizia cinese di colpire i militanti politici e religiosi dello Xinjiang. Più di 10.000 persone accusate di “separatismo” sono state arrestate nel corso di questa campagna. Il 5 febbraio 1997, trenta famosi dignitari religiosi furono arrestati dalla polizia a Guldja Dès. Il giorno dopo si svolse una massiccia manifestazione di protesta. La polizia e i paramilitari spararono sui manifestanti. Bilancio: 167 morti. Nelle ore successive, 5000 persone furono arrestate. Li si accusava di voler “dividere la patria”, di svolgere un’attività criminale e fondamentalista religiosa, in breve, di essere degli elementi “controrivoluzionari”. Il Governo cinese decise allora l’esecuzione pubblica di sette uiguri come esempio. Infine, ventisei uiguri (almeno) sono stati catturati in Afghanistan e in Pakistan e detenuti a Guantanamo.

Bisogna  tornare alle altre cause di questo scoppio di violenza; le relazioni tra le comunità sono tese da decenni tra i Turcofoni sunniti, influenzati dalla mistica sufita dell’Asia centrale, e i Cinesi Han, venuti a colonizzare queste terre ricchissime di petrolio e di materie prime. Negli anni 1990, una serie di attentati e moti di piazza  fecero temere una sollevazione di questo lontano Occidente cinese. Combattenti uiguri sono stati arrestati in Afghanistan dopo la caduta dei Talebani nel novembre 2001. E tuttavia il peso dell’islam salafista, o più generalmente radicale, non è predominante in Xinjiang, dove le rivendicazioni religiose si esprimono più spesso  in termini nazionalisti piuttosto che integralisti. La repressione poliziesca si è accresciuta in questi ultimi anni e il governo cinese ha posto limiti alla libertà religiosa. Risultato, i Turcofoni si sentono sempre più frustrati  e sentono che il reale arricchimento della regione avvantaggi soprattutto quelli che sono venuti in tempi più recenti a colonizzarli.
Armati di bastoni, di vanghe e falci, i Cinesi Han hanno gridato nelle strade la loro rabbia per essere stati il bersaglio delle violenze perpetrate domenica contro la loro comunità dagli Uiguri, La polizia ha  fatto uso di gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Questi disordini hanno provocato almeno 156 morti ed un migliaio di feriti. “Gli Uiguri sono venuti nei nostri quartieri per distruggere tutto. Adesso noi andiamo nei loro per punirli”, ha dichiarato un manifestante han armato di un tubo metallico. Più tardi, nella mattinata di martedì sono gli Uiguri che hanno protestato dopo i moti di domenica nella capitale dello Xinjiang, nel corso dei quali sono stati effettuati oltre 1400 arresti.
 La polizia ha annunciato martedì l’arresto di 15 persone nel sud della Cina, affermando che sarebbero coinvolte in un incidente all’origine dei moti nello Xinjiang. Tre persone “originarie dello Xinjiang” figurano tra essi. Il 26 giugno una rissa in una fabbrica di giocattoli di Shaoguan, nella provincia di Guangdong, aveva opposto degli Han, cha raggiungono circa il 90% della popolazione cinese, a degli Uiguri.
Questo incidente è all’origine della tragica ribellione scoppiata domenica sera nello Xinjiang, che ha provocato 156 morti e più di 100 feriti. Secondo quanto dichiarato da esiliati uiguri, i manifestanti scesi in piazza volevano protestare pacificamente contro la morte di due operai uiguri di Shaoguan e la manifestazione è degenerata dopo l’intervento violento della polizia. Secondo il governo, l’incidente di Shaoguan è stato solo il pretesto per la rivolta. Pechino ha accusato gli Uiguri in esilio, e soprattutto il Congresso mondiale uiguro della dissidente in esilio Rebiya Kadeer, di avere fomentato le violenze. Più di 1400 persone sono state arrestate.
Secondo Thierry Keliner, dell’Istituto universitario di alti studi internazionali di Ginevra, intervistato da Le  Monde a proposito delle relazioni tra Pechino e la provincia dello Xinjiang: “E’ una periferia contestata, una provincia che si è spesso sottratta al controllo di Pechino. Le dinastie cinesi hanno imposto il loro controllo sullo Xinjiang, ma sempre in modo intermittente. La cultura degli abitanti dello Xinjiang è più centroasiatica che cinese. Di origine turco-iraniana, sono mussulmani e la loro lingua viene dal turco. La Cina ha conquistato militarmente il Turkestan (antico nome dello Xinjiang) solo nel XVIII secolo. Oggi nella provincia vi è una netta disparità di reddito tra gli Uiguri e gli Han. Gli Han hanno il potere. Queste manifestazioni sono il sintomo del malessere che persiste tra gli Uiguri. La Cina non ha mai avuto fiducia nella popolazione della provincia. Pechino ha schiacciato il nazionalismo uiguro, con l’aiuto dell’URSS, negli anni ’50. Effettivamente si tratta di un processo simile a quello in corso nel Tibet: lo sviluppo economico non beneficia le minoranze etniche, avvantaggiando solo l’etnia Han; la religione e la cultura sono represse; Pechino procede ad una “colonizzazione”, operando perché gli Han diventino maggioranza. Io penso che queste accuse siano un pretesto utilizzato da Pechino per assimilare la diaspora uigura all’estero con Al-Qaida e il terrorismo, per giustificare una nuova repressione”.
La dissidente uigura Rebiya Kadeer ha chiesto lunedì da Washington (dove è in esilio) l’apertura di una inchiesta internazionale. La Casa Bianca si è detta lunedì sera “profondamente preoccupata”. “Invitiamo tutti nello Xinjiang a dare prova di moderazione”, ha dichiarato il portavoce Robert Gibbs.

Ecco quello che proclama la vulgata occidentale. Ed ecco quello che non dicono, che le minoranze in Cina godono di veri privilegi:
- Possono avere 2 figli
- Hanno punti di favore nei test per l’ingresso nelle università.
E questi sono privilegi in positivo. Inoltre:
- I reati non sono sanzionati allo stesso modo che per gli Han e spesso le autorità sono più lassiste nei confronti delle minoranze.
Abitualmente il governo cinese annuncia raramente dei morti durante una manifestazione, soprattutto se sono stati causati dall’esercito o dalla polizia, e in questo caso, è del tutto evidente che i morti sono stati dei civili Han. Sul sito monde.fr si parla di una gioventù minacciosa che grida “Allah Akbar” contro gli Han, ma su questo sito si parla di manifestazioni pacifiche, e di differenze etniche: insomma siamo tornati al politicamente corretto!!
L’altra spiegazione che a noi pare di gran lunga la più plausibile, e che naturalmente non riguarda l’islam, è la emarginazione economica e culturale degli Uiguri, che potrebbe essere all’origine dei massicci scontri urbani. La rivolta sanguinosa scoppiata a Urumqi, la capitale della regione autonoma uigura dello Xinjiang, nella notte tra il 5 e il 6 luglio, ha caratteri diversi dai precedenti episodi di violenza che hanno scosso questa regione del nord-ovest della Cina, spiegano gli specialisti. Questi ultimi propongono come spiegazione le accresciute difficoltà economiche piuttosto che la tentazione separatista per lo scoppio di queste violenze etniche, le più gravi registrate in questa regione a prevalenza mussulmana da decenni (le violenze più sanguinose in Cina dopo che venne schiacciato il movimento di Tiananmen nel 1989).

Emarginati
Alcuni esperti dubitano tuttavia del coinvolgimento della diaspora uigura, che da tempo protesta contro le violazioni dei diritti umani nella provincia dello Xinjiang. “(Questi) avvenimenti sembrano soprattutto legati alla situazione economica, già difficile in periodo di crescita e che si è aggravata con la crisi”, afferma Dru Gladney, specialista dello Xinjiang all’Università Pomona della California. Come i Tibetani, gli Uiguri – che rappresentano più di 8 milioni di abitanti sui 21 che conta l’intera regione – si sentono da tempo economicamente emarginati sul proprio territorio.  Meno istruiti, meno formati, e concentrati nelle zone rurali, non sono in grado di competere con gli Han (maggioranza etnica cinese), che rappresentano oramai il 40% della popolazione. Urumqi, dove i grattaceli si levano al di sopra dei mercati tradizionali e dove gli Uiguri rappresentano circa il 10% della popolazione, addirittura meno, non aveva visto alcuna manifestazione dall’inizio degli anni 1990. Come dire che questo episodio è “in abituale” – ritiene Dru Gladney. “Inoltre le nuove manifestazioni non sembrano ispirati dall’islamismo o dal separatismo”, aggiunge.
Un altro osservatore dello Xinjiang, il professore Barry Sautman, dell’Università della scienza e della tecnologia di Hong Kong, formula l’ipotesi che alcuni gruppi separatisti possano essere coinvolti in queste manifestazioni, ma aggiunge che essi avrebbero piuttosto sfruttato il malcontento suscitato dall’emarginazione economica e dalle limitazioni alla libertà religiosa. Le autorità cinesi hanno comunque reagito con rapidità, invitando i media stranieri ad andare a constatare di persona e senza imporre alcun black-out informativo. “Pechino ha imparato la lezione e adesso sa che la massima apertura avvantaggia la sua immagine internazionale”.
E’ un fatto che, attirate da numerosi vantaggi, le popolazioni dell’Est in via di assimilazione (“Quelli che stanno per diventare cinesi”, Hanhua) arrivano a ondate successive di immigrazione massiccia. Perché questa regione autonoma uigura dello Xinjiang è essenziale per Pechino per più di una ragione. Essa è la frontiera della Cina con l’Asia centrale, nella quale vi è grande complementarietà delle economie. Ospita inoltre un sito di sperimentazione nucleare (Lop-Nor), ma soprattutto essa è ricchissima di risorse energetiche e materie prime indispensabili alla crescita a due cifre della Cina e che provoca molte invidie.
Non è escluso, in effetti, che tutte le cause citate, senza dimenticare le manovre destabilizzatrici che sono proprie dell’egemonia occidentale, abbiano ciascuna la loro parte in questa esplosione che è cominciata – dicono – con un fatto diverso.


 

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