Il conflitto azero-armeno nel Nagorno-Karabakh
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), ottobre 2020 (trad.ossin)
Il conflitto azero-armeno nel Nagorno-Karabakh
Éric Denécé
Sono passati diversi giorni dall’inizio degli scontri armati nell’Alto Karabakh. Lo scorso 27 settembre, il presidente azerbaigiano Ilham Aliev ha ordinato una massiccia offensiva militare contro questa autoproclamata repubblica, abitata al 100% da Armeni. Stepanakert, la principale città dell’Alto Karabakh, e i villaggi tutto intorno, sono stati bersaglio di un intenso fuoco di artiglieria azero. Provocando la risposta di Erevan (la capitale dell’Armenia, ndt). Armenia e Alto Karabakh hanno decretato la mobilitazione generale e lo stato di emergenza. Baku (capitale dell’Azerbaigian, ndt) ha fatto lo stesso
La Turchia si è immediatamente schierata col suo alleato azero, e il presidente Erdogan ha definito l’Armenia come «la più grande minaccia per la pace e la stabilità nella regione» mentre tutti gli altri attori internazionali – Russia, Iran, ONU, Unione Europea, Stati Uniti, ecc – hanno invitato ad una immediata cessazione delle ostilità.
Una crisi dalle radici antiche, mai appianata
L’Alto Karabakh (chiamato anche Nagorno-Karabakh o Artsakh) è un territorio armeno fin dall’Antichità, come testimoniano le numerose chiese e i monumenti civili che dimostrano l’occupazione antichissima della regione.
E’ sempre corsa una forte inimicizia tra gli Armeni e i Tartari del Caucaso, che sono chiamati dal 1918 «Azeri». Nel 1905-1906, vi furono episodi di guerra tra i due popoli. Nel 1915, alcuni leader nazionalisti tartari del Caucaso parteciparono al processo che portò allo sterminio degli Armeni da parte dell’Impero Ottomano; e nel 1918 vi furono massacri a Baku, nel Karabakh e nel Nakhichevan (provincia azera al confine con la Turchia), un territorio storicamente armeno svuotato della sua popolazione dopo la sovietizzazione.
Poi, i nazionalismi regionali furono soffocati sotto il regno del Partito comunista per tutto il periodo sovietico. L’oblast dell’Alto Karabakh venne addirittura annesso arbitrariamente da Stalin alla Repubblica socialista sovietica (RSS) dell’Azerbaijan nel 1921, per ragioni di «buone relazioni» con la Turchia di Mustapha Kemal, nonostante la sua popolazione fosse al 94% armena.
Gli Armeni dell’Alto Karabakh subirono una serie di discriminazioni da parte degli Azeri, che pretesero addirittura di impedire loro ogni relazione con la vicina RSS di Armenia. Le autorità di Baku misero in campo una vera e propria politica di «disarmenizzazione» della regione, attraverso trasferimenti di popolazione e smantellamenti di villaggi. Quando l’URSS implose nel 1991, tuttavia, restavano ancora un 76% di Armeni contro un 24% di Azeri.
Nel febbraio 1988, gli abitanti dell’Alto Karabakh chiesero nuovamente l’annessione della loro regione alla RSS di Armenia. Per tutta risposta, gli Azeri massacrarono popolazioni armene a Sumgaït, Baku e Kirovabad [1]. Quasi 400 000 Armeni fuggirono allora dall’Azerbaigian in Armenia e verso Mosca. Parallelamente, circa 150 000 Azeri fuggirono dall’Armenia sovietica per timore di rappresaglie.
Seguì un conflitto aperto tra le due RSS [2]. In un primo tempo (1988-1991), l’URSS e l’Armata Rossa sostennero l’Azerbaigian, cosicché gli Armeni si trovarono in una situazione difficile. In un secondo momento, si capovolse il rapporto di forze (1991-1994), in parallelo con le varie dichiarazioni di indipendenza che seguirono all’implosione dell’URSS. Giunsero molti volontari armeni e inflissero numerose sconfitte ad un esercito azero male equipaggiato e peggio ancora comandato [3]. Mosca mantenne una posizione di equidistanza tra i due campi. A partire dalla primavera del 1993, le forse armene assunsero il controllo della regione posta alla periferia dell’Alto Karabakh, da cui partiva il fuoco di artiglieria contro le sue province. Fu tale il successo militare armeno, che l’Azerbaigian fu costretto a implorare un cessate il fuoco nel 1994.
Alla fine della guerra, gli Armeni controllavano non solo la regione montagnosa dell’Alto Karabakh (11 000 km2), ma anche il 9 % del territorio azerbaigiano. Hanno scacciato quasi 800 000 Azeri dalle zone vicine all’Alto Karabakh, realizzando così una pulizia etnica, seppure senza massacri. Da parte loro, gli Azeri hanno espulso più di 400 000 Armeni.
Dopo di allora, vennero avviati negoziati tra i due paesi, sotto la supervisione del Gruppo di Minsk [4], ma non hanno portato ad alcun risultato, perché non si è riuscito a conciliare due principi giuridici in conflitto: il diritto all’autodeterminazione dei popoli (Alto Karabakh) contro il rispetto dell’integrità territoriale (Azerbaijan).
All’epoca della sua contestata annessione, nel 1921, alla RSS dell’Azerbaijan, all’Alto Karabakh venne attribuito lo status di oblast autonomo. Secondo la Costituzione sovietica, questo status gli conferiva il diritto di reclamare democraticamente l’annessione all’Armenia. Fu ciò che fece il Parlamento della regione autonoma nel 1988, approfittando della perestroika, ma senza successo. La Repubblica dell’Alto Karabakh proclamò comunque la sua indipendenza nel settembre 1991, in concomitanza con l’implosione dell’URSS, diverse settimane prima che proclamasse la sua anche l’Azerbaijan. Questa proclamazione era una conseguenza del risentimento maturato dalla popolazione armena dopo decenni di limitazioni alle loro libertà culturali e religiose imposte dalle autorità sovietiche e azerbaigiane. Tuttavia, quando anche l’Azerbaijan dichiarò la propria indipendenza, rivendicò i suoi diritti sull’Alto Karabakh, rifiutando di riconoscere quella dell’enclave armena.
Quindi l’Alto Karabakh, che appartiene giuridicamente all’Azerbaijan dall’epoca sovietica, si è sottratto di fatto alla sovranità di Baku a partire dal 1994. Si noti che Erevan non ha mai riconosciuto ufficialmente alla Repubblica di Artsakhafin la possibilità di trovare una soluzione negoziata con l’Azerbaijan.
Ma, al di là delle logiche giuridiche, la posta in gioco è anche la legittima rivendicazione del popolo armeno a vivere in sicurezza sulla terra che è sempre stata sua, contro le velleità espansioniste panturche di Baku e di Ankara, già responsabili del genocidio armeno.
Un conflitto rilanciato dall’espansionismo turco
Dopo la disfatta del 1994 l’Azerbaijan, grazie ai soldi che gli vengono dal petrolio del mar Caspio, ha radicalmente ammodernato le sue forze armate. Nell’aprile 2016, si sono registrati violenti combattimenti di frontiera per iniziativa di Baku. Ancora nell’estate del 2020, le forze azere hanno «violato» le frontiere internazionalmente riconosciute dell’Armenia, deliberatamente rilanciando le tensioni, prima di scatenare, il 27 settembre 2020, un’ampia offensiva militare contro la Repubblica autoproclamata dell’Artsakh. Se, dopo 15 anni, le tensioni perdurano tra Azerbaijan e Alto Karabakh sostenuto dall’Armenia, Baku è stata incoraggiata ad aprire le ostilità dal suo alleato turco, che apporta un sostegno militare considerevole alle sue operazioni offensive.
Infatti, da quando Erdogan è presidente (2014), la Turchia cerca di ritrovare la sua «perduta grandezza» e il suo passato ottomano. Re-islamizzazione, nazionalismo e panturchismo sono quindi stati fortemente incoraggiati da Erdogan che si è lanciato in una politica internazionale aggressiva. Ciò accade soprattutto, dal 2011, in Siria, in Libia e in Egitto – sostegno agli jihadisti e ai Fratelli Musulmani – e, dall’estate 2020, anche nel Mediterraneo orientale contro Grecia e Cipro. Soprattutto questa politica si manifesta con l’appoggio politico e militare di Ankara a Baku [5] contro i territori armeni dell’Alto Karabakh, conferendo una dimensione regionale al conflitto.
In questa vicenda, la Turchia è la sola Potenza che non cerca di imporre un cessate il fuoco ai belligeranti. Addirittura il contrario: dichiara che sosterrà fino alla fine l’Azerbaijan, che incoraggia a riprendersi «le sue terre occupate». Peggio ancora, Ankara non cessa di gettare olio sul fuoco; Yunus Kilic, un deputato del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) ha dichiarato qualche giorno fa: «I recenti attacchi dell’Armenia non colpiscono solo all’Azerbaijan ma tutto il mondo turco nel suo insieme [6]».
Come ha fatto già in Libia, il governo turco non ha esitato a mobilitare – mentre spediva aerei da combattimento, consiglieri militari ed elementi della sua milizia privata (SADAT) – diverse centinaia di jihadisti radicali già utilizzati in passato contro Bachar El-Assad in Siria, dove si sono resi protagonisti di moltissime atrocità, e in Libia, contro le forze del maresciallo Haftar. Dunque Erdogan ancora una volta si serve di jihadisti a suo profitto, trasformando uno scontro politico-militare in una guerra religiosa.
Incoraggiando e sostenendo l’Azerbaijan, il presidente turco pensa di poter ottenere una vittoria facile e popolare contro gli Armeni dell’Alto Karabakh. Infatti la sua popolarità è molto in declino. Peraltro le sue iniziative internazionali non sono affatto coronate da successi. Ha tentato invano di mettere in trappola la Russia a Idlib, e poi in Libia. Ed è appena stato «bloccato» nelle sue mire espansioniste nel Mediterraneo orientale: l’Unione europea ha fatto fronte comune contro di lui e la Francia ha rafforzato la sua presenza navale nella zona ed ha venduto dei Rafales alla Grecia, costringendolo a fare marcia indietro. E’ per questo che una vittoria turco-azera contro gli Armeni ne rilancerebbe l’immagine.
Una intenza guerra dell’informazione
Dall’inizio del conflitto, il presidente Ilham Aliev non cessa di strillare che il suo esercito ha solo risposto ad una aggressione armena. Qui si tratta di pura ed evidente disinformazione. Proprio come Erdogan, anche lui alimenta da tempo l’odio e il risentimento del suo popolo contro gli Armeni. «Noi poniamo una sola condizione: il ritiro totale, incondizionato ed immediato delle forze armate armene dalla nostra terra. Se il governo armeno accetta queste condizioni, i combattimenti cesseranno e non vi sarà più spargimento di sangue» ha dichiarato.
Il presidente azerbaigiano ha ringraziato il suo omologo turco per il sostegno dato all’Azerbaijan contro gli «attacchi» armeni. «Fin dalle prime ore dell’attacco armeno, la Turchia, in particolare Erdogan, ha vivamente condannato l’attacco e mostrato un fermo sostegno». Aliev ha dichiarato che «l’Azerbaijan sarà sempre al fianco della Turchia. L’Azerbaijan e la Turchia mostrano la loro solidarietà in tutti i campi, secondo il principio «una nazione, due Stati» e si aiuteranno sempre mutualmente senza esitazioni [7] ».
La propaganda turco-azera non teme, peraltro, di affermare «che prima di attaccare le zone abitate da civili in Azerbaijan, l’Armenia aveva stretto un accordo con l’organizzazione terrorista separatista PKK/YPG. Tale accordo, stipulato in luglio, prevedeva che quasi 300 terroristi del PKK/YPG sarebbero stati inviati in Armenia e nel Karabakh. Essi hanno addestrato le milizie armene nell’Alto Karabakh e tali milizie sono soprattutto utilizzate per gli attacchi contro i civili» [8].
I fatti tuttavia parlano da soli: ci sono oggi 150 000 abitanti nello Alto Karabakh e la vicina Armenia ha una popolazione di 3 milioni di abitanti, con un PIL pari a 12 miliardi. Per contro, l’Azerbaijan conta 10 milioni di abitanti e un PIL pari a 47 miliardi. Il rapporto demografico è quindi di 1 a 3 e quello del PIL da 1 a 4. Inoltre Baku gode dell’appoggio molto manifesto della Turchia - 82 milioni di abitanti – e del suo esercito.
Paradossalmente, questa guerra non è molto popolare in Azerbaijan, dittatura opaca e paese fortemente diviso. La popolazione azera, che pure è stata sobillata da diversi anni, si vede trascinata in questo conflitto dalla follia di Aliev ed Erdogan. E’ questa la ragione per cui il presidente azerbaigiano ha fatto appello agli jihadisti perché intervenissero nel conflitto… per limitare le perdite azere. Questi combattenti jihadisti sono arrivati dalla Libia, trasportati da aerei di linea turchi [9], nonostante le smentite di Ankara e di Baku. Il loro trasferimento è cominciato prima della metà di settembre, ciò che conferma che l’Azerbaijan preparava un’operazione militare contro l’Alto Karabakh da diverse settimane. Al momento, il loro numero è stimato tra diverse centinaia e un migliaio [10].
Da notare che la stampa ufficiale azerbaigiana comincia anche a prendere di mira il presidente Macron, che ha assunto una posizione molto ferma contro la Turchia nel Mediterraneo orientale e ha denunciato l’utilizzazione di jihadisti nell’Alto Karabakh, accusandolo di prendersela coi musulmani francesi, dopo il suo recente discorso sul «separatismo islamico [11]».
Rischio di escalation?
L’Azerbaijan, in maggioranza sciita, è sostenuto dalla Turchia e da Israele, che utilizza questo paese come base di partenza per le missioni di ricognizione contro l’Iran. L’Armenia beneficia da parte sua dell’aiuto – modesto – della Russia, che dispone sul suo territorio di una base a Gumri, nel nord, e di unità di guardie di frontiera sui confini con la Turchia e l’Iran [12]; e dell’Iran che non si fida di un Azerbaijan che può esercitare una forza di attrazione nei confronti dei suoi abitanti azeri, e che cerca di contrastare l’influenza crescente della Turchia e la presenza israeliana nel paese. Nessuno di questi attori può tollerare che il proprio protetto perda la partita.
Secondo Erevan, la Turchia avrebbe dispiegato i suoi droni e i suoi F-16 nel conflitto, abbattendo un Sukhoi armeno e diversi droni, ma la cosa è stata subito smentita da Ankara e da Baku. Erevan ha minacciato di fare ricorso ai missili Iskander di cui il suo esercito è dotato dal 2016 se altri attacchi di quel genere si ripetessero. Alcuni osservatori sono preoccupati per un possibile intervento militare diretto turco, che potrebbe provocare una escalation regionale [13]. Il 29 settembre, il comandante in capo delle guardie frontaliere iraniane, il generale Ghassem Rezaei, ha con molta chiarezza messo in guardia Erevan e Bakou contro ogni sconfinamento degli scontri in territorio iraniano [14].
Si noterà la posizione estremamente criticabile di Israele, che appoggia e arma l’Azerbaijan[15], con cui Tel Aviv ha stabilito un importante partenariato energetico [16]. En passant, deve ricordarsi che lo Stato ebraico, inventato dagli Occidentali dopo la Shoah, non ha riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno del 1915, a cagione delle sue «buone relazioni» con Ankara…
Conclusioni
Dunque nel Caucaso è esplosa una crisi importante dalle conseguenze imprevedibili. La sua importanza non è sufficientemente riconosciuta come tale in Occidente. Se per gli Azeri si tratta di una questione di orgoglio – riconquistare alcuni dei territori persi nel 1994 – il conflitto riveste una dimensione esistenziale per gli Armeni. Ricordiamo che gli Azeri hanno giocato un ruolo importante nel genocidio del 1915 e che si sono poi resi protagonisti di una vera e propria pulizia etnica nel Naxçivan nel 1918. E ci sono anche le mire espansionistiche del presidente Erdogan e l’idea di Ankara di realizzare i suoi progetti panturchi con l’Azerbaijan, mettendo le mani sul Karabakh e il corridoio strategico dello Zangezur, una striscia di territorio armeno che impedisce l’unione tra i due paesi turcofoni.
Gli Occidentali e la Russia non possono restare indifferenti a quel che succede in Alto Karabakh. Non solo perché c’è un grosso rischio di escalation regionale, ma anche perché si sta giocando un nuovo episodio di una guerra di civiltà. Non ci sono più molti cristiani in Oriente. Sono stati già cacciati dall’Iraq e dalla Siria, vengono perseguitati in Turchia e costituiscono sempre più una minoranza in Libano. La pulizia sistematica organizzata da gruppi jihadisti o da regimi islamisti – dei quali siamo paradossalmente alleati – prosegue nondimeno senza suscitare, a quanto pare, alcuna emozione tra gli Europei.
Note:
[1] Realizzarono soprattutto dei veri e propri pogrom nel 1989 e 1990 nelle principali città del paese. A proposito delle atrocità che si registrarono nel gennaio 1990 a Baku, ecco cosa riferisce un documento dell’’ONU: «Per 5 giorni, a gennaio 1990 a Baku, capitale dell’Azerbaijan, furono uccisi, torturati, spogliati dei beni, umiliati i rappresentanti della comunità armena. Donne incinta e bambini sono stati aggrediti, le ragazze violentate sotto gli occhi dei genitori; sul dorso delle loro vittime, i massacratori imprimevano a fuoco la croce cristiana. Le persecuzioni avevano come unica ragione la loro fede cristiana». (ONU, Alto Commissariato per i diritti umani, Documento della 17° sessione del Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne, giugno 2011).
[2] Il conflitto ha provocato 25 000 morti.
[3] Durante il conflitto, l’esercito azero, totalmente disorganizzato, lanciò un appello ai mujaheddin afghani e ai combattenti ceceni di Chamil Basaïev, che però non riuscirono a cambiare le sorti del conflitto.
[4] Creata nel 1992 dall’OSCE per incoraggiare la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata tra l’Armenia e l’Azerbaijan. E’ co-presieduta da Stati Uniti, Russia e Francia e comprende anche la Germania, la Bielorussia, la Finlandia, l’Italia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia e la Turchia.
[5] I due paesi si considerano come «una sola nazione in due Stati».
[7] La voce della Turchia, 29 settembre 2020
[8] La voce della Turchia, 30 settembre 2020.
[9] Cf. Alain Charret, «Conflit du Haut-Karabakh: les sites de suivi de l’activité aérienne, nouvelles cibles de la guerre de l’information», Centre Français de Recherche sur le Renseignement (CF2R), Note d’actualité n°273, ottobre 2020.
[10] Da notare che circa 12 000 mercenari siriani, pagati dalla Turchia, sono ancora in Libia.
[12] La Russia ha tentato a lungo di restare neutrale per poter giocare un ruolo di mediatore tra i due paesi. Ma l’impegno della Turchia in appoggio all’Azerbaijan l’ha indotta ad appoggiare l’Armenia.
[13] La voce dell’America, 30 settembre 2020.
[14] Press TV, 29 settembre 2020.
[15] Particolarmente dei droni Harop realizzati dalla divisione MBT di Israël Aerospace Industries. Questo drone «kamikaze» è concepito per sorvolare un settore e piombare sui suoi obiettivi per distruggerli.
[16] Anche la Francia ha venduto satelliti militari all’Azerbaijan quando era presidente François Hollande. Parigi dispone di un attaché militare a Baku, ma non in Armenia.
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