Votare non serve a niente
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Jennar.fr, 8 dicembre 2015 (trad. ossin)
Analisi sulle ragioni dell’astensionismo nelle recenti elezioni francesi
Votare non serve a niente
Raoul Marc Jennar
Domenica sono stati 21.941.750 ad astenersi. 526.595 hanno votato scheda bianca e ci sono stati 347.111 voti nulli (dati forniti dal Ministero dell’Interno il 7 dicembre). Nell’insieme rappresentano più del 54% degli elettori iscritti. Più della metà del corpo elettorale della nazione. Quello che la classe politica e mediatica trattano con disprezzo.
Ci si interroga – troppo poco e troppo superficialmente – su tre o quattro motivazioni del voto al Front National di Marine Le Pen (FN). Ma nessun interrogativo sulle astensioni e sulle schede bianche, su questo massiccio rifiuto di un sistema politico e di una classe politica che non ispira più alcuna fiducia. Peggio, nessun interrogativo serio sulla convinzione, condivisa da milioni di cittadini, che votare non serva a niente, che non sia più possibile influire sul corso delle cose. Sono milioni ad avere capito che la loro sorte non si discute più nell’agora, ma nei consigli di amministrazione delle imprese private e nell’ambito di negoziati europei e internazionali nei quali non hanno alcuna voce in capitolo.
Centinaia di volte, durante le mie conferenze, ho sentito dire: “Nel 2005 siamo stati una maggioranza a dare un’opinione precisa sull’Unione Europea, e tutti sappiamo che se ne sono fregati. A che serve allora andare a votare?” Dal 2012, i 18 milioni di elettori di Hollande assistono costernati alla messa in opera della politica di Sarkozy, da parte dei parlamentari socialisti da loro eletti. Vedono che il governo socialista segue gli indirizzi della Confindustria. Nel 2012 Hollande non aveva promesso di fare la politica della Confindustria. Il PS (Partito socialista) non aveva dichiarato di rinunciare a battersi per la giustizia sociale. Non aveva annunciato di volere aderire senza riserve alle politiche ultra-liberali dell’Unione Europea. Non aveva avvertito che si sarebbe affidato, per governare, ad una moltitudine di consiglieri che si ispirano a idee di estrema destra. Non si era detto che il grande vinto delle primarie del PS sarebbe diventato “capo della maggioranza”.
In cosa oggi PS e LR (Les Républicans) sono diversi in materia di politiche economiche e sociali, di lavoro, di servizi pubblici, di diritti dei lavoratori, di età del pensionamento, di introduzione di criteri di concorrenza nella gestione delle scuole e degli ospedali, di applicazione delle direttive della UE, di adesione alla NATO, di approvazione dei trattati che trasferiscono potere al settore privato come l’accordo USA-Canada, come il progetto USA-UE, come il negoziato di accordo sul commercio dei servizi? In cosa differiscono quando si tratta di abrogare le conquiste del programma del Consiglio Nazionale della Resistenza? In cosa differiscono quando si tratta di porre fine ad uno Stato regolatore e re-distributore? Da Jospin a Hollande, da Chirac a Sarkozy, le politiche sono state sempre le stesse.
Quando quelli che si definiscono socialisti fanno la politica del padronato, quando quelli che pretendono di essere gollisti sottomettono la Francia ai diktat di Bruxelles e di Washington, chi può ancora prenderli sul serio? Quando l’alternanza si riduce ad un cambiamento di persone e di parole, per poi concretizzarsi in politiche identiche, dov’è la scelta? Non c’è più scelta, se non quella della rabbia o dell’astensione.
Gli elettori del PS hanno già reso manifesto il loro smarrimento alle municipali, alle europee e alle dipartimentali. Ma nemmeno per un istante il PS si è interrogato su questo. Aveva già omesso di farlo nel 2002 e insiste in questo atteggiamento dopo ogni scrutinio che gli riserva una maggiore sconfitta. Ha sempre ragione. Ma il suo autismo si rivolge solo al suo elettorato, mentre è tutto orecchie per le richieste dei banchieri e degli uomini d’affari.
Marine Le Pen
Allora, se li si giudichi per la loro azione e non per le promesse, quale differenza corre tra un Bartolone o una Pécresse, nell’Ile de France, tra un Queyranne o un Wauquiez in Auverge-Rhône-Alpes, tra un Delga o un Reynié in Midi-Pyrénées-Languedoc-Roussillon, ecc?
Domenica io non mi asterrò. Nutro troppo rispetto per quella immensa conquista democratica che è il suffragio universale. Voterò scheda bianca per manifestare il mio rigetto totale verso una casta che pensa alla carriera piuttosto che svolgere una funzione, che è più ossessionata dall’ambizione di occupare il potere per fare gli Interessi della Confindustria, che di esercitarlo secondo le convinzioni proclamate in campagna elettorale, che con il suo comportamento priva il diritto di voto di ogni reale influenza e spinge le persone che ancora vogliono farsi ascoltare verso il FN