I Gilet gialli e le banlieue: è davvero lotta di classe
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Le Grand Soir, 9 febbraio 2019 (trad.ossin)
I Gilet gialli e le banlieue: è davvero lotta di classe
Tayeb el Mestari
In tutti i grandi momenti nei quali è in gioco l’avvenire della società, si registra una formidabile accelerazione della storia che nessuno si aspettava. Ecco che degli «straccioni», disprezzati e ignoranti, oggi protestano in modo inedito occupando rotatorie e stazioni di pedaggio, manifestando ogni sabato da diverse settimane. Senza mostrare il minimo segno di stanchezza né di affanno, la contestazione radicale dei Gilet gialli è vista con simpatia dalla maggioranza della società, perché tutte le classi sociali, con la sola eccezione dell’infima minoranza di grandi capitalisti, registrano un peggioramento del loro tenore di vita.
C’è da immaginare lo stupore della classe politica e dell’esercito di esperti che pontificano nei media, convinti come erano che tutto andasse bene e che, se pure c’erano delle ingiustizie, si trattava di fenomeni marginali. Erano convinti che la finzione economica del gocciolamento (dai ricchi verso i poveri, ndt) avrebbe posto fine alle ingiustizie. Che il capitalismo disponeva di sufficienti risorse per superare l’insuperabile: l’impoverimento delle masse di cui il capitalismo stesso è causa. Sono oramai gli unici a credere nelle loro favole adesso che il loro modello è sull’orlo del baratro. Questo momento storico ha rovesciato il mondo: il sapere empirico dei Gilet gialli e la loro finezza politica hanno reso evidente l’insondabile cretinismo di élite che sanno solo ripetere le stesse stupidaggini con la fredda regolarità di un robot.
Ma c’è il fatto notevole che la profondità del loro cretinismo, effetto della loro collocazione di classe, impedisce loro di cogliere la vera importanza del rivolgimento storico in atto. Essere ben nati e avere frequentato le migliori scuole non garantisce l’intelligenza politica. Non restano loro che la formula magica e la brutalità dei manganelli per scongiurare che questo movimento assuma la radicalità di una rivoluzione anticapitalista. La loro visione del mondo è molto più parziale di quella, più aderente alla realtà, delle classi popolari. Dall’alto dei loro diplomi e dei loro titoli, e anche se sentono istintivamente la terra tremare sotto i loro piedi, essi non hanno ancora capito che la loro visione del mondo è un castello di carte ideologico totalmente sfasato rispetto alla realtà storica. Jojo il gilet giallo spaventa l’allievo dell’ENA (La scuola superiore di pubblica amministrazione, vera fucina delle classi dirigenti francesi, ndt) e il propagandista dei media! Determinato, Jojo chiede le dimissioni di Macron. Repubblicano nel senso nobile del termine, Joio rivendica la sua posizione di parità con un ministro!
Le lezioni della violenza poliziesca
E se Momo si alleasse con Jojo? Se i quartieri popolari delle città si unissero alla contestazione delle fasce popolari dei quartieri periurbani? Da diverse settimane, questa questione è diventata centrale nel dibattito dei Gilet gialli. Se una simile alleanza tra classi popolari non si è ancora realizzata, l’esperienza dei Gilet gialli di scontro con la polizia ha fatto tuttavia loro meglio comprendere la realtà delle banlieue. I pregiudizi si sgretolano quando ci si scontra col muro della violenza poliziesca. Un po’ furbamente, ma manifestando la propria solidarietà con i Gilet gialli, un giovane delle banlieue ha fatto una constatazione indiscutibile: «Adesso il flash-ball è per tutti!». I Gilet gialli hanno capito, e capiscono velocemente, che la violenza poliziesca non fa distinzioni; che si abbatte impietosamente, qualsiasi siano le origini, quando il popolo manifesta per bisogno. Ironia della storia, è stata smentita del tutto l’idea che il razzismo fosse patrimonio di questi Galli refrattari che vanno a gasolio; questi proletari dai pregiudizi apparentemente saldi e sensibili ai temi dell’estrema destra. La storia prende talvolta delle strade sconosciute fino a quel momento.
Un gilet giallo della regione di Bordeaux, Cyril P., ha usato queste parole che hanno avuto grande eco nelle reti sociali: «Ehi sentite, se incontrate qualche «giovane» o meno giovane delle banlieue emarginate, ditegli da parte mia che se c’è una cosa che questo movimento mi ha insegnato, è di riconsiderare completamente l’idea che mi ero fatto di queste «canaglie» e della loro asserita violenza. Io, è un mese e mezzo che prendo schiaffi solo una volta alla settimana e già non ce la faccio più, allora non riesco nemmeno a immaginare la rabbia che devono provare per quello che subiscono o dicono di subire. Insomma credo che sia la prima volta che mi sento di essere vicino a loro, e mi ripeto tutti i giorni che sono stato un vero imbecille, coi miei occhi di Bianco privilegiato. Grazie! »
La lotta di classe contro i pregiudizi razzisti
Certo, è difficile misurare l’ampiezza di questo mea culpa tra i Gilet gialli, ma resta comunque che la coscienza popolare «bianca» ha fatto un passo avanti. La violenza poliziesca e mediatica non è oramai solo un triste privilegio dei giovani delle banlieue. Lo Stato è un apparato repressivo che diventa cieco appena vengono messe in discussione le fondamenta dell’ordine capitalista. Che i Gilet gialli rivendichino un aumento di salari o che i giovani delle banlieue denuncino le discriminazioni razziste nelle assunzioni, gli uni e gli altri dicono la stessa cosa: «Vogliamo vivere dignitosamente!». E tutti contestano, con più o meno consapevolezza, la legittimità di un sistema schiavo della legge del profitto e degli insaziabili appetiti della grande finanza.
La rottura, che si annuncia durevole, di entrambi col potere si tradurrà necessariamente in un avvicinamento tra i Gilet gialli e le classi popolari delle banlieue? Questa ipotesi diventa probabile. Malgrado il secolare indottrinamento sulla superiorità della «razza bianca», va riducendosi la distanza politica e culturale tra questi due spezzoni della classe popolare. La violenza poliziesca ha dato impulso ad un processo che rende vani tutti gli sforzi per mantenere la divisione nelle classi dominate. E sono bastati tre mesi di lotte per creare squarci nei tenaci pregiudizi attraverso i quali questi due spezzoni della classe popolare si guardavano.
Le conseguenze ideologiche e pratiche meritano un’analisi concreta e approfondita, ma è certo che la delegittimazione generalizzata di tutte le istituzioni è la tappa ultima e necessaria perché possa realizzarsi un’unità delle classi popolari contro lo stesso avversario politico. Per parafrasare un celebre slogan, proletari di tutte le origini unitevi! Una cosa che era ieri impensabile è entrata oggi nell’ordine delle possibilità. La lotta di classe ha avuto ragione degli sterili arroccamenti identitari. Jojo e Momo fraternizzeranno per necessità contro il regno senza concorrenti di Rothschild e soci!