Pravda statunitense: comprendere la Seconda Guerra Mondiale – Parte Prima
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Le schede di Ossin, 8 novembre 2021 - La storia della Seconda Guerra Mondiale è stata scritta dai vincitori, e tiene rigorosamente nascosti fatti e circostanze capaci di gettare ombre sugli autoproclamati "buoni". Cosa pensereste, per esempio, se vi dicessero che il mitico Wiston Churchill (nella foto) era un corrotto al soldo dello straniero, e che il presidente F.D. Roosevelt gli riservava il grazioso appellativo di "barboncino ubriacone"?
Unz Review, 23 settembre 2019 (trad. ossin)
Pravda statunitense: comprendere la Seconda Guerra Mondiale – Parte Prima
Ron Unz
Pat Buchanan e "la guerra non necessaria"
Alla fine del 2006 sono stato avvicinato da Scott McConnell, editore di The American Conservative (TAC), e mi ha detto che la sua piccola rivista avrebbe chiuso senza un’importante iniezione finanziaria. Ero in rapporti amichevoli con McConnell dal 1999 circa, e apprezzavo molto il fatto che lui e gli altri co-fondatori della TAC avessero costituito un punto fondamentale di opposizione alla disastrosa politica estera statunitense dei primi anni 2000.
Sulla scia dell'11 settembre, i neocon israelo-centrici erano in qualche modo riusciti ad assumere il controllo dell'amministrazione Bush, acquisendo anche un assoluto ascendente sui principali media statunitensi, censurando o intimidendo la maggior parte dei loro critici. Sebbene Saddam Hussein non avesse assolutamente alcun legame con gli attentati, il suo essere un possibile rivale regionale di Israele aveva fatto di lui il loro principale obiettivo, e immediatamente iniziarono a battere i tamburi di guerra, fino a che gli USA non lanciarono finalmente la disastrosa invasione del marzo 2003.
Tra le riviste cartacee, la TAC era quasi l'unica ad opporsi con passione a queste politiche, e suscitò grande attenzione un articolo del suo editore fondatore Pat Buchanan, dal titolo "Whose War?", che puntava il dito contro i responsabili ebrei neoconservatori, una verità ampiamente riconosciuta negli ambienti politici e mediatici, ma quasi mai pubblicamente ammessa. David Frum, uno dei principali promotori della guerra in Iraq, pubblicò quasi contemporaneamente una cover story sulla National Review, che denunciava come "non patriottica" - e forse "antisemita" - una lunga lista di critici della guerra, conservatori, liberal e libertari, con Buchanan quasi al vertice, e le polemiche e gli insulti continuarono per qualche tempo.
Date queste premesse, ero preoccupato che la scomparsa di TAC potesse lasciare un pericoloso vuoto politico e, trovandomi all’epoca in una situazione finanziaria piuttosto buona, ho accettato di salvare la rivista diventandone il nuovo proprietario. Sebbene fossi troppo occupato col mio lavoro sul software per potermene occupare direttamente, McConnell mi nominò editore, probabilmente sperando di legarmi alla sopravvivenza della sua rivista e assicurarsi future iniezioni finanziarie. Il titolo era puramente nominale e, negli anni successivi, oltre a firmare assegni aggiuntivi, il mio unico impegno non andò solitamente oltre una telefonata di cinque minuti ogni lunedì mattina per vedere come andavano le cose.
Circa un anno dopo, McConnell mi informò che una grave crisi era alle porte. Sebbene Pat Buchanan non collaborasse ad essa già da qualche anno, continuava ad essere la figura di gran lunga più nota associata a TAC, che continuava ad essere generalmente, sia pure erroneamente, conosciuta come "la rivista di Pat Buchanan". Ma ora McConnell aveva sentito che Buchanan stava progettando di pubblicare un nuovo libro che sembrava avrebbe preso le difese di Adolf Hitler e criticato la partecipazione degli USA alla guerra mondiale per sconfiggere la minaccia nazista. Promuovere convinzioni così bizzarre avrebbe sicuramente posto fine alla carriera di Buchanan, ma la TAC era già sotto continuo attacco da parte di attivisti ebrei, e le accuse di "neo-nazismo" che ne sarebbero seguite per associazione avrebbero potuto facilmente affondare anche la rivista.
Disperato, McConnell aveva deciso di proteggere la sua pubblicazione sollecitando una recensione molto ostile da parte dello storico conservatore John Lukacs, con la quale la TAC avrebbe preso le distanze dal disastro incombente. Dato il mio ruolo di finanziatore ed editore di TAC, cercava ovviamente la mia approvazione in questa dura rottura con il suo stesso mentore politico. Gli dissi che il libro di Buchanan suonava certamente piuttosto ridicolo e la sua strategia difensiva abbastanza ragionevole, e mi rituffai immediatamente nei problemi che dovevo affrontare col mio assorbente progetto di software.
Sebbene fossi stato un po' amico di Buchanan per una dozzina di anni circa, e ammirassi molto il suo coraggio nell'opporsi ai neocon in politica estera, non ero troppo sorpreso di sentire che stava scrivendo un libro che promuoveva alcune idee piuttosto strane. Solo pochi anni prima aveva pubblicato The Death of the West, diventato un inaspettato best-seller. Dopo che i miei amici di TAC si erano entusiasmati per la sua brillantezza, decisi di leggerlo anch’io, ma ne rimasi molto deluso. Sebbene Buchanan avesse generosamente citato un estratto dalla mia cover story pubblicata su Commentary: "California and the End of White America", mi sembrava che ne avesse completamente frainteso il significato, e nel complesso il libro sembrava una trattazione piuttosto mal costruita e retoricamente di destra delle complesse questioni dell'immigrazione e della razza, argomenti su cui mi ero molto concentrato fin dai primi anni 1990. Quindi, date le circostanze, non ero affatto sorpreso che lo stesso autore stesse ora pubblicando un libro altrettanto sciocco sulla Seconda Guerra Mondiale, rischiando forse di causare gravi problemi ai suoi ex colleghi della TAC.
Mesi dopo, furono pubblicati sia il libro di Buchanan, che la recensione ostile della TAC e, come previsto, fu una tempesta di polemiche. Le pubblicazioni mainstream ignorarono per lo più il libro, che sembrava però ricevere enormi elogi da scrittori alternativi, alcuni dei quali criticavano ferocemente la TAC per averlo attaccato. In effetti, le critiche alla TAC furono così assolutamente univoche che, quando McConnell scoprì che un blogger totalmente sconosciuto da qualche parte si era detto d'accordo con lui, fece immediatamente circolare queste osservazioni in un disperato tentativo di vendetta. Collaboratori di lunga data di TAC la cui conoscenza della storia rispettavo molto, come Eric Margolis e William Lind, elogiarono il libro di Buchanan, quindi la mia curiosità alla fine ebbe la meglio e decisi di ordinarne una copia e leggerlo direttamente.
Sono rimasto abbastanza sorpreso nello scoprire un lavoro molto diverso da quello che mi aspettavo. Non avevo mai prestato molta attenzione alla storia statunitense del ventesimo secolo, e la mia conoscenza della storia europea di quegli anni era solo leggermente migliore, quindi le mie opinioni erano per lo più piuttosto convenzionali, essendo basate su quanto appreso nei corsi scolastici e in decenni di lettura di vari giornali e riviste. Ma, all'interno di quel quadro, la storia di Buchanan sembrava adattarsi abbastanza bene.
La prima parte del suo volume non differiva da quella che avevo sempre considerato la visione standard della Prima Guerra Mondiale. Nel suo resoconto degli eventi, Buchanan spiegava come la complessa rete di alleanze interconnesse avesse portato a una gigantesca conflagrazione, anche se nessuno dei leader dell’epoca aveva effettivamente voluto quel risultato: un'enorme polveriera europea era stata incendiata dalla scintilla di un assassinio a Sarajevo.
Ma, sebbene il suo racconto fosse quello che mi aspettavo, esso forniva anche una serie di dettagli interessanti prima a me sconosciuti. Tra le altre cose, sosteneva in modo persuasivo che la responsabilità dei Tedeschi per lo scoppio della guerra era un po' inferiore a quella della maggior parte degli altri partecipanti, notando anche che, nonostante l'infinita propaganda sul "militarismo prussiano", la Germania non aveva combattuto una sola grande guerra nei 43 anni di storia precedenti, un record ininterrotto di pace considerevolmente migliore di quello della maggior parte dei suoi avversari. Inoltre, un accordo militare segreto tra Gran Bretagna e Francia era stato un fattore cruciale dell'involontaria escalation e, anche così, quasi la metà del governo britannico si era quasi dimesso, in opposizione alla dichiarazione di guerra contro la Germania, cosa che avrebbe probabilmente portato ad un breve e limitato conflitto confinato al Continente. Avevo anche visto raramente sottolineare il fatto che il Giappone era un alleato cruciale dei Britannici, e che la Germania avrebbe probabilmente vinto la guerra se il Giappone avesse combattuto dall’altra parte.
Tuttavia, la maggior parte del libro si concentrava sugli eventi che portarono alla Seconda Guerra Mondiale, e questa era la parte che aveva ispirato tanto orrore a McConnell e ai suoi colleghi. Buchanan raccontava le oltraggiose disposizioni del Trattato di Versailles imposte a una Germania prostrata, e la determinazione di tutti i successivi leader tedeschi a porvi rimedio. Ma, mentre i suoi predecessori democratici di Weimar avevano fallito, Hitler è riuscito ad avere successo, in gran parte bluffando, ma anche annettendosi l'Austria tedesca e i Sudeti tedeschi della Cecoslovacchia, in entrambi i casi con il sostegno schiacciante delle popolazioni.
Buchanan ha documentato questa controversa tesi attingendo a piene mani a numerose dichiarazioni di importanti figure politiche contemporanee, per lo più britanniche, nonché alle conclusioni di storici tradizionali molto rispettati. La richiesta finale di Hitler, che il 95% della Danzica tedesca fosse restituita alla Germania proprio come desideravano i suoi abitanti, era assolutamente ragionevole, e solo un terribile errore diplomatico da parte degli Inglesi indusse i Polacchi a rifiutare la richiesta, provocando così la guerra. La diffusa affermazione successiva che Hitler avrebbe cercato di conquistare il mondo era totalmente assurda, e il leader tedesco ha effettivamente fatto ogni sforzo per evitare la guerra con la Gran Bretagna o la Francia. In effetti, era generalmente abbastanza amichevole con i Polacchi e aveva sperato di arruolare la Polonia come alleato tedesco contro la minaccia dell'Unione Sovietica di Stalin.
Sebbene molti Statunitensi possano essere rimasti scioccati da questo resoconto degli eventi che portarono allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la narrativa di Buchanan si accordava ragionevolmente bene con la mia impressione di quel periodo. Come matricola ad Harvard, avevo seguito un corso introduttivo di storia e uno dei testi principali richiesti sulla Seconda Guerra Mondiale era quello di AJP Taylor, un rinomato storico dell'Università di Oxford. La sua famosa opera del 1961 Origins of the Second World War conteneva una esposizione molto persuasiva e non dissimile da quella di Buchanan, e non avevo mai trovato motivo di mettere in discussione il giudizio dei professori che lo avevano consigliato. Quindi, se Buchanan sembrava semplicemente assecondare le opinioni di un importante professore di Oxford e dei membri della facoltà di storia di Harvard, non riuscivo a capire perché si accusasse il suo nuovo libro di aver passato il segno.
Vero è che Buchanan ha anche criticato molto severamente Winston Churchill, fornendo un lungo elenco delle sue asseritamente disastrose politiche e ribaltoni politici, e attribuendogli una buona parte della colpa per il coinvolgimento della Gran Bretagna in entrambe le guerre mondiali, decisioni fatali la cui conseguenza è stata il crollo dell'impero britannico. Ma, sebbene la mia conoscenza di Churchill fosse troppo scarsa per emettere un verdetto, la requisitoria mi è sembrata ragionevolmente forte. I neocon odiavano già Buchanan e, poiché notoriamente adoravano Churchill come un supereroe dei cartoni animati, qualsiasi critica in quella direzione non sarebbe stata sorprendente. Ma il libro nel complesso sembrava una storia molto solida e interessante, il miglior lavoro di Buchanan che avessi mai letto, e gentilmente ho espresso la mia valutazione favorevole a McConnell, che era ovviamente piuttosto deluso. Non molto tempo dopo, decise di rinunciare al suo ruolo di editore di TAC, a favore di Kara Hopkins, suo vice di lunga data, e l'ondata di critiche recentemente subita da parte di molti dei suoi ex alleati buchananiti deve sicuramente aver contribuito ad una simile decisione.
Epurazione dei nostri principali storici e giornalisti
Sebbene la mia conoscenza della storia della Seconda Guerra Mondiale fosse piuttosto rudimentale nel 2008, nel decennio che seguì ho fatto molte letture sulla storia di quell'epoca cruciale, e il mio primo giudizio sulla attendibilità della tesi di Buchanan sembrava trovare conferma.
Il recente 70° anniversario dello scoppio del conflitto che ha consumato così tante decine di milioni di vite è stata la naturale occasione per la pubblicazione di numerosi articoli storici, e la discussione che ne è derivata mi ha indotto a tirar fuori la mia vecchia copia del volumetto di Taylor, che ho riletto per la prima volta dopo quasi quarant'anni. L'ho trovato altrettanto magistrale e persuasivo di come mi era apparso quando lo leggevo nella mia stanza del dormitorio del college, e i lusinghieri apprezzamenti riportati in copertina dimostravano che al suo apparire aveva ricevuto molti consensi. Il Washington Post aveva elogiato l'autore come "lo storico vivente più importante della Gran Bretagna", World Politics lo aveva definito "Potentemente argomentato, scritto brillantemente e sempre persuasivo", The New Statesman, la principale rivista di sinistra britannica, lo aveva descritto come "Un capolavoro: lucido, compassionevole, ben scritto" e l'augusto Times Literary Supplement lo aveva definito "semplice, devastante, superlativamente leggibile e profondamente inquietante". Come best-seller internazionale, è sicuramente l'opera più famosa di Taylor, e posso facilmente capire perché era ancora nella mia lista di letture obbligatorie, quasi due decenni dopo la sua pubblicazione originale.
Eppure, rivisitando lo studio pionieristico di Taylor, ho fatto una scoperta notevole. Nonostante tutte le vendite internazionali e il plauso della critica, le tesi contenute nel libro hanno presto suscitato una tremenda ostilità in alcuni ambienti. Le lezioni di Taylor a Oxford sono state enormemente popolari per un quarto di secolo ma, a causa di quell’ostilità, "lo storico vivente più importante della Gran Bretagna" venne sommariamente epurato dalla facoltà non molto tempo dopo. All'inizio del suo primo capitolo, Taylor chiarisce fino a che punto trovasse strano che, più di vent'anni dopo l'inizio della guerra più catastrofica del mondo, non fosse stata prodotta alcuna analisi seria delle cause immediate. Forse le ritorsioni che ha dovuto in seguito subire lo hanno poi aiutato a capirne le ragioni.
Taylor non è stato certamente l'unico ad essere epurato. In effetti, come ho scoperto gradualmente nell'ultimo decennio o giù di lì, il suo destino sembra essere stato eccezionalmente mite, evidentemente a cagione della sua grande fama che lo ha parzialmente protetto dalle ritorsioni subite per avere effettuato un’analisi obiettiva dei fatti storici. E siffatte conseguenze professionali estremamente gravi sono state particolarmente diffuse dalla nostra parte dell'Atlantico, dove molte delle vittime hanno perso le loro posizioni mediatiche o accademiche di vecchia data, e sono scomparse in modo permanente dal palcoscenico negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Ho passato gran parte degli anni 2000 a produrre un enorme archivio digitalizzato contenente l'intero contenuto di centinaia dei periodici statunitensi più influenti degli ultimi due secoli, una raccolta di milioni di articoli. E durante questo lavoro, mi ha più volte sorpreso il fatto di imbattermi in individui la cui enorme presenza mediatica li aveva chiaramente contrassegnati come tra i principali intellettuali pubblici del loro tempo ma che, in seguito, sono scomparsi tanto completamente, che quasi mai io mi ero accorto della loro esistenza. Cominciai gradualmente a capire che la nostra storia era stata segnata da una Grande Purga ideologica altrettanto significativa, anche se meno sanguinaria, di quella sovietica. I paralleli sembravano inquietanti:
A volte mi immaginavo un po' come un serio giovane ricercatore sovietico degli anni 1970 che avesse iniziato a scavare nei file ammuffiti degli archivi del Cremlino a lungo dimenticati, e avesse fatto alcune scoperte sorprendenti. A quanto pare, Trotskij non era la famigerata spia e traditore nazista ritratto in tutti i libri di testo, ma era stato invece il braccio destro dello stesso santo Lenin durante i gloriosi giorni della grande Rivoluzione bolscevica, e anche dopo, per alcuni anni, era rimasto al vertice dell'élite del Partito. E chi erano queste altre figure - Zinoviev, Kamenev, Bukharin, Rykov – anch’essi in quei primi anni collocati ai vertici della gerarchia comunista? Nei corsi di storia, si era a malapena imbattuto in alcune menzioni di questi personaggi, che li dipingevano come agenti capitalisti minori che erano stati rapidamente smascherati e che avevano pagato con la vita il prezzo del loro tradimento. Come poteva il grande Lenin, essere stato così stupido da circondarsi quasi esclusivamente di traditori e spie?Ma, a differenza dei loro omologhi stalinisti di un paio di anni prima, le vittime statunitensi scomparse intorno al 1940 non furono né fucilate né chiuse nei gulag, ma semplicemente escluse dai media mainstream che definiscono la nostra realtà, cancellati così dalla memoria, in modo tale che le generazioni future dimenticassero gradualmente la loro esistenza.
Un esempio di spicco di un simile "scomparso" statunitense è il giornalista John T. Flynn, probabilmente oggi quasi sconosciuto, ma la cui fama un tempo era stata enorme. Come ho scritto l'anno scorso:
Quindi immagina la mia sorpresa nello scoprire che, nel corso di tutti gli anni 1930, Fynn era stato una delle voci liberal più influenti nella società statunitense, uno scrittore di economia e politica la cui fama potrebbe paragonarsi a quella odierna di Paul Krugman, sebbene molto incline ai pettegolezzi scandalosi. La sua rubrica settimanale su The New Republic ne aveva fatto una stella polare delle élite progressiste statunitensi, mentre le sue apparizioni regolari in Colliers, un settimanale illustrato a diffusione di massa che raggiungeva molti milioni di statunitensi, gli fornivano una piattaforma paragonabile a quella di un importante personaggio televisivo nel periodo di massimo splendore della TV.In una certa misura, l'importanza di Flynn può essere oggettivamente quantificata. Qualche anno fa, mi è capitato di menzionare il suo nome ad una liberal colta e impegnata nata negli anni 1930 e, com’era prevedibile, le era completamente sconosciuto, ma si chiedeva se potesse essere stato un po' come Walter Lippmann, il famosissimo editorialista di quell'epoca. Quando ho controllato, ho visto che, tra le centinaia di periodici presenti nel mio sistema di archiviazione, c'erano solo 23 articoli di Lippmann degli anni 1930 e ben 489 di Flynn.
Un parallelo statunitense ancora maggiore con Taylor può essere lo storico Harry Elmer Barnes, una figura per me quasi sconosciuta, ma ai suoi tempi un accademico di grande influenza e statura:
Immagina il mio shock nello scoprire in seguito che Barnes era stato in realtà uno dei primi e più assidui collaboratori di Foreign Affairs, servendo come revisore principale di quella venerabile pubblicazione dalla sua fondazione dal 1922 in poi, mentre la sua fama come uno dei principali accademici liberal degli Stati Uniti trovava conferma nelle sue decine di apparizioni in The Nation e The New Republic lungo tutto quel decennio. A lui, infatti, viene attribuito un ruolo centrale nella “revisione” della storia della prima guerra mondiale, che aveva rimosso l'immagine fumettistica dell'indicibile malvagità tedesca, lasciata in eredità dalla disonesta propaganda bellica prodotta dai contrapposti governi britannico e statunitense. E la sua statura professionale è dimostrata dai suoi trentacinque o più libri, molti dei quali influenti volumi accademici, insieme ai suoi numerosi articoli su The American Historical Review, Political Science Quarterly e altre importanti riviste.Qualche anno fa mi è capitato di menzionare Barnes a un eminente studioso accademico statunitense il cui interesse generale per le scienze politiche e la politica estera era abbastanza simile, eppure il suo nome non gli diceva niente. Alla fine degli anni 1930, Barnes era diventato uno dei principali critici dell’idea di un intervento USA nella Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza era "scomparso" permanentemente, escluso da tutti i principali media, mentre una grande catena di giornali veniva costretta a chiudere bruscamente la sua rubrica nazionale di lunga data nel maggio 1940.
Molti degli amici e alleati di Barnes furono vittima della stessa epurazione ideologica, che egli ha descritto nei suoi scritti, e che continuò dopo la fine della guerra:
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Oltre una dozzina di anni dopo la sua scomparsa dai nostri media nazionali, Barnes è riuscito a pubblicare Perpetual War for Perpetual Peace, una lunga raccolta di saggi di studiosi e altri esperti che discutono le circostanze dell'ingresso degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, prodotta e distribuita da un piccolo tipografo in Idaho. Il suo contributo è stato un saggio di 30.000 parole intitolato "Il revisionismo e il blackout storico" e ha discusso degli enormi ostacoli affrontati dai pensatori dissidenti di quel periodo.
Il libro stesso è stato dedicato alla memoria del suo amico, lo storico Charles A. Beard. Fin dai primi anni del 20 ° secolo, Beard si è classificato come una figura intellettuale della più grande statura e influenza, co-fondatore della New School di New York e presidente dell'American Historical Association e dell'American Political Science Association. Come principale sostenitore delle politiche economiche del New Deal, fu ampiamente apprezzato per le sue opinioni.
Tuttavia, quando si ribellò alla bellicosa politica estera di Roosevelt, gli editori gli chiusero i battenti e solo la sua amicizia personale con il capo della Yale University Press permise al suo volume critico del 1948 President Roosevelt and the Coming of the War, 1941 di essere stampato. La reputazione stellare di Beard sembra aver iniziato un rapido declino da quel momento in poi, tanto che nel 1968 lo storico Richard Hofstadter poteva scrivere: “Oggi la reputazione di Beard si erge come un'imponente rovina nel panorama della storiografia statunitense. Quella che una volta era la casa più grande della provincia è ora un rudere decrepito”. In effetti, l'"interpretazione economica della storia" di Beard, un tempo dominante, oggigiorno potrebbe quasi essere liquidata come promotrice di "pericolose teorie del complotto", e sospetto che pochi, tra i non storici, abbiano mai sentito parlare di lui.
Un altro importante contributo al volume di Barnes fu quello di William Henry Chamberlin, che per decenni era stato considerato uno dei principali giornalisti di politica estera statunitensi, con più di 15 libri al suo attivo, la maggior parte dei quali recensiti diffusamente e favorevolmente. Eppure America's Second Crusade, la sua analisi critica del 1950 sull'entrata degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, non riuscì a trovare un editore mainstream, e quando apparve fu ampiamente ignorato dai recensori. Prima della sua pubblicazione, la sua firma era stata regolarmente pubblicata sulle nostre riviste nazionali più influenti come The Atlantic Monthly e Harpers. Ma poi i suoi scritti furono quasi interamente confinati a newsletter e periodici di piccola diffusione, che si rivolgevano a un pubblico ristretto di conservatori o libertari.
In questi giorni di Internet, chiunque può facilmente creare un sito Web per pubblicare le sue opinioni, rendendole così immediatamente disponibili a tutti nel mondo. I social media come Facebook e Twitter possono portare materiale interessante o controverso all'attenzione di milioni di persone solo con un paio di clic del mouse, ignorando completamente la necessità del supporto di intermediari istituzionali. È facile per noi dimenticare quanto sia stata estremamente impegnativa la diffusione delle idee dissenzienti ai tempi della stampa, della carta e dell'inchiostro, e capire che uno studioso espulso dal circuito editoriale-mediatico aveva bisogno di molti anni per riguadagnare un punto d'appoggio significativo per la divulgazione delle sue opere.
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Ron Unz • 11 giugno 2018 • 5.400 parole
Gli scrittori britannici avevano affrontato analoghe insidie ideologiche anni prima che AJP Taylor si avventurasse in quelle acque agitate, come scoprì un illustre storico navale britannico nel 1953 :
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L'autore di Unconditional Hatred era il capitano Russell Grenfell, un ufficiale della marina britannica che aveva prestato servizio con distinzione nella prima guerra mondiale, e in seguito aveva aiutato a dirigere il Royal Navy Staff College, pubblicando sei libri molto apprezzati sulla strategia navale, e prestando servizio come Naval Corrispondent del Daily Telegraph. Grenfell riconosceva che ogni grande guerra si accompagnava inevitabilmente a grandi produzioni di propaganda estrema, lo preoccupava però che, in mancanza di un antidoto urgente, a distanza di anni dalla fine delle ostilità il persistente veleno di tali esagerazioni belliche potesse minacciare la pace futura dell'Europa.
La sua notevole erudizione storica e il suo tono accademico riservato traspaiono in questo affascinante volume, che si concentra principalmente sugli eventi delle due guerre mondiali, ma contiene spesso digressioni sui conflitti napoleonici o anche precedenti. Uno degli aspetti intriganti della sua discussione è che gran parte della propaganda anti-tedesca che egli cerca di sfatare era talmente grossolana da apparire – ai nostri occhi - così assurda e ridicola che è stata quasi completamente dimenticata, mentre quasi non menziona gli aspetti dell’immagine ostile che oggi abbiamo della Germania di Hitler, forse perché non si era ancora consolidata o era ancora considerata troppo stravagante perché qualcuno potesse prenderla sul serio. Tra le altre cose, riferisce con notevole disapprovazione che i principali giornali britannici avevano pubblicato articoli sulle orribili torture che venivano inflitte ai prigionieri tedeschi durante i processi per crimini di guerra, al fine di estorcere loro ogni sorta di dubbia confessione.
Alcune delle occasionali affermazioni di Grenfell sollevano dubbi sulle nostre convinzioni a proposito delle politiche di occupazione tedesche. Egli cita numerose cronache della stampa britannica su ex "lavoratori schiavi" francesi che, in seguito, organizzarono riunioni amichevoli nel dopoguerra con i loro ex datori di lavoro tedeschi. Afferma inoltre che, nel 1940, quegli stessi giornali britannici avevano raccontato il comportamento assolutamente esemplare dei soldati tedeschi nei confronti dei civili francesi anche se, quando cominciarono gli attacchi terroristi dei partigiani comunisti e le conseguenti rappresaglie, i rapporti spesso peggiorarono molto.
Soprattutto, sottolinea che l'enorme campagna di bombardamenti strategici alleati contro le città e l'industria francesi aveva ucciso un numero enorme di civili, probabilmente molto più di quanti ne fossero mai morti per mano tedesca, e quindi aveva provocato un grande odio come conseguenza inevitabile. In Normandia lui e altri ufficiali britannici erano stati avvertiti di stare attenti ai contatti con i civili francesi, per timore di possibili attacchi mortali.
Sebbene il contenuto e il tono di Grenfell mi sembrino eccezionalmente imparziali e obiettivi, altri sicuramente hanno visto il suo testo in una luce molto diversa. La biografia Devin-Adair rileva che nessun editore britannico era disposto ad accettare il manoscritto e, quando il libro apparve, nessun importante recensore statunitense mostrò di accorgersene. Ancora più inquietante è che si dica che Grenfell stava duramente lavorando su un sequel, quando morì improvvisamente nel 1954 per cause sconosciute, e il suo lungo necrologio sul London Times dà la sua età di 62 anni.
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Un altro importante osservatore contemporaneo di quell'epoca fornisce un ritratto della Francia durante la seconda guerra mondiale che è diametralmente opposto a quello della narrativa ampiamente accettata di oggi:
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Sulle questioni francesi, Grenfell fornisce numerosi e ampi riferimenti ad un libro del 1952 intitolato France: The Tragic Years, 1939-1947 di Sisley Huddleston, un autore a me totalmente sconosciuto, e questo ha stuzzicato la mia curiosità. Un’utile funzione del mio sistema di archiviazione dei contenuti è quello di fornire facilmente il contesto appropriato per scrittori da tempo dimenticati, e le decine di apparizioni di Huddleston su The Atlantic Monthly, The Nation e The New Republic, oltre ai suoi trenta libri ben considerati sulla Francia, sembrano confermare che è stato considerato per decenni uno dei principali interpreti della Francia dai lettori statunitensi e britannici istruiti. In effetti, la sua intervista esclusiva con il primo ministro britannico Lloyd George alla Conferenza di pace di Parigi fu uno scoop internazionale. Come con tanti altri scrittori, dopo la Seconda Guerra Mondiale il suo editore statunitensi divenne necessariamente Devin-Adair, che pubblicò un'edizione postuma del 1955 del suo libro. Date le sue eminenti credenziali giornalistiche, il lavoro di Huddleston sul periodo di Vichy è stato recensito sui periodici statunitensi, anche se in modo piuttosto superficiale e sprezzante, e io ne ho ordinato una copia e l'ho letto.
Non sono in grado di esprimere valutazioni sul saggio di 350 pagine di Huddleston che tratta della Francia durante gli anni della guerra e immediatamente dopo ma, trattandosi di un giornalista molto illustre e di un osservatore di lunga data che è stato testimone oculare degli eventi che descrive, e scrivendone in un momento in cui la narrativa storica ufficiale non si era ancora consolidata, penso che le sue opinioni dovrebbero essere prese molto sul serio. La cerchia di amicizie personali di Huddleston comprendeva funzionari importanti, con l'ex ambasciatore degli Stati Uniti William Bullitt che era uno dei suoi più vecchi amici. E senza dubbio la ricostruzione dei fatti operata da Huddleston è radicalmente diversa dalla storia convenzionale che avevo sempre sentito.
Come scrive Huddleston, l'esercito francese crollò nel maggio del 1940 e il governo richiamò disperatamente Petain, che aveva un’ottantina d’anni ed era il più grande eroe di guerra del paese, dal suo incarico di ambasciatore in Spagna. Subito gli venne chiesto dal presidente francese di formare un nuovo governo e preparare un armistizio con i Tedeschi vittoriosi, e questa proposta ricevette il sostegno quasi unanime dell'Assemblea nazionale e del Senato francesi, incluso il sostegno di quasi tutti i parlamentari di sinistra. Pétain ottenne questo risultato, e un altro voto quasi unanime del Parlamento francese lo autorizzò quindi a negoziare un trattato di pace completo con la Germania, che certamente blindò le sue pretese su di una base legale la più forte possibile. A quel punto quasi tutti in Europa credevano che la guerra fosse sostanzialmente finita, e che anche la Gran Bretagna avrebbe presto firmato la pace.
Mentre il governo francese legittimo di Petain stava negoziando con la Germania, un piccolo numero di irriducibili, tra cui il colonnello Charles de Gaulle, disertò dall'esercito e fuggì all'estero, dichiarando che intendeva continuare la guerra a tempo indeterminato, ma senza, inizialmente, ottenere grande attenzione e sostegni. Un aspetto interessante della situazione era che De Gaulle era stato a lungo uno dei principali protetti di Pétain, e una volta che il suo profilo politico iniziò a crescere un paio di anni dopo, qualcuno ipotizzò che lui e il suo vecchio mentore potessero essersi "divisi il lavoro", e mentre uno faceva la pace coi Tedeschi, l’altro organizzava la resistenza nell’oltremare, per poter giocare su entrambi i tavoli.
Sebbene il nuovo governo francese di Petain garantisse che la sua potente marina non sarebbe mai stata utilizzata contro gli Inglesi, Churchill non corse rischi e attaccò immediatamente la flotta del suo ex alleato, le cui navi erano già disarmate e ormeggiate impotenti in porto, affondandone la maggior parte e uccidendo fino a 2.000 francesi. Questo incidente assomigliava all’attacco giapponese a Pearl Harbor dell'anno successivo, ed ha bruciato alla Francia per molti anni a venire.
Huddleston dedica quindi gran parte del libro alla discussione sulla complessa politica francese degli anni successivi, perché la guerra continuò inaspettatamente, e la Russia e gli USA finirono per unirsi alla causa alleata, aumentandone notevolmente le probabilità di vittoria contro i Tedeschi. Durante questo periodo, la leadership politica e militare francese si mantenne in un difficile equilibrio, resistendo alle richieste tedesche su alcuni punti e cedendo su altri, mentre il movimento di Resistenza interno cresceva gradualmente, attaccando i soldati tedeschi e provocando dure rappresaglie tedesche. Data la mia mancanza di esperienza, non posso davvero giudicare l'accuratezza della sua narrativa politica, ma mi sembra abbastanza realistica e plausibile, anche se gli specialisti potrebbero sicuramente trovarvi dei difetti.
Tuttavia, le affermazioni più notevoli nel libro di Huddleston sono verso la fine, dove descrive quella che venne poi chiamata "la Liberazione della Francia" nel biennio 1944-45, quando le forze tedesche in ritirata abbandonarono il paese e rientrarono nei propri confini. Tra le altre cose, rileva che il numero di Francesi che si attribuirono credenziali di "Resistenza" crebbe fino a cento volte quando i Tedeschi se ne furono andati, e non si correvano più rischi.
E fu a quel punto che ebbe inizio un enorme spargimento di sangue, di gran lunga la peggiore ondata di omicidi extragiudiziali di tutta la storia francese. La maggior parte degli storici concorda sul fatto che circa 20.000 vite furono perse nel famigerato "Regno del terrore" durante la Rivoluzione francese e forse 18.000 morirono durante la Comune di Parigi del 1870-71 e la sua brutale repressione. Ma secondo Huddleston i leader statunitensi stimavano che ci fossero state almeno 80.000 "esecuzioni sommarie" solo nei primi mesi dopo la Liberazione, mentre il deputato socialista che fu ministro degli Interni nel marzo 1945 e sarebbe stato nella posizione migliore per sapere, informò i rappresentanti di De Gaulle che, solo dall'agosto 1944 al marzo 1945, si erano verificati 105.000 omicidi, una cifra ampiamente citata negli ambienti pubblici dell'epoca.
Poiché una larga parte della popolazione francese aveva tenuto per anni comportamenti che adesso d’improvviso venivano giudicati "collaborazionisti", un numero enorme di persone era vulnerabile, e anche a rischio di morte, e talvolta cercava di salvarsi la vita denunciando i propri conoscenti o vicini di casa. I comunisti clandestini erano stati a lungo un elemento importante della Resistenza, e molti di loro si vendicarono crudelmente dei loro odiati "nemici di classe", mentre numerosi individui colsero l'occasione per regolare conti privati. Un altro fattore era che molti dei comunisti che avevano combattuto nella guerra civile spagnola, tra cui migliaia di membri delle Brigate Internazionali, erano fuggiti in Francia dopo la loro sconfitta militare nel 1938, e adesso avevano l’opportunità di vendicarsi contro quelle forze conservatrici da cui erano stati sconfitti nel loro paese.
Sebbene lo stesso Huddleston fosse un giornalista internazionale autorevole e piuttosto distinto, con amici statunitensi di alto rango, e sebbene avesse svolto alcuni piccoli servizi per conto dei capi della Resistenza, lui e sua moglie sfuggirono per un pelo all'esecuzione sommaria durante quel periodo, e nel libro racconta alcune delle numerose storie che gli capitò di sentire da vittime meno fortunate. Ma quello che sembra essere stato di gran lunga il peggior spargimento di sangue settario nella storia francese è stato ribattezzato con l’espressione rassicurante di “Liberazione" e quasi completamente rimosso dalla nostra memoria storica, ad eccezione delle famose teste rasate di alcune donne disonorate. In questi giorni Wikipedia costituisce il rigido distillato della nostra Verità Ufficiale, e il suo articolo su quegli eventi indica un numero di vittime pari ad appena un decimo delle cifre citate da Huddleston, che io considero una fonte molto più credibile.
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Si può pensare che un uomo di spicco e altamente considerato, al culmine della sua carriera e dell'influenza pubblica, abbia improvvisamente perso il senso della realtà e si sia messo a promuovere teorie eccentriche ed errate, che lo hanno fatto cadere in disgrazia. Se così fosse, le sue affermazioni potrebbero ben essere trattate con grande scetticismo e forse semplicemente ignorate.
Ma quando il numero di voci così rispettabili, e che propugnano le stesse tesi eccentriche, è abbastanza grande, e le loro affermazioni sembrano generalmente coerenti tra loro, non è più possibile respingerle. L’averle sostenute è risultato fatale alla loro carriera e, sebbene debbano essere stati consapevoli di un tale rischio, nondimeno essi seguirono quella strada, prendendosi anche la briga di scrivere lunghi libri che presentavano le loro opinioni e cercando qualche editore da qualche parte che fosse disposto a pubblicarli.
John T. Flynn, Harry Elmer Barnes, Charles Beard, William Henry Chamberlin, Russell Grenfell, Sisley Huddleston e numerosi altri studiosi e giornalisti di altissimo livello e reputazione hanno tutti raccontato una storia piuttosto coerente della Seconda Guerra Mondiale, ma una in totale divergenza con quella della narrativa consolidata di oggi, e lo hanno fatto a costo di distruggere le loro carriere. Un decennio o due dopo, il famoso storico AJP Taylor ha ripreso le loro teorie e, di conseguenza, è stato espulso da Oxford. Trovo molto difficile spiegare il comportamento di tutti questi individui, e forse l’unica spiegazione è che abbiano effettivamente detto la verità.
Se l'establishment e i suoi organi mediatici offrono laute ricompense, in termini di finanziamenti, promozioni e pubblico consenso, a coloro che propagandano tesi partigiane, mentre condannano al silenzio chi dissente, le dichiarazioni dei primi dovrebbero essere viste con notevole sospetto. Barnes ha reso popolare l'espressione "storici di corte" per descrivere quegli individui ipocriti e opportunisti che seguono i venti politici prevalenti, e i nostri media attuali ne sono certamente pieni.
Un clima di grave repressione intellettuale complica enormemente la possibilità di ricostruire gli eventi storici. In circostanze normali, le diverse tesi possono essere valutate nel contraddittorio di un dibattito pubblico o accademico, ma questo ovviamente diventa impossibile se lo studio di talune questioni viene proibito. Inoltre, gli scrittori di storia sono esseri umani e, se sono stati epurati dalle loro posizioni di prestigio, collocati in una lista nera e, talvolta, ridotti in povertà, non deve sorprenderci se talvolta si arrabbino e si amareggino per la loro sorte, e magari reagiscano in modi che danno ai loro nemici ulteriori argomenti per attaccare la loro credibilità.
AJP Taylor perse il suo incarico a Oxford per aver pubblicato la sua onesta analisi sulle origini della Seconda Guerra Mondiale, ma l’enorme fama che si era guadagnato in precedenza e l'ampio plauso che il suo libro aveva ricevuto sembravano proteggerlo da ulteriori danni, e il lavoro stesso diventò rapidamente un grande classico, rimanendo permanentemente in stampa e in seguito arricchendo le liste di libri di testo delle nostre università più d'élite. Tuttavia, altri che si sono immersi in quelle stesse acque agitate sono stati molto meno fortunati.
Lo stesso anno in cui appariva il libro di Taylor, veniva pubblicato anche un altro lavoro sui medesimi temi, di uno studioso alle prime armi di nome David L. Hoggan. Hoggan aveva conseguito il dottorato di ricerca nel 1948 in storia diplomatica ad Harvard col prof. William Langer, una delle figure più importanti in quel campo, e la sua opera di esordio, The Forced Warera, traeva origine dalla sua tesi di dottorato. Mentre il libro di Taylor era abbastanza breve e per lo più basato su fonti pubbliche e alcuni documenti britannici, il volume di Hoggan era eccezionalmente lungo e dettagliato, con quasi 350.000 parole inclusi i riferimenti, ed era il frutto di molti anni di scrupolose ricerche negli archivi governativi recentemente disponibili della Polonia e Germania. Sebbene i due storici fossero pienamente d'accordo sul fatto che Hitler non avesse certamente voluto lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Hoggan sostenne che vari potenti individui all'interno del governo britannico avevano deliberatamente lavorato per provocare il conflitto, costringendo così alla guerra la Germania di Hitler, proprio come suggeriva il titolo del suo libro.
Data la natura altamente controversa delle conclusioni di Hoggan, e l’originalità della tesi sostenuta, il suo lavoro ponderoso è stato pubblicato solo in Germania, dove è diventato rapidamente un bestseller molto dibattuto in quella lingua. Da giovane accademico, Hoggan era piuttosto vulnerabile all'enorme pressione e all'obbrobrio che doveva sicuramente affrontare. Sembra che abbia litigato con Barnes, il suo mentore revisionista, mentre le sue speranze di organizzare un'edizione in lingua inglese tramite un piccolo editore statunitense non ebbe successo. Forse in conseguenza di ciò, il giovane studioso soffrì in seguito di una serie di esaurimenti nervosi e, alla fine degli anni '60, si dimise dal suo incarico al San Francisco State College, l'ultimo incarico accademico serio che avesse mai ricoperto. Successivamente si è guadagnato da vivere come ricercatore presso un piccolo think tank libertario. Quando chiuse anche questo, insegnò in un college locale per ragazzi, non proprio la carriera professionale che ci si poteva aspettare da qualcuno che aveva iniziato con credenziali tanto promettenti ad Harvard.
Nel 1984 una versione inglese della sua opera principale stava finalmente per essere pubblicata, quando le strutture del suo piccolo editore revisionista nell'area di Los Angeles furono bombardate e completamente distrutte dai militanti ebrei, cancellando così le lastre e tutto il materiale esistente. Vivendo in totale oscurità, Hoggan morì di infarto nel 1988, all'età di 65 anni, e l'anno successivo apparve finalmente una versione inglese del suo lavoro, quasi tre decenni dopo la sua stesura originale, ma le scarse copie sopravvissute sono oggi assai rare e costose. Tuttavia, una versione PDF, priva di tutte le note, è disponibile su Internet e ora ho aggiunto il volume di Hoggan alla mia raccolta di libri HTML, rendendolo finalmente disponibile per un pubblico più ampio, quasi sei decenni dopo che è stato completato.
When Peaceful Revisionism Failed
David L. Hoggan • 1989 • 320.000 parole
Ho scoperto solo di recente l'opera di Hoggan, e l'ho trovata eccezionalmente dettagliata e completa, anche se piuttosto arida. Ho letto le prime cento pagine circa, più qualche selezione qua e là, solo una piccola parte delle 700 pagine, ma abbastanza per farmene un’idea.
La breve introduzione del 1989 da parte dell'editore lo definisce come una trattazione singolarmente completa delle circostanze ideologiche e diplomatiche che circondarono lo scoppio della guerra, e questa sembra una valutazione accurata, che potrebbe essere valida anche oggi. Ad esempio, il primo capitolo fornisce una descrizione straordinariamente dettagliata delle diverse correnti ideologiche contrastanti del nazionalismo polacco durante il secolo o giù di lì prima del 1939, un argomento molto specializzato che non avevo mai incontrato da nessun'altra parte, né mai trovato di grande interesse.
Nonostante il suo lungo oscuramento, per molti versi un'opera così esaustiva, basata su molti anni di ricerca d'archivio, potrebbe costituire un riferimento accademico per gli storici successivi, e in effetti vari autori revisionisti recenti si sono basati su Hoggan esattamente in questo modo. Ma purtroppo ci sono seri motivi di inquietudine. Com’era prevedibile, la stragrande maggioranza dei commenti su Hoggan presenti in Internet è ostile e offensiva, e ovviamente questo potrebbe indurre a respingerne le tesi. Peraltro, Gary North, lui stesso un importante revisionista che conosceva personalmente Hoggan, è stato ugualmente critico, affermando che era prevenuto, inaffidabile e persino disonesto.
La mia impressione è che la stragrande maggioranza del materiale di Hoggan sia probabilmente corretta e accurata, anche se potremmo contestare le sue interpretazioni. Tuttavia, di fronte ad accuse così gravi, dovremmo probabilmente trattare tutte le sue affermazioni con una certa cautela, soprattutto perché ci vorrebbe un'indagine d'archivio considerevole per verificare la maggior parte dei suoi risultati di ricerca specifici. In effetti, dal momento che gran parte del quadro generale degli eventi di Hoggan corrisponde a quello di Taylor, penso che sia molto meglio affidarsi a quest’ultimo.
La fondamentale storiografia di David Irving
Fortunatamente, queste stesse preoccupazioni sull'accuratezza possono essere completamente respinte nel caso di uno scrittore molto più importante, e uno la cui voluminosa produzione eclissa facilmente quella di Hoggan, e di quasi qualsiasi altro storico della Seconda Guerra Mondiale. Come ho descritto David Irving l'anno scorso:
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Con molti milioni di suoi libri in stampa, compresi vari best seller tradotti in numerose lingue, è del tutto possibile che l'ottantenne Irving oggi sia da considerarsi lo storico britannico di maggior successo internazionale degli ultimi cento anni. Sebbene io stesso abbia letto solo un paio dei suoi lavori più brevi, li ho trovati assolutamente eccezionali, con Irving che dispiega regolarmente la sua straordinaria padronanza delle prove documentali di fonte primaria per demolire completamente la mia ingenua comprensione dei principali eventi storici. Non mi sorprenderebbe se l'enorme corpus dei suoi scritti alla fine costituisse un pilastro centrale su cui i futuri storici cercheranno di comprendere gli anni centrali catastroficamente sanguinosi del nostro ventesimo secolo estremamente distruttivo, anche quando la maggior parte degli altri cronisti di quell'era saranno da lungo tempo dimenticati.
Di fronte ad affermazioni sorprendenti che capovolgono completamente una narrativa storica consolidata, è giustificato un notevole scetticismo, e la mia mancanza di competenze storiche della Seconda Guerra Mondiale mi consiglia una particolare cautela. I documenti dissotterrati da Irving sembrano ritrarre un Winston Churchill così radicalmente diverso da quello che ingenuamente mi immaginavo, da rendermelo quasi irriconoscibile, e questo mi ha indotto a chiedermi se ci si possa fidare dell'accuratezza delle prove di Irving e della loro interpretazione. Tutto il suo materiale è massicciamente annotato a piè di pagina, e fa riferimento a numerosi documenti presenti in numerosi archivi ufficiali, ma dove trovare il tempo o l'energia per verificarli?
L’ironia della sorte ha voluto che un evento assai sfortunato abbia completamente risolto questa questione cruciale.
Irving è un individuo di integrità accademica insolitamente forte, e come tale non è disposto a vedere cose che non esistono, anche se gli converrebbe, né a fabbricare prove inesistenti. Pertanto, la sua riluttanza a dissimulare o rendere verbali omaggi a vari totem culturali ampiamente venerati alla fine suscitò un profluvio diffamatorio da parte di uno sciame di fanatici ideologici, tutti aderenti ad una particolare convinzione etnica. Una situazione che assomiglia a quella che aveva dovuto sperimentare nello stesso periodo il mio vecchio professore di Harvard, EO Wilson, dopo la pubblicazione del suo capolavoro “Sociobiology: The New Synthesis”, il libro che ha contribuito a lanciare il campo della moderna psicobiologia evolutiva umana.
Questi zelanti attivisti etnici iniziarono una campagna coordinata per fare pressione sui prestigiosi editori di Irving affinché non pubblicassero i suoi libri, interrompendo anche i suoi frequenti tour di conferenze internazionali e persino facendo pressioni su vari governi per impedirgli l'ingresso. Si applicarono anche in una forte diffamazione mediatica, infangando continuamente il suo nome e le sue capacità di ricerca, arrivando persino a denunciarlo come "nazista" e "amante di Hitler", proprio come avevano fatto nei confronti del prof. Wilson.
Durante gli anni '80 e '90, questi sforzi determinati, a volte sostenuti da una notevole violenza fisica, hanno dato sempre più frutti e la carriera di Irving è stata gravemente colpita. Una volta era corteggiato dalle principali case editrici del mondo e i suoi libri venivano pubblicati a puntate e recensiti sui giornali più prestigiosi della Gran Bretagna; adesso veniva gradualmente emarginato, quasi un paria, con enormi danni economici.
Nel 1993, Deborah Lipstadt, una professoressa piuttosto ignorante e fanatica di Teologia e Studi sull'Olocausto (o forse "Teologia dell'Olocausto") lo attaccò ferocemente in un suo libro definendolo un "Negatore dell'Olocausto", così spingendo il timoroso editore di Irving ad annullare improvvisamente il contratto per il suo nuovo importante volume storico. Ne seguì una causa legale animata nel 1998, e un celebre processo per diffamazione, tenutosi nel 2000 dinanzi la Corte britannica.
Quella battaglia legale fu una sorta di sfida tra Davide e Golia, con ricchi produttori cinematografici ebrei e dirigenti di azienda che fornirono un enorme bottino di guerra di $ 13 milioni alla Lipstadt, permettendole di finanziare un vero e proprio esercito di 40 ricercatori ed esperti legali, capitanati da uno degli avvocati divorzisti ebrei di maggior successo della Gran Bretagna. Al contrario, Irving, essendo uno storico squattrinato, fu costretto a difendersi senza il beneficio di un avvocato.
Nella vita reale a differenza della favola, i Goliath di questo mondo sono quasi invariabilmente trionfanti, e questo caso non ha fatto eccezione, con Irving che è stato portato alla bancarotta personale, con conseguente perdita della sua bella casa nel centro di Londra. Ma vista dalla prospettiva più lunga della storia, penso che la vittoria dei suoi tormentatori sia stata straordinariamente di Pirro.
Sebbene l'obiettivo del loro odio scatenato fosse la presunta "negazione dell'Olocausto" di Irving, per quanto posso dire, quel particolare argomento era quasi del tutto assente da tutte le dozzine di libri di Irving, e proprio quel silenzio era ciò che aveva provocato la loro indignazione. Pertanto, in mancanza di un obiettivo così chiaro, il loro corpo di ricercatori e revisori finanziato generosamente sembra essere stato impegnato per un anno o più in un’analisi dettagliata, riga per riga e note a piè di pagina, di tutto ciò che Irving aveva mai pubblicato, cercando di trovare qualsiasi specifico errore storico che potesse metterlo in cattiva luce professionale. Con denaro e manodopera quasi illimitati, hanno utilizzato il processo perfino per esaminare e leggere le migliaia di pagine dei suoi diari e della corrispondenza personale. Denial, un film hollywoodiano del 2016 co-scritto da Lipstadt, può fornire un ragionevole schema della sequenza degli eventi visti dal suo punto di vista.
Eppure, nonostante l’impiego di simili enormi risorse finanziarie e umane, a quanto pare il risultato è stato quasi del tutto nullo, almeno stando al libro trionfalista di Lipstadt del 2005 History on Trial. In quattro decenni di ricerche e scritti, che avevano prodotto numerose affermazioni storiche controverse della natura più sorprendente, sono riusciti a trovare solo un paio di dozzine di presunti errori di fatto o di interpretazione piuttosto minori, la maggior parte dei quali ambigui o contestati. E la cosa peggiore che scoprirono dopo aver letto ogni pagina dei molti metri lineari dei diari personali di Irving fu che una volta aveva composto una breve canzoncina "razzialmente insensibile" per sua figlia neonata, una faccenda banale che venne naturalmente sbandierarono come prova che era un "razzista." Quindi, paradossalmente, hanno ammesso che l'enorme corpus di testi storici di Irving era accurato e fondato forse al 99,9%.
Penso che questo silenzio del "cane che non abbaiava" sia rumoroso come il tuono. Non sono a conoscenza di nessun altro studioso accademico nell'intera storia del mondo il cui lavoro di decenni sia stato sottoposto a un esame ostile così scrupolosamente esauriente. E poiché sembra che Irving abbia superato quel test a pieni voti, penso che possiamo considerare quasi ogni affermazione sorprendente in tutti i suoi libri, come ricapitolata nei suoi video, come assolutamente accurata.
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Ron Unz • 4 giugno 2018 • 1.700 parole
Qualche anno fa avevo letto due delle opere più brevi di Irving, Nuremberg: The Last Battle e The War Path, l’ultimo dei quali discuteva gli eventi che portarono allo scoppio del conflitto e quindi si sovrapponevano per lo più alla storia di Taylor. L'analisi di Irving sembra abbastanza simile a quella del suo eminente predecessore di Oxford, pur fornendo una ricchezza di prove documentali meticolose a sostegno di quella semplice storia delineata per la prima volta due decenni prima. Questa concomitanza non mi ha sorpreso affatto, poiché è probabile che molteplici sforzi per descrivere accuratamente la stessa realtà storica siano ragionevolmente congruenti, mentre la propaganda disonesta può ampiamente divergere in ogni sorta di direzioni diverse.
Recentemente ho deciso di affrontare una delle opere molto più lunghe di Irving, il primo volume di Churchill's War, un testo classico che contiene circa 300.000 parole e copre la storia del leggendario primo ministro britannico alla vigilia dell’Operazione Barbarossa, e l'ho trovato altrettanto eccezionale come mi aspettavo.
A dimostrazione della franchezza e della maestria di Irving, dirò che egli fa ripetuti riferimenti, anche se brevemente, ai piani degli Alleati del 1940 per attaccare improvvisamente l'URSS e distruggere i suoi giacimenti petroliferi di Baku, una proposta assolutamente disastrosa che avrebbe sicuramente portato alla sconfitta, se effettivamente portata avanti. Al contrario, i fatti eccezionalmente imbarazzanti dell'Operazione Pike sono stati totalmente omessi praticamente da tutti i successivi resoconti occidentali del conflitto, non sappiamo se per semplice ignoranza o malafede.
Fino a poco tempo fa, sapevo poco di Churchill, e le rivelazioni di Irving sono state assolutamente illuminanti. Forse la scoperta più sorprendente è stata la notevole venalità e corruzione dell'uomo, che era un grande spendaccione e viveva generosamente, spesso ben oltre i suoi mezzi finanziari, impiegando un esercito di dozzine di servitori personali nella sua grande tenuta di campagna, nonostante spesso mancasse di qualsiasi fonte di reddito regolare e garantito che gli consentisse di mantenerlo. Questa situazione lo poneva naturalmente alla mercé di quegli individui disposti a sostenere il suo stile di vita sontuoso, in cambio della determinazione nell’attività politica. E mezzi pecuniari in qualche modo simili furono usati per assicurarsi il sostegno di una rete di altre figure politiche di tutti i partiti britannici, che divennero gli stretti alleati politici di Churchill.
Per dirla in parole povere, durante gli anni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale, sia Churchill che numerosi altri colleghi parlamentari britannici ricevevano regolarmente considerevoli stipendi finanziari - tangenti in contanti - da fonti ebraiche e ceche, in cambio della promozione di una politica di estrema ostilità verso il governo tedesco e, di fatto, a favore della guerra. Le somme in questione erano piuttosto considerevoli, e il solo governo ceco sembra effettuasse pagamenti pari a decine di milioni di dollari in valore attuale a parlamentari britannici, editori e giornalisti che operavano per ribaltare la politica pacifista del governo di allora. Un caso particolarmente notevole si verificò all'inizio del 1938, quando Churchill perse improvvisamente tutta la sua ricchezza, in una folle scommessa sul mercato azionario statunitense, e fu quindi costretto a mettere in vendita la sua amata tenuta di campagna per evitare il fallimento personale, ma venne immediatamente salvato da un milionario ebreo straniero, interessato a promuovere la guerra contro la Germania. In effetti, le prime fasi del coinvolgimento di Churchill in questo sordido comportamento sono raccontate in un capitolo di Irving, opportunamente intitolato "The Hired Help" (Il Domestico).
Ironia della sorte, l'intelligence tedesca apprese di questa massiccia corruzione di parlamentari britannici e trasmise l’informazione al primo ministro Neville Chamberlain, che fu inorridito nello scoprire quali ragioni di corruzione ispirassero i suoi feroci avversari politici, ma a quanto pare si comportò troppo da gentiluomo per giungere ad arrestarli e processarli. Non sono un esperto delle leggi britanniche di quell'epoca ma, per i parlamentari, porsi agli ordini degli stranieri in materia di guerra e pace in cambio di enormi pagamenti segreti mi sembra quasi un esempio da manuale di tradimento, e penso che un’esecuzione tempestiva di Churchill avrebbe sicuramente salvato decine di milioni di vite.
La mia impressione è che gli individui senza carattere siano i più propensi a svendere gli interessi del proprio paese in cambio di ingenti somme di denaro straniero, e come tali attirano l'attenzione di cospiratori e spie straniere. Churchill sembra certamente rientrare in questa categoria, circondato com’era da voci di grande disponibilità alla corruzione fin dagli esordi della sua carriera politica. In seguito, ha integrato le sue entrate impegnandosi in un’ampia attività di contraffazione artistica, un fatto che Roosevelt in seguito scoprì e probabilmente utilizzò come punto di leva personale contro di lui. Anche abbastanza grave era il costante stato di ubriachezza di Churchill, un vero e proprio caso di alcolismo clinico. In effetti, Irving nota che, nelle sue conversazioni private, FDR parla abitualmente di Churchill definendolo "un barbone ubriaco".
Alla fine degli anni 1930, Churchill e la sua cricca di alleati politici, come lui comprati e pagati, attaccavano e denunciavano senza tregua il governo di Chamberlain per la sua politica pacifista, e lui era tra i più accaniti in questa selva di accuse prive di fondamento, sostenendo che i Tedeschi erano impegnati in un enorme potenziamento militare contro la Gran Bretagna. A tali accuse turbolente facevano ampia eco i media fortemente influenzati dagli interessi ebraici, che hanno molto contribuito ad avvelenare lo stato delle relazioni tedesco-britanniche. Alla fine, tutte queste pressioni costrinsero Chamberlain all'atto estremamente imprudente di fornire una garanzia incondizionata di sostegno militare all'irresponsabile dittatura polacca. Di conseguenza, i Polacchi rifiutarono in modo piuttosto arrogante qualsiasi trattativa di confine con la Germania, accendendo così la miccia che alla fine portò all'invasione tedesca sei mesi dopo, e alla successiva dichiarazione di guerra britannica. I media britannici avevano ampiamente promosso Churchill come la principale figura politica a favore della guerra, e una volta che Chamberlain fu costretto a creare un governo di unità nazionale in tempo di guerra, venne coinvolto anche il suo principale critico, cui fu attribuito il portafoglio degli affari navali.
Dopo avere facilmente sconfitto la Polonia in sole sei settimane, Hitler cercò senza successo di fare la pace con gli Alleati e la guerra venne sospesa. Poi, all'inizio del 1940, Churchill persuase il suo governo a cercare di aggirare strategicamente i Tedeschi preparando una grande invasione marittima della neutrale Norvegia; ma Hitler scoprì il piano e prevenne l'attacco, e i gravi errori operativi di Churchill portarono a una sorprendente sconfitta delle forze britanniche, che pure erano di gran lunga superiori. Durante la Prima Guerra Mondiale, il disastro di Gallipoli di Churchill lo aveva costretto a dimettersi dal governo britannico, ma questa volta i media amichevoli fecero in modo di gettare tutta la colpa della sconfitta di Narvik su Chamberlain, quindi fu quest'ultimo ad essere costretto a dimettersi, sostituito da Churchill nel ruolo di primo ministro.
Questo fu solo il primo della lunga serie di grandi fallimenti militari e tradimenti autentici di Churchill, raccontati in modo persuasivo da Irving, quasi tutti ignorati dalle nostre storie agiografiche del conflitto. D’altronde, i leader in tempo di guerra che trascorrono gran parte del loro tempo in uno stato di ubriachezza hanno molte meno probabilità di prendere decisioni ottimali, specialmente se sono estremamente inclini ad una gestione militare non ben definita, come nel caso di Churchill.
Nella primavera del 1940, i Tedeschi lanciarono il loro improvviso attacco corazzato in Francia attraverso il Belgio e, quando l'attacco iniziò ad avere successo, Churchill ordinò al comandante generale britannico di fuggire immediatamente con le sue forze verso la costa e di farlo senza informare né i Francesi, né le controparti belghe, dell'enorme divario che stava per aprirsi nelle prime linee alleate, provocando in tal modo l'accerchiamento e la distruzione dei loro eserciti. In seguito alla conseguente sconfitta e occupazione della Francia, il primo ministro britannico ordinò allora un attacco improvviso e a sorpresa contro la flotta francese disarmata, distruggendola completamente e uccidendo circa 2.000 dei suoi ex alleati; la causa immediata fu una sua errata traduzione di una parola francese, ma questo incidente "tipo Pearl Harbor" ha continuato a tormentare i leader francesi per decenni.
Hitler aveva sempre voluto relazioni amichevoli con la Gran Bretagna, e certamente aveva cercato di evitare la guerra che gli era stata imposta. Con la Francia ormai sconfitta e le forze britanniche cacciate dal continente, offrì quindi condizioni di pace molto magnanime e una nuova alleanza tedesca alla Gran Bretagna. Il governo britannico era stato sottoposto a pressioni per entrare in guerra senza una ragione logica e contro i propri interessi nazionali, quindi Chamberlain e metà del governo erano favorevoli all’avvio di negoziati di pace, e la proposta tedesca probabilmente avrebbe ricevuto una schiacciante approvazione sia dall'opinione pubblica britannica che dalle élite politiche, se solo fossero state informate dei suoi esatti termini.
Ma nonostante qualche esitazione occasionale, Churchill si mantenne assolutamente irremovibile sul fatto che la guerra dovesse continuare, e Irving sostiene plausibilmente che lo facesse per motivi puramente personali. Nel corso della sua lunga carriera, Churchill aveva accumulato un vero e proprio record di ripetuti fallimenti, e pensava che l’aver finalmente ottenuto la tanto ambita carica di Primo Ministro, per poi perdere una grande guerra poche settimane dopo aver raggiunto il numero 10 di Downing Street, gli avrebbe assicurato una collocazione nella Storia assai umiliante. D'altra parte, se fosse riuscito a continuare la guerra, forse la situazione avrebbe potuto in qualche modo migliorare in seguito, soprattutto se gli Statunitensi fossero stati persuasi a entrare nel conflitto dalla parte britannica.
Siccome porre fine alla guerra con la Germania era nell'interesse della sua nazione ma non nel suo, Churchill ricorse a mezzi spietati per impedire che i sentimenti di pace prevalessero. Insieme alla maggior parte degli altri principali paesi, la Gran Bretagna e la Germania avevano firmato convenzioni internazionali che vietavano il bombardamento aereo di obiettivi urbani civili e, sebbene il leader britannico avesse fortemente sperato che i Tedeschi attaccassero le sue città, Hitler rispettò invece scrupolosamente gli obblighi scaturenti dalle convenzioni firmate. Disperato, Churchill ordinò quindi una serie di bombardamenti su larga scala contro la capitale tedesca, causando danni considerevoli, e dopo che numerosi e severi avvertimenti da parte tedesca caddero nel vuoto, Hitler alla fine reagì con attacchi dello stesso tipo contro le città britanniche.
Nelle sue memorie pubblicate mezzo secolo dopo, il prof. Revilo P. Oliver, che aveva ricoperto un ruolo di primo piano in tempo di guerra nell'intelligence militare statunitense, descrisse questa sequenza di eventi in termini molto amari:
La Gran Bretagna, in violazione di ogni regola etica di guerra civilizzata che fino ad allora era stata rispettata dalla nostra razza, e in traditrice violazione dei patti diplomatici solennemente assunti sulle "città aperte", aveva segretamente effettuato intensi bombardamenti di tali città aperte in Germania, allo scopo di uccidere un numero sufficiente di uomini e donne disarmati e indifesi e di costringere il governo tedesco a vendicarsi, sia pur con riluttanza, e bombardare le città britanniche, e quindi uccidere un numero sufficiente di uomini, donne e bambini britannici indifesi, così da suscitare tra gli Inglesi l'entusiasmo per la folle guerra in cui il loro governo li aveva gettati.È impossibile immaginare un atto di governo più vile e più depravato di quello che mira a provocare morte e sofferenza per il proprio popolo - per gli stessi cittadini che il governo stesso esorta alla "fedeltà" - e sospetto che un atto di tale infame e selvaggio tradimento avrebbe nauseato perfino Gengis Khan o Hulagu o Tamerlano, barbari orientali universalmente riprovati per la loro folle sete di sangue. La storia, per quanto ricordo, non registra che abbiano mai massacrato le proprie donne e bambini per facilitare la propaganda menzognera... Nel 1944 i membri dell'intelligence militare britannica davano per scontato che, dopo la guerra, il maresciallo Sir Arthur Harris sarebbe stato impiccato o fucilato per alto tradimento contro il popolo britannico...
La spietata violazione da parte di Churchill delle leggi di guerra relative ai bombardamenti aerei urbani portò direttamente alla distruzione di molte delle città più belle e antiche d'Europa. Ma, forse influenzato dalla sua ubriachezza cronica, in seguito cercò di commettere crimini di guerra ancora più orribili e gli venne impedito di farlo solo dall'ostinata opposizione di tutti i suoi subordinati militari e politici.
Insieme alle leggi che proibivano il bombardamento delle città, tutte le nazioni avevano similmente concordato di vietare il ricorso per primi all’uso di gas velenosi, pur continuando ad accumularne grandi quantità per le eventuali rappresaglie. Poiché la Germania era il leader mondiale nella chimica, i nazisti avevano prodotto le forme più letali di nuovi gas nervini, come Tabun e Sarin, il cui uso avrebbe potuto facilmente portare a importanti vittorie militari sia sul fronte orientale che su quello occidentale, ma Hitler obbediva scrupolosamente ai protocolli internazionali che la sua nazione aveva firmato. Tuttavia, alla fine della guerra nell’anno 1944, l'inesorabile bombardamento alleato delle città tedesche portò ai devastanti attacchi di rappresaglia delle bombe volanti V-1 contro Londra, e un indignato Churchill divenne irremovibile sul fatto che le città tedesche dovessero essere attaccate con gas velenosi in contro-rappresaglia. Se Churchill avesse ottenuto ciò che voleva, molti milioni di Britannici avrebbero potuto essere uccisi nel corso dei contrattacchi tedeschi con il gas nervino. Nello stesso periodo, Churchill fu anche bloccato nella sua proposta di bombardare la Germania con centinaia di migliaia di micidiali bombe all'antrace, un'operazione che avrebbe potuto rendere inabitabile gran parte dell'Europa centrale e occidentale per generazioni.
Ho trovato le rivelazioni di Irving su tutte queste questioni assolutamente sorprendenti, ed ero profondamente grato che Deborah Lipstadt e il suo esercito di diligenti ricercatori avessero studiato attentamente (e confermato, a quanto pare) l'accuratezza di ogni singolo elemento.
I due volumi esistenti del capolavoro di Irving su Churchill ammontano a ben oltre 700.000 parole, e la loro lettura richiederebbe ovviamente settimane di impegno. Fortunatamente, Irving è anche un oratore avvincente e molte delle sue lunghe lezioni sull'argomento sono disponibili per la visualizzazione su BitChute dopo essere state recentemente eliminate da YouTube.
Le vere origini della seconda guerra mondiale
Di recente ho riletto il libro di Pat Buchanan del 2008, che critica duramente Churchill per il suo ruolo nella catastrofica guerra mondiale, e ho fatto una scoperta interessante. Irving è sicuramente tra i più autorevoli biografi di Churchill, con la sua esauriente ricerca documentaria che è stata la fonte di tante nuove scoperte, e coi suoi libri venduti a milioni. Eppure il nome di Irving non compare mai una volta né nel testo di Buchanan né nella sua bibliografia, sebbene si possa sospettare che gran parte del materiale di Irving sia stato "riciclato" da Buchanan col ricorso a fonti secondarie. Buchanan cita ampiamente AJP Taylor, ma non fa menzione di Barnes, Flynn, e di vari altri importanti accademici e giornalisti statunitensi che furono epurati per aver espresso opinioni contemporanee non così dissimili da quelle dell'autore stesso.
Negli anni 1990, Buchanan è stato una delle figure politiche più importanti degli Stati Uniti, assiduamente presente sui media sia scritti che televisivi, protagonista di una forte crescita nella corsa per la nomination presidenziale repubblicana nel 1992 e nel 1996, che ne consolidavano la sua statura nazionale. Ma i suoi numerosi nemici ideologici hanno lavorato instancabilmente per indebolirlo e, nel 2008, le frequenti apparizioni come esperto sul canale via cavo MSNBC erano diventate una delle ultime presenze rimastegli di grande rilievo pubblico. Probabilmente ritenne che la pubblicazione di una storia revisionista della Seconda Guerra Mondiale avrebbe potuto mettere in pericolo la sua posizione, e che qualsiasi collegamento diretto con figure epurate e diffamate, come Irving o Barnes, avrebbe sicuramente portato al suo bando permanente da tutti i media elettronici.
Dieci anni fa ero rimasto piuttosto colpito dal libro di Buchanan, ma in seguito ho letto molto su quell'epoca e il libro mi è apparso a questo punto deludente. A parte il tono spesso sbarazzino, retorico e poco accademico, le mie critiche più acute non riguardano le posizioni controverse che assume, ma piuttosto gli altri argomenti e domande controverse che ha evitato con tanta cura.
Soprattutto a proposito delle vere origini della guerra, che devastò gran parte dell'Europa, uccise forse cinquanta o sessanta milioni di persone e diede origine alla successiva era della Guerra Fredda, durante la quale i regimi comunisti controllarono metà dell'intero continente euro-asiatico. Taylor, Irving e numerosi altri hanno completamente sfatato la ridicola mitologia secondo cui la causa risiedeva nel folle desiderio di conquista del mondo da parte di Hitler, ma se il dittatore tedesco aveva chiaramente solo responsabilità minori, c'era davvero un vero colpevole? O questa guerra mondiale massicciamente distruttiva è avvenuta in un modo in qualche modo simile a quella precedente, che la storia ufficiale considera come dovuta soprattutto ad una serie di errori grossolani, incomprensioni e escalation sconsiderate? (segue)
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