Pravda statunitense: JFK, Richard Nixon, la CIA e il Watergate
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Le Schede di ossin, 10 agosto 2024 - Cinquantadue anni fa lo scandalo del Watergate, spacciato come un'alta dimostrazione della forza della democrazia USA e della vitalità della "stampa libera". Si è poi scoperto che era solo uno dei tanti complotti del Deep State, e che i grandi e liberi giornalisti lavoravano per conto della CIA e del Dipartimento di Stato....
Unz Review, 9 luglio 2024 (trad.ossin)
Pravda statunitense: JFK, Richard Nixon, la CIA e il Watergate
Ron Unz
Scoprire la verità sull'assassinio di JFK
Due settimane fa ho pubblicato un lungo articolo sull'assassinio di JFK, segnalando le prove schiaccianti che dimostrano come il successore di Kennedy, il vicepresidente Lyndon B. Johnson, vi abbia molto probabilmente svolto un ruolo di primo piano.
Ho concluso il saggio citando alcuni paragrafi iniziali di un altro articolo che avevo pubblicato più di sei anni prima:
- …Non mi sono però mai interessato alla storia statunitense del XX secolo. Prima di tutto mi sembrava evidente che tutti i principali fatti politici fossero già ben conosciuti e comodamente forniti dalle pagine dei miei manuali di introduzione alla storia, senza lasciare spazi ad una ricerca originale, salvo che per i più oscuri interstizi.
- Inoltre la politica dei tempi antichi è spesso colorata ed eccitante, coi leader ellenisti e romani tanto spesso rovesciati da colpi di Stato o vittime di assassinio, di avvelenamento o di altre morti premature di natura fortemente sospetta. Al contrario, la storia politica statunitense pare straordinariamente piatta e noiosa, priva di simili eventi extra-costituzionali capaci di darle un po’ di sapore. Il più drammatico scossone politico della mia vita sono state le dimissioni forzate del presidente Richard Nixon, minacciato di destituzione, e le cause delle sue dimissioni – qualche piccolo abuso di potere e il successivo insabbiamento – erano tanto evidentemente insuscettibili di ulteriori conseguenze, da ribadire pienamente la forza della nostra democrazia e la cura scrupolosa con cui i nostri media (“cani da guardia della democrazia”) controllavano i comportamenti anche dei più potenti.
- Col senno di poi, avrei dovuto chiedermi se i colpi di Stato e gli avvelenamenti dell’epoca imperiale romana erano stati raccontati esattamente dai cronisti del tempo, o se la maggior parte dei cittadini togati dell’epoca fosse rimasta del tutto all’oscuro degli avvenimenti abominevoli che determinavano segretamente il governo della loro società.
Negli ultimi dodici anni quello che credevo di sapere sull'ultimo secolo di storia statunitense è stato sconvolto da numerose enormi rivelazioni, scoperte esplosive che mi erano state a lungo nascoste dalla bolla propagandistica dei media tradizionali in cui vivevo.
Tra esse, una delle rivelazioni più importanti è stata la vera storia degli assassinii dei Kennedy negli anni '60. Avevo sempre accettato ingenuamente la narrazione ufficiale secondo cui un paio di squilibrati uomini solitari hanno ucciso il nostro presidente e suo fratello minore. E, nel contempo, non avevo prestato alcuna attenzione a quei vaghi accenni ad una ipotetica cospirazione, che capitava di tanto in tanto venissero fatti con toni di scherno nei libri e negli articoli su cui facevo affidamento. Sono pertanto restato sbalordito quando ho infine scoperto che quegli eventi storici di vitale importanza erano diventati il campo di azione di un vasto mondo sotterraneo di solida erudizione, le cui analisi e ricostruzioni sembrano molto più sostanziali e persuasive di quanto lo siano mai state le mie fonti mediatiche di fiducia.
Dopo aver attentamente analizzato e digerito tutte queste nuove informazioni sconvolgenti, ho infine pubblicato le mie conclusioni in una serie di articoli nel corso degli ultimi sei anni, tra cui in particolare i seguenti:
- Pravda statunitense: L'assassinio di JF Kennedy - parte prima
- Ron Unz • www.ossin.org • 4 luglio 2018
- Pravda statunitense: L'assassinio di JFK, parte II – Chi è stato?
- Ron Unz • www.ossin.org • 23 settembre 2018
- American Pravda: The JFK Assassination and the Covid Cover-Up
- Ron Unz • The Unz Review • 19 dicembre 2022 • 6.900 parole
- RFK Jr. vs. I.F. Stone on the Kennedy Assassinations
- Ron Unz • The Unz Review • 31 luglio 2023 • 5.100 parole
- American Pravda: JFK, LBJ, and Our Great National Shame
- Ron Unz • The Unz Review • 24 giugno 2024 • 10.200 parole
Richard Nixon e John F. Kennedy
Scoprire la verità sull'assassinio di JFK ha completamente sconvolto i miei punti di riferimento certi sulla storia moderna. Ma nel corso degli anni ho avuto anche numerose altre sorprese, non altrettanto sconvolgenti ma comunque piuttosto significative.
Una di queste, strettamente intrecciata alla storia di Kennedy, mi ha costretto a rivalutare considerevolmente Richard Nixon, l'uomo che Kennedy sconfisse di misura nel 1960 e la cui successiva resurrezione politica lo portò alla Casa Bianca otto anni dopo. Per certi aspetti, i due uomini erano legati da un analogo destino, giacché Kennedy è stato l'unico presidente statunitense moderno a morire assassinato, mentre Nixon è stato il primo, in più di un secolo, ad affrontare l'impeachment, un colpo legale che lo costrinse alle dimissioni, le prime nella nostra storia nazionale.
So bene peraltro che la narrazione mediatica che ho superficialmente accettato ha sempre ritratto i due contemporanei, Kennedy e Nixon, come poli opposti per carattere politico e ideologico.
Insieme alla sua giovane e affascinante moglie Jackie, Kennedy ha evocato l'immagine di una sorta di Camelot statunitense nei primi anni '60. Presiedendo il nostro paese come fossero una coppia reale, i giovani Kennedy sono stati oggetto di adorazione da parte dalle nostre élite nazionali, dalle star di Hollywood ai principali intellettuali accademici. Sebbene la vita di quel bel giovane principe sia stata improvvisamente stroncata dal proiettile di un assassino, i suoi eroici successi sono rimasti scolpiti nella nostra coscienza nazionale per tutti i decenni successivi. Probabilmente nessuna figura politica statunitense del secolo scorso ha ricevuto un sostegno così caloroso dai nostri media nazionali, dalle élite intellettuali e, trascinati da questi, anche da tutti gli altri cittadini. Ad esempio, sebbene abbia ricoperto la carica per meno di tre anni, JFK è stato recentemente classificato come il nostro terzo presidente più popolare dopo Abraham Lincoln e George Washington.
Quello stesso sondaggio, tuttavia, colloca Nixon quasi in fondo alla classifica, ben al di sotto di qualsiasi altro presidente moderno. In effetti, prima dell'apparizione di Donald Trump, dubito che qualsiasi altro presidente statunitense degli ultimi cento anni sia stato tanto ampiamente odiato e disprezzato dai nostri media, un verdetto duro che si era formato ben prima delle sue vergognose dimissioni. Dato che ero solo un bambino durante l'amministrazione Nixon, anche io sono rimasto influenzato acriticamente da quei giudizi, in parte perché ampiamente condivisi dalla maggior parte dei miei amici e familiari. Ma sebbene non avessi mai studiato attentamente la storia statunitense moderna, negli anni successivi mi sono talvolta chiesto perché quell'ostilità fosse stata così diffusa nei nostri media d'élite e nei circoli accademici.
Mi è sempre parso che le peggiori accuse rivolte a Nixon fossero la sua disonestà, la sua spietatezza politica e il suo cinismo, come dimostrato dalle iniziative di stampo maccartista che avevano favorito la sua dubbia ascesa politica. Ma quando talvolta mi fermavo a riflettere, mi sentivo un po’ perplesso. Critiche simili erano molto diffuse nella nostra classe politica e mi chiedevo se davvero Nixon fosse tanto peggio di tutti gli altri. Dopo tutto era ampiamente condivisa, sia pure a malincuore, l’idea che la vittoria sottile come un foglio di carta di Kennedy nella corsa presidenziale del 1960 si doveva ad estese frodi elettorali in Texas e a Chicago, quindi l'intreccio tra disonestà e spietatezza politica non sembrava essere un carattere esclusivo di Nixon.
Eletto al Congresso nel 1946, la carriera iniziale di Nixon è diventata folgorante quando sostenne con audacia le accuse contro Alger Hiss dei "Pumpkin Papers" di Whitaker Chambers, l'ex comunista pentito che accusava l'ultra-rispettabile New Dealer di essere da lungo tempo un agente sovietico. Hiss era un pilastro dell'East Coast Establishment, nonché Segretario generale fondatore della Conferenza delle Nazioni Unite, quindi, sebbene condannato per falsa testimonianza e mandato in prigione, la convinzione che fosse stato incastrato ingiustamente è stata per decenni una delle più diffuse cause liberal e questo spiega sicuramente gran parte dell'animosità duratura che i media hanno riservato al membro del Congresso che lo aveva rovinato. Ma la successiva pubblicazione negli anni ’90 dei Venona Decrypts dimostrò in modo conclusivo che Hiss era davvero colpevole, scagionando completamente Nixon.
Quando il successo politico di Nixon ispirò il senatore Joseph McCarthy a lanciare una crociata anticomunista lungo linee simili, quest'ultimo si dimostrò spesso molto più sciatto e negligente nelle sue accuse, e Nixon si attirò una notevole animosità di destra quando criticò indirettamente McCarthy per queste ragioni nel 1954, all'apice del potere e dell'influenza del senatore. Paradossalmente, furono in realtà i Kennedy a essere stretti alleati politici di McCarthy, con Robert Kennedy che ricoprì il ruolo di assistente legale nel suo sottocomitato permanente del Senato sulle indagini nel 1953, dopo aver perso contro Roy Cohn nel tentativo di diventare il principale aiutante di McCarthy.
Si può persino sostenere che Kennedy abbia ingiustamente tacciato Nixon di filo-comunismo durante i loro famosi dibattiti presidenziali televisivi del 1960. Il candidato democratico era stato ufficialmente informato su alcuni dei piani segreti dell'amministrazione Eisenhower per rovesciare il regime comunista di Castro a Cuba, ma poi accusò pubblicamente il vicepresidente Nixon di non aver fatto nulla al riguardo, sapendo che il suo avversario aveva giurato di mantenere il segreto su quel progetto e quindi non avrebbe potuto difendersi adeguatamente, mostrandosi così debole sul fronte dell’anticomunismo.
A volte l'amicizia o l'ostilità dei nostri media è decisiva perché taluni fatti controversi vengano resi pubblici o ignorati. Verso la fine degli anni '30, il patriarca Joseph Kennedy aveva fatto grandi sforzi per scoraggiare la Gran Bretagna dall'andare in guerra contro la Germania nazista e, dopo lo scoppio della guerra, fece del suo meglio per impedire agli USA di unirsi al conflitto. Il famoso bestseller del 1956 di JFK, vincitore del premio Pulitzer, Profiles in Courage conteneva un capitolo che elogiava il leader repubblicano del Senato Robert Taft per aver denunciato a gran voce la palese illegalità dei processi per crimini di guerra di Norimberga del dopoguerra, citando l’affermazione di Taft secondo cui tali processi "potrebbero screditare l'intera idea di giustizia in Europa per gli anni a venire". E in un articolo del 2019, ho segnalato la sconvolgente rivelazione delle opinioni private di Kennedy sul defunto dittatore tedesco nel dopoguerra.
- Un paio di anni fa, il diario del 1945 del ventottenne John F. Kennedy in viaggio nell'Europa del dopoguerra fu venduto all'asta e il contenuto rivelò che era piuttosto affascinato da Hitler. Il giovane JFK predisse che "Hitler emergerà dall'odio che attualmente lo circonda come una delle figure più significative che siano mai vissute" e riteneva che "avesse avuto la stoffa di cui sono fatte le leggende". Questi sentimenti sono particolarmente rimarchevoli, per essere stati espressi subito dopo la fine di una brutale guerra contro la Germania, e nonostante l'enorme volume di propaganda ostile che l'aveva accompagnata.
Ho il forte sospetto che se uno qualsiasi di questi elementi fosse comparso sul curriculum di Nixon, avrebbe ricevuto un'attenzione pubblica molto più negativa nel corso dei decenni.
I media liberal in seguito criticarono duramente Nixon per non aver posto fine alla guerra del Vietnam dopo essere arrivato alla Casa Bianca nel 1969. Ma, nonostante quell'accusa fosse ragionevole, egli stava semplicemente continuando un conflitto iniziato e notevolmente intensificato sotto i suoi predecessori democratici Kennedy e Johnson.
Nel frattempo, la straordinaria svolta diplomatica di Nixon nei confronti della Cina maoista ha completamente ribaltato la scena internazionale e ha gettato le basi per la successiva distensione con l'Unione Sovietica, che ha ridotto notevolmente il rischio di una guerra nucleare globale. Le radici ideologiche personali del Prof. Jeffrey Sachs probabilmente non sono molto diverse dalle mie e, in una recente intervista, ha detto che sebbene fosse cresciuto detestando profondamente Nixon e le sue politiche, doveva ciò nonostante ammettere che quest'ultimo era stato uno dei nostri pochi presidenti del dopoguerra che aveva bruscamente spinto indietro le lancette del famoso Orologio dell'apocalisse mantenuto dai liberal del Bulletin of Atomic Scientists. Ridurre notevolmente il rischio di distruzione termonucleare non è certo un risultato banale, e dovrebbe certamente piacere ai progressisti di buon senso che dominano i media e il mondo accademico, eppure Nixon ha ricevuto relativamente pochi riconoscimenti.
Dall’altro canto, il movimento conservatore si è vantato della vittoria statunitense nella lunga Guerra fredda, i cui onori vengono regolarmente tributati al presidente Ronald Reagan, mantenendo anch’esso una profonda diffidenza nei confronti di Nixon, pari a quella delle sue controparti liberal. Eppure, senza il successo di Nixon nel fare della Cina comunista un nostro quasi-alleato durante la Guerra fredda, le politiche di Reagan forse sarebbero state impossibili. In effetti, i nostri conservatori dalla testa dura hanno sempre detestato la Cina a tal punto da considerare spesso la straordinaria mossa geostrategica di Nixon come una delle peggiori macchie nere del suo curriculum. Nixon era un pragmatico politico piuttosto che un qualche tipo di ideologo conservatore, quindi quest'ultima categoria di persone era naturalmente portato a detestarlo.
Nel corso degli anni, ora una, ora un’altra di queste considerazioni hanno progressivamente scalfito le mie idee su Kennedy e Nixon, e a volte mi sono chiesto se fossero stati davvero gli opposti polari suggeriti dai nostri media. Ma ho continuato a pensare che essi fossero sempre stati acerrimi rivali o addirittura acerrimi nemici politici, come era implicito nel modo nettamente diverso in cui venivano trattati dai media. Tuttavia, circa un decennio fa ho letto Kennedy & Nixon di Chris Matthews, un giornalista di lunga data del San Francisco Chronicle che alla fine ha ottenuto una visibilità nazionale molto maggiore come conduttore televisivo battagliero di Hardball, un programma di interviste su MSNBC. Le sue due biografie politiche congiunte hanno completamente ribaltato le mie ipotesi e, rileggendole di nuovo adesso, debbo ribadire questo giudizio.
Matthews ha sottolineato l’intreccio che ha caratterizzato la storia politica di quei due leader e, fin dalle prime sei pagine della sua introduzione, ha portato alla mia attenzione numerosi fatti sorprendenti, e paradossali, che non avevo mai sospettato. Nixon e Kennedy erano entrambi veterani della Seconda Guerra mondiale, ed entrambi avevano vinto le elezioni per il primo Congresso del dopoguerra su basi trans-ideologiche, con Kennedy che si era candidato come "conservatore combattente" mentre Nixon si era impegnato per un "liberalismo pragmatico". Sebbene non fossero esattamente amici intimi, mantenevano certamente buoni rapporti, a volte scambiandosi appunti a mano o facendosi favori politici a vicenda, e quando Nixon si candidò al Senato nel 1950 accusando la sua avversaria, la deputata democratica Helen Gahagan Douglas, di debolezza nei confronti del comunismo, Kennedy gli consegnò personalmente a mano una grande donazione finanziaria da parte della sua famiglia. Anni dopo, Nixon raccontò quella storia in un'intervista:
Nixon vinse la sua corsa al Senato con una valanga di voti all'età di 37 anni. Quella vittoria, unita al suo precedente successo nel caso Hiss, convinse Dwight Eisenhower a inserirlo nella lista nazionale due anni dopo, quindi la rapida ascesa politica di Nixon lo portò a un battito di ciglia dalla presidenza prima che avesse festeggiato il suo 40° compleanno, rendendolo uno dei più giovani vicepresidenti nella storia della nostra nazione.
Dopo un passo indietro, anche Kennedy venne eletto al Senato in quelle stesse elezioni del 1952. Da Presidente del Senato, Nixon aveva negli anni '50 un ufficio di fronte a quello di Kennedy, del quale divenne molto amico. Quando Kennedy dovette sottoporsi a un pericoloso intervento chirurgico alla schiena nel 1954, Nixon passava regolarmente a vedere come stava e giunse perfino ad aggirare le regole parlamentari per aiutarlo politicamente, tanto che Jackie Kennedy gli scrisse un biglietto di ringraziamento personale: "Non c'è nessuno che mio marito ammiri di più". Quando Nixon apprese che Kennedy stava per morire, un agente dei servizi segreti lo vide piangere: "Il povero coraggioso Jack sta per morire. Oh, Dio, non lasciarlo morire". Prima delle elezioni del 1960, Kennedy disse perfino ai suoi amici che, se non avesse ricevuto la nomination presidenziale, avrebbe votato per Nixon come candidato repubblicano, e suo padre, Joseph Kennedy, disse la stessa cosa a Nixon: "Dick, se mio figlio non ce la fa, io sono con te". Quattro anni prima, nel 1956, Robert Kennedy aveva votato per la rielezione della coppia Eisenhower-Nixon invece di sostenere Adlai Stevenson, il candidato democratico.
Ovviamente, il mondo della politica esige conflitti quando due personaggi di successo militano in partiti rivali, e ci sono anche vari aneddoti in cui Kennedy e Nixon si sono criticati e contrapposti a vicenda, soprattutto perché gran parte della potente base liberal del Partito Democratico detestava Nixon. Ma il quadro generale della loro lunga relazione era molto diverso da quello che mi avevano sempre fatto credere.
Paradossalmente, mentre Kennedy e Nixon sembrano essere in rapporti piuttosto amichevoli prima delle elezioni del 1960, non altrettanto si può dire di altre figure politiche con cui avevano relazioni a volte molto più tese. Nixon ed Eisenhower non erano affatto in buoni rapporti, mentre Kennedy e Johnson sono sempre stati acerrimi nemici.
Va anche detto che il background delle due figure politiche era del tutto differente: la famiglia di Kennedy era una delle più ricche degli USA, mentre i genitori di Nixon erano piccoli proprietari, in difficoltà alimentari durante il periodo più buio della Grande Depressione. Kennedy aveva frequentato le scuole preparatorie più costose ed elitarie prima di iscriversi ad Harvard, l'alma mater di suo padre, ma sebbene le capacità accademiche di Nixon gli avessero fatto vincere una borsa di studio completa ad Harvard, la sua famiglia non aveva i soldi per pagare i suoi costi di viaggio e alloggio, quindi fu costretto a frequentare il Whittier College locale, poi in seguito si fece strada frequentando la facoltà di giurisprudenza alla Duke. Ma, quando entrarono al Congresso nel 1946, i due uomini non erano così lontani ideologicamente, entrambi critici dell'establishment del New Deal e anche fortemente anticomunisti.
La percezione pubblica della minaccia comunista si espanse notevolmente dopo che la vittoria di Mao in Cina nel 1949 fece passare il paese più popoloso del mondo nel campo comunista, e tali preoccupazioni si intensificarono ulteriormente quando scoppiò la guerra di Corea l'anno successivo, quando le truppe statunitensi subirono alcune gravi sconfitte militari iniziali a causa dell’intervento nel conflitto di un grande esercito cinese. C'era una convinzione diffusa che molte di queste sconfitte fossero dovute all’infiltrazione comunista ai massimi livelli del governo USA, quindi il comunismo divenne una questione importante in molte campagne elettorali del 1950.
Matthews fornisce alcuni esempi affascinanti e inaspettati di come il tema del comunismo è stato affrontato in alcune delle prime campagne elettorali di Nixon e Kennedy. Sebbene tutti i miei libri di testo di storia contenessero critiche nei confronti di Nixon per aver vinto la sua corsa al Senato nel 1950, accusando di comunismo la sua rivale molto liberal Helen Gahagan Douglas, soprannominandola "la Pink Lady", in realtà era stata quest’ultima che aveva sollevato per prima la questione, pubblicando materiale in cui accusava il deputato Nixon di aver votato la linea comunista contro gli aiuti alla Corea.
Allo stesso modo, la corsa al Senato di Kennedy del 1952 contro il repubblicano in carica Henry Cabot Lodge, un convinto anticomunista, non aveva risparmiato insinuazioni disoneste sul fatto che Lodge si fosse dimostrato debole nei confronti del comunismo, accusandolo di essere un sostenitore "al 100 percento" della "politica accomodante dell’amministrazione Truman nei confronti della Cina e dell'Estremo Oriente", nel mentre "cavalcava" le accuse di sovversione comunista del senatore McCarthy all’interno del Dipartimento di Stato. Inoltre Kennedy in seguito difese pubblicamente McCarthy, definendolo "un grande patriota statunitense".
Pertanto, sia Kennedy che Nixon agitarono la questione comunista nelle loro campagne politiche più o meno con gli stessi toni, mentre Nixon non era affatto quel persecutore senza scrupoli dei comunisti che i miei libri di testo descrivevano.
E anche per quanto riguarda le questioni ideologiche su cui Kennedy e Nixon assunsero posizioni nettamente diverse, esse non sono state sempre quelle che ci saremmo aspettati. Ad esempio, nel 1957 Kennedy condivise la posizione Dixiecrat sul Civil Rights Act di quell'anno, sperando in tal modo di consolidare il suo sostegno da parte dei Democratici del Sud nella sua corsa alle primarie presidenziali prevista per il 1960, mentre Nixon sostenne pienamente quella legislazione, essendo sempre stato un convinto sostenitore dei diritti civili dei neri.
Quando Martin Luther King Jr. fu imprigionato ad Atlanta nel 1960, la famosa telefonata di Kennedy alla moglie Coretta Scott King poco prima del voto presidenziale fu oggetto di accesi dibattiti tra i suoi sostenitori, e il fratello Robert era assolutamente contrario per paura di perdere i voti dei bianchi del Sud. Il budget illimitato della campagna consentì di trarre vantaggio da questa iniziativa, reclutando leader neri che elogiarono Kennedy e criticarono Nixon per il suo silenzio, e poi stampando due milioni di copie di un opuscolo che riportava queste dichiarazioni e distribuendolo alle chiese nere la domenica prima del giorno delle elezioni, riducendo quindi al minimo il rischio che poteva venire da negative reazioni dei bianchi del Sud.
Lo stesso Matthews è cattolico, irlandese da parte di madre, ed era un adolescente durante l'amministrazione Kennedy, e aveva solo vent'anni quando RFK fu assassinato. Le sue radici politiche sono fortemente democratiche e, prima di dedicarsi al giornalismo, ha trascorso molti anni lavorando come assistente di vari deputati democratici del Congresso, in particolare come capo dello staff di Tip O'Neill, il presidente della Camera che aveva in realtà ereditato il seggio di Kennedy. Considerato questo background personale, presumo che Matthews ammirasse o addirittura idolatrasse da tempo Kennedy mentre disprezzava Nixon, e ho avuto la sensazione che la sua scoperta delle vere posizioni politiche di quei due uomini e della loro relazione personale lo abbia sorpreso tanto quanto me. Ma a suo grande merito, il suo libro sembra inflessibilmente sincero su quei fatti reali.
I miei libri di testo e i media che ho sempre letto hanno ritratto Nixon come "Tricky Dick", un politico spietato la cui lunga storia di disonestà è culminata infine nel Watergate, mentre Kennedy è stato spesso dipinto come un cavaliere bianco idealista. E in effetti, il testo di quasi 400 pagine di Matthews contiene una lunga serie di ingenti tangenti, sporchi trucchi politici e aperta illegalità; ma quasi tutti questi atti sordidi sono stati commessi da Kennedy nelle sue varie competizioni e durante la sua breve presidenza, a partire dalla sua prima campagna del 1946. Sebbene Joseph Kennedy avesse speso una parte rilevante della sua enorme ricchezza per far entrare suo figlio al Congresso, il giovane candidato sconsiderato aveva dimenticato di presentare le sue petizioni di nomina entro la scadenza legale, quindi lui e un complice commisero un grave reato penetrando personalmente nel Boston Statehouse, per depositare le petizioni nell'ufficio governativo designato. Per contro, le azioni illegali di Nixon a partire dal 1970 circa sembrano essere state in gran parte reattive, spinte dalla sua tremenda paura che il senatore Ted Kennedy potesse sconfiggerlo per la rielezione nel 1972, conducendo il tipo di campagna spietata per cui i Kennedy erano diventati famosi.
Matthews sembra un osservatore politico molto astuto, che fornisce spunti che non avevo mai trovato altrove. Dopo che Nixon perse la presidenza nel 1960, decise di sfidare il popolare governatore in carica della California Pat Brown nel 1962, danneggiando gravemente la sua carriera politica quando perse anche quella corsa. Sebbene i media ostili abbiano di solito descritto la campagna di Nixon come un cinico tentativo di posizionarsi per un'altra corsa contro Kennedy nel 1964, Matthews sostiene in modo convincente che l'intento di Nixon era esattamente l'opposto. Poiché dava per scontato che Kennedy sarebbe stato imbattibile per la rielezione, decise di evitare che lo spingessero a partecipare alla campagna presidenziale del 1964, candidandosi come governatore della California e impegnandosi a completare il mandato se eletto, mentre si preparava per una seconda corsa per la Casa Bianca nel 1968.
Il libro di Matthews, per il resto eccellente, dedica solo pochi paragrafi all'assassinio di JFK ed essi sono molto fedeli alla narrazione ufficiale a lungo promossa dai nostri media tradizionali. L'autore manifesta sommessamente la convinzione a lungo screditata che Lee Harvey Oswald fosse un solitario killer squilibrato, un marxista fanatico che odiava Kennedy e che lo uccise a causa dell'ostilità di quest'ultimo verso il comunismo cubano. Ho trovato piuttosto difficile credere che Matthews non si fosse mai imbattuto in alcuna prova contraria durante la sua lunga carriera in politica e nei media, ma posso capire la sua determinazione a mantenersi fedele alla verità ufficiale. Come conduttore televisivo di grande successo, egli si rendeva conto delle conseguenze letali per la sua carriera se avesse incluso anche solo una singola frase a sostegno di una qualsiasi "teoria del complotto" che coinvolgesse l'assassinio di Kennedy. Inoltre, qualsiasi passaggio del genere, non importa quanto superficiale o minimo, sarebbe inevitabilmente diventato un parafulmine capace di catturare interamente l’attenzione dei suoi recensori, distogliendola dall'importante materiale storico che aveva scoperto. Gli editori mainstream avrebbero potuto mostrarsi riluttanti a pubblicare un libro del genere e lui avrebbe perso ogni speranza di vendite forti e recensioni favorevoli sui media. Quindi l'approccio adottato da Matthews sembra molto ragionevole.
Accuse storiche ingiuste e accuse giuste
Un paio di anni fa ho letto la imponente storia in quattro volumi di Rick Perlstein sul moderno movimento conservatore statunitense e, sebbene i conservatori non abbiano mai considerato Nixon come uno di loro, l’autore lo ha presentato come una figura politica centrale, tanto che il secondo volume ha per titolo addirittura Nixonland. Ma per quanto le 3.500 pagine di Perlstein forniscano un'enorme mole di materiale dettagliato sulla lunga carriera politica di Nixon, l'autore sembra essere molto legato all’establishment, cosicché mi sono reso conto di aver tratto intuizioni su Nixon molto più interessanti e sorprendenti dal libro di Matthews, per quanto fosse molto più breve.
Nixon, Kennedy e i molti conservatori che affollano i volumi di Perlstein avevano avviato le loro carriere nei primi anni del dopoguerra denunciando la minaccia della sovversione comunista e dello spionaggio negli USA, ma Perlstein considera quelle preoccupazioni come ciniche e irrazionali manovre politiche, con scarso fondamento nella realtà. Tuttavia, i Venona Decrypts erano stati declassificati anni prima che Perlstein pubblicasse il primo dei suoi volumi e il flusso di studi accademici che se ne è occupato confermava in termini assoluti quelle affermazioni politiche così allegramente respinte da Perlstein. Nel 2019 ho raccontato le strane circostanze delle elezioni del 1940 e ho duramente criticato l’assoluta riluttanza di Perlstein a riconoscere tali fatti.
- FDR scelse Wallace come suo vicepresidente per il terzo mandato, forse per guadagnarsi il sostegno della potente fazione filo-sovietica tra i democratici. Conseguenza di ciò fu che, peggiorando progressivamente la salute di FDR nei quattro anni successivi, un individuo i cui consiglieri più fidati erano agenti di Stalin si trovò ad un battito di ciglia dalla presidenza USA.
- Per la forte pressione esercitata dai leader del Partito Democratico, Wallace fu sostituito alla Convention Democratica del luglio 1944 e fu Harry S. Truman a succedere alla presidenza quando FDR morì nell'aprile dell'anno seguente. Ma se Wallace non fosse stato sostituito o se Roosevelt fosse morto un anno prima, le conseguenze per il paese sarebbero state sicuramente enormi. Secondo dichiarazioni successive, il presidente Wallace avrebbe nominato Laurence Duggan come Segretario di Stato, Harry Dexter White al timone del Tesoro e presumibilmente vari altri veri e propri agenti sovietici avrebbero occupato tutti i nodi chiave al vertice del governo federale statunitense. Si potrebbe scherzosamente ipotizzare che i Rosenberg, in seguito giustiziati per tradimento, sarebbero stati messi a capo del nostro programma di sviluppo di armi nucleari...
- Analizziamo adesso i premiati volumi di storia politica che Rick Perlstein ha scritto a partire dal 2001, tracciando l'ascesa del conservatorismo statunitense dall'era pre-Goldwater fino alla presidenza di Reagan negli anni '70. La serie ha giustamente ottenuto ampi consensi per la grande accuratezza dei dettagli ma, stando agli indici, il totale combinato di quasi 2.400 pagine contiene solo due accenni superficiali e totalmente sprezzanti a Harry Dexter White all'inizio del primo volume, e nessuna voce per Laurence Duggan o, ancora più scioccante, per i "Venona". A volte ho detto scherzosamente che scrivere una storia del conservatorismo statunitense del dopoguerra senza concentrarsi su elementi così cruciali è come scrivere una storia del coinvolgimento degli USA nella seconda guerra mondiale senza menzionare Pearl Harbor.
- Quindi la realtà innegabile è che solo il decennio prima dell'inizio della narrazione di Perlstein, il controllo del governo federale statunitense era stato quasi preso da una rete di agenti stalinisti. Questi fatti non vennero affatto riportati dai media mainstream dell'epoca e sono altrettanto ampiamente ignorati oggi, quindi sia Perlstein che la maggior parte dei suoi recensori sembrano beatamente ignari di tutto ciò, o almeno cercano di fingere di esserlo. Ma erano ampiamente conosciuti, o almeno sospettati, dagli attivisti conservatori che sono i primi protagonisti della narrazione di Perlstein, e questo probabilmente contribuisce a spiegare la loro apparente "paranoia".
Così, Kennedy e Nixon entrarono al Congresso nel 1946, appena un paio di anni dopo che la conquista stalinista del governo federale degli Stati Uniti era stata evitata per un pelo. Questa realtà aiuta sicuramente a spiegare perché entrambi avessero opinioni così simili sulla seria minaccia della sovversione comunista nella società statunitense.
Inoltre, Perlstein, insieme a praticamente tutti gli altri storici, è rimasto assolutamente silenzioso su un'altra questione importante. Quando Nixon arrivò finalmente alla Casa Bianca nel 1968, la sua presidenza fu dominata in modo schiacciante dalla guerra del Vietnam e dai disordini interni che aveva scatenato nella società. Perlstein ovviamente disprezza Nixon, ma paradossalmente la sua estrema riluttanza a sfidare qualsiasi narrazione ufficiale lo ha indotto a nascondere ai suoi lettori il crimine più vergognoso commesso dal nostro 37° presidente, una decisione che divenne uno scandalo nazionale monumentale che è stato ignorato nell'ultimo mezzo secolo da tutti i nostri media tradizionali.
- Il nuovo presidente era alle prese con l’imponente movimento contro la guerra che aveva già fatto cadere il suo predecessore e ormai, dopo anni di combattimenti, pochi statunitensi avevano un'idea chiara del perché fossimo in Vietnam. Quindi, come racconta Perlstein, l'audace strategia di Nixon fu quella di stornare l'attenzione pubblica sul triste destino delle centinaia di prigionieri di guerra statunitensi tenuti prigionieri dai vietnamiti, come se il vero scopo del nostro impegno bellico fosse oramai quello di ottenere il ritorno dei militari catturati. Sebbene i nostri nemici vietnamiti affermassero di essere certamente disposti a restituire questi uomini come parte di un accordo di pace una volta che avessimo lasciato il loro paese, Nixon sosteneva il contrario e, in politica, l'emozione spesso prevale sulla logica, soprattutto quando l'emozione è sostenuta da chi controlla i media.
- Questo volume si conclude con la valanga di voti per la rielezione di Nixon nel 1972, e The Invisible Bridge, pubblicato nel 2014, inizia con la firma dell'accordo di pace. Un capitolo descrive il ritorno trionfale dei prigionieri di guerra del Vietnam in "Operazione Homecoming", e gran parte di un capitolo aggiuntivo è dedicato anch'esso allo stesso argomento. È ovvio che Perlstein disprezza profondamente Nixon e la strategia cinica e ingannevole da lui utilizzata per sfruttare la questione dei prigionieri di guerra ai danni dei suoi oppositori politici, continuando così una guerra che avrebbe potuto concludersi alle stesse condizioni già anni prima, ciò che avrebbe probabilmente salvato molte decine di migliaia di vite; ed è con evidente soddisfazione che l’autore è poi passato a raccontare del Watergate e della successiva caduta del Presidente. Ma la vera storia di ciò che è accaduto è stata probabilmente molto più oscura e cinica di quanto il nostro "Erodoto super caffeinato" volesse sospettare.
- Come ha sottolineato Perlstein, alla fine della guerra Nixon ha indicato il ritorno in sicurezza di tutti i nostri prigionieri di guerra come l’obiettivo nazionale primario, così l'intero paese si è rallegrato del trionfo della propria libertà quando iniziarono a rientrare nel 1973. Ma in realtà ci sono prove molto forti che solo una metà dei prigionieri di guerra siano stati restituiti, e che gli altri siano restati in una miserabile prigionia vietnamita mentre Nixon e i suoi complici sopprimevano questa verità per rivendicare disperatamente una vittoria, mano a mano che il crescente scandalo Watergate minacciava la loro sopravvivenza politica. I nostri media, sia all'epoca che nei decenni successivi, sono stati completamente complici nel nascondere questo dramma, uno degli episodi più vergognosi della storia statunitense e, piuttosto che chiarire la storia, Perlstein si è aggrappato alla narrazione standard, senza mai avanzare alcun dubbio, anche a costo di proteggere la reputazione di un presidente che detestava profondamente.
Questi passaggi sono tratti dalla mia lunga analisi della storia del movimento conservatore di Perlstein, di cui ho riconosciuto l’esaustività dei dettagli da lui forniti, ma ho anche rilevato le sorprendenti omissioni.
- American Pravda: An Authorized Political History of the 1960s and 1970s
- Ron Unz • The Unz Review • 5 dicembre 2022 • 10.000 parole
Sebbene molti funzionari governativi sapessero o sospettassero all’epoca questi fatti riguardanti i prigionieri di guerra abbandonati in Vietnam, essi sono stati raccontati solo diversi anni dopo dal vincitore del premio Pulitzer Sydney Schanberg, ex redattore di alto livello del New York Times e uno dei nostri principali reporter di guerra durante quel conflitto. Ho discusso la questione in numerose occasioni e gli osservatori competenti hanno di solito trovato le prove fornite nella ricerca fondamentale di Schanberg piuttosto convincenti, come ho raccontato in un articolo del 2016.
- Credo che le prove siano semplicemente schiaccianti per chiunque abbia una mente aperta, e il silenzio totale mantenuto dai nostri media sia l'unico modesto indizio contrario. Qualche mese fa ho fatto parte di un comitato sul segreto di Stato con Daniel Ellsberg, il cui ruolo nelle rivelazioni dei Pentagon Papers lo ha reso una delle più importanti voci statunitensi sul tema degli imbarazzanti segreti militari. Una parte importante del mio discorso si è concentrata sulle scoperte di Syd sui POW e sul modo in cui il governo e i media hanno collaborato con successo per tenere nascosta la storia per oltre quattro decenni. Ellsberg trovò queste affermazioni totalmente sbalorditive e, dicendo di non aver mai sentito una parola al riguardo, fu contento di portarsi a casa una copia dell'articolo e del materiale correlato. Al ricevimento della sera successiva, mi disse che le aveva lette attentamente ed era pienamente convinto che probabilmente era tutto vero.
- American Pravda: Was Rambo Right?
- Ron Unz • The American Conservative • 25 maggio 2010 • 1.300 parole
- John McCain and the POW Cover-Up
- Sydney Schanberg • The American Conservative • 25 maggio 2010 • 8.200 parole
- American Pravda: The Legacy of Sydney Schanberg
- Ron Unz • The Unz Review • 13 luglio 2016 • 3.500 parole
I principali scandali di Washington e le sciocchezzuole del Watergate
John F. Kennedy è morto più di sei decenni fa, dopo meno di tre anni di presidenza, e credo che la stragrande maggioranza degli statunitensi di oggi ricordi solo tre episodi della sua presidenza bruscamente interrotta: la fallita invasione di Cuba nella Baia dei Porci nel 1961, la crisi missilistica cubana del 1962 e, soprattutto, il suo scioccante assassinio alla fine del 1963.
Ma i ricordi su Richard Nixon, morto trent'anni fa nell'aprile del 1994, sono ancora di meno. E’ stato cinque volte nel ticket presidenziale alle elezioni statunitensi, vincendo quattro volte, e la sua rielezione a valanga del 1972 è stata una delle più nette nella storia statunitense. Ha ricoperto per otto anni la carica di vicepresidente e per quasi altri sei quella di presidente, tanto che per una intera generazione è stato uno dei repubblicani più potenti e influenti degli USA, e Matthews ha notato che il famoso editorialista liberal Murray Kempton ha persino definito gli anni '50 come "il decennio di Nixon". Durante la sua presidenza, Nixon ha creato l'Environmental Protection Agency, ha avviato l'Affirmative Action (un insieme di politiche e pratiche che miravano a favorire i gruppi emarginati, ndt) e ha posto fine alla leva e alla guerra del Vietnam. Le sue aperture diplomatiche alla Cina e all'Unione Sovietica hanno trasformato il panorama geopolitico del mondo e gli hanno permesso di negoziare gli accordi di controllo degli armamenti SALT e ABM e la Convenzione sulle armi biologiche. Ma oggigiorno sospetto che nove statunitensi su dieci lo ricordino solo per lo scandalo Watergate, che ha posto fine alla sua presidenza. Quel nome ha addirittura fornito un suffisso che è diventato il segno distintivo dei nostri successivi scandali politici come Koreagate, Irangate e, più di recente, Russiagate.
Nel 1995 Oliver Stone diede seguito all'enorme successo di JFK con un film biografico di tre ore su Nixon. Anche queto film è stato brillantemente diretto e interpretato, ed ha coperto l'intera vita e carriera di Nixon, inclusa la sua infanzia difficile con la madre quacchera profondamente religiosa e la morte per malattia di due dei suoi fratelli.
L'ascesa politica di Nixon e le sue storiche negoziazioni con la Cina e i sovietici hanno ricevuto un’importante copertura, ma il Watergate e la sua caduta sono state l’argomento dominante. Sfortunatamente, questi importanti eventi mancavano del dramma di un complotto cospiratorio che culminava nell'assassinio di un presidente, e forse per questo motivo il film ebbe molto meno successo di JFK e pare sia andato in perdita.
Tre anni dopo le dimissioni, Nixon fu convinto a rilasciare una lunga serie di interviste televisive al conduttore britannico David Frost, e il tema del Watergate dominò le negoziazioni che precedettero quell'accordo. Le controverse ammissioni di Nixon su quell'argomento furono ciò che attirò l'enorme interesse del pubblico, con un'audience televisiva di 45 milioni di persone, la più grande per qualsiasi intervista politica nella storia. Decenni dopo, quelle trattative divennero un'opera teatrale di successo del 2006 intitolata Frost/Nixon, seguita presto da un film del 2008 molto apprezzato con lo stesso nome, diretto da Ron Howard.
Lo scandalo Watergate e le udienze televisive del Senato che lo hanno svelato sono stati i primi grandi eventi politici interni che ho seguito da bambino. Anche alla mia giovane età, notavo che nessuna delle accuse sembrava molto seria rispetto alle sparatorie e ai complotti sanguinosi che erano così comuni nei film di spionaggio di fantasia e nei thriller televisivi che a volte guardavo. Ma poiché tutti i commentatori televisivi definivano i presunti crimini dell'amministrazione Nixon senza precedenti, per la minaccia terribile che avevano costituito per le nostre libertà costituzionali, mi sono lasciato convincere, pur se un po’ dubbioso. Pareva che il sistema politico statunitense fosse così insipido e immacolato che persino quelle piccole malefatte degli scagnozzi politici di Nixon e i suoi furtivi sforzi per nasconderle rappresentassero una macchia indelebile per il nostro onore nazionale.
Non ho mai letto nessuno dei libri sul Watergate, ma ho visto il film del 1974 vincitore dell'Oscar All the President's Men con Robert Redford e Dustin Hoffman, che ha consacrato Bob Woodward e Carl Bernstein come i giornalisti più famosi al mondo. Sebbene ricordi di averlo trovato un po' noioso all'epoca, il film ha avuto un discreto successo e, di solito, i film raggiungono un pubblico molto più vasto persino dei libri più venduti, costruendo in tal modo la nostra realtà storica condivisa. Quindi una o due settimane fa ho deciso di guardarlo di nuovo per la prima volta in mezzo secolo, e l'esperienza ha sicuramente valso i 3,99 $ che ho pagato ad Amazon Prime per il privilegio.
Woodward e Bernstein erano gli intrepidi reporter alle prime armi del Washington Post, abbastanza fortunati da ricevere la storia di un piccolo furto con scasso nella sede centrale del Democratic National Committee del Watergate. Quel piccolo filo alla fine ha permesso loro di sbrogliare l'intera presidenza di Nixon con l'aiuto di Deep Throat, la loro fonte segreta interna che li indirizzava regolarmente nella giusta direzione. Nel corso degli anni, il loro successo ha incoraggiato un'intera generazione di giovani statunitensi a entrare nel giornalismo nella speranza di cambiare il mondo e ottenere fama e ricompense.
La recitazione è eccezionale e la trama è buona ma, proprio come ricordavo, gli eventi che alla fine hanno fatto cadere l'amministrazione Nixon e mandato in prigione così tanti dei suoi funzionari di spicco sembrano ridicolmente banali. In una scena, Bernstein affronta l'avvocato Donald Segretti a casa, e questo sporco truffatore politico si mostra terrorizzato dalla possibilità che le rivelazioni dei media sulle sue attività per conto del presidente lo facciano radiare dall'albo e finire in prigione, proprio come accadde in seguito. Il cospiratore di Nixon si difende affermando di aver effettivamente fatto cose ben peggiori ai tempi delle elezioni universitarie alla USC, anni prima che un amico lo portasse nella campagna di rielezione presidenziale per ripetere i suoi sporchi trucchi su scala nazionale.
Sebbene il film sia stato candidato a otto Oscar e ne abbia vinti quattro, l'unico premio importante che gli è stato attribuito è stato quello di miglior attore non protagonista, vinto da Jason Robards, che ha interpretato il ruolo del direttore del Post Ben Bradlee. Come rappresentato nel film, Bradlee era inizialmente molto scettico sulla storia che i suoi giovani reporter stavano seguendo, dubitando che fosse abbastanza importante da giustificare una copertura pesante da parte del suo giornale. Tuttavia, Woodward e Bernstein hanno perseverato e gradualmente lo hanno conquistato, tanto che in seguito egli li ha sostenuti fino in fondo. L'eventuale caduta politica di Nixon ha quindi consacrato Bradlee come uno dei più potenti direttori statunitense, migliorando anche la reputazione del suo giornale, che si è unito al New York Times nel nostro firmamento mediatico. Solo l'anno precedente, il Times e il Post avevano entrambi resistito alle minacce legali dell'amministrazione Nixon pubblicando i Pentagon Papers, rivelando molti dei nostri imbarazzanti segreti nazionali sulla guerra del Vietnam.
Eppure, guardando il film a distanza di anni, mi sono reso conto che molte delle scene del film tra Bradlee e i suoi due giovani reporter sembrano quasi degli sketch politici satirici, contenenti paradossi al limite dell’assurdo. Ma quasi nessuno degli statunitensi che lo ha visto nel 1974 poteva accorgersene, perché ignorava quei fatti, e questo probabilmente rimane in gran parte vero ancora oggi.
A distanza di mezzo secolo, i dubbi di Bradlee sull'importanza di quel piccolo furto politico sono facili da comprendere per me. Per molti anni, uno degli amici più intimi di Bradlee era stato John F. Kennedy e, meno di un decennio prima, JFK era stato assassinato a Dallas. Ora sappiamo che la maggior parte degli amici e dei familiari stretti del presidente assassinato si convinse presto in privato che il presidente era stato vittima di una cospirazione, ma non disse mai una parola in pubblico, mentre il Post e tutti gli altri nostri organi di informazione proclamavano che un solitario e squilibrato uomo armato di nome Lee Harvey Oswald, ucciso subito dopo, ne era l'unico responsabile.
Bradlee sapeva anche che sua cognata, la deliziosa artista Mary Meyer, era stata l'amante molto influente di JFK e, meno di un anno dopo l'assassinio del presidente, anche lei era morta, uccisa a colpi di arma da fuoco in pieno giorno nelle strade del suo quartiere d'élite di Georgetown a Washington, senza che nessuno sia mai stato condannato per quel crimine. Meyer era l'ex moglie dell'alto funzionario della CIA Cord Meyer e, quando Bradlee andò a casa sua subito dopo l'omicidio, scoprì il capo del controspionaggio della CIA James Angleton che tentava di entrare, spiegando di essere alla ricerca del diario esplosivo di Meyer. Bradlee in seguito dichiarò di aver trovato quel diario e di averlo dato ad Angleton perché lo distruggesse.
Durante la campagna presidenziale del 1968, Robert Kennedy vinse le primarie della California, dove il vincitore prende tutto, e sembrò sul punto di conquistare la Casa Bianca, avendo detto ai suoi amici che uno dei suoi progetti più importanti sarebbe stato quello di rintracciare e punire i cospiratori che avevano ucciso suo fratello cinque anni prima. Ma poi anche lui fu improvvisamente colpito e ucciso, presumibilmente da un altro folle uomo armato solitario. Al momento delle conversazioni di Bradlee con Woodward e Bernstein nel 1972, l'editore si era probabilmente reso conto che anche RFK era stato vittima di una cospirazione, con l'autopsia ufficiale che rivelava che il proiettile mortale era stato sparato a bruciapelo, mentre l'uomo armato arrestato si trovava a diversi metri di distanza da lui.
Questi fatti segreti, tutti probabilmente noti a Bradlee, costituivano ovviamente elementi di una storia molto più drammatica e politicamente potente di tutti i meschini abusi e sporchi trucchi politici da matricola della campagna di rielezione di Nixon, ma nel 1972 nessuno di essi era mai stato ancora rivelato al mondo, né sulle pagine del Post né altrove. Quindi possiamo facilmente capire perché il potente direttore inizialmente mostrò così poco interesse per le misere scoperte di Woodward e Bernstein. In effetti, potrebbe aver sorriso tra sé dell’eccitazione dei suoi giovani reporter, pensando: "Potrei raccontarvi io di alcuni veri crimini politici..."
Mentre guidava i suoi giovani reporter del Watergate, il direttore del Post rimase in silenzio su tutti questi fatti importanti che la mia ricerca sull'assassinio di JFK ha portato alla mia attenzione negli ultimi dodici anni. Ma, solo pochi giorni fa, ho finalmente letto Mary's Mosaic di Peter Janney, un resoconto del 2012 sulla vita e il background dell'amante assassinata di Kennedy, che suggerisce che i segreti nascosti di Bradlee potessero comprendere fatti ancora più oscuri.
La famiglia di Janney era molto legata ai Meyer e, durante l'infanzia, il suo migliore amico era stato il figlio di Mary, Michael. Come Cord Meyer, anche il padre dell'autore era un ufficiale di alto rango della CIA, e questa è una delle ragioni del loro legame. Janney padre fu il primo a sapere della morte di Mary, e uno di coloro che portarono a spalla la bara al suo funerale. Quando Janney decise di scrivere il suo libro decenni dopo, più della metà delle sue 500 pagine si è concentrata sulla relazione di Mary con Kennedy, sul ruolo che la CIA sembra aver svolto nel complotto per l'assassinio del presidente e su come quei fattori combinati avessero portato all'omicidio di Mary l'anno successivo.
Mary era convinta che il suo amante presidente fosse stato vittima di una cospirazione, e venne assassinata appena tre settimane dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Warren, che ella aveva attentamente letto e annotato, confidando agli amici che si trattava di un ridicolo insabbiamento che sperava di aiutare a denunciare. Mentre faceva la sua solita passeggiata quotidiana in una zona appartata del suo quartiere d'élite di Georgetown, venne colpita in stile esecuzione, con un proiettile sparato a bruciapelo nella testa e un altro vicino al cuore. L'indagine di Janney sottolinea i gravi indizi che la morte di Mary fosse stata un omicidio su commissione della CIA, e uno dei testimoni che si trovavano nelle vicinanze e che venne interrogato dalla polizia era un ufficiale militare che operava sotto falsa identità, con numerosi indizi che fosse un agente dei servizi segreti e che probabilmente fosse proprio il killer.
Kennedy era un noto donnaiolo e l'elenco delle sue conquiste sessuali sia prima della presidenza che durante gli anni alla Casa Bianca è molto lungo, ma Janney sostiene con determinazione che la relazione con Mary Meyer rientrava in una categoria completamente diversa. Il suo background d’élite da costa orientale era lo stesso del presidente, con suo padre Amos Pinchot che era stato un'importante figura politica progressista vicina a Theodore Roosevelt, e Kennedy la conosceva dai tempi della scuola preparatoria un quarto di secolo prima. Sebbene a volte l'avesse corteggiata, lei aveva sempre respinto le sue avances fino a quando non avevano alla fine intrecciato una relazione nel 1960, dopo che lui aveva lanciato la sua campagna presidenziale.
Secondo una delle fonti dell'autore, il matrimonio molto pubblicizzato di Kennedy con Jackie stava andando male in quel momento, ma JFK si sentiva costretto a salvare le apparenze per non danneggiare le sue ambizioni politiche. Per contro, Mary era una delle pochissime donne che Jack avesse mai rispettato, in parte perché lei non aveva bisogno di nulla da lui, e, dopo la sua elezione alla Casa Bianca, Mary diventò infine una figura influente nella sua presidenza.
Tali affermazioni potrebbero essere facilmente liquidate come esagerazioni, ma Janney le ha supportate con interviste ad alcuni dei più stretti collaboratori politici di JFK, che hanno spiegato di aver regolarmente fatto entrare di nascosto Mary alla Casa Bianca, omettendo di annotare il suo nome nei registri ufficiali dei visitatori. Spesso la donna trascorreva del tempo con Kennedy nello Studio Ovale, a volte persino discutendo di politica e di questioni di sicurezza nazionale in compagnia dei suoi principali consiglieri. Un collaboratore senior ha affermato che Kennedy aveva accennato alla possibilità di divorziare da Jackie dopo aver lasciato l'incarico e di sposare invece la donna che conosceva da quando era adolescente.
Fin dalla sua giovinezza, Mary era sempre stata un'attivista impegnata per la pace e, durante i primi anni del suo matrimonio con Cord, lui aveva avuto opinioni molto simili, ricoprendo il ruolo di presidente del movimento United World Federalists, e furono proprio la conversione di quest’ultimo ad un anticomunismo radicale e la sua nomina ad un posto importante della CIA a mettere definitivamente in crisi il loro matrimonio. Pertanto, secondo molti dei suoi amici e confidenti, Mary cercò di usare la sua considerevole influenza su Kennedy per incoraggiarlo a lavorare per la pace nel mondo.
Quando uscì il libro di Janney, le varie recensioni che lessi ne citavano delle affermazioni che in molti casi mi lasciarono assai scettico. Tali citazioni privilegiavano i dettagli più scioccanti, come l'affermazione che Mary assumesse regolarmente LSD e che avesse convinto Kennedy a partecipare a tali sedute allucinogene, credendo che quelle esperienze avrebbero potuto conquistarlo alla causa della pace internazionale. Ma il libro di Janney pare fornire delle prove, il che spiegherebbe certamente i frenetici tentativi di Angleton e di altri di trovare il suo diario personale, contenente i dettagli delle sue esperienze con Kennedy.
Janney ha sostenuto con forza che Bradlee stesso avesse, da giornalista, a lungo collaborato strettamente con la CIA. Ha anche notato che, nel corso degli anni, il direttore del Post aveva ripetutamente cambiato versione su quando aveva appreso per la prima volta della morte della cognata e anche sul suo tentativo di perquisire la sua casa alla ricerca del suo diario. Ciò ha portato Janney a sospettare che Bradlee potesse aver avuto un ruolo nell'omicidio, o almeno nel successivo insabbiamento. Il padre dell'autore era stato il primo a sapere della morte di Mary Meyer, poi aveva informato sia Bradlee che il suo ex marito Cord e, decenni dopo, quando Janney ha analizzato attentamente la tempistica molto sospetta di quelle informazioni, è rimasto scioccato nel dover concludere che Janney padre sembrava pienamente coinvolto nel complotto della CIA che le aveva tolto la vita.
Sebbene non sia stata certamente provata in modo conclusivo, la maggior parte degli elementi di questo libro sembra ragionevolmente supportata da prove, e dunque la straordinaria storia che viene raccontata merita di essere tenuta in considerazione. Durante i primi anni '60, il presidente John F. Kennedy fu coinvolto in una relazione amorosa destinata a fallire con una donna che conosceva da quando erano adolescenti, la bella attivista per la pace Mary Meyer, che probabilmente lo introdusse all'uso dell'LSD. La loro relazione segreta finì in una terribile tragedia quando entrambi subirono morti violente per mano di cospiratori della CIA, forse coinvolgendo anche il cognato di lei, Ben Bradlee del Washington Post. Sicuramente questa trama della vita reale è scioccante e drammatica come qualsiasi thriller di spionaggio puramente immaginario prodotto da uno sceneggiatore di Hollywood, ma nessuno l'ha mai portata sullo schermo.
Il libro fornisce anche alcune importanti nuove informazioni riguardanti l'assassinio di JFK stesso. Il direttore della CIA John McCone era un fedele sostenitore di Kennedy e, subito dopo l'assassinio, fece consegnare la copia originale del filmato di Zapruder, che conteneva le riprese dell’attentato fatte da due agenti dei servizi segreti, al centro di analisi fotografica top secret della CIA, per un attento esame. L'esperto senior della CIA che ha eseguito quell'analisi è stato intervistato da Janney e ha dichiarato enfaticamente che ciò che avevano visto all'epoca differiva in modo cruciale dalla versione del filmato che è stata successivamente distribuita, con vari fotogrammi che sembravano essere stati rimossi o alterati. Il filmato originale mostrava prove inequivocabili di circa otto colpi, convincendo McCone che c'erano stati più tiratori.
Il Washington Post e la strana morte del suo editore
La storia di Mary Meyer e le circostanze in cui è morta non esauriscono di certo la lista di eventi drammatici che erano noti a Bradlee (e solo a pochi altri) al tempo del Watergate. Un'altra strana morte nel 1963 aveva colpito molto da vicino il direttore del Post, ma essa aveva preceduto piuttosto che seguito l'assassinio di JFK.
Qualche anno fa ho speso un quarto di dollaro per una copia di The Powers That Be, la magistrale storia del 1979 di David Halberstam su quattro dei principali imperi mediatici statunitensi, un lavoro di più di 750 pagine. Durante i lockdown per il Covid ho deciso di ampliare le mie conoscenze leggendo finalmente quel libro e ne sono stato ben ricompensato. Una delle figure centrali di Halberstam è Philip Graham, un nome che prima mi era sconosciuto, pur essendo l'uomo che ha creato il moderno Washington Post.
Nato nel Dakota del Sud e cresciuto a Miami, Graham era uno studente modello, fu direttore della Harvard Law Review e impiegato presso la Corte Suprema di Felix Frankfurter, poi militò per gran parte della Seconda Guerra Mondiale nell'OSS, il predecessore della CIA in tempo di guerra, lavorando direttamente alle dipendenze del generale Bill Donovan che dirigeva l'organizzazione.
Nel 1940 si sposò con una donna della famiglia proprietaria del Post, allora un giornale di Washington in difficoltà e in perdita, con molti meno lettori del Washington Star del pomeriggio, che dominava quel mercato. Divenne editore nel 1946 e, un paio di anni dopo, ricevette il 70% delle azioni di controllo dal suo riconoscente suocero, mentre alla moglie fu regalato il restante 30%.
Come racconta Halberstam, nel 1954 Graham riuscì a realizzare una difficile fusione del Post con il Washington Times-Herald, un altro quotidiano di Washington, e nel corso degli anni '50 rafforzò gradualmente il suo Post, appena ampliato, fino a farlo diventare il leader regionale, acquisendo anche varie stazioni radiofoniche e televisive. Bradlee, ex giornalista del Post, lavorava per la rivista Newsweek e, nel 1961, ne mediava con successo la vendita a Graham, sotto la cui proprietà divenne il principale rivale nazionale della rivista Time di Henry Luce, con Bradlee come direttore di Washington. Così, all'inizio degli anni '60, Graham possedeva e gestiva una delle sei più grandi aziende mediatiche del paese e quella che dominava il mercato di Washington, con Bradlee come uno dei suoi principali collaboratori.
Come magnate dei media di Washington, Graham naturalmente svolse un ruolo importante nel mondo politico, e fu uno stretto alleato di Lyndon Johnson, il più potente democratico della fine degli anni '50. Così, nel 1960, egli fu una delle figure chiave che riuscirono a convincere Kennedy a fare marcia indietro ed a nominare il suo detestato rivale Johnson come vicepresidente, una decisione che alla fine spianò la strada a LBJ verso la Casa Bianca.
Ma secondo Halberstam, nel corso dei successivi due anni Graham divenne un individuo profondamente tormentato, sempre più estraneo alla moglie Katharine e alla sua famiglia per metà ebrea, mentre si abbandonava a sconvolgenti scoppi di estremo antisemitismo, in particolar modo contro il suo defunto suocero. Graham aveva una storia di depressione maniacale e un problema di alcolismo, ma questi sviluppi peggioravano enormemente la situazione e presto scoppiò una lotta di potere al vertice del suo impero mediatico, con i dipendenti principali costretti a schierarsi con Phil o con la moglie Kat. Nel 1963 avviò anche una relazione con una delle sue dipendenti del Newsweek, dichiarando che intendeva divorziare dalla moglie e sposare lei.
Sebbene Halberstam non ne faccia menzione nel suo testo, esattamente durante questo stesso periodo scoppiava una guerra fredda politica tra i Kennedy e Lyndon Johnson. Graham era vicino ai Kennedy e ancora più vicino a LBJ e, in quanto proprietario dei principali media di DC, deve essere stato a conoscenza di questa difficile situazione, che sicuramente ha aggravato il suo stress personale.
Poi, nel giugno del 1963, Graham si rese protagonista di un episodio pubblico molto strano mentre partecipava a un'importante convention di editori in Arizona, salendo sul podio e rivelando ad alta voce al pubblico la relazione di Kennedy con Mary Meyer, mentre faceva anche molte altre affermazioni oltraggiose, denunciando anche l’insieme delle case editrici per essersi rifiutate di stampare la verità su questioni controverse. Graham fu subito bloccato, gli furono iniettati farmaci e venne riportato su un aereo del governo a Washington, dove fu rinchiuso in un istituto psichiatrico per diverse settimane e infine rilasciato dopo che le sue condizioni sembravano essere migliorate notevolmente.
Tuttavia, il 3 agosto 1963, ci fu forse una improvvisa ricaduta e il suo corpo venne trovato nella sua casa di campagna, morto per un colpo di fucile che pareva essersi autoinflitto, sebbene non avesse lasciato alcun biglietto.
Non molto prima del suo presunto suicidio, Graham aveva rivisto il suo testamento, lasciando il suo pacchetto di controllo del Post e del resto del suo impero mediatico all'amante che aveva intenzione di sposare, diseredando così completamente sua moglie e i suoi figli. Ma dopo un'aspra battaglia legale, quel testamento fu invalidato in quanto ritenuto viziato dalla sua malattia mentale, così il controllo del Post tornò alla famiglia che lo aveva originariamente detenuto, con la sua vedova e i suoi figli che ne rimasero proprietari ed editori per il successivo mezzo secolo.
Questa è certamente una storia molto strana e drammatica, molto più bizzarra di qualsiasi cosa sia avvenuta nel successivo scandalo Watergate ma, nonostante il suo enorme impatto sul nostro panorama mediatico, non ne avevo mai sentito parlare. Tuttavia, essendo all’epoca uno dei principali collaboratori di Graham, Bradlee deve aver sperimentato personalmente quella straziante corsa sulle montagne russe aziendali. Forse la malattia mentale improvvisa di Graham, il suicidio e il testamento invalidato si sono verificati esattamente come sostiene la narrazione di Halberstam, senza alcuna più oscura ragione né alcun collegamento con altri eventi. Ma si possono formulare anche altre ipotesi.
Nel riesaminare questo resoconto, alcune date mi sono saltate all'occhio. Nell'estate del 1963, i Kennedy avevano probabilmente già deciso di aizzare i loro amici dei media per distruggere Johnson, indagando e pubblicizzando i suoi numerosi crimini in Texas, quindi espellendolo dalle candidature del 1964 e mandandolo in prigione. Nel frattempo, il complotto per assassinare JFK era probabilmente in lavorazione, e Johnson era presumibilmente uno dei principali cospiratori, e ad aprile aveva annunciato la prossima visita di Kennedy a Dallas.
Graham controllava gli organi mediatici più potenti di Washington e una o entrambe le fazioni in competizione avrebbero potuto rivelargli dettagli sui loro piani, sperando di guadagnarsi il suo importante sostegno nella imminente resa dei conti. Ciò ovviamente avrebbe messo l'editore in una posizione estremamente stressante e forse persino pericolosa, soprattutto se fossero sorti timori che la sua instabilità mentale potesse portarlo a rivelare quei segreti al campo avversario. Si potrebbe persino ipotizzare che il suo nuovo testamento, che lasciava il suo impero mediatico alla sua amante e diseredava sua moglie e la sua famiglia, fosse stato concepito come una sorta di polizza assicurativa per proteggere la sua vita, che è però fallita quando quel testamento è stato invalidato.
Come minimo, ho trovato piuttosto strana la coincidenza che l'assassinio di Kennedy sia avvenuto appena tre mesi dopo che il più potente proprietario dei media di Washington era stato ucciso con un colpo di fucile.
La storia della strana scomparsa di Graham mi incuriosiva e decisi di cercare altre informazioni.
Dopo la morte di Graham e il successo legale della sua vedova Katharine che era riuscita a invalidare il suo testamento, quest’ultima ottenne il pieno controllo del vasto impero mediatico che il marito aveva creato. All'inizio degli anni '70, i trionfi gemelli dei Pentagon Papers e dello scandalo Watergate resero il Post uno dei giornali più importanti del mondo, attirando naturalmente l'attenzione sulla persona che lo controllava, una figura di spicco nella società di Washington che era anche una delle donne più ricche e potenti del mondo. Mi sono imbattuto in riferimenti ad una controversa biografia di Katharine Graham pubblicato alla fine degli anni '70 e ho deciso di leggerlo.
Anche se la campagna sul Watergate del Post era riuscita a scacciare Nixon dalla Casa Bianca, una giovane giornalista investigativa di nome Deborah Davis iniziò a scrivere Katharine the Great, la biografia non autorizzata della proprietaria del Post. All'inizio del 1978 Harcourt Brace Jovanovich, un importante editore, acquistò i diritti e preparò una grande campagna di marketing per quello che sperava sarebbe diventato un grande best-seller. Ma Katharine Graham venne a conoscenza del progetto e fu estremamente insoddisfatta del contenuto, minacciando l'editore di intentargli una feroce causa per diffamazione mentre schierava tutti i suoi amici e alleati nei media per bollare il libro in uscita come "spazzatura" fraudolenta. A causa di questa forte pressione, Harcourt abbandonò il libro e ne distrusse decine di migliaia di copie che aveva già stampato, violando i termini del contratto firmato con l'autore e provocando un'aspra e lunga battaglia legale.
Davis ha raccontato la storia della soppressione del suo libro nell'introduzione di un'edizione successiva, pubblicata da un editore diverso e ora disponibile anche in una copia PDF pubblicata su Internet. Leggere il resoconto della feroce censura che ha dovuto affrontare mi ha fatto pensare che il testo fosse pieno di materiale esplosivo, tutto accuratamente documentato.
Purtroppo, sono rimasto piuttosto deluso dalla lettura del libro. Gran parte del testo è dedicato a una narrazione piuttosto noiosa del background familiare di Katharine prima del suo matrimonio con Philip. Nonostante la loro enorme importanza, non vi è alcuna menzione degli assassinii dei fratelli Kennedy degli anni '60, per non parlare della bufala dei killer solitari e, ugualmente, non c’è alcun cenno alla morte di Philip Graham. E, nonostante questo ovvio sforzo di rifuggire dalle controversie cospirative, il testo è privo di quasi tutte le note a piè di pagina, rendendo molto difficile giudicare la credibilità delle numerose affermazioni fatte su affari o altre questioni. La qualità complessiva della narrazione e della scrittura sembra piuttosto mediocre e anche l'assenza di qualsiasi indice ne limita l'utilità.
Al contrario, la copertura di questi stessi eventi nel libro di Janney pubblicato più di tre decenni dopo sembra di gran lunga superiore. Pare che Mary Meyer sia stata sempre stata molto scettica sul fatto che Graham si fosse effettivamente suicidato, e lo stesso Janney nutriva seri dubbi, rivelando persino che una fonte aveva contattato Davis, dicendole che Graham era stato assassinato, ma l'autrice non si era preoccupata di dare seguito a tale suggerimento. In effetti, Janney ha detto che in un'intervista successiva del 1992, Davis affermò che molti pensavano che Katharine Graham avesse organizzato l'uccisione di suo marito o forse che "qualcuno le aveva detto, 'non preoccuparti, ce ne occuperemo noi'". Davis ha accuratamente omesso tutte queste pericolose affermazioni nel suo libro del 1978 e nella successiva edizione del 1991, quindi Janney ha fornito più informazioni sulle vere opinioni di Davis di quante lei stessa ne abbia fornite nel suo libro. Bisogna ammettere che Janney ha scritto molti anni dopo, quando tali questioni erano probabilmente diventate molto meno delicate, mentre Davis potrebbe aver fatto i salti mortali per ottenere che il suo libro venisse pubblicato e promosso da una delle principali testate giornalistiche tradizionali.
In seguito è emerso anche che, per molti anni, Graham aveva fornito un forte supporto mediatico alla CIA nei suoi vari progetti di propaganda ma, qualche tempo dopo il fiasco della Baia dei Porci, aveva denunciato pubblicamente quell'organizzazione per la sua manipolazione dei giornalisti, quindi forse il suo comportamento insensato nel 1963 aveva sollevato forti preoccupazioni sugli enormi danni che avrebbe potuto causare se avesse rivelato tali segreti, portando così alla sua morte. Janney ipotizza che Katharine Graham abbia stretto un "patto faustiano" con elementi della CIA, promettendo di onorare tutti gli accordi che suo marito aveva precedentemente stretto, in cambio dell'ottenimento della completa proprietà e del controllo sulle sue proprietà mediatiche, e questo mi sembra ragionevolmente plausibile.
Il governo dell'Impero romano era famoso per i suoi omicidi e i suoi complotti segreti e ho aperto questo articolo suggerendo che la vera storia politica dei moderni Stati Uniti potrebbe essere stata a volte più vicina a quel mondo di quanto la maggior parte di noi vorrebbe ammettere. Janney sembra aver tratto conclusioni simili, aprendo ogni capitolo del suo libro con lunghi passaggi dalla famosa drammatizzazione della BBC di Io,Claudio, una serie traboccante di omicidi, colpi di Stato e mortali intrighi politici che hanno caratterizzato i regni degli imperatori Augusto, Tiberio, Caligola e Claudio.
Proveniente da una famiglia di comunisti, Carl Bernstein aveva sempre avuto difficoltà al Post e lasciò il giornale solo un paio di anni dopo il suo trionfo del Watergate. Pubblicò presto un lunghissimo articolo di prima pagina di 28.000 parole nel 1977 sulla rivista Rolling Stone che rivelava il rilevante ruolo della CIA nell'influenzare la copertura mediatica negli USA, incluso il suo lungo coinvolgimento nel Post e nel Newsweek, pur citando anche varie smentite.
- Quando Newsweek fu acquistata dalla Washington Post Company, l'editore Philip L. Graham venne informato dai funzionari dell'Agenzia che la CIA usava occasionalmente la rivista per scopi di copertura, secondo fonti della CIA. "Era ampiamente noto che Phil Graham era qualcuno da cui si poteva ottenere aiuto", ha detto un ex vicedirettore dell'Agenzia. "Frank Wisner aveva a che fare con lui". Wisner, vicedirettore della CIA dal 1950 fino a poco prima del suo suicidio nel 1965, era il principale orchestratore delle operazioni "nere" dell'Agenzia, in molte delle quali erano coinvolti giornalisti. Wisner amava vantarsi del suo "potente Wurlitzer", un meraviglioso strumento di propaganda che costruiva e suonava con l'aiuto della stampa. Phil Graham era probabilmente il più caro amico di Wisner. Ma Graham, che si suicidò nel 1963, sembrava sapere poco dei dettagli di eventuali accordi di copertura con Newsweek, hanno detto fonti della CIA.
The CIA and the Media (La CIA e i media)
How Americas Most Powerful News Media Worked Hand in Glove with the Central Intelligence Agency and Why the Church Committee Covered It Up (Come i media più potenti d'America hanno lavorato a stretto contatto con la Central Intelligence Agency e perché il comitato Church lo ha insabbiato)
Carl Bernstein • Rolling Stone • 20 ottobre 1977 • 28.000 parole
La CIA ha chiamato il suo progetto mediatico Operation Mockingbird e ho trovato questo importante pezzo di giornalismo investigativo di Bernstein molto più interessante e importante di qualsiasi suo lavoro sui trucchi politici sporchi di individui come Donald Segretti. È anche piuttosto intrigante che Frank Wisner, l'alto funzionario della CIA responsabile delle interferenze nei media statunitensi, si sia presumibilmente suicidato con un fucile da caccia nel 1965, appena due anni dopo che il suo più caro amico, il proprietario ed editore dell'impero mediatico del Washington Post, aveva fatto esattamente la stessa cosa. E come ho discusso nel 2018, l'anno dopo la morte di Wisner la CIA ha lanciato una campagna mediatica di successo per screditare la crescente convinzione che l'assassinio di Kennedy fosse stato frutto di una cospirazione:
- Secondo Talbot, « verso la fine del 1966, stava diventando impossibile per i media dell’establishment attenersi alla storia ufficiale » e il 25 novembre 1966, un numero del magazine Life, all’epoca al massimo della sua influenza nazionale, aveva come titolo di copertina « Oswald ha agito da solo ? », concludendo che probabilmente non era stato così. Il mese successivo il New York Times annunciò la formazione di un gruppo di lavoro speciale per indagare sull’assassinio. Questi elementi dovevano fondersi col furore mediatico che circondò l’inchiesta del procuratore Garrison che cominciò l’anno successivo, e che vide Lane come partecipante attivo. Tuttavia, dietro le quinte, venne contemporaneamente lanciato anche un potente contrattacco mediatico.
- Nel 2013, il professor Lance deHaven-Smith, ex presidente della Florida Political Science Association, ha pubblicato “Conspiracy Theory in America”, un’affascinante esplorazione della storia del concetto e delle probabili origini dell’espressione stessa. Ha osservato che nel 1966 la CIA si era allarmata per il crescente scetticismo nazionale a proposito delle conclusioni della Commissione Warren, specialmente quando il pubblico cominciò a nutrire sospetti sulla stessa agenzia di informazioni. Di conseguenza, nel gennaio 1967, gli alti responsabili della CIA distribuirono un memo a tutte le loro agenzie locali, chiedendo loro di attivare i loro media e i loro contatti con l’élite, per confutare queste critiche con diversi argomenti, soprattutto insistendo sulla circostanza della ritenuta approvazione dei risultati della Commissione Warren da parte di Robert Kennedy.
Lo scandalo Watergate è stato un “colpo di Stato silenzioso”?
Così, quando il caporedattore del Post parlava coi suoi giovani e impazienti reporter del Watergate, era a conoscenza di storie e scandali politici molto più drammatici di qualsiasi cosa loro stessero cercando di scoprire, e lui stesso potrebbe essere stato personalmente coinvolto in alcuni di essi. Ma si rendeva conto che, se il suo giornale avesse mai pubblicato qualcosa di quel materiale, sarebbe stato sicuramente subito licenziato e inserito in una lista nera permanente, forse con il serio rischio di vedere la sua stessa vita stroncata come era successo a Mary Meyer e Philip Graham.
Sebbene le interpretazioni possano differire, la maggior parte dei fatti che ho finora discusso sembrano solidamente documentati. Ma poiché la storia che raccontano non è mai diventata il soggetto di un grande film di Hollywood, solo una fetta di statunitensi ne è oggi a conoscenza.
In realtà potrebbe farsene un bel film di satira, in stile Monty Python, che contrapponga tutti questi drammatici omicidi politici e le lotte di potere mortali alle intricate trivialità dello scandalo Watergate, mentre i seri reporter che ne seguono la cronaca rimangono beatamente ignari delle enormità che si verificano tutt'intorno a loro. Mi vengono in mente le prime scene della commedia horror nera britannica del 2004 Shaun of the Dead in cui il pigro e svogliato protagonista dell'East End continua a vivere la sua vita di routine a Londra, totalmente ignaro della furiosa apocalisse zombie che sta travolgendo la sua città, anche se i mostri famelici stanno attaccando e divorando molti dei pedoni nelle sue vicinanze.
È innegabilmente vero che quando Woodward e Bernstein incontravano Bradlee nel corso delle loro periodiche conferenze editoriali e si scambiavano notizie dei loro successi e delle loro battute d'arresto, il veterano editore era a conoscenza di enormi segreti che non poteva rivelare loro. Eppure, stranamente, è anche molto probabile che Woodward stesso conoscesse alcuni segreti importanti che teneva nascosti a Bradlee e a Bernstein, il suo socio di scrittura.
Nel 1991 ricordo di aver visto sui giornali una discussione su un nuovo best-seller nazionale di un paio di autori sconosciuti che pretendevano di aver ribaltato la storia consolidata dello scandalo Watergate. Il loro libro sosteneva che la caduta politica di Nixon era stata orchestrata da elementi intransigenti del nostro establishment della sicurezza nazionale, indignati per la sua apertura alla Cina e all'Unione Sovietica, molti dei quali consideravano il tentativo di porre fine alla Guerra Fredda come un terribile tradimento ideologico. Non solo il coinvolgimento di Nixon e dei suoi principali collaboratori nei crimini era stato minimo, ma John Dean, il whistleblower che divenne uno dei pochi eroi della storia, era stato in realtà uno dei principali criminali, personalmente responsabile dell'irruzione che diede il via al caso e una figura centrale nella successiva campagna di stampa.
Le poche recensioni e valutazioni che ho letto di Silent Coup: The Removal of a President di Len Colodny e Robert Gettlin erano molto negative e presentavano il libro come una cospirazione disonesta e assurda, quindi anche io mi sono fatto convincere, anche per il mio disinteresse di allora per la storia statunitense moderna, e non ho mai pensato di leggerlo. Ma il titolo mi è rimasto impresso e, quando ne ho trovato una copia in una vendita di libri usati, l'ho comprato per $ 0,25, e poi l'ho letto un paio di anni fa. Ho gradualmente scoperto che quelle che i media tradizionali avevano ridicolizzato e bollato come una lunga serie di teorie complottiste erano in realtà molto più plausibili di quanto mi aspettassi, e anche questo libro rientrava in questa categoria.
Ciò che chiamiamo scandalo Watergate comprende una vasta raccolta di diversi crimini politici e di abusi commessi dall'amministrazione Nixon e dal suo apparato elettorale, con dettagli piuttosto complessi e confusi, soprattutto per qualcuno come me che non ha mai indagato attentamente sul caso. Non conosco a sufficienza la storia del Watergate per poter dire se la narrazione offerta da questa ricostruzione degli eventi sia più plausibile di quella ortodossa che ha contestato, ma la maggior parte delle prove sembra piuttosto ben documentata seppur di natura circostanziale. Gli autori hanno lavorato al loro progetto per sette anni, confrontando e analizzando attentamente l'enorme massa di testimonianze del Congresso, i nastri di Nixon e numerose memorie personali, integrando il tutto con oltre 150 interviste registrate di quasi tutti i principali protagonisti. La mia edizione tascabile è lunga oltre 600 pagine, comprese le appendici, e penso che la loro analisi meriti molta più attenzione di quanta ne abbia ricevuta nei trent'anni e passa da quando è apparsa per la prima volta sulla scena.
Il libro di Colodny/Gettlin è diviso in tre sezioni principali che si concentrano sulle diverse importanti scoperte che gli autori affermano di aver fatto, in un certo senso scollegate tra loro.
Il libro esordisce con un’ampia documentazione sul fatto sorprendente che, nel 1971, l'amministrazione Nixon scoprì di essere stata infiltrata da una grande rete di spie organizzata dai massimi vertici militari statunitensi, guidata dall'ammiraglio Thomas Moorer, presidente del Joint Chiefs of Staff. Nixon e il consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger progettavano prima un'apertura politica alla Cina e poi all'Unione Sovietica, per rimescolare la mappa geopolitica a vantaggio degli USA e anche per negoziare una conclusione più favorevole alla guerra del Vietnam. Essi sapevano che gran parte dei vertici del Pentagono era composta da intransigenti anticomunisti della Guerra Fredda che avrebbero potuto opporre una forte resistenza e temevano che, se avessero tenuto informato il Pentagono, qualcuno avrebbe potuto silurare i negoziati in una fase delicata, magari con fughe di notizie ai media, quindi mantennero il loro progetto completamente segreto.
Tuttavia, una volta che i vertici del Pentagono si resero conto di essere tenuti all'oscuro, ordinarono ad alcuni ufficiali militari che lavoravano alla Casa Bianca di iniziare una massiccia operazione di spionaggio, rubando o copiando segretamente migliaia di documenti da consegnare ai Joint Chiefs. Sebbene sia possibile che questo genere di cose possa essere accaduto anche in passato, la portata dell'operazione sembrava del tutto senza precedenti.
Questa rete di spie militari fu scoperta per puro caso nel dicembre 1971, quando uno dei suoi agenti chiave fu sottoposto alla macchina della verità con l'errato sospetto che potesse essere responsabile di una fuga di notizie relativa a fatti diversi, e la risposta di Nixon fu astuta e calcolata. Rendendosi conto che la divulgazione di questo scandalo avrebbe messo in luce il suo aspro conflitto con la leadership militare e danneggiato le sue possibilità di rielezione, decise di sopprimere il caso e, anziché punire o licenziare Moorer, in seguito lo nominò per un secondo mandato come massimo ufficiale militare statunitense, contando sul fatto che sarebbe stato sottoposto ad un controllo politico molto maggiore.
Sebbene gli autori non lo menzionino, diversi anni prima Moorer si era indignato per il perfido insabbiamento da parte del presidente Johnson dell'attacco israeliano del 1967 alla USS Liberty, in cui erano morti o rimasti feriti più di 200 militari statunitensi, e quell'incidente precedente potrebbe spiegare in parte la sua ostilità verso le politiche di Nixon/Kissinger. Inoltre, solo un paio di anni dopo che la sua operazione di spionaggio era stata interrotta, egli si indignò anche per l' abbandono da parte di Nixon di centinaia di prigionieri di guerra statunitensi in Vietnam, pur evitando di manifestare i suoi sentimenti, probabilmente per il forte ricatto cui il presidente lo aveva sottoposto.
Il risentimento nutrito dagli ufficiali militari coinvolti nello spionaggio della Casa Bianca trapela in un'intervista che gli autori hanno condotto con uno dei partecipanti chiave molti anni dopo. Quando gli è stato chiesto quale fosse lo scopo del progetto, ha spiegato: "Beh, far cadere Nixon. In realtà, sbarazzarsi di Kissinger: Kissinger mandava a monte tutto". Questi ufficiali militari consideravano gli sforzi di Nixon e Kissinger per porre fine alla Guerra Fredda quasi come un tradimento.
Un aspetto importante del caso, sottolineato dagli autori ma probabilmente non portato all'attenzione di Nixon, è l’evidenza che il generale Alexander Haig, allora un importante collaboratore di Kissinger e in seguito capo dello staff di Nixon, potrebbe essere stato associato a quell'operazione di spionaggio militare, o almeno potrebbe esserne stato discretamente a conoscenza. Se così fosse, le lealtà politiche di Haig potrebbero essere state fortemente contraddittorie fin da una fase molto precoce.
Quest'ultimo punto è correlato a uno degli elementi più drammatici e assai controversi del libro. Gli autori sostengono ampiamente che il background personale di Woodward e il suo ruolo nello scoppio dello scandalo Watergate potrebbero essere stati molto diversi da quanto presentato nella narrazione mediatica standard.
Woodward proveniva originariamente da una famiglia repubblicana molto di destra, con il suo discorso di inizio anno scolastico che traeva molto da Conscience of a Conservative di Barry Goldwater, ma ha sempre affermato che i suoi anni a Yale lo avevano influenzato in senso molto più liberal sulla guerra del Vietnam e altre questioni. Tuttavia, le lunghe interviste condotte dagli autori negano radicalmente questa trasformazione ideologica ed evidenziano anche che, prima di arruolarsi in Marina, Woodward era stato ammesso in una delle società segrete più elitarie di Yale, che spesso funge da canale per il reclutamento delle agenzie di intelligence. Contrariamente alle affermazioni di Woodward, secondo cui il suo servizio militare era stato monotono e molto noioso, egli in realtà risulta essersi molto appassionato al lavoro di intelligence e che si sia offerto volontario per rimanere un altro anno, tanto era entusiasta dei suoi incarichi, parte dei quali svolti "nel seminterrato della Casa Bianca".
Il ruolo di Woodward era quello di un informatore d'élite dell'intelligence, che forniva informazioni cruciali a funzionari importanti, tra cui sia l'ammiraglio Moorer che il generale Haig. Come Robert Sherrill spiegò nella sua eccellente recensione del 1991 su The Nation:
- Per due anni (1969 e 1970), “dopo aver informato Moorer alle nove del mattino… Woodward si recava spesso negli uffici del seminterrato occidentale della Casa Bianca, portando con sé i documenti di Moorer, e poi li consegnava e informava Alexander Haig sulle stesse questioni che aveva precedentemente riferito a Moorer”.
Niente di tutto questo sarebbe particolarmente esplosivo, se non fosse che Woodward ha ripetutamente negato questi stessi fatti. Citando per esteso la recensione di Sherrill:
- Quando Colodny e Gettlin intervistarono Woodward per questo libro, lui affermò di non aver mai incontrato o parlato con Haig fino alla "primavera del 1973", tre anni dopo aver lasciato la Marina e un anno dopo lo scoppio dello scandalo Watergate. Inoltre, negò con veemenza di essere mai stato un briefer: "Non lo ero", disse. "Non è mai successo. Ti sto guardando negli occhi. Hai delle cattive fonti". Andò oltre: "Ti sfido a produrre qualcuno che dice che ho fatto un briefing". Colodny e Gettlin ne produssero diversi. L'ammiraglio Moorer disse che Woodward era uno dei suoi briefer e "certo, certo", aveva anche informato Haig. L'ex segretario alla Difesa Melvin Laird disse a Colodny e Gettlin: "Sì, ero a conoscenza del fatto che Woodward era un informatore di Haig", e Jerry Friedheim, che era stato l'assistente di Laird, era d'accordo. Roger Morris, che fu membro dello staff del NSC di Kissinger fino alle sue dimissioni per protestare contro l'attentato in Cambogia (e che in seguito divenne il più eminente biografo del Nixon pre-Watergate), sostiene che Woodward "conosceva bene Al Haig e che in quei primi giorni aveva fatto avanti e indietro nel West Basement".
Come nota Sherrill, uno degli aspetti più sconcertanti del Watergate è stato il fatto che un reporter alle prime armi come Woodward abbia potuto avere accesso immediato alla fonte estremamente informata nota come Deep Throat, le cui informazioni hanno avuto un ruolo centrale nel risolvere il caso e quindi far cadere l'amministrazione Nixon. Ancora una volta, vale la pena citare l'acuta osservazione di Sherrill:
- Una delle domande più sconcertanti del giornalismo moderno è: come ha fatto Bob Woodward a trovare quella fonte di informazioni onniveggente, onnisciente e interna che ha presentato al mondo come Deep Throat? Come ha fatto Woodward a ottenere il contatto? Perché una fonte come Deep Throat avrebbe accettato di far esplodere le sue bombe informative tramite qualcuno come Woodward, che a quel tempo era una semplice recluta al Washington Post ! La sua unica precedente esperienza giornalistica era stata in un settimanale suburbano del Maryland.
Se Woodward aveva lavorato per anni informando personalmente Haig quotidianamente alla Casa Bianca, ma poi ha negato con aria colpevole di averlo mai conosciuto all'epoca o addirittura di essere stato un informatore, ciò indica certamente che il suo rapporto personale con Haig era un fatto cruciale che cercava di tenere nascosto. Se ci lascia anche perplessi la capacità del reporter in erba ad acquisire la fonte segreta di alto livello nota come Deep Throat dopo aver lavorato solo per pochi mesi al Post , è plausibile che quei due segreti possano essere strettamente collegati.
Sulla base di questi fatti, non sorprende affatto che gli autori sospettino fortemente che, anche se Gola Profonda fosse stata semplicemente una fonte composita, uno dei suoi componenti individuali più importanti potrebbe essere Haig. E se l'uomo che in seguito divenne il capo dello staff di Nixon fosse stato effettivamente una fonte centrale nell'indagine Watergate che fece cadere il presidente e lo rimosse dall'incarico, il loro titolo di "Colpo di Stato silenzioso" non sembra ingiustificato.
Il Watergate iniziò come un furto maldestro negli uffici del DNC e senza quella scintilla iniziale nessuno dei successivi insabbiamenti o indagini mediatiche vi sarebbe stato, quindi le macchinazioni di Gola Profonda, che fosse Haig o qualcun altro, non sarebbero mai entrate in gioco. Gli autori affermano che le origini di quella piccola effrazione e del successivo insabbiamento erano in realtà molto diverse da quanto si è ampiamente creduto.
Nella narrazione convenzionale, i ladri erano stati inviati dal Procuratore generale John Mitchell a intercettare i telefoni dell'ufficio del Presidente del DNC Larry O'Brien, nella speranza di ottenere informazioni politiche da usare contro i Democratici. Ma gli autori sostengono che questa teoria sembra contraddetta dalla planimetria degli uffici, dai telefoni che i ladri intendevano intercettare e dalla posizione della loro vedetta. Invece, sostengono, ci si proponeva di raggiungere un risultato completamente diverso, vale a dire di intercettare i telefoni del DNC che venivano regolarmente utilizzati per contattare una rete locale di ragazze squillo, con l'intercettazione telefonica mirata a ottenere informazioni sessuali compromettenti sui Democratici. E credono che il giovane consigliere di Nixon, John Dean, fosse in realtà la figura chiave responsabile dell'operazione di intercettazione.
Dean, che in seguito divenne uno dei grandi beneficiari pubblici dello scandalo Watergate, era allora un giovane avvocato promettente poco più che trentenne, desideroso di affermarsi nell'amministrazione Nixon e convinto che trovare informazioni compromettenti su importanti democratici fosse un ottimo modo per raggiungere tale obiettivo.
Secondo gli autori, la ragazza di Dean all'epoca, che in seguito sarebbe diventata sua moglie, aveva lavorato part-time per quella rete di ragazze squillo e la sua compagna di stanza ne era la madama. Quindi, basandosi sulle storie che aveva sentito personalmente, l'ambizioso giovane avvocato decise di organizzare un controllo e ottenere il genere di informazioni imbarazzanti sui democratici che lo avrebbero reso un eroe per i suoi colleghi repubblicani più anziani.
Non avendo l'autorità personale per avviare tali azioni, finse di trasmettere le direttive dei suoi superiori, poi andò nel panico quando i ladri furono catturati e tentò di organizzare un insabbiamento usando lo stesso metodo. Trattandosi di azioni illegali, non si poteva pretendere che gli ordini fossero dati per iscritto, e quindi fu facile per un subordinato fidato come Dean di prendere le decisioni da solo fingendo di essere un mero esecutore, senza che nessuno mettesse in dubbio le sue affermazioni. Questo genere di sporchi trucchi rispondevano al principio del need-to-know (bisogno di sapere), e quindi nessuno nell'amministrazione Nixon si meravigliò eccessivamente di un piano di furto con scasso al DNC o dei successivi tentativi di insabbiamento.
Dean era un individuo giovane e del tutto sconosciuto, mentre i media e i democratici del Congresso detestavano Nixon e i suoi principali collaboratori, così fu poi facile per Dean scaricare tutte le sue colpe sui superiori, salvandosi così la pelle e diventando un eroico informatore del Congresso e dei media e, tramite loro, della maggior parte del popolo statunitense e dei libri di storia.
Mentre gli autori elaboravano questa ricostruzione alternativa degli eventi, varie personalità informate del Watergate come Mitchell e Gordon Liddy dichiararono di trovarla piuttosto plausibile, rafforzandola con informazioni aggiuntive. Ovviamente può essersi trattato di giudizi interessati e certamente non vi sono prove decisive, ma gran parte di questa ricostruzione sembra adattarsi ai fatti meglio della narrazione convenzionale.
Pertanto, secondo lo scenario proposto da Silent Coup , vi è stata la convergenza di due fatti tra loro estranei, per far cadere l'amministrazione Nixon.
Per motivi personali e di carriera, un giovane ma ambizioso collaboratore di Nixon di nome John Dean autorizzò il furto con scasso e il successivo tentativo di evitare che fosse scoperto. Quindi coinvolse i suoi superiori nell’azione di insabbiamento e alla fine li gettò in pasto ai lupi quando le indagini del Congresso e dei media si avvicinavano troppo. Un opportunismo e una slealtà così marcati sembrano fin troppo comuni tra molte persone che fanno parte del mondo politico.
Poi, una volta che il crimine fu commesso e il tentativo di insabbiamento avviato, un individuo ben informato che voleva far cadere l'amministrazione Nixon, probabilmente per ragioni ideologiche e che aveva avuto una precedente relazione con Woodward (Haig sembra un ottimo candidato), iniziò a fornire al giornalista gli indizi e le informazioni di cui aveva bisogno per smascherare e far cadere l'intera presidenza di Nixon.
Per chi fosse interessato a una ragionevole illustrazione del libro da parte dei suoi autori, consiglierei la loro intervista di un'ora su C-Span condotta da Brian Lamb:
- Silent Coup: The Removal of a President (Colpo di Stato silenzioso: la rimozione di un presidente)
- Len Colodny e Robert Gettlin • C-Span Booknotes • 25 giugno 1991 • 59m
Questa intervista e molto altro materiale relativo al libro e alle prove alla base della sua ricostruzione sono disponibili su un sito web creato dagli autori, comprese le copie PDF di molti capitoli.
Il secondo insabbiamento del Watergate?
Molte delle affermazioni fatte in Silent Coup sono certamente sorprendenti, ma sembrano per lo più ben documentate e ragionevolmente plausibili. Il libro è diventato un enorme bestseller nazionale nel 1991, quindi mi ha stupito un po’ il fatto che abbia avuto un impatto così modesto sulle convinzioni consolidate dell’opinione pubblica sul Watergate nei 33 anni trascorsi dalla sua pubblicazione. Ciò dimostra in parte la massiccia forza di inerzia delle narrazioni radicate, anche quando vengono messe in dubbio da migliori ricostruzioni alternative.
Ho sottolineato la mia scarsa competenza in merito al complesso argomento del Watergate, ma un bel po' di persone competenti sembrano aver condiviso la mia valutazione molto positiva del libro Colodny/Gettlin al momento della sua pubblicazione.
Roger Morris è stato un autorevole componente dello staff della sicurezza nazionale durante le amministrazioni Johnson e Nixon, poi è diventato un noto storico e autore che ha vinto premi giornalistici ed ha scritto numerosi libri, ivi comprese opere su Kissinger, Haig e Nixon. È rimasto tanto colpito dall'analisi di Silent Coup, da offrire un contributo con una prefazione che ne sostiene convintamente le tesi e ne loda la capacità di aver resuscitato la "storia nascosta" di quell'epoca.
Il giornalista investigativo Robert Sherill ha ampiamente scritto sul Watergate e raccomando vivamente la sua lunga recensione su The Nation, una pubblicazione che difficilmente si potrebbe definire amica di Nixon, mentre Robert Scheer, un altro critico acuto di Nixon, ha preso la stessa posizione sul Los Angeles Times. Nel frattempo, il Prof. Herbert Parmet, noto storico e autore di sette libri, tra cui uno su Nixon, ha pubblicato la sua valutazione molto favorevole su National Review. Il sito Web associato al libro contiene commenti favorevoli di numerosi altri giornalisti e accademici.
I link online sono raccolti per un comodo accesso:
- Prefazione di Roger Morris
- Recensione di Robert Sherill, The Nation , 7 ottobre 1991
- Recensione di Robert Scheer, The Los Angeles Times , 23 giugno 1991
- Recensione del Prof. Herbert Parmet, National Review , 12 agosto 1991
Per quasi due decenni, il Watergate è stato considerato uno degli eventi politici decisivi della recente storia statunitense, e la sua storia è stata raccontata in molte migliaia di libri e articoli, così come in un film di successo che ha reso Woodward e Bernstein i giornalisti più famosi del mondo, ma ora Silent Coup ha cercato di capovolgerla. Stando così le cose, ho trovato abbastanza notevole che questo nuovo libro abbia rapidamente suscitato reazioni così convintamente favorevoli da parte di noti esperti, le cui opinioni sono apparse su organi di stampa di tutto lo spettro ideologico, che vanno da Nation a National Review. Ciò mi avrebbe sicuramente impressionato all'epoca se ne fossi venuto a conoscenza.
Ma sfortunatamente, quando il libro fu pubblicato nel 1991, non leggevo se non saltuariamente quei giornali, quindi nessuna delle recensioni favorevoli è giunta alla mia attenzione e, a parte un'importante eccezione, tutte le numerose pubblicazioni che leggevo ignorarono completamente il libro, portandomi a supporre vagamente che fosse solo opera di pazzi.
Un fattore importante dietro questo diffuso silenzio mediatico è stato probabilmente un articolo del critico dei media del Washington Post, uscito appena un giorno dopo la pubblicazione del libro, che lo denunciava come fraudolento e diceva che Moorer negava di aver mai parlato con gli autori. Quel duro attacco è stato distribuito alle centinaia di organi di informazione negli USA che erano abbonati al servizio di notizie Times-Post e ha sicuramente avuto un impatto devastante. Tuttavia, come ha osservato Sherrill nella sua recensione, l'intervista a Moorer era stata registrata e gli autori avevano già distribuito parti della trascrizione nel corso della loro conferenza stampa, quindi Moorer ha dovuto ritrattare le sue smentite. Ma il Post non ha mai fatto alcuna rettifica.
Avevo tuttavia letto il New York Times Book Review, che aveva pubblicato una lunga ed estremamente negativa recensione del Prof. Stephen Ambrose , uno storico già autore di una biografia di Nixon in due volumi. La dura critica di Ambrose è arrivata subito dopo l'uscita del libro e probabilmente ha contribuito a screditarlo agli occhi di molti, incluso il mio. Ma come Sherill ha sottolineato nella sua discussione qualche mese dopo, Ambrose aveva contattato gli autori un paio di anni prima, chiedendo di scambiare informazioni sulla questione e, dopo essere stato respinto, ha avvertito che, in quanto storico rispettato, avrebbe potuto fare la differenza per il loro progetto.
Quando il loro libro uscì, Ambrose era vicino a pubblicare il terzo e ultimo volume della sua trilogia su Nixon, fortemente incentrata sul Watergate, e se la narrazione di Silent Coup fosse stata accettata, il suo lavoro ne avrebbe negativamente risentito, quindi si impegnò immediatamente a screditare il libro, ricorrendo ad accuse spesso completamente errate. Una volta che il Times fu informato di questi fatti, i redattori aggiunsero una nota spiegando che si erano pentiti di aver assegnato la recensione ad Ambrose, ma da allora in poi hanno semplicemente ignorato il libro, e il redattore del Times Book Review ha persino minacciato l'editore del libro di rappresaglie quando la notizia del loro grave errore iniziò a circolare.
(Nonostante questo imbarazzo, il Prof. Ambrose sembra essere diventato la scelta preferita del Times per attaccare libri controversi che sfidano le narrazioni accettate sugli eventi storici. Meno di otto mesi dopo, sulla scia del film JFK di Oliver Stone, Ambrose pubblicò una lunga recensione di 4.000 parole in cui denunciava e ridicolizzava l'ondata di libri di enorme successo che contestavano le conclusioni della Commissione Warren, sostenendo che l'assassinio di Kennedy era stato opera di una cospirazione. Ambrose ha sparato critiche anche su diverse altre teorie "cospiratorie".)
I due giornali più potenti degli USA erano il Times e il Post, e la loro precoce ed estremamente negativa copertura di Silent Coup influenzò fortemente la reazione del resto dei media, probabilmente portandoli a respingere il libro e ciò spiega come mai io non l'ho quasi mai visto menzionato nelle pubblicazioni che leggevo.
Il Post aveva costruito la sua reputazione sulla copertura del Watergate e sul suo successo nel cacciare Nixon dalla carica, e se la storia del Colpo di Stato silenzioso fosse stata sostanzialmente corretta, si sarebbe dimostrato che il giornale era stato solo lo strumento di una cospirazione politica. Il Watergate aveva reso Bob Woodward il giornalista più famoso d'America e Ben Bradlee il direttore più famoso, e la teoria avanzata da Colodny e Gittlin minacciava di distruggere la loro reputazione, quindi non sorprende che loro e i loro amici abbiano fatto disperati tentativi di strangolare quella nuova narrazione sul nascere. Anche il Times aveva pubblicato un oceano di importanti storie sul Watergate nei precedenti vent'anni e la rivelazione dei suoi errori di valutazione sarebbe stato un'enorme macchia nera sulla sua reputazione, resa ancora più imbarazzante dal fatto che la verità era stata portata alla luce da un paio di sconosciuti.
La mia edizione tascabile del 1992 di Silent Coup contiene un poscritto di 25 pagine opportunamente intitolato "Proteggere il mito: il Washington Post e il secondo insabbiamento del Watergate" che discute in modo molto dettagliato questo tentativo di sopprimere il libro e toglierli ogni capacità di impatto.
Ad esempio, Mike Wallace e Sixty Minutes avevano entusiasticamente deciso di fare uno show su Silent Coup e, dopo che un produttore aveva per diversi giorni rivisto il materiale e le prove, Wallace aveva intervistato i due autori in una suite di un hotel di New York City, ottenendo ore di riprese che sarebbero poi state confluite in un segmento di quindici minuti per uno dei programmi televisivi più visti negli USA. Ma la pressione del Post, forse al più alto livello aziendale, alla fine ha bloccato il progetto nonostante l'entusiasmo di Wallace, e gli autori hanno ragionevolmente ipotizzato che il CEO del Post, Katharine Graham, potrebbe aver fatto pressioni sul suo amico personale CEO della CBS, Larry Tisch.
La rivista Time, il principale settimanale statunitense, aveva acquistato i diritti per pubblicare un estratto di 12.000 parole in un articolo di prima pagina, ma anch’essa si è poi tirata indietro, in parte perché Bernstein era nel loro staff ed era intensamente ostile al progetto. Anche un gran numero di altri giornalisti e redattori statunitensi di successo avevano investito la loro intera carriera nella narrazione tradizionale del Watergate.
Fu esercitata una grande pressione sul programma Good Morning America della ABC per cancellare il segmento di intervista sul libro, ma i produttori rimasero fermi e gli autori ritengono che quei 25 minuti di messa in onda in uno show nazionale di alto livello possano essere stati un fattore cruciale per il successo del libro, che fu presto spinto dall'enorme interesse per le interviste radiofoniche e televisive locali, che ammontarono a più di cento. Ma sebbene le vendite alla fine raggiunsero centinaia di migliaia di copie, rendendo il libro un enorme best-seller nazionale, i primi attacchi del Post e del Times avevano prevenuto il tipo di ondata mediatica d'élite che era necessaria per sradicare e sostituire con successo una narrazione storica radicata.
Uno dei motivi per cui trovo questo resoconto degli autori così credibile è che una dozzina di anni prima Katharine Graham e il Post avevano intrapreso azioni molto simili, sopprimendo con successo il libro di Deborah Davis. La differenza principale questa volta era che il libro di Colodny/Gettlin era di gran lunga superiore a quello di Davis in termini di qualità, le sue affermazioni erano documentate in modo esaustivo e approfondito e il suo argomento centrale era molto più sostanziale e importante. Questi fattori, più una certa dose di fortuna, hanno permesso a Silent Coup di sopravvivere al furioso assalto del Post e di diventare immediatamente un enorme bestseller nazionale, anche se sfortunatamente non è riuscito a scalzare la narrazione standard del Watergate.
Watergate e la CIA
Ho trovato l' analisi di Silent Coup piuttosto convincente ma, nonostante gli ampi riferimenti alla CIA, esso sembra avere attribuito a quest’ultima un ruolo marginale nei fatti del Watergate. Tuttavia, penso che sia abbastanza possibile che il suo coinvolgimento possa essere stato molto maggiore.
Come ho detto, i crimini e gli abusi che costituirono il Watergate sono in realtà piuttosto banali rispetto ad altri di quell'epoca, e questo resta vero, siano stati orchestrati da John Mitchell piuttosto che da John Dean. Eppure il megafono mediatico del Washington Post li ha gonfiati fino a renderli talmente drammatici da portare alle dimissioni di un presidente e all'incarcerazione di molti dei massimi funzionari della sua amministrazione. Penso che dovremmo chiederci perché il Post e il resto dei media nazionali si siano rivoltati contro Nixon per aver fatto cose che erano in realtà piuttosto blande rispetto alle azioni di altri presidenti o dell'FBI di J. Edgar Hoover.
Se tutti i funzionari pubblici di Chicago accettano tangenti ma solo uno di loro viene arrestato e processato, quest’ultimo potrà essere colpevole o meno, ma comunque resta da chiedersi perché sia stato scelto proprio lui per essere punito.
Come abbiamo visto in precedenza, il Post sembra aver sempre operato sotto la pesante influenza della CIA e ha regolarmente promosso o eliminato storie su richiesta di quell'organizzazione. Se davvero il Post avesse volontariamente insabbiato tutti gli eventi drammatici che abbiamo richiamato più sopra, c’è da chiedersi perché non abbia fatto lo stesso con un furto con scasso di terz’ordine come il Watergate. Ma, sebbene Bradlee inizialmente avesse preso quella posizione, cambiò presto idea. Potremmo ipotizzare che la CIA abbia avuto un ruolo in quella decisione.
Silent Coup ha dimostrato che la dirigenza del Pentagono era estremamente sospettosa dell'apertura di Nixon alla Cina e ai sovietici, e qualcuno potrebbe essersi spinto fino a forzarne le dimissioni per questo motivo. E se questi erano i sentimenti che ispiravano i leader del Pentagono, forse anche alcuni intransigenti della CIA la pensavano allo stesso modo. Sembra che ci siano molte prove che i rapporti di Nixon con la CIA non fossero buoni, e i suoi capi spesso si rifiutavano di eseguire le sue direttive.
Ma Nixon era stato per più di due decenni una figura di spicco nella politica di Washington e conosceva segreti importanti che, a suo avviso, gli avrebbero conferito un potere assoluto su quell'organizzazione, qualcosa che i suoi dirigenti detestavano profondamente e consideravano come una minaccia.
Subito dopo l'arresto dei ladri del Watergate, Nixon disse al suo capo dello staff Bob Haldeman di parlare con il direttore della CIA Richard Helms e ricordargli che, se l'indagine sul Watergate fosse continuata, il coinvolgimento dell'ex agente della CIA Howard Hunt avrebbe potuto far riaprire "tutta la questione della Baia dei Porci". Haldeman era molto perplesso, perché la fallita invasione della Baia dei Porci era avvenuta più di un decennio prima e non era certo una questione scottante, ma fece come gli era stato detto e rimase scioccato quando Helms reagì gridandogli "Non ho alcuna preoccupazione per la Baia dei Porci". Haldeman in seguito concluse che "tutta la questione della Baia dei Porci" era una frase in codice per indicare l'assassinio di JFK e la consapevolezza o il forte sospetto di Nixon che Hunt e altri membri della CIA fossero coinvolti nell’uccisione di Kennedy.
Tentare di ricattare un'organizzazione potente come la CIA è un passo rischioso da fare anche per un presidente USA, ed è possibile che Helms abbia deciso di vendicarsi facendo in modo che i suoi subalterni dell'Operazione Mockingbird incoraggiassero discretamente il Post ad occuparsi maggiormente del Watergate per indebolire o colpire l'amministrazione Nixon. Come i suoi omologhi del Pentagono, Helms potrebbe anche essere stato molto insoddisfatto delle iniziative di politica estera di Nixon nei confronti della Cina e dell'URSS, quindi questo potrebbe aver rafforzato la sua determinazione.
Il film JFK di Oliver Stone del 1991 sostenne che i piani di Kennedy di porre fine alla Guerra Fredda portarono alla sua morte per mano di estremisti, tra cui elementi della CIA. Il suo film Nixon del 1995 conteneva una potente scena in cui il presidente incontrava Helms e i due si scontravano sulle medesime questioni della Guerra Fredda, ed Helms avrebbe perfino alluso al fatto che Nixon avrebbe dovuto tenere a mente la lezione del suo predecessore assassinato.
Ci sono anche alcuni ragionevoli sospetti che il coinvolgimento della CIA nel Watergate potrebbe essere stato molto più diretto e sostanziale di quanto ho suggerito. Molti dettagli del fallito furto con scasso sembrano assai sospetti e le figure chiave coinvolte nell'incidente avevano un passato nella CIA. Se la dirigenza del Pentagono avesse gestito una rete di spie all'interno della Casa Bianca e avesse cercato di far cadere Nixon, è forse accaduto che le spie professioniste della CIA avessero avviato delle azioni parallele lungo linee diverse, infiltrandosi e sabotando le operazioni illegali dell'amministrazione Nixon, con l’intento di utilizzare lo scandalo giudiziario che ne sarebbe conseguito per rimuovere quel presidente di cui non condividevano le politiche.
Sebbene non abbia indagato a fondo questa possibilità, una parte di un video che ho trovato di recente riassume in modo eccellente le considerevoli prove circostanziali a sostegno di questa teoria.
Come ho spiegato all'inizio della mia discussione, sebbene Kennedy e Nixon siano ampiamente considerati agli antipodi, avevano intrattenuto per gran parte della loro carriera politica rapporti piuttosto amichevoli e le loro politiche estere e interne non erano in realtà così diverse. Come presidenti, entrambi hanno tentato di ridurre le tensioni con i nostri avversari della Guerra Fredda e hanno incontrato una forte opposizione da parte di elementi intransigenti del nostro establishment della sicurezza nazionale, sia del Pentagono che della CIA.
Sembrano esserci prove schiaccianti che tali divergenze politiche abbiano portato alcuni elementi della CIA a essere coinvolti nell'assassinio di Kennedy e che un decennio dopo, situazioni simili abbiano portato il Pentagono e forse i sostenitori della linea dura della CIA a svolgere un ruolo importante nella rimozione di Nixon con mezzi meno letali. Quindi, sebbene i nostri media e i nostri libri di testo standard abbiano glorificato la presidenza di un uomo e vilipeso quella dell'altro, ci sono in realtà sorprendenti somiglianze agli occhi di chi esamini i fatti molto più da vicino. Kennedy e Nixon entrarono entrambi al Congresso nel 1946 e combatterono una battaglia eccezionalmente serrata per la Casa Bianca nel 1960. Sebbene entrambi fossero stati conosciuti come ferventi anticomunisti della Guerra Fredda, una volta in carica orientarono la loro politica estera in una direzione diversa e, in parte per questo motivo, pagarono il prezzo della rimozione dall'incarico, sebbene i mezzi impiegati siano stati piuttosto diversi.
Molti di coloro che hanno indagato sull'assassinio di JFK hanno concluso che esso equivaleva a un colpo di Stato, la cui evidenza è stata tenuta nascosta dai nostri media, e penso che lo stesso si possa dire della rimozione di Richard Nixon un decennio dopo, sebbene il colpo di Stato sia stato silenzioso, e abbia utilizzato mezzi giudiziari.
Ho aperto questo pezzo citando diversi paragrafi che avevo pubblicato quasi sei anni fa, sottolineando che, fino ad una dozzina di anni prima, avevo considerato la storia statunitense moderna troppo insipida e noiosa da studiare, in netto contrasto con gli infiniti colpi di Stato politici e gli assassinii degli imperi romano ed ellenistico. Sebbene numerose morti altamente sospette di importanti personaggi statunitensi sembrano avere accompagnato l'assassinio di JFK del 1963, una serie ancora più notevole di tali morti misteriose si era verificata subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, ed erano state oggetto di quell'articolo precedente.
- Tra coloro che cominciano a diffidare delle notizie fornite dai media dell’establishment, c’è una naturale tendenza a diventare sospettosi e a vedere complotti e insabbiamenti anche dove non ci sono. La morte improvvisa di una personalità politica di primo piano può essere considerata come un atto criminale, anche se si è trattato di un fatto naturale o accidentale. «Qualche volta un sigaro non è un sigaro». Ma quando un certo numero di queste persone muore in un lasso di tempo sufficientemente breve, e vi sono prove schiaccianti che almeno alcuni di questi decessi non sono dovuti alle ragioni alle quali sono sempre state attribuite, la cosa diventa avvero sospetta.
- Io non credo che una lista paragonabile a questa possa essere fatta in Gran Bretagna, in Francia, in URSS o in Cina nello stesso periodo. In uno dei film di James Bond, l’agente 007 dice che «Una volta è il caso, due volte è coincidenza, tre volte è azione nemica». E io penso che sei casi simili in pochi anni dovrebbero insospettire anche i più prudenti e i più scettici.
- I leader stranieri indignati per gli errori internazionali distruttivi degli USA hanno talvolta detto che il nostro paese ha un’enorme potenza fisica, ma ha un élite politica tanto ignorante, credulona e incompetente, da cadere facilmente sotto l’influenza di potenze straniere senza scrupoli. Noi siamo una nazione col corpo di un dinosauro, ma controllato dal cervello di una pulce.
- Il dopoguerra degli anni 1940 ha certamente segnato l’apogeo della potenza economica e militare degli USA. Sembra però che in quegli stessi anni un vario insieme di assassini sovietici, britannici e sionisti abbiano avuto libertà di azione sul nostro suolo, eliminando coloro che ritenevano un ostacolo ai loro interessi nazionali. In tutto questo tempo, quasi tutti gli Statunitensi sono rimasti beatamente incoscienti, abbeverandosi alla nostra «Pravda statunitense».
- Pravda statunitense: gli strani decessi della storia statunitense del dopoguerra
- Ron Unz • www.ossin.org • 3 luglio 2019
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