Iraq. Gli Stati Uniti vogliono creare uno Stato sunnita vassallo nella parte ovest del paese
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La guerra in Medio Oriente, 26 gennaio 2020 - Mentre i partiti sciiti iracheni premono perché le truppe statunitensi lascino il paese, Washington vorrebbe creare uno Stato autonomo intorno ad Anbar, per mantenere la sua presenza e contrastare l’Iran (nella foto, un soldato USA in Iraq)
Middle East Eye, 23 gennaio 2020 (trad.ossin)
Iraq. Gli Stati Uniti vogliono creare uno Stato sunnita vassallo nella parte ovest del paese
Suadad al-Salhy
Mentre i partiti sciiti iracheni premono perché le truppe statunitensi lascino il paese, Washington vorrebbe creare uno Stato autonomo intorno ad Anbar, per mantenere la sua presenza e contrastare l’Iran
Messi all’angolo e in crisi di influenza, gli Stati Uniti hanno lavorato, nel corso delle ultime settimane, a un piano che mira a creare una regione sunnita autonoma nella parte ovest dell’Iraq, hanno dichiarato responsabili di entrambi i paesi a Middle East Eye.
Questi ultimi affermano che l’iniziativa degli Stati Uniti è una conseguenza dei tentativi dei partiti sciiti di espellere le truppe statunitensi dal paese.
L’Iraq costituisce un ponte terrestre strategico tra l’Iran e i suoi alleati in Siria, in Libano e in Palestina.
L’istituzione di una zona cuscinetto sunnita sotto controllo USA nella parte ovest dell’Iraq impedirebbe all’Iran di utilizzare le rotte terrestri verso la Siria e di avere accesso alle rive orientali del Mediterraneo.
Per Washington, l’idea di ritagliarsi una regione sunnita risale a una proposta fatta nel 2007 da Joe Biden, attuale candidato alla nomination per il Partito democratico.
L’obiettivo, all’epoca, era di rafforzare il controllo statunitense sull’Iraq e assicurare la protezione dei sunniti mentre infuriava la guerra civile settaria del 2006-2008, nel corso della quale sono stati massacrati decine di migliaia di iracheni innocenti appartenenti sia alla comunità sciita che a quella sunnita.
Ma la contrarietà alla divisione dell’Iraq secondo linee settarie ed etniche, e la propensione degli USA per l’unità del paese, hanno rinviato la realizzazione del progetto fino ad oggi.
Le attuali richieste di ritiro delle truppe statunitensi hanno adesso ridato un senso al progetto, e la creazione di una regione sunnita costituisce oggi una delle opzioni di cui Washington dispone per contrastare la pressione iraniana, ha dichiarato a MEE un alto responsabile sciita iracheno, che ha chiesto di restare anonimo.
L’unità dell’Iraq «non è più una priorità per gli Stati Uniti», ha dichiarato il responsabile sciita.
«Se gli Statunitensi si ritroveranno in una impasse per quanto riguarda la presenza delle loro forze in Iraq, tenteranno di mettere in esecuzione questo progetto».
Un ex responsabile statunitense bene al corrente del progetto ha confermato che gli USA hanno cominciato a «tirarlo fuori dal cassetto e metterlo sul tavolo».
«La creazione di una regione sunnita è sempre stata una opzione per gli Stati Uniti. Non possono consentire che gli Iraniani abbiano accesso al Mar Mediterraneo o possano servirsi del ponte terrestre che li collega a Hezbollah» in Libano, ha detto a MEE l’ex responsabile statunitense.
«Il progetto è statunitense, non sunnita. La presenza delle forze USA è stata una garanzia per i sunniti e i Curdi, dunque se gli Stati Uniti dovessero lasciare l’Iraq, la creazione di una regione sunnita nell’Iraq occidentale sarà il loro piano per frenare l’Iran e le sue armi in Medio Oriente», ha aggiunto.
«In ballo qui è la creazione di uno Stato, non di una regione amministrativa».
Tensione al massimo
Dopo l’invasione statunitense del 2003, l’Iraq è uno dei maggiori focolai di conflitto tra Washington e Teheran.
Ma le tensioni sono culminate il 3 gennaio, quando un attacco di droni statunitensi a Bagdad ha ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani e Abou Mahdi al-Mouhandis, numero due dell’organizzazione paramilitare irachena Hachd al-Chaabi (Unità di mobilitazione popolare).
L’assassinio di Soleimani, che era responsabile delle operazioni di terra iraniane in Medio Oriente, e di Mohandis, che ha creato la maggior parte delle fazioni armate sciite del paese ed era una specie di «padre spirituale» per i combattenti, ha scioccato l’Iraq.
I responsabili politici sciiti iracheni e alcuni dei loro alleati sono stati indotti dalle pressioni delle fazioni armate a votare in Parlamento una legge che pone termine a diciassette anni di presenza militare statunitense nel paese.
Per quanto non vincolante, il voto del 5 gennaio sull’espulsione delle forze straniere dal paese ha inviato un messaggio forte.
L’assenza di deputati sunniti e curdi in Parlamento ha posto in evidenza la fragilità delle relazioni esistenti tra i dirigenti sunniti e i loro alleati sunniti appoggiati dall’Iran. La gran parte dei deputati che si sono astenuti hanno lasciato Bagdad, andandosene a Erbil (nel nord dell’Iraq) o ad Amman (in Giordania) per timore di rappresaglie.
I recenti sviluppi in Iraq hanno riproposto altre opzioni, prima tra tutte la creazione di una regione sunnita autonoma, hanno dichiarato a MEE alcuni deputati sunniti.
Appena giunti a Erbil e ad Amman, alcuni responsabili politici sunniti hanno incontrato omologhi statunitensi presenti in loco per «discutere delle opzioni possibili», riferiscono nostre fonti.
Nelle prime ore dell’8 gennaio, l’Iran ha attaccato due basi militari irachene che ospitano truppe statunitensi, una nella parte ovest dell’Iraq, l’altra a nord, con missili balistici che non hanno provocato alcuna vittima.
Meno di 24 ore dopo, il segretario di Stato aggiunto per gli affari del Medio Oriente, David Schenker, è andato a Erbil, senza passare per Bagdad, dove ha incontrato il principale alleato degli Stati Uniti, l’ex presidente del Governo regionale del Kurdistan, Massoud Barzani, oltre a un certo numero di altri responsabili curdi.
Per quanto i successivi comunicati pubblicati dagli Stati Uniti non menzionino alcun incontro con dirigenti sunniti a Erbil, molte fonti hanno confermato che il segretario di Stato aggiunto, e anche il console generale statunitense a Erbil, Steven Fagin, hanno avuto incontri con un certo numero di responsabili politici sunniti «per discutere delle conseguenze della decisione del Parlamento, delle minacce cui sono esposti i sunniti e delle opzioni per fronteggiare questi due ordini di problemi».
Lo stesso giorno, Schenker si è recato negli Emirati Arabi Uniti. Ha detto più tardi di avere incontrato «per caso» il presidente del Parlamento iracheno Mohammed al-Halbousi, «che si trovava lì per pura coincidenza».
Dopo l’incontro con Schenker, Halbousi ha avuto diverse riunioni con dirigenti sunniti di primo piano negli Emirati Arabi Uniti, tra il 9 e il 10 gennaio.
«L’idea di istituire una regione sunnita è stata una reazione al tentativo delle forze sciite di assumere decisioni cruciali senza il consenso dei sunniti», ha dichiarato a MEE un deputato iracheno che ha partecipato alle riunioni negli Emirati Arabi Uniti, e che vuole restare anonimo.
«La rivendicazione di una nostra propria regione non risponde a logiche settarie, ma ha un carattere amministrativo e mira a sviluppare le nostre province», ha precisato.
«I partecipanti hanno concordato su questa idea, riservandosi di renderla pubblica al momento opportuno».
Secondo Halbousi, che è attualmente il più potente alleato sunnita dell’alleanza parlamentare al-Binaa, appoggiata dall’Iran, e che ha ottenuto il suo posto proprio grazie a questo appoggio, un piano del genere non è stato oggetto di alcuna discussione e tanto meno di un accordo.
Alcuni dirigenti della coalizione di Halbousi, tuttavia, affermano di subire pressioni da parte di partner politici desiderosi di realizzare il piano, e di essere esposti a molte tentazioni.
«I colloqui su questo argomento sono ininterrotti e aumentano di frequenza col passare del tempo», ha dichiarato a MEE Abdullah al-Khirbeit, deputato sunnita ai alto rango e stretto alleato di Halbousi.
«Se diciamo che vogliamo una decentralizzazione in Iraq, la cosa può essere fattibile. Ma il federalismo o una confederazione non sono accettabili per noi, significherebbe una spartizione dell’Iraq».
La mappa
Nessuno dei dirigenti e responsabili sunniti e sciiti interpellati da MEE ha una idea precisa dei dettagli del progetto.
Dicono tutti che sono solo idee e che non si dispone di alcuna informazione chiara circa le eventuali frontiere della regione, il numero di province che includerebbe e il meccanismo previsto per risolvere i problemi che sorgerebbero.
E’ però perfettamente chiaro che il progetto sarà avviato a partire dalla provincia di Anbar e includerà poi le province di Ninive e Salah ad-Din, oltre a una parte della provincia di Diyala.
La regione sunnita proposta sarà per prima cosa creata in conformità con le previsioni della Costituzione irachena, che consente la formazione di altre regioni amministrative accanto al Kurdistan.
La regione sarà poi temporaneamente annessa al Kurdistan in forma federale o confederale, «per evitare conflitti tra sunniti e Curdi per Kirkouk e altre zone contestate», secondo un alto dirigente sunnita.
L’ultimo passo, ad avviso di MEE, sarà di far riconoscere questa regione a livello internazionale.
Sostegno saudita e degli Emirati
Gli Stati arabi del Golfo alleati degli Stati Uniti, con in testa l’Arabia saudita e gli Emirati Arabi Uniti, sostengono e finanziano questo progetto, hanno detto a MEE alcuni dirigenti e responsabili sciiti e sunniti.
«Il finanziamento è pronto, la pressione internazionale è in atto e la forza militare c’è, perché questa regione venga creata», ha dichiarato un alto dirigente sunnita bene informato.
«Né l’Iran, né le forze sciite potranno opporsi al progetto, perché esso è sostenuto dagli Stati Uniti e dagli Stati del Golfo», ha aggiunto.
«Sono in gioco enormi somme di denaro e investimenti da parte degli Stati sunniti; il deserto di al-Anbar sarà trasformato in un’oasi verde e le regioni distrutte di Mosul e di Salah ad-Din saranno ricostruite. A chi importa il petrolio?»
Tutti gli occhi concentrati sulle proteste
Dal 1° ottobre, Bagdad e nove province a maggioranza sciita sono scosse da manifestazioni antigovernative che reclamano la fine della corruzione, le dimissioni del governo e elezioni anticipate sulla base di una nuova legge elettorale che limiti l’influenza dell’Iran.
In reazione, le forze di sicurezza irachene e taluni gruppi armati sostenuti dall’Iran hanno lanciato una forte repressione contro i manifestanti, i militanti e i giornalisti, provocando circa 500 morti.
I governatorati a maggioranza sunnita non sono stati investiti da queste manifestazioni, nel timore che potessero essere sfruttate dalle fazioni sciite per giustificare una repressione violenta.
Peraltro, se la maggior parte dei responsabili politici sunniti hanno mantenuto il silenzio sulle proteste, le popolazioni sunnite hanno mostrato generalmente simpatia verso la causa dei manifestanti sciiti.
Secondo i fautori di una spartizione dell’Iraq, i responsabili politici sunniti sarebbero seriamente convolti in questa discussione e aspetterebbero di vedere come vanno a finire queste manifestazioni, prima di decidere il da farsi.
«Le riunioni si susseguono e tutti i dirigenti sunniti vi partecipano. Ma pubblicamente lo smentiscono, attendendo che si realizzino condizioni favorevoli», ha dichiarato a MEE un dirigente sunnita bene informato.
Se i manifestanti riusciranno a ottenere la formazione di un governo nazionale che si preoccuperà di tutte le comunità irachene, allora i sunniti rinunceranno a qualsiasi progetto di regione autonoma, ha dichiarato il dirigente.
In caso contrario, i sunniti sosterranno in massa il progetto di spartizione.
«I sunniti non vogliono far parte dell’arco sciita e non vogliono essere sottoposti al controllo iraniano. Daranno quindi il permesso agli Statunitensi di costruire basi militari sulle loro terre, in cambio del sostegno necessario a realizzare la regione autonoma».
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