Analisi, gennaio 2012 - Si capisce che il naufragio della Costa Concordia, 100 anni dopo il Titanic, è qualcosa di più di un fatto di cronaca. Philippe Arnaud vi vede la metafora del naufragio dell’economia capitalista. Ma vi è un’altra coincidenza: la realtà sembra imitare la finzione, quella del più celebre romanzo di J. Conrad, pubblicato nel 1900; ma il carattere degli “eroi” dei due naufragi sono assai diversi (nella foto, Francesco Schettino)









Le Grand Soir, 22 gennaio 2012 (trad. Ossin)


Il capitano del Costa Concordia, un Lord Jim post-moderno
Rosa Llorens


Si capisce che il naufragio della Costa Concordia, 100 anni dopo il Titanic, è qualcosa di più di un fatto di cronaca. Philippe Arnaud vi vede la
metafora del naufragio dell’economia capitalista. Ma vi è un’altra coincidenza: la realtà sembra imitare la finzione, quella del più celebre romanzo di J. Conrad, pubblicato nel 1900; ma il carattere degli “eroi” dei due naufragi sono assai diversi.

In “Lord Jim”, il Patna, una carretta arrugginita che trasportava 800 pellegrini asiatici verso La Mecca, urta un relitto e si apre uno squarcio nello scafo, mentre si avvicina una tempesta. Convinto che sarebbe affondata da un momento all’altro, il capitano, senza dare l’allarme, senza tentare di evacuare i passeggeri, fugge su un canotto, nel quale salta anche, preso dal panico, il secondo ufficiale, Jim: per questo attimo di vigliaccheria, Jim espierà tutta la sua (breve) vita, fino a quando troverà l’occasione di sacrificarsi per la tribù della quale è diventato il capo.

Questa storia è l’occasione per il narratore, Marlow (che è lo stesso di “Al cuore delle tenebre”) di analizzare in Jim quella parte tenebrosa che, di solito, viene repressa nella vita sociale, la paura del gendarme e di ciò che si potrebbe dire, ma che viene fuori qualche volta, in eccezionali circostanze. In effetti, oltre alla vigliaccheria, vi è nel caso di Jim qualche cosa di diabolico: dopo aver disertato, la sua unica speranza (più o meno cosciente) è che tutti i pellegrini siano morti, cosa che giustificherebbe la sua condotta (non c’era veramente nulla da fare); e la vera catastrofe, per lui, è che il naufragio non c’è stato e che tutti i passeggeri sono sani e salvi, facendo così risaltare ancora di più la vigliaccheria e l’incuria degli ufficiali bianchi. La coscienza del suo disonore non cesserà più da allora di torturarlo.

Niente del genere nella vicenda del Costa Concordia: il capitano Francesco Schettino non ha niente di tenebroso. Questo latin lover viziato sembra più un buontempone, fanfarone e donnaiolo (potrebbe aver fatto tutto solo per sbalordire una giovane moldava bionda che lo accompagnava). E, apparentemente, egli abbandona la nave sapendo benissimo che molti croceristi sopravvivranno alla catastrofe. Ha perfino l’aria stupita quando il guardiacoste lo informa che vi sono dei morti. Sarebbe perfino riuscito, se non vi fossero gli 11 morti, a trasformare la vicenda in gag, quando ha rifiutato di obbedire al guardiacoste che gli ordinava di risalire sulla nave (che cosa sarebbe andato a fare su quella galera!): sembra che, molto semplicemente, si scocciasse di tornare a bordo, dal momento che è così più confortevole osservare la scena dalla terra ferma (Dulci, mari magno…).

Nessuna idea diabolica dunque in Schettino, ma piuttosto una irresponsabilità “giovanile” (in questo cinquantenne), quella stessa diffusa nella nostra società, che favorisce un edonismo ludico ed egoista i cui unici slogan sono: “Divertitevi!”, “Perché io valgo”. Come sperare che i quadri formati in questo ambiente pensino di sacrificare il loro interesse individuale e il loro confort all’interesse altrui?

Ciononostante, ogni volta che le cose vanno male la nostra società fa affidamento su questo o quel gruppo di cittadini (durante la grande tempesta del 2000, si è fatto l’elogio ipocrita dei dipendenti dell’EDF – Electricité de France – in piena politica di privatizzazione), per risolvere la situazione ricorrendo giustamente alle virtù che la società liberale si accanisce a distruggere. Cornelius Castoriadis (citato da J.C. Michéa) sottolinea che questa società non può funzionare che grazie alla sopravvivenza di questi tipi umani formati dalla vecchia società fondata sulla morale: educatori devoti ai loro allievi, funzionari che credono all’etica del servizio pubblico, operai ispirati dall’amore per il “lavoro fatto bene”--- Anche questa volta si è manifestato questo tipo di uomo arcaico: la stampa italiana elogia il comportamento civico del guardiacoste De Falco, indignato dalla condotta irresponsabile del capitano adepta del cocooning.

Ma questo omaggio che il vizio (l’egoismo liberale) rende alla virtù (senso del dovere e dell’interesse generale) non produce alcuna messa in discussione dei fondamenti suicidi dell’ideologia attuale. F. Schettino è stato accolto dai suoi come un eroe, senza dubbio in una slancio di stupido sciovinismo sportivo, e se, contrariamente a Lord Jim, non v’è nulla di tenebroso in lui, egli non manifesta alcuna cattiva coscienza né alcuna aspirazione all’eroismo: non bisogna troppo aspettarsi che egli si avvii adesso sulla strada dell’espiazione e della redenzione.

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