Tripla D
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Le Grand Soir, 23 gennaio 2012 (trad. Ossin)
Tripla D
Yann Fievet
Al principio era la tripla D. Mentre la “tripla A” impegna tanti spiriti conformisti e tanti discorsi convenzionali, ci si dimentica colpevolmente che questo “meccanismo” tanto esagerato deriva direttamente e fatalmente da un altro trittico concepito dai poteri politici del “mondo sviluppato” trent’anni orsono. La tripla A non è niente altro se non una valutazione – dagli effetti sicuramente smisurati – che sanziona la capacità delle istanze politiche ed economiche ad alimentare la fiducia nei confronti dei vantaggi miracolosi del dio Mercato. Perché venga il regno assoluto di quest’ultimo, degli uomini allo stesso tempo presuntuosi e inadeguati inventarono le tre D: Deregolamentazione, Dischiusura e privatizzazione e Disintermediazione. I vincoli che mantenevano la speculazione finanziaria in limiti ragionevoli sono saltati e si è salutato questo avvenimento , largamente sconosciuto o dimenticato dai popoli sofferenti, come una liberazione da troppo tempo attesa. Oggi troppi testimoni e protagonisti dell’epoca fingono sbalordimento. E’ venuto dunque il momento di rinfrescare la memoria per nutrire la speranza di ritrovare un giorno la ragione.
E’ stato agli inizi degli anni 1980 che i cantori del neoliberalismo, che da quindici anni mordevano il freno, l’hanno avuta finalmente vinta. Abbiamo ascoltato le loro ricette che promettevano un avvenire radioso. Assemblee democraticamente elette hanno cominciato ad attenuare le regole che disciplinano la circolazione del denaro, ad eliminare le barriere che separavano i diversi mercati finanziari, a sopprimere il ricorso obbligatorio ad intermediari specializzati in materia di transazioni finanziarie. Si è creato in questo modo un colossale tiraggio che si è concretizzato nel corso degli anni 1980 con la creazione di “nuovi prodotti finanziari”, sempre più allettanti, in quanto sempre più rischiosi. Sempre più operatori hanno preso l’abitudine gioiosa di acquistare a termine senza disporre al momento di denaro sufficiente e speculando fino al termine per procurarsi il denaro necessario ad onorare gli impegni assunti. Poi ci si è messi a speculare sulle materie prime. E perfino sulle derrate alimentari. Una spirale delirante e incontrollabile si era avviata. Bernard Lietard, uno degli ex dirigenti della Banca Centrale del Belgio, e ora convertitosi alla riflessione sull’economia non speculativa, ha stimato che il 97% dei movimenti di capitale non riguardano l’economia reale in senso stretto, vale a dire la produzione e gli scambi commerciali. Il capitalismo mostruosamente speculativo è una macchina autonoma che fabbrica bolle finanziarie o immobiliari sempre più voluminose. Come tutti sanno: la peculiarità di una bolla è di scoppiare un giorno o l’altro. Allora l’economia reale, nella quale vive e lavora la maggior parte delle persone a reddito fisso, paga un’addizione sempre più pesante.
Il capitalismo nella sua ultima versione è assurdo sotto diversi punti di vista e si fa fatica a credere che abbia ancora dei difensori, al di là della minoranza di ricchi che ne sono veramente avvantaggiati. Come si può accettare come una fatalità quasi naturale la “guerra economica” nella quale ogni salariato viene piazzato dai freddi adepti della finanza globalizzata in competizione coi suoi simili dell’altro capo del mondo, che non conosce e che non incontrerà evidentemente mai? Quando il 70% degli ordini di acquisto e di vendita della finanza USA sono lanciati da robot dagli “infallibili” algoritmi – il 50% in Europa – come non si può essere presi dal terrore? E’ ancora comprensibile che gli uomini affidino le sorti dell’Umanità alle decisioni meccaniche di volgari robot? Vuol dire che l’intelligenza è in fallimento. E non saranno i brillanti matematici che si prestano a questo gioco a convincerci del contrario. La finanza conosce solo due atteggiamenti: l’euforia e la depressione. Ed estende drammaticamente, attraverso la sua influenza esorbitante, queste patologiche contraddizioni a tutta l’economia.
Le agenzie di valutazione finanziaria e l’importanza che i protagonisti del “capitalismo da casinò” loro accordano sono dunque il più logico avatar del mostro creato congiuntamente dai poteri politici ed economici nel corso dell’ultimo quarto di secolo. Non si può allo stesso tempo difendere il sistema dell’economia “totalitaria” nel quale la finanza è diventata in fine in sé e spaventarsi per la pericolosa strategia di Standard and Poors. Il sistema e i suoi arbitri costituiscono le due facce della stessa famelica creatura.
Certo, questi arbitri non sono nemmeno affidabili: essi hanno validato a suo tempo i conti di Enron, di Lehmann Brothers e la pratica dei subprimes . E tuttavia le agenzie di valutazione continuano ad essere i garanti obbligati di una economia patogena. Non le si può criticare senza denunciare il sistema che le ha generate. “Nominando male le cose, non si fa altro che aggravare i problemi del mondo”, diceva Camus. Due parole del nostro vocabolario hanno la stessa radice: credito e credulità. Alla gigantesca crisi del credito che viviamo è bene che si aggiunga una crisi massiccia della credulità degli uomini. Il sistema crollerà quando non ci crederemo più.
Facciamo un sogno. Che gli uomini inventino domani un nuovo sistema di valutazione nel quale manterranno, come uno scherno nei confronti dei predecessori incapaci, la “Tripla A”. Una A per l’efficacia di un’economia posta al servizio degli uomini, mentre oggi li asserve. Una A per la qualità dei legami sociali, che oggi sono sacrificati sull’altare del Mercato, una A per l’attenzione verso l’ecosistema, oggi saccheggiato a dismisura. Sono davvero queste le vere sfide: la crisi finanziaria, in parte artificiale, ci distrae dalle tre vere crisi: crisi della distribuzione delle ricchezze, crisi della civile convivenza, crisi ecologica. La campana dovrà alla fine suonare.