L’AFRICOM e la militarizzazione del continente africano - Parte Seconda
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Nilebowie.blogspot.fr, 23 marzo 2012 (trad. ossin)
L’AFRICOM degli Stati Uniti e la militarizzazione del continente africano: la lotta contro l’insediamento economico cinese – Parte Seconda
Nile Bowie
Dall’epoca coloniale, l’Occidente ha l’abitudine di sfruttare le differenze etniche dell’Africa, per promuovere i propri interessi. In Ruanda l’amministrazione coloniale belga ha esacerbato le tensioni tra gli Hutu, ridotti in uno stato quasi di servaggio, e i Tutsi che erano considerati come il prolungamento del potere belga. Fin dall’inizio della guerra civile in Ruanda nel 1990, gli Stati Uniti hanno tentato di rovesciare Juvenal Habyarimana, il presidente Hutu in carica da 20 anni, per sostituirlo con un governo Tutsi ai loro ordini in Ruanda, una regione storicamente sotto l’influenza della Francia e del Belgio. In quest’epoca anteriore alla guerra civile ruandese, il Front Patriotique dei Tutsi ruandesi (FPR), comandato dall’attuale presidente del Ruanda, Paul Kagame, faceva parte delle Forze di Difesa del Popolo Unito di Museveni (FDPU).
L’esercito ugandese ha invaso il Ruanda nel 1990 col pretesto di liberare i Tutsi, malgrado che Museveni avesse rifiutato di accordare la nazionalità ai rifugiati Tutsi-ruandesi che vivevano in Uganda in quel momento, una decisione che ha contribuito allo scoppio del genocidio ruandese del 1994. Lo stesso Kagame era stato addestrato nello U.S. Army Command and Staff College (CGSC) di Leavenworth in Kansas, prima di rientrare nella regione per dirigere l’invasione del 1990 del Ruanda, in qualità di comandante del FPR (l’esercito di opposizione al governo ruandese di Habyarimana, ndt), al cui approvvigionamento provvedevano le basi militari del FDPU (l’esercito ugandese, ndt), finanziate dagli Stati Uniti in Uganda. L’invasione del Ruanda era sostenuta senza riserve dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, e le Forze Speciali USA assicuravano l’addestramento dei soldati con il concorso dell’organizzazione di mercenari statunitensi Military Professional Resources Incorporated (MPRI).
Uno studio pubblicato nel 2000 dal professore canadese Michel Chossudovsky e dall’economista belga Pierre Galand mostra che le istituzioni finanziarie occidentali come il FMI e la Banca Mondiale hanno procurato fondi a entrambi i campi della guerra civile ruandese grazie ad un sistema di finanziamento delle spese militari attraverso il debito estero dei regimi di Habyarimana e di Museveni. In Uganda la Banca Mondiale ha imposto, nell’interesse di Washington, misure di austerità solo sulle spese civili, vigilando che le entrate dello Stato fossero tutte utilizzate per l’esercito ugandese (FDPU). In Ruanda, i numerosi prestiti per lo sviluppo forniti dalle filiali della Banca Mondiale , come l’Associazione per lo Sviluppo Internazionale, il Fondo di Sviluppo Africano e il Fondo di Sviluppo Europeo, sono stati stornati a profitto della milizia Hutu estremista Interhamwe, principale protagonista del genocidio ruandese.
Forse ancora più sconvolgente, la Banca Mondiale ha supervisionato enormi acquisti di armi che sono state registrate come spese governative bona fide in flagrante violazione degli accordi firmati tra il governo ruandese e le istituzioni donatrici. Sotto il controllo della Banca Mondiale il regime di Habyarimana ha importato circa un milione di machete con l’intermediazione di diverse organizzazioni collegate a Interhamwe col pretesto di importante mercanzie civili. Per assicurarne il pagamento, un fondo di investimento multilaterale di 55,2 milioni di dollari è stato assegnato agli sforzi della ricostruzione del dopo guerra ma il denaro, invece di essere inviato in Ruanda, è stato rimesso alla Banca Mondiale per rimborsare il debito creato dal finanziamento dei massacri.
Inoltre quando Paul Kagame è arrivato al potere, Washington ha fatto pressione su di lui perché riconoscesse come legittimi i debiti contratti dal vecchio regime genocidario di Habyarimana. Lo scambio di vecchi prestiti contro nuovi debiti (sotto l’egida della ricostruzione del dopo guerra) è stato condizionato all’accettazione di una nuova ondata di riforme dettate dalla coppia FMI/Banca Mondiale, e dei fondi esteri sono stati stornati nello stesso modo a profitto delle spese militari che hanno preceduto l’invasione del Congo (allora chiamato Zaire) guidata da Kagame. Nel momento in cui gli attuali legislatori di Washington tentano di intensificare la presenza militare statunitense nella RDC con pretesti umanitari, il comportamento ignobile – e ampiamente documentato – dei servizi segreti e dei paramilitari occidentali in Congo dopo l’indipendenza, prova se ve ne fosse bisogno che l’obiettivo dell’intervento occidentale è lo sfruttamento puro e semplice e niente altro.
Nel 1961 Patrice Lumumba, il primo premier congolese ad essere legalmente eletto, è stato assassinato con l’appoggio dei servizi segreti belgi e della CIA, aprendo la strada al regno durato 32 anni di Mobutu Sese Seko. Per tentare di depurare il Congo dall’influenza culturale coloniale, Mobutu lo ha ribattezzato Zaire ed ha instaurato un regime autoritario strettamente legato alla Francia, al Belgio e agli Stati Uniti. Mobutu era considerato come un fedele alleato degli Stati Uniti durante la guerra fredda a causa delle sue posizioni anti-comuniste; il regime ha ricevuto miliardi in aiuti internazionali, soprattutto statunitensi. Sotto la sua amministrazione, le infrastrutture si sono deteriorate e la cleptocrazia zairota ha stornato gli aiuti e i prestiti internazionali; lo stesso Mobutu avrebbe 4 miliardi di dollari su un conto svizzero.
Le relazioni tra gli Stati Uniti e lo Zaire sono diventate calde alla fine della guerra fredda quando i primi non hanno più avuto bisogno di Mobutu come alleato; Washington ha più tardi utilizzato il Ruanda e l’Uganda per invadere il Congo, rovesciare Mobutu e istallare al suo posto un regime compiacente. In conseguenza del conflitto del Ruanda, 1,2 milioni di civili hutu (molti dei quali avevano preso parte al genocidio) sono passati nella provincia Kivu dall’est dello Zaire per sfuggire alle inchieste dell’Esercito Patriottico del Ruanda (APR) tutsi di Paul Kagame. Le forze speciali statunitensi hanno addestrato le truppe ruandesi e ugandesi a Fort Bragg, negli Stati Uniti, ed appoggiato i ribelli congolesi del futuro presidente Laurent Kabila. Col pretesto di salvaguardare la sicurezza nazionale in Ruanda contro le minacce delle milizie hutu, truppe del Ruanda, dell’Uganda e del Burundi hanno invaso il Congo e si sono scatenate nei campi dei rifugiati hutu, massacrando migliaia di civili hutu ruandesi e congolesi, tra cui molte donne e bambini.
I rapporti sulle brutalità e gli assassinii di massa in Congo sono stati raramente presi in considerazione in Occidente, in quanto la comunità internazionale apprezzava Kagame e aveva pietà per le vittime tutsi ruandesi del genocidio. Halliburton e Bechtel (organizzazioni militari private che hanno ricavato enormi profitti dalla guerra in Iraq) hanno partecipato alle operazioni di addestramento e di ricognizione destinate a rovesciare Mobutu e collocare Kabila al suo posto. Dopo aver deposto Mobutu e assunto il controllo di Kinshasa, Laurent Kabila ha eliminato tutte le opposizioni ed è diventato un leader assolutamente dispotico. Ha allontanato i suoi alleati ruandesi e invitato i civili congolesi a punire con la violenza la nazione dei Ruandesi, ragion per cui le forze ruandesi si sono concentrate a Goma per tentare di conquistare le terre ricche di risorse del Congo orientale.
Prima di diventare presidente nel 1997, Kabila ha inviato rappresentanti a Toronto per discutere dei progetti minerari con American Mineral Fields (AMF) e la multinazionale canadese Barrick Gold Corporation: ha rilasciato all’AMF, che aveva rapporti diretti con presidente USA Bill Clinton, un permesso di sfruttamento esclusivo per lo zinco, il cobalto e i rame della regione. Le Guerre Congolesi fatte dal Ruanda e l’Uganda hanno provocato 6 milioni di vittime, il più grande genocidio dopo l’olocausto degli ebrei. L’Occidente ha accuratamente alimentato il conflitto con aiuti finanziari e militari per potersi appropriare delle enormi risorse minerarie dell’est e del sud del Congo; l’industria della Difesa statunitense ha bisogno delle leghe di metalli di alta qualità di questa regione per la costruzione dei motori di jet ad alta tecnologia.
Nel 1980 alcuni documenti del Pentagono segnalavano la carenza di cobalto, titano, cromo, tantalo, berillio e nichel; è stato principalmente per procurarseli che gli Stati Uniti hanno partecipato al conflitto congolese. L’unica legge che il presidente Barack Obama ha istruito da senatore è S.B. 2125, l’Atto per la liberazione, la sicurezza e la promozione democratica della Repubblica Democratica del Congo, del 2006. In questo atto Obama afferma che il Congo rappresenta un interesse a lungo termine per gli Stati Uniti e fa riferimento alle minacce delle milizie hutu come il miglior pretesto per una continua ingerenza nella regione; la sezione 201(6) dell’atto invita specificamente alla protezione delle risorse naturali della RDC orientale.
Il rapporto “Cobalto: le opzioni politiche per la strategia minerale” dell’Ufficio Budget del Congresso pubblicato nel 1982 segnala che le leghe a base di cobalto sono indispensabili alle industri militari e aereospaziali e che il 64% delle riserve di cobalto si trovano nel Copperbelt (cintura del rame) katanghese, che si estende dal sud-est del Congo al nord dello Zambia. Per questa ragione il futuro del complesso militar-industriale statunitense dipende largamente dal controllo delle risorse strategiche della RDC orientale. Nel 2001 Laurent Kabila è stato assassinato da un agente della sicurezza, e suo figlio Joseph Kabila ha usurpato la presidenza. La legittimità del giovane Kabila si fonda solo sul sostegno dei capi di stato stranieri e della comunità di affari internazionale in cambio della sua disponibilità a lasciar saccheggiare il suo paese.
Durante le elezioni generali in Congo nel novembre 2011, la comunità internazionale e l’ONU non hanno in alcun modo rilevato le massicce irregolarità messe in campo dal comitato elettorale. La missione dell’ONU per la stabilizzazione e l’organizzazione della Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) è stata oggetto di tali sospetti di corruzione che il leader dell’opposizione Etienne Tshisikedi ha chiesto che cessasse di fare da copertura al sistema internazionale di saccheggio e che fosse nominato qualcuno “meno corrotto e più credibile” alla testa della missione. MONUSCO è stata infangata dal fatto che molti soldati ONU facevano il contrabbando di minerali come la cassiterite e vendevano armi a gruppi di miliziani.
Sotto il regime di Joseph Kabila, le attività commerciali tra la Cina e la RDC si sono incrementate in modo significativo, non solo nel settore minerario, ma anche enormemente nel settore delle telecomunicazioni. Nel 2000 l’impresa cinese ZTE ha firmato un contratto di 12,6 milioni di dollari col governo congolese per realizzare la prima impresa di telecomunicazioni sino-congolese; inoltre la RDC ha esportato cobalto per un valore di 1,4 miliardi di dollari nel 2007-2008. La maggior parte delle materie prime, come il cobalto, il rame e diversi legni duri, vengono esportati in Cina per essere trattati e il 90% delle fabbriche del sud-est e della provincia del Katanga sono di proprietà cinese. Nel 2008 un consorzio di imprese cinesi ha ottenuto permessi di estrazione mineraria nella provincia del Katanga in cambio di un investimento di 6 miliardi di dollari per la costruzione di due ospedali, quattro università e un progetto di energia idraulica.
Nell’ambito dello stesso contratto, 3 milioni supplementari erano assegnati allo sviluppo dell’estrazione del cobalto e del rame nella provincia del Katanga. Nel 2009 il FMI ha preteso la rinegoziazione del contratto con la scusa che l’accordo tra la Cina e il RDC violava il programma di aiuti per il debito estero dei paesi PPTE (paesi poveri molto indebitati). La stragrande maggioranza degli 11 miliardi di dollari di debito estero che il RDC deve al Club di Parigi è stata rubata dal precedente regime di Mobutu Sesi Seko. Il FMI è riuscito a bloccare l’accordo nel maggio 2009 ed ha chiesto che venisse realizzata una migliore analisi delle concessioni minerarie da parte della RDC.
Gli Stati Uniti stanno per mobilitare l’opinione pubblica a favore di una maggiore presenza statunitense in Africa, col pretesto di catturare Joseph Kony, di porre fine al terrorismo islamico e di risolvere gli antichi problemi umanitari. Le campagne emotive dei social network sono riuscite a convincere i cittadini USA che bisogna impedire queste atrocità ma pochi tra essi si rendono conto del vero ruolo che hanno giocato gli Stati Uniti e le istituzioni finanziarie occidentali nello scoppio delle tragedie che adesso pretendono di risolvere. Molte persone sinceramente preoccupate si impegnano ingenuamente in organizzazioni che militano per la guerra, dimenticando che l’esercito che si vuole inviare nel cuore dell’Africa utilizzerà droni Predator e lancerà missili che, si sa,
provocano enormi vittime civili.
Il consolidamento della presenza statunitense nella regione fa parte di un programma più ampio che ha per obiettivo quello di estendere il potere di AFRICOM, il comando militare USA per l’Africa, attraverso l’installazione di un arcipelago di basi militari nella regione. Nel 2007 il consigliere del Dipartimento di Stato, J. Peter Pham, ha definito in questo modo l’obiettivo strategico di AFRICOM: “Proteggere l’accesso agli idrocarburi ed alle altre risorse strategiche che l’Africa possiede in abbondanza, ciò che significa, da un lato, proteggere queste ricchezze naturali fragili e, dall’altro, fare in modo che nessun’altra nazione come la Cina, l’India, il Giappone o la Russia ne ottengano il monopolio o trattamenti di favore”. Inoltre, durante una conferenza di AFRICOM a Fort McNair il 18 febbraio 2008, il vice-ammiraglio Robert T. Moeller ha apertamente dichiarato che il principio direttivo di AFRICOM era di assicurare “la libera circolazione delle risorse naturali africane sul mercato mondiale”, aggiungendo poi che la crescita della potenza cinese rappresentava una minaccia maggiore per gli interessi statunitensi nella regione.
L’intensificazione della presenza USA in Africa centrale non è solo destinata ad assicurarsi il monopolio sulle risorse di petrolio recentemente scoperte in Uganda; la legittimità di Museveni si fonda sull’appoggio straniero e il suo aiuto militare massiccio – le forze militari USA presenti non hanno come finalità quella di ottenere vantaggiosi contratti petroliferi da Kampala. La penetrazione nel cuore dell’Africa ha l’obiettivo di destabilizzare la Repubblica Democratica del Congo e di mettere le mani sulle riserve di cobalto, tantalo, oro e diamanti. Più precisamente gli Stati Uniti si propongono di utilizzare la politica della terra bruciata creando una situazione di guerra in Congo che allontanerà tutti gli investitori cinesi. Come per il conflitto libico, dove i Cinesi, ritornati dopo la caduta di Gheddafi, hanno trovato un governo fantoccio che voleva fare affari solo coi paesi occidentali che lo aveva portato al potere.
Da una parte gli Stati Uniti usano la loro influenza per favorire l’emergere di stati separatisti come il Sudan del Sud e, dall’altra, le attività di al Shabaab in Somalia, di Boko Haram in Niger e dei più grandi gruppi di AQMI in Africa del nord offrono agli Stati Uniti un ottimo pretesto per ingerirsi di più negli affari della regione. La missione affidata al primo presidente nero degli Stati Uniti è quella di esportare ostensibilmente la guerra teatrale contro il terrorismo sul continente africano per sfruttare le tensioni tribali, etniche e religiose esistenti. Come un teorico della politica statunitense come Henry Kissinger ama proclamare: “Lo spopolamento del terzo mondo dovrà essere la priorità essenziale della politica estera USA”; i vasti spazi di deserto e di giungla del nord e del centro dell’Africa serviranno senza alcun dubbio da scenario alle guerre per le risorse naturali del prossimo decennio.
Nile Bowie è giornalista, fotografo e scrittore indipendente. Abita a Kuala Lumpur, Malesia.