Africom go home !
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Analisi, maggio 2013 - In occasione del cinquantenario dell’unità africana, un gruppo panafricanista avvia una campagna contro il progetto militare africano sostenuto dall’Amministrazione Obama (a sinistra, l'emblema dell'Africom)
In occasione del cinquantenario dell’unità africana, un gruppo panafricanista avvia una campagna contro il progetto militare africano sostenuto dall’Amministrazione Obama
Africom go home !
Jean-Marc Soboth
Fino ad oggi acquartierato a Stoccarda in Germania, il Comando militare degli Stati Uniti per l’Africa, Africom, potrebbe istallarsi definitivamente in Africa entro la fine del 2013.
Creato da George Bush Jr, questo sistema ha la pretesa di difendere gli Stati africani dalle minacce transnazionali (1).
La base africana dovrebbe dunque accogliere, a partire da quest’anno, la struttura che dal 2008 era posizionata nel Baden-Wurttemberg e che qui è diventata un po’ ingombrante – la Germania è stato l’unico paese europeo ad essersi astenuto nel voto sulla Risoluzione 1973 dell’ONU sulla Libia…
La US Marine Forces Africa (MARFORAF) dirigeva da lì i suoi attacchi militari sul suolo africano – soprattutto in Libia.
Questo progetto impopolare è al centro del vibrante appello “Africom go home !”, reso pubblico il 23 maggio all’Università del Quebec a Montreal (UQAM) in occasione del cinquantenario dell’unità africana.
Promotore ne è il GRILA (Gruppo di ricerca e di iniziativa per la liberazione dell’Africa), il circolo panafricanista senza dubbio più credibile dell’America del Nord.
Gli appetiti delle Potenze
Secondo il politologo senegalo-egiziano Aziz Salmone Fall del GRILA, Africom è solo una “struttura che ha come obiettivo di mettere in sicurezza le nostre materie prime e il nostro spazio strategico nei confronti degli appetiti delle Potenze emergenti del BRIC (…) e della nostra stessa prospettiva di unità.
L’appello, promosso da gruppi e singole personalità, parte da una rimarchevole analisi delle poste geostrategiche in gioco nel Continente. Vale la pena di segnalare alcuni dei firmatari: l’economista Samir Amin (Forum del Terzo Mondo), Koulsy Lamko (Hankili So Afrika), Glen Ford (Black Agenda Report), Dipama Hamado (Arbeitskreis Panafrikanismus Munchen), Gnaka Lagoke (Revival of Panafricanism Forum, RFP), Ahmad Manai (Institut Tunisien des Relationes Internationales, ITRI), Yash Tandon ex direttore esecutivo di South Center), Ajamu Nangwaya (Università di Toronto), Emira Woods (IPS), Horace Campbell (Syracuse University), Diasporic Music on Uhuru Radio, Network for Pan-Afrikan Solidarity…
I firmatari stigmatizzano “la pesantissima messa sotto tutela (dei paesi africani, ndr) a causa della loro destrutturazione attraverso tre decenni di aggiustamenti strutturali, privatizzazioni, di diversione democratica e di spoliazione.
“Al livello militare – sottolinea l’appello – i paesi africani sono frammentati, fragili, disuniti sulle questioni fondamentali, soprattutto in Congo, Costa d’Avorio, Libia e Mali”. Tanto più che “il ricatto della instabilità minaccia anche il Sudan, l’Egitto, la Nigeria, la Tunisia, il Centrafrica e l’Algeria…”-
L’ONU non vi gioca evidentemente che un ruolo di comparsa.
“Sul teatro delle operazioni – spiega il testo – l’ONU viene strumentalizzato, lasciando mano libera alle forze della NATO. Perché “l’Unità apparente dei paesi africani coinvolti in queste missioni militari è soprattutto subalterna ai progetti dell’imperialismo”.
Infatti 36 paesi africani hanno aderito ad Africom, I dubbiosi sono sottoposti a pressioni appena velate. Un centro di studi specializzato di Washington DC, l’African Center for strategic studies (ACSS) già ha cominciato l’attività di formazione della “prossima generazione dei leader del settore della sicurezza”. Questi ufficiali saranno integrati nel dispositivo Africom’s Theater security coopertation programs (TSCP).
Africa contengency operations
Un altro organismo, l’Africa contengency operations training and assistance (ACOTA) fa formazione nel settore delle operazioni multilaterali di pacificazione, asseritamente per conto dell’ONU.
Da una decina di anni, gli eserciti africani partecipano annualmente alle manovre dette Flintlock di lotta antiterrorista in Africa del Nord e dell’Ovest. Non mancano le attività di intelligence: Africa Endeavor completa il quadro.
Le manovre denominate Cutlass Express controllano i traffici marittimi nell’Africa dell’Est e nell’oceano indiano.
“Certamente vi è una inabituale insicurezza nel continente che viene preso spesso a pretesto per tante operazioni belliche, ammette l’appello. Si moltiplicano i nuclei di natura terrorista o di avventurieri politici e ognuno dispone di una propria agenda, pericolosa tanto per ‘l’ordine mondiale’ che per i paesi africani. Ma si tratta di epifenomeni”.
Il problema risiede piuttosto nella disintegrazione pianificata dell’Africa.
Così, “la messa sotto tutela dei nostri eserciti nazionali, o di quello che ne resta, e la prospettiva di veder traslocare in Africa la base dell’Africom insieme alla recrudescenza degli interventi militari francesi o di altre ipoteticamente reali integrazioni africane. L’Africa viene progressivamente inserita di forza sotto l’ombrello della NATO. L’Africom aiuta la NATO e viceversa, fino a non poterle più distinguere l’una dall’altra”.
I firmatari sanno di cosa parlano. A inizio maggio, il segretario generale della NATO, Rasmussen, ha ricevuto a Washington il Distinguished Leadership Award del Consiglio Atlantico…
Dal 2002, una iniziativa anti-terrorista statunitense che raggruppava quattro paesi del Sahel si è trasformata, tre anni dopo, in Trans-saharan counter-terrorist initiative (TSCTI) insieme a cinque altri paesi. L’East-Africa counter.terrorist Initiative (EACTI) si è fatta carico dell’Africa dell’Est con sei paesi. La NATO che ha nominato un ufficiale di alto rango (il SMLO) all’Unione Africana e aveva già dato un aiuto “orientato” in Darfur nel 2005.
Due anni dopo, la stessa NATO ha avviato le sue proprie FAA (Forces Africaines en Attentes). Saranno operative dal 2015.