Il generale Giap, eroe dell’indipendenza vietnamita, è morto…
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La figura del generale Giap nella sua prospettiva storica e geopolitica
Il generale Giap, eroe dell’indipendenza vietnamita, è morto…
Luc Michel (4 ottobre 2013)
“Il generale Vo Nguyen Giap, eroe militare dell’indipendenza vietnamita e artefice della sconfitta francese a Dien Bien Phu, è morto venerdì all’età di 102 anni”, si è appreso da fonti governative e militari. “Posso confermare che il generale Giap è morto alle 18,08 (11,08 GMT)”, ha riferito un responsabile governativo all’AFP (…) ”Il generale Vo Nguyen Giap è stato l’artefice delle vittorie del Vietnam comunista contro la Francia e gli Stati Uniti, successi che hanno fatto di lui una icona popolare (…). Lascia la sua seconda moglie, Dang Bich Ha, e quattro figli. La prima figlia, nata dal primo matrimonio, è morta nel 2009”…
Ne è seguito un fiume di commenti in tutti i media della NATO. Che pongono tutti l’accento sulla sconfitta coloniale francese in Vietnam ma, e non è un caso, la mettono in primo piano rispetto a quello che è stato il vero fatto storico: la sconfitta successiva, nel 1975, dell’imperialismo statunitense. Perché il Vietnam è la sola guerra che gli Stati Uniti hanno perso dopo il 1945. E il generale Giap, diventato una icona della lotta anti-imperialista, è una figura – in senso storico-filosofico- che va ben oltre la Guerra di Liberazione e di unificazione della Nazione vietnamita.
Vo Nguyen Giap è morto il 4 ottobre 2013 a 102 anni
Che cosa rappresenta la figura storica del grande generale vietnamita?
Come questa figura si colloca nelle prospettive geopolitiche della lotta anti-imperialista e della lotta di liberazione europea?
Bombardieri USA sganciano bombe e democrazia sul Vietnam
1. Giap, una icona della lotta anti-imperialista contro gli USA
“E’ un personaggio mitico e eroico per il Vietnam” - Carl Thayer (ricercatore australiano)
Una figura storica di primo piano
Giap, l’ultimo dirigente storico del Vietnam ancora in vita, era “una delle figure più adorate dalla popolazione dopo il fondatore del Partito comunista del Vietnam, Ho Chi Minh”, precisa l’AFP. “Riposa in pace, eroe del popolo. Tu sarai sempre il nostro più grande generale”, ha scritto un internauta vietnamita su Facebook, una delle numerose testimonianze che hanno inondato i social network prima ancora dell’annuncio ufficiale della morte.
Considerato come uno dei più importanti strateghi militari della Storia, questo autodidatta formatosi sui libri, è riuscito con le sue tattiche a sconfiggere sia la Francia che gli Stati Uniti. Nel 1954 aveva inflitto nella conca di Dien Bien Phu (nord-ovest) una cocente disfatta alle truppe colonizzatrici francesi, evento fondatore di un Vietnam indipendente e della fine della dominazione francese in Indocina.
E durante i successivi venti anni, questo erudito figlio di un contadino, dalla perfetta padronanza del francese, ha continuato a comandare le sue truppe nella guerra del Vietnam contro gli USA e i loro alleati del Sud-Vietnam, fino alla conquista di Saigon il 30 aprile 1975.
Ma, nonostante i suoi successi militari, la sua carriera politica è stata frenata dal regime comunista. Sistema civile e collegiale, dove il Partito prevale sull’esercito e i militari, Joukov aveva avuto la stessa sorte in URSS. Nel 1975, Giap non era già più capo dell’esercito del Nord Vietnam comunista e, in conflitto aperto col numero uno del regime, Le Duan, era stato poco a poco allontanato dal potere. Nel 1982 era uscito dall’ufficio politico del Partito. Conservava il rango di vice-primo ministro, con delega alle Scienze, Tecnologie e Pianificazione familiare. Venne alla fine allontanato dal comitato centrale del Partito nel 1991. “I suoi momenti di gloria rendono comunque questa icona popolare la figura più emblematica del Vietnam moderno, dopo il fondatore del Partito comunista vietnamita, Ho Chi Minh”, commenta l’AFP.
Una vita vissuta al servizio del Vietnam
Nato il 25 agosto 1911 nella provincia centrale di Quang Binh, Giap, fine conoscitore di Napoleone, non era destinato a diventare soldato. Ma le tattiche di questo autodidatta, formatosi alla strategia militare sui libri, hanno ispirato le guerre del mondo intero per decenni.
Venuto a studiare e poi a insegnare Storia ad Hanoi, scappò alla fine degli anni 1930 in Cina. Diventò comunista – il PC vietnamita essendo di marcata tendenza nazional-comunista, legando le lotte per la “liberazione nazionale e sociale” nella linea del Komintern degli anni 1930 – incontrò lo “zio Ho”, che lo incaricò di fondare l’esercito rivoluzionario Viet Minh alla fine del 1944. Nel frattempo, il suo odio verso la potenza colonizzatrice non cessava di accrescersi, alimentato dalla morte della sua prima moglie in una prigione francese.
Nel 1945, Giap diventò ministro dell’interno del primo governo auto-proclamato del Vietnam, prima di passare un anno più tardi alla Difesa, un incarico che conserverà al nord per più di 30 anni. Nonostante la vittoria di Dien Bien Phu, la sua influenza si affievolì dopo la morte di Ho Chi Minh nel 1969 e, al tempo della riunificazione del Vietnam nel 1975, egli non era già più capo dell’esercito del Vietnam del nord.
Fu in conflitto col numero uno del regime, Le Duan, che frenerà la sua carriera politica, e il suo successore alla testa dell’esercito, Van Tien Dung, gli rubò in gran parte la scena. Ma anche in questa campagna del 1975, dal momento che egli restava ministro della Difesa, gli analisti gli attribuiscono ancora una volta il ruolo di architetto. “Dietro ogni vittoria, si ritrovava Giap, che ne era la forza propulsiva”, considererà uno dei suoi rari biografi, Cecil Currey.
In occasione dei grandi anniversari di Dien Bien Phu, nel 1994 e 2004, Giap farà però delle notevoli apparizioni pubbliche al fianco dei dirigenti. E in occasione del suo centesimo compleanno, sarà sommerso da manifestazioni di omaggio, coi più alti dirigenti vietnamiti che gli renderanno visita nell’ospedale militare dove si trovava ricoverato da tre anni.
Anche se molto indebolito, gli saranno episodicamente attribuite delle lettere di denuncia del flagello della corruzione o di progetti industriali, con interessi cinesi, giudicati pericolosi per la sicurezza del paese. Perché la burocrazia e l’emergere di una nomenklatura non hanno risparmiato anche il Partito comunista vietnamita.
Nel 2006, aveva scritto che il Partito comunista “era diventato uno scudo per i dirigenti corrotti”. Nel 2009 aveva pubblicato una lettera aperta con la quale si univa alle critiche contro un progetto governativo assai controverso di sfruttamento della bauxite negli altopiani del centro del paese.
2. La guerra di liberazione e di unificazione della nazione vietnamita nella prospettiva della lotta anti-imperialista mondiale
“Quando ero giovane, sognai un giorno di vedere il mio paese libero e unito”- Vo Nguyen Giap (intervista a PBS)
Il 30 aprile 1975, i carri armati dell’Esercito Nazionale Popolare del Vietnam, appoggiati dalle forze della guerriglia Vietcong, presero il palazzo presidenziale di Saigon. Il governo fantoccio dei Kollabos sud-vietnamiti degli USA crollò, l’ambasciatore yankee abbandonò la città nella vergogna, con la bandiera a stelle e strisce arrotolata come uno strofinaccio sotto il braccio. La lunga lotta per la liberazione nazionale e sociale del Vietnam, cominciata all’alba degli anni 1920, era alla fine terminata. L’alleanza del Partito comunista e del movimento nazionalista vietnamita aveva vinto, un piccolo popolo coraggioso di contadini-soldato aveva cacciato la più forte potenza imperialista del mondo.
Il Nazional-comunismo vietnamita ha dato ai popoli del mondo, e specificamente alla Rivoluzione europea, una lezione di coraggio e di speranza: Sì, gli USA possono essere vinti!
1975: Liberazione e unificazione della nazione vietnamita
Quasi quaranta anni dopo la fine della guerra di liberazione, il popolo vietnamita soffre ancora degli innumerevoli postumi delle odiose armi chimiche usate dagli imperialisti pronti a tutto, all’epoca come oggi in altre regioni del mondo, pur di distruggere le nazioni che resistono alla loro dominazione. Tre milioni di soldati e civili vietnamiti sono stati uccisi durante la guerra, che provocò solo 58.000 morti tra gli statunitensi, che hanno l’abitudine di fare la guerra col sangue degli altri.
Anni e anni di negazionismo statunitense, di propaganda occidentale mirante a riscrivere la storia della guerra facendo passare i valorosi combattenti comunisti della penisola indocinese per dei mostri, anni e anni di demonizzazione, di xenofobia nei libri, nei film e nei discorsi degli imperialisti non hanno cancellato una delle più grandi vittorie dei rivoluzionari progressisti e non hanno impedito che la loro storica lotta divenisse un esempio per tutti i popoli posti oggi di fronte alle strategie terroriste di Washington e dei suoi alleati “europei” della NATO.
Esecuzione a freddo di un Vietcong da parte di un Kollabos sudvietnamita
L’ipocrita vergogna degli Stati Uniti, il suo mea culpa cinico nei confronti dei metodi utilizzati nel Vietnam e, in generale, del sostegno statunitense alle dittature reazionarie di molti paesi – come il regime sud-vietnamita – maschera delle atrocità perpetrate di nuovo in nome del mondo libero, della democrazia capitalista e della morale imperialista.
La vittoria del nazional-comunismo in Vietnam, tenendo strettamente unite la liberazione nazionale e sociale, è patrimonio di tutti i militanti rivoluzionari europei e internazionali. E’ il leg del Vietnam…
La guerra di liberazione del Vietnam al di là della propaganda yankee
Della guerra del Vietnam, la memoria collettiva conserva una folla di immagini shock, di foto che hanno la particolarità di essere state prese da una sola parte, quella del Sud-Vietnam e degli stranieri. Solo venticinque anni dopo si sono scoperti i negativi dei fotografi nord-vietnamiti, restati quasi sconosciuti fuori dagli ambiti della stampa comunista.
Un esempio? La liberazione di Saigon…
Vietnamiti impazziti che tentavano di scalare le mura dell’ambasciata statunitense. Un elicottero USA in fase di decollo, mentre gruppi di disperati tentano ancora di imbarcarsi. Queste immagini esemplari della caduta di Saigon, il 30 aprile 1975, riflettono solo un lato della storia.
Nel campo contrapposto, un trio dei più grandi fotografi di guerra nord-vietnamiti ha documentato una storia completamente diversa. Le loro immagini, estratte da album e dossier polverosi, raccontano invece la gioia della liberazione di Saigon, oggi Ho Chi Minh city. Dinh Quang Thanh, che seguiva un carro armato del Viet Minh fino alle scale del palazzo presidenziale, ha colto le folle saigonesi che ricoprivano di evviva e di cibarie i soldati del Nord. “Noi sentivamo la radio sud-vietnamita, che diceva vi sarebbe stato un bagno di sangue se i comunisti avessero preso il potere. Sappiamo che era propaganda, e volevo mostrare la verità col mio apparecchio”, spiegava all’AFP nel 2005 Thanh, oggi in pensione. La verità: quattro soldati si precipitano all’interno del palazzo per issare la bandiera vittoriosa, o ancora i ministri e soldati del Sud, l’aria rassegnata ma non spaventata.
I fotografi nord-vietnamiti hanno sopportato la tremenda durata della guerra nella giungla, combattenti a pieno titolo. “Io mi consideravo un soldato, l’apparecchio fotografico era la mia arma”, aggiunge Thanh. I giornali del Nord non hanno ovviamente mai pubblicato le immagini che avrebbero potuto danneggiare lo sforzo di guerra. Ma questi fotografi pensano che il loro lavoro renda perfettamente conto delle terribili sofferenze patite durante la guerra, che provocò tre milioni di morti, tra Nord e Sud. Nessuno di questi fotografi si è aspettato riconoscenza o fortuna da un lavoro quasi mai mostrato nel mondo non comunista.
Ma le cose finirono per cambiare. Nel 1997, due fotografi dell’epoca, l’indipendente Tim Page e Horst Faas, diventato editore all’Associated Press, hanno pubblicato “Requiem”, libro-omaggio ai fotogiornalisti di entrambi i campi morti nel conflitto. Dal canto suo, Trong Thanh ha finito col conoscere il successo, per quanto al livello di questi modesti fotografi nord-vietnamiti: ha pubblicato due libri, uno negli Stati Uniti, l’altro in Giappone. La sua foto preferita non è mai stata pubblicata durante la guerra: un soldato del Nord, inginocchiato, divide la sua razione con un soldato del Sud, ferito, nel 1971. Esposta per la prima volta nel 1991 negli Stati Uniti, scioccò numerosi Statunitensi, che la considerarono per forza truccata…
3. Il Vietnam e le sue ripercussioni geopolitiche per la lotta di liberazione europea
“La grande vittoria del 30 aprile rappresenta il trionfo di tutta la nazione, della giustizia sulla brutalità e dell’umanità sulla tirannia” – Vo Viet Thanh (sindaco di Ho Chi Minh City, nel 25° anniversario della liberazione)
La guerra del Vietnam, attraverso le lezioni che tutti i militanti rivoluzionari del mondo possono ancora trarne, non è però terminata a Saigon nel 1975, ma continua la sua implacabile marcia verso il cuore stesso dall’Europa ancora oggi. L’unità del Vietnam, l’unione di un popolo diviso per troppo tempo dall’imperialismo occidentale, deve essere un esempio per una Europa occidentale che la dominazione borghese cosmopolita cerca di dividere e smantellare.
Gli eredi di Valmy
Il popolo vietnamita, con uno slancio che simboleggia le migliaia di Valmy – si deve ricordare che Ho Chi Minh e Giap furono grandi ammiratori della Rivoluzione francese, quella di Robespierre e dei Giacobini - coi suoi sacrifici, i suoi milioni di vittime assassinate dai mercenari yankee che, malgrado la loro superiorità tecnologica, sono stati piegati dai contadini-soldati della rivoluzione nazional-comunista vietnamita, mostra oggi come bisogna trattare l’invasore imperialista.
E se l’uranio impoverito dell’Iraq e della Jugoslavia ha sostituito il gas arancio del Vietnam, la strategia omicida dell’imperialismo è sempre la stessa, con una sola differenza. La guerra del Vietnam è stata persa perché l’opinione pubblica internazionale nel suo insieme si è rivoltata contro le atrocità statunitensi, e dopo Washington ha sviluppato una macchina di propaganda mediatica tanto potente da essere in grado di manipolare intere nazioni. I media occidentali, schiavi dell’imperialismo e del suo braccio armato NATO, prostitute della dominazione capitalista, piccoli Kollabos stipendiati, impediscono a tal fine ai popoli europei di aprire gli occhi sul moderno colonialismo degli Stati Uniti.
Non dobbiamo mai dimenticare che se la guerra laggiù è finita nel 1975, essa è ricominciata sul nostro suolo europeo. Apertamente, quando Washington ha dichiarato guerra alla Jugoslavia nazional-comunista del presidente Milosevic. Subdolamente altrove, nei Balcani o nel Caucaso. Senza dimenticare il Mediterraneo, dove Washington e il suo alleato-complice sionista colpiscono le indipendenze europee, arabe e africane.
Le decine di migliaia di soldati statunitensi e le centinaia di migliaia di Kollabos imperialisti del Sud-Vietnam che hanno perso la vita contro l’indomabile forza del comunismo nazionale e rivoluzionario, devono essere altrettanti segni di speranza per ogni militante europeo progressista, a Ovest come a Est, e l’imperialismo occidentale, che oggi trionfa dove il Nazismo era stato alla fine battuto, ha troppo presto dimenticato la lezione data da Ho Chi Minh e dal suo popolo liberato a tutti coloro che vogliono ridurre il mondo in schiavitù.
Per farla finita definitivamente con la superpotenza yankee !
Dalla fine della guerra fredda, gli Stati Uniti si definiscono essi stessi come la “massima superpotenza”. Le pretese statunitensi di dominazione mondiale, esposte fin dal 1943, soprattutto da James Burnham (precursore dei neo-con) in “The Struggle for the World” sono diventate una onnipresente realtà.
Nel marzo 1992, dopo l’implosione dell’URSS e l’avvio dello smembramento della Jugoslavia, il Pentagono pubblicava, in collaborazione con il “Consiglio nazionale di sicurezza”, la più alta istanza di politica internazionale yankee, un “Rapporto Wolfowitz” (che diventerà 10 anni dopo uno dei ministri del regime di Bush II e un leader dei neo-con) che spiegava come gli USA intendono restare la sola superpotenza: “La politica estera statunitense deve darsi come obiettivo di convincere eventuali rivali che essi non hanno bisogno di giocare un ruolo maggiore. Il nostro statuto di unica superpotenza deve essere perpetuato attraverso un comportamento costruttivo e una forza militare sufficiente a dissuadere qualsiasi nazione o gruppo di nazioni dallo sfidare la supremazia degli Stati uniti. Questi ultimi devono tenere in conto le nazioni industrializzate per scoraggiarle dallo sfidare la leadership USA o dal cercare di mettere in discussione l’ordine economico e politico stabilito. Una potenza militare dominante deve essere mantenuta onde dissuadere eventuali rivali non fosse altro che di aspirare a un ruolo regionale o globale maggiore. L’ordine internazionale è in definitiva garantito dagli Stati Uniti e questi ultimi devono essere in grado di agire indipendentemente quando non può organizzarsi un’azione collettiva”.
Il Rapporto aveva direttamente di mira l’Europa, questo “gruppo di nazioni” : “Dobbiamo agire al fine di impedire la nascita di un sistema di sicurezza esclusivamente europeo che potrebbe destabilizzare la NATO”. Anche il Giappone è preso di mira: “In estremo oriente, bisogna fare attenzione ai rischi di destabilizzazione che deriverebbero da un ruolo accresciuto dei nostri alleati, in particolare il Giappone”.
Il titolo dell'Unità, allora organo del Partito Comunista Italiano
Gli alleati sono nemici? Paul-Marie de la Gorce commentava il Rapporto Wolfowitz in Le Monde Diplomatique: “Il rapporto Wolfowitz si segnala per l’insistenza che pone nel privilegiare la potenza militare come strumento essenziale della preponderanza internazionale degli Stati uniti che si tratta di mantenere. La preoccupazione fondamentale di preservare lo statuto di superpotenza unica degli Stati Uniti non vale solo per gli ex nemici, ma anche per i loro alleati. In modo assai sintomatico, il rapporto definisce come una vittoria “meno visibile”, riportata alla fine della guerra fredda, “l’integrazione della Germania e del Giappone in un sistema di sicurezza collettiva guidato dagli Stati Uniti”. Esclude naturalmente l’accesso dei due paesi al rango di potenza nucleare militare”.
La NATO non è una alleanza, è una imbracatura destinata a perpetuare l’occupazione dell’Europa. I politici europei che vi si sottomettono sono dei traditori, dei nuovi Kollabos. Di fronte all’imperialismo della superpotenza yankee, una sola soluzione: Liberazione e unificazione della Nazione europea, da Reykjavik a Vladivostok ! 25 anni fa il Vietnam ci ha dato l’esempio. Un miliardo di europei politici possono meno di 25 milioni di Vietnamiti?