Iraq-Siria: I volontari stranieri dell’ISIS
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 25 giugno 2014 (trad. ossin)
Iraq-Siria: I volontari stranieri dell’ISIS
Alain Rodier
Il problema dei volontari stranieri che vanno a combattere in Siria e in Iraq, oltre che nelle altre terre di jihad, è ancora più importante se si pensi che alcuni di loro sono abbastanza fanatici da trasformarsi in martiri compiendo attentati suicidi. Se questo è già grave in quei luoghi, tenuto conto dell’alto numero di vittime che simili attentati provocano, è legittimo interrogarsi sul rischio che incombe sui paesi occidentali se dei fanatici venissero a commettere azioni di questo tipo in una grande città. Non è per nulla necessario che gli attivisti siano numerosi, un pugno di individui determinati sarebbe sufficiente a provocare un vero e proprio dramma che scatenerebbe il panico generale. L’eccidio del museo ebraico di Bruxelles del 24 maggio 2014 né è la perfetta illustrazione.
Il volontari stranieri in Siria e in Iraq
Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) è il movimento jihadista che sembra, al momento, attirare più di altri i volontari stranieri. Ciò è verosimilmente dovuto al fatto che ISIS è uno “Stato” (pur non essendo un “paese”) che funziona e non solo un “movimento”. Si è dato le capacità organizzative di accogliere e addestrare i rinforzi provenienti dall’estero governando nel contempo la vita quotidiana delle popolazioni poste sotto il suo controllo.
Numerose nazionalità vi sono rappresentate, con dei grossi contingenti maghrebini (soprattutto Tunisini e Marocchini), Sauditi, Libici, Caucasici ed Europei, oltre a qualche Statunitense. Cifre è difficile farne, dal momento che molti volontari vi vanno solo di passaggio per una settimana o un mese. Per contro, altri restano e vi si stabiliscono con moglie e figli. Globalmente, dal 2011, 12.000 stranieri sarebbero passati in Siria e 3.000 sarebbero attualmente presenti.
L’ISIS ha prodotto una rivista, curata dalla sua organizzazione di propaganda, Al Hayat Mediacenter, un po’ simile al periodico “Inspire”, pubblicato da Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA): “Islamic State News”. Nel numero 2, da poco pubblicato, si fa l’apologia dei kamikaze (Istishhadiyyun), soprattutto di un Francese (Abdur-Raheem al-Faransi), un Tedesco (Uthman al-almani) e un Libico (Abu Aasim al-Libi), che si sarebbero fatti esplodere in tre diversi villaggi. In passato l’ISIS ha già rivendicato operazioni di questo genere, particolarmente in Iraq, servendosi di volontari di tutte le nazionalità.
Infine l’ISIS è diventato estremamente minuzioso nelle pubblicazioni video su internet, con produzioni simili a film hollywoodiani. All’uopo, sarebbero stati assunti a caro prezzo dei professionisti del montaggio. Destinatari ne sono chiaramente i giovani, assai recettivi a questo tipo di immagini.
Da notare che gli altri movimenti islamisti radicali opposti all’ISIS, ma vicinissimi a Al Qaeda centrale – particolarmente il fronte al-Nosra e Ahrar al-Sham, la più importante componente del Fronte islamico sostenuto dall’Arabia Saudita – attirano anch’essi, sebbene in misura minore, dei volontari stranieri.
Il reclutamento in Occidente
Il dramma vissuto a Bruxelles nel maggio 2014 ha, una volta di più, puntato il dito sul fenomeno delle reti per il reclutamento dei volontari europei per la jihad. Il rischio rappresentato dagli attivisti che ritornano in patria è noto alle autorità europee. Le misure adottate mirano ad accrescere la sicurezza, ben consapevoli che non esiste rischio zero. Chiunque infatti può sclerare e fare un massacro (1). Se lo fa isolatamente, senza collegamenti con l’ambiente cospirativo che avrebbe potuto attirare l’attenzione dei Servizi, esso sarà imparabile, a meno di un miracolo. Come nel caso di Medhi Nemmouche, il presunto assassino di Bruxelles, arrestato il 30 maggio dalle dogane francesi lungo la linea del bus Amsterdam-Bruxelles-Marsiglia per questioni di droga. In questo senso i controlli di routine sono utili e non sono un “poltrire agli incroci”, come li definiva il fu Coluche nel suo memorabile sketch “il poliziotto”. Nel caso di Nemmouche, egli era però sfuggito ai controlli in marzo al suo ritorno dalla Siria, attraverso l’Estremo oriente, all’aeroporto di Francoforte.
I servizi tedeschi non hanno ripetuto l’errore con un altro sospetto che tornava dalla Siria in Europa, via Berlino. Tewffig Bouallag è stato arrestato il 14 giugno scendendo dall’aereo che veniva da Istanbul, sulla base di un mandato di arresto internazionale spiccato il giorno prima dalla Francia.
Oggi la minaccia proviene soprattutto dai volontari islamici che sono stati arruolati sul net. I siti sono molti, ma si è parlato soprattutto di una organizzazione che usa molto i social network: Sharia4Belgium. E’ stata fondata il 3 marzo 2010 e si è sciolta il 7 ottobre 2012 perché le autorità belghe cominciavano a essere troppo pressanti. Si tratta però di una nebulosa di carattere internazionale, in quanto esiste anche Sharia4UK, Sharia4Holland, Sharia4Spain, Sharia4Danemark, Sharia4America e perfino Sharia4Hind. Tutte queste organizzazioni hanno un comune principio di fondo: “L’islam è l’espressione suprema dell’Umanità”.
Agli esordi si trattava di una emanazione del movimento salafita Al Mouhadjiroun, fondato nel 1986 in Gran Bretagna da Omar Bakhri e Anjem Choudary. Come in molti altri casi, questa organizzazione è stata vietata nel 2006 per apologia del terrorismo.
Il portavoce di origine marocchina di Sharia4Belgium, Fouad Belkacem – alias Abu Imran – ha, come tanti altri volontari jihadisti residenti in Europa, cominciato a farsi conoscere nei ranghi della piccola delinquenza (2); è oggi in attesa di giudizio per “incitazione all’odio”. Belkacem ha svolto poi una intensa azione di propaganda che ha convinto più di una trentina di Belgi a recarsi in Siria. Uno di essi, Azeddine Kbir Bounekoub, un pugile di Anversa, ha dichiarato: “Che Allah convinca il maggior numero di giovani a seguire l’esempio di quello che ha commesso l’attentato al museo ebraico. Il martirio non si trova solo in Siria, ma anche in Belgio. Diventate una spina nell’occhio dei nemici dell’islam”. Fatto assai inquietante: questo ex pugile belga sarebbe parente di Abdelkader Hakimi, uno jihadista storico che sarebbe appartenuto al Gruppo islamico combattente marocchino (GICM), responsabile degli attentati di Casablanca nel 2003 (45 morti) e di Madrid nel 2004 (191 morti). Condannato a morte in Marocco negli anni 1980, sarebbe vissuto sotto diverse identità in Algeria, Libia, Turchia, Arabia saudita, Malesia e anche in Botswana. Avrebbe anche partecipato alla guerra in Bosnia e avrebbe soggiornato in Afghanistan. Ha scontato una pena di otto anni di prigione in Belgio, prima di essere liberato nel 2011. Dopo si è sistemato con moglie e figli a Bruxelles, ma in seguito è sparito dalla circolazione. La sua presenza sarebbe stata segnalata in Siria, nella regione di Aleppo dove si occuperebbe dei giovani jihadisti europei francofoni.
Le autorità europee sono in allerta massima e cercano di smantellare le cellule di reclutamento, come quella diretta dal marocchino Lahcen Ikarrien, un ex detenuto di Guantanamo, scoperta a Madrid il 16 giugno. Altri soggetti già posti sotto sorveglianza sono stati sottoposti a misure di sicurezza prima di un possibile passaggio all’azione. Si tratta di capire se gli elementi indiziari raccolti a loro carico saranno sufficienti perché siano condannati a pene detentive. All’uopo la Giustizia francese dispone di uno strumento importante: il reato di “associazione per delinquere finalizzato alla preparazione di atti terroristi”. Per qualcuno il problema non si pone perché sono stati già espulsi verso i paesi di origine.
Le donne jihadiste
Un fenomeno sbalorditivo è quello delle donne che, oramai da qualche mese, si uniscono alla jihad. Si possono distinguere in due gruppi principali. Quelle già sposate con un mussulmano che ha deciso di recarsi in terra di jihad e che non fanno null’altro se non seguire il loro sposo. Le altre si sposano via internet o una volta giunte in loco. Infatti non c’è posto per donne nubili tra gli jihadisti.
Ovviamente le donne volontarie della jihad lo fanno per ragioni personali che non sono esattamente le stesse che spingono gli uomini, i quali vengono più attirati dall’aspetto “ludico” della guerra, per come appare in internet: in qualche modo, un videogioco reale. Le donne lo fanno per vera convinzione, insensibili al lato puerile dei loro omologhi maschi. Praticanti convinte dell’islam, ritengono di non poter rispettare in Occidente “le regole di dio”. Si sentono particolarmente umiliate dagli infedeli (kuffar) e anche dai musulmani moderati che rimproverano loro la tenuta troppo rigorista quando portano il niqab (velo integrale). Esse non riescono a trovare il loro posto nella società, dalla quale si sentono respinte.
La crescita dell’estrema destra in un gran numero di paesi europei non è estranea a questa volontà di cambiare aria, manifestandosi sempre più una certa aggressività della popolazione locale (3). Queste donne partono dunque per vivere la loro fede in terra di jihad, cercandovi amore, riconoscenza e fratellanza. E la Siria è particolarmente attraente per due ragioni:
- Dal punto di vista religioso, il Levante è l’alto luogo simbolico dove, per i mussulmani, dovrà aver luogo la lotta finale contro il male.
- E’ relativamente facile raggiungere e vivere in questo paese, a differenza di altre terre di jihad come lo Yemen, la Somalia o il Sahel. Infatti la Turchia è facilmente accessibile per gli Europei che non hanno bisogno di visto e la discrezione è assicurata perché risulta facile confondersi nella massa di turisti e uomini di affare che vanno in quel paese. In Siria le zone “liberate” sono bene approvvigionate di beni di prima necessità (anche del superfluo), grazie agli intensi traffici gestiti dai contrabbandieri turco-curdi.
I combattenti stranieri e le loro famiglie sono principalmente presenti nella zona di Raqqa e lungo la frontiera turca, tranne le regioni controllate dalle forze curde. Tuttavia raramente si mescolano alle popolazioni autoctone e formano delle piccole comunità di espatriati, raggruppandosi per origine, il problema linguistico costituendo spesso un handicap. Gli scontri che imperversano tra le due componenti jihadiste (ISIS contro il Fronte Islamico alleato ad al-Nosra) rappresentano una minaccia per la loro sicurezza, e già si sono verificati degli attentati che hanno ucciso donne e bambini.
In loco le donne fanno una vita semplice e domestica, che però è indispensabile alla jihad per l’aiuto che forniscono ai mariti guerrieri. Le une e gli altri compiangono i correligionari rimasti a casa e affermano di essere felici perché la “bandiera di Allah” sventola in tutti gli angoli di strada.
La partecipazione degli Europei alla jihad
Non sono solo Europei gli jihadisti dell’ISIS e degli altri movimenti. Infatti questi ultimi temono sempre che agenti dei servizi di informazione si infiltrino tra loro. Inoltre gli Europei non vengono considerati dei “buoni mussulmani” giacché la maggior parte di essi non conosce il Corano e ancor meno la lingua araba. Vengono dunque impiegati in compiti subalterni o logistici. Talvolta i più meritevoli si vedono proporre una missione kamikaze, come è accaduto quest’anno ad Abu Oussama al Faransi in Iraq e ad Abu-Raheem al Faransi in Siria, ma si tratta più di azioni propagandistiche (sempre più “martiri” occidentali che si sacrificano per la “causa”) che di una vera scelta tattica.
Il vero pericolo sta nel fatto che alcuni jihadisti europei presenti in Siria sono in corrispondenza con gli amici restati in patria e agiscono come agenti reclutatori, accrescendo i flussi dei volontari. Da ultimo è stato il caso di Naser Muthana, un Inglese di Cardiff che ha dichiarato in un video diffuso dall’ISIS che “non c’è vita senza jihad” e ha invitato tutti i mussulmani a recarsi in Siria e Iraq. Non tutti riescono a giungere a destinazione, altri restano delusi da quello che trovano in Siria e ritornano nello loro banlieue di origine. Quelli che rientrano portano l’aureola della “avventura” che hanno vissuto, ma fortunatamente la grande maggioranza pensa solo a ritornare alle attività di prima: i traffici illeciti.
E’ possibile però che i più spiantati (e talvolta i più convinti) si impegnino in azioni terroriste per loro stessa iniziativa. In effetti, al momento, nessuno sembra aver ricevuto ordini formali di azioni di questo tipo in Europa, ma solo di continuare a islamizzare il loro entourage. Infatti l’ISIS e gli altri movimenti jihadisti attivi in Siria e in Iraq operano al momento in una logica locale, perfino regionale, ma non mondiale. Occorre loro radicare la loro influenza in Medio Oriente, dove occorre combattere il “nemico vicino” (i regimi “apostati”, gli sciiti), prima di occuparsi dell’Occidente, definito “il nemico lontano”. E’ d’altra parte proprio su questa linea che l’ISIS si oppone a al-Zawahiri, che ha sempre propugnato la guerra globale.
Per contro tutto lascia intendere che, quando gli obiettivi locali saranno raggiunti – per esempio, per l’ISIS, la creazione di un Califfato a cavallo di Iraq e Siria – la guerra si estenderà progressivamente. Sarà il caso del Libano, della Giordania e di Israele (4), e poi dopo dell’Occidente. Gli jihadisti hanno il tempo, giacché ragionano in termini di generazioni!
Note:
1) Come il norvegese Anders Breivik, l’estremista di destra che ha massacrato 77 persone nel 2011
2) Condannato per furto nel 2002, 2004 e 2007. Ricercato in Marocco per traffico di droga.
3) E’ sorprendente constatare che è un po’ come gli Ebrei che emigravano in Israele per l’Alya (il ritorno in Terra Santa)
4) Delle cellule dell’ISIS sarebbero presenti in Cisgiordania e nel Sinai. A medio termine, esse hanno due obiettivi, il governo egiziano e lo Stato detestato: Israele. Una rivendicazione del rapimento dei tre ostaggi israeliani nel giugno 2014 è stata fatta dall’ISIS. Le autorità israeliane pensano più ad Hamas che agirebbe sotto falsa identità.