Il Muro omicida del Mediterraneo
- Dettagli
- Visite: 3380
Analisi, maggio 2015 - 3419 migranti sono morti nel 2014 tentando di attraversare il Mediterraneo, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Questo macabro bilancio fa del Mediterraneo la frontiera più insanguinata, dato che il numero totale dei decessi nel mondo intero ammonta a 4272 (nella foto, la costa di Lampedusa ingombra di cadaveri)
Le blog de said bouamama, 22 marzo 2015 (trad. ossin)
L’assassinio istituzionale di massa dell’Unione Europea
Il Muro omicida del Mediterraneo
Said Bouamama
3419 migranti sono morti nel 2014 tentando di attraversare il Mediterraneo, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (1). Questo macabro bilancio fa del Mediterraneo la frontiera più insanguinata, dato che il numero totale dei decessi nel mondo intero ammonta a 4272. In un arco temporale più ampio, sono più di 20.000 i migranti che hanno perso la vita dall’anno 2000. E la tendenza è di crescita permanente, dato che nel 2014 si sono battuti tutti i record col superamento di gran lunga del picco precedente, che è stato di 1500 decessi nel 2011. I discorsi politici e mediatici presentano ogni nuovo dramma come una catastrofe imprevedibile sulla quale i governi europei non avrebbero alcuna possibilità di incidere e alcuna responsabilità. Il discorso della catastrofe tende a nascondere un processo di assassinio di massa da parte dell’Unione Europea
I punti ciechi delle cause strutturali
Il primo punto cieco dei discorsi politici e mediatici è quello sulle cause economiche che spingono decine di migliaia di Africani a rischiare la vita in traversate che sanno bene possono costare loro la vita. Dopo le indipendenze politiche del decennio 1960, altre dinamiche diverse hanno preso il posto della diretta occupazione militare per garantire la prosecuzione del “patto coloniale”, vale a dire la costruzione di economie africane funzionali ai bisogni dell’Europa e non a quelli dei popoli africani. Senza pretesa di essere esaustivi, ricordiamo alcuni di questi meccanismi.
Gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e monetaria che diversi paesi impongono ai paesi africani comportano la vendita di materie prime (africane) a costi inferiori a quelli del mercato mondiale e vietano la tassazione dei prodotti importati dall’Europa. Prendiamo ad esempio l’ultimo accordo firmato tra l’Unione Europea e i 15 Stati dell’Africa dell’Ovest, detto “Accordo di partenariato economico” (APE). Questo accordo vieta la tassazione degli 11,9 miliardi di euro di prodotti importati dall’Unione Europea nel 2013. Pone poi in concorrenza l’agricoltura di sussistenza locale con l’agricoltura industriale europea, trascinando alla miseria centinaia di migliaia di contadini. Le conseguenze sono evidenti: “Questo accordo accrescerà una migrazione massiccia di popolazioni private di ogni prospettiva nel loro paese, in una situazione in cui la popolazione dell’Africa dell’ovest crescerà più del doppio di qui al 2050, raggiungendo gli 807 milioni di abitanti (contro i 526 milioni dell’UE alla stessa data), e in un contesto di riscaldamento climatico particolarmente accentuato in queste regioni (2)”.
Il carattere di questi accordi è talmente improntato alla sfruttamento, che il professore Chukwuma Charles Soludo ha dichiarato, il 19 marzo 2012, che l’APE dell’Africa dell’ovest può paragonarsi ad una (AO) “seconda schiavitù” (3). Ma l’APE è solo la sistematizzazione su larga scala di logiche di riduzione allo stato di dipendenza che sono anteriori, come “l’aiuto subordinato”, che impone di rivolgersi a imprese francesi in cambio di un finanziamento di progetti di pianificazione, i Piani di Aggiustamento Strutturale che impongono riforme liberali in cambio di un credito o della dilazione del pagamento di un debito, o peggio ancora l’istituzione della moneta franco CFA, che permette alla Francia il controllo delle politiche monetarie della zona franco. Queste cause dirette dell’impoverimento africano e della pressione migratoria vengono cancellate dal discorso politico e mediatico dominante. E tuttavia sono proprio queste cause che smentiscono l’idea che si tratti di una catastrofe imprevedibile che non si può in alcun modo governare.
Il discorso mediatico della catastrofe serve solo a nascondere le cause economiche strutturali
Logico che tali meccanismi (più su descritti) possano attuarsi solo col ricorso, diretto o indiretto, alla forza, dall’assassinio degli oppositori, passando per i colpi di Stato o le guerre dichiarate. E’ il motivo della frequenza degli interventi militari europei, diretti o indiretti, in Africa. Se la Francia è la più presente in queste avventure guerresche, ciò avviene sulla base di una delega europea. Di fronte alla crescita delle Potenze emergenti, di fronte alla concorrenza statunitense e cinese, l’Europa dà mandato alla Francia per la difesa degli interessi della “Eurafrica”, vale a dire per il consolidamento di un neocolonialismo socializzato su scala europea. Questa “Eurafrica” economica e militare è un vecchio progetto di talune frange del capitale finanziario europeo. Esso è stato frenato alla concorrenza esistente tra i diversi paesi europei che vedono ridurre il proprio peso a causa dell’esacerbamento della concorrenza dovuta alla mondializzazione capitalista. Ecco come Aimé Césaire suonava, già nel gennaio 1954, l’allarme sull’Eurafrica, ingannandosi solo sulla nazionalità del soldato: “Lo ripeto: il colonialismo non è affatto morto. E’ bravissimo, pur di sopravvivere, a cambiare pelle; dopo i tempi brutali della dominazione, ecco i tempi più ipocriti, ma non meno nefasti, della politica detta di Associazione o di Unione. Attualmente assistiamo alla politica detta di integrazione, quella che si propone la costituzione dell’Eurafrica. Ma qualsiasi maschera indossi, il colonialismo resta nocivo. Per parlare solo dell’ultima sua creatura, l’Eurafrica, è chiaro che essa dovrà sostituire il vecchio colonialismo nazionale con un nuovo colonialismo ancora più virulento, un colonialismo internazionale, nel quale il soldato tedesco sarà il gendarme vigilante (4)”.
Queste guerre dirette o indirette (5) sono la seconda causa della pressione migratoria. Non è solo per ragioni di sopravvivenza economica che migliaia di Africani rischiano la vita nel Mediterraneo, ma anche per sfuggire alle guerre europee e le loro conseguenze in termini di installazione di regimi dittatoriali o, peggio ancora, al caos come in Libia e in Congo dove l’Europa si accorda coi “signori della guerra” per continuare i commerci. Il discorso mediatico della catastrofe nasconde anche la responsabilità europea nei confronti di queste cause delle migrazioni contemporanee.
Frontex o la creazione delle condizioni per un assassinio di massa
Se le cause anzidette spiegano sufficientemente la crescita della pressione migratoria, non spiegano però l’aumento del numero dei decessi. Per comprendere questo aspetto della questione, occorre analizzare le risposte date dall’Unione Europea alla pressione migratoria. Queste risposte si sono concretizzate, a partire dal 2005, con la costituzione dell’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea (FRONTEX). Lo statuto di agenzia garantisce una autonomia importante che è stata ancor più rafforzata, il 10 ottobre 2011, con l’autorizzazione a possedere in proprio attrezzature militari. I mezzi finanziari messi a disposizione di FRONTEX crescono progressivamente: 19 milioni di euro nel 2006 e 88 milioni di euro nel 2011 (6). In pratica l’agenzia, da un lato, organizza pattugliamenti militari per respingere i migranti verso i paesi vicini e, dall’altro, stringe accordi con Stati terzi perché facciano barriera a monte nei confronti dei candidati alla migrazione.
Per realizzare al meglio la prima mission, l’agenzia dispone di mezzi militari in aumento costante, messi a disposizione dagli Stati membri o di propria pertinenza: più di una quarantina di elicotteri ed aerei, un centinaio di navi e circa 400 tra radar, sonde, telecamere e altro materiale di equipaggiamento (7). Siamo in presenza di una vera e propria logica di guerra contro i migranti. Questi mezzi militari permettono all’agenzia di assicurare frequenti pattugliamenti delle acque territoriali degli Stati membri, ma anche delle acque internazionali. La Lega belga per i diritti dell’uomo descrive a giusto titolo l’agenzia come “un vero e proprio esercito a servizio della politica migratoria della fortezza Europa, che conduce una guerra ineguale contro migranti che non hanno alcun soldato (8)”. Questa logica di guerra costringe i candidati alla migrazione ad assumersi rischi sempre maggiori, pur di sfuggire alla sorveglianza delle pattuglie di FRONTEX. L’aumento del numero dei decessi non è dovuta ad una catastrofe imprevedibile, ma è il risultato di decisioni assunte con piena cognizione delle conseguenza mortali.
La seconda mission di FRONTEX, quella relativa alla stipula di accordi con i paesi africani rivieraschi del Mediterraneo, è in sostanza una esternalizzazione del “lavoro sporco”, per riprendere l’espressione del giurista Claire Rodier (9). Sono evidenti le conseguenze di questa esternalizzazione: “Questa esternalizzazione che consiste, per gli Stati Europei, nel subappalto della gestione dell’immigrazione irregolare ai paesi limitrofi (Maghreb, Europa dell’est), comporta numerosi vantaggi: da un lato, trasferisce il carico del “lavoro sporco” (deportazioni di massa, detenzioni arbitrarie, torture) a paesi i cui standard sono meno elevati che in Europa, consentendo di aggirare le limitazioni che le leggi europee impongono in materia di rispetto dei diritti dell’uomo; d’altro lato, fa parte del rapporto di dipendenza che l’Unione Europea impone ai suoi vicini. Perché ai paesi coinvolti viene promesso, in cambio della loro collaborazione, il finanziamento di azioni di cooperazione o contropartite di natura politica o diplomatica (10). “Ai morti nel Mediterraneo, occorre quindi aggiungere le sevizie, le brutalità e le morti provocate dai subappaltatori. La messa in atto delle condizioni per l’assassinio istituzionale di massa viene, beninteso, taciuto dai reportage che i nostri media pubblicano ad ogni naufragio mortale.
Il discorso mediatico sui trafficanti
Una volta occultate le cause strutturali della crescita della pressione migratoria e la causa dei tanti morti nel Mediterraneo, il discorso mediatico non può che prendersela coi trafficanti. Essi sarebbero gli unici responsabili della situazione e la lotta contro le reti dei trafficanti viene presentata come la soluzione. La concentrazione del discorso politico e mediatico sui soli trafficanti contribuisce anch’essa a occultare le vere ragioni dei ricorrenti drammi nel Mediterraneo. Ovviamente non proviamo alcuna simpatia per i trafficanti. Dobbiamo però ricordare che, alla domanda dei migranti, ovviamente corrisponde un’offerta di passaggi clandestini. E’ proprio dei politici che non vogliono affrontare seriamente le cause di un problema sociale, il fatto di concentrare l’attenzione sull’offerta, dimenticandosi che vi è una domanda. Prendersela solo con gli spacciatori, senza porsi il problema della domanda di “paradiso artificiale” di un numero crescente di cittadini, adottando una politica proibizionista in materia di alcol, senza affrontare il problema dell’alcolismo, ecc. Sono numerosi gli esempi di queste politiche ipocrite che pretendono di agire sulle conseguenze, nascondendo le cause. Consapevoli dell’alto rischio di controlli, i trafficanti sono spinti a sbarazzarsi del loro carico il più presto possibile a qualsiasi costo. “Nuovi elementi raccolti, martedì 16 settembre, dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) hanno confermato la tesi che sono stati proprio i trafficanti a speronare volontariamente la nave che trasportava centinaia di migranti e che per questo è affondata” sottolinea Elise Vincent nel numero di Le Monde del 16 settembre 2014. Se questi criminali devono bene essere incriminati e giudicati, resta tuttavia che tali pratiche sono favorite dalla politica europea sulle migrazioni.
Questi orientamenti politici creano anche occasioni d’oro di guadagno per la mafia con lo sfruttamento di coloro che sono sfuggiti alla morte. Il giornalista dell’agenzia Reuters descrive come funziona questa nuova “gallina dalle uova d’oro” per la mafia a Lampedusa: “Qui, a otto ore di nave dalla Sicilia, la mafia fa affari già con l’ospitalità dei migranti in centri di accoglienza privati delegati dallo Stato. Sono sempre gli stessi che, da anni, vincono tutti gli appalti. Un migrante significa un guadagno di una trentina di euro al giorno. Con queste decine di migliaia di migranti, è un business d’oro, più redditizio ancora del traffico di droga, per ammissione di un gangster, le cui telefonate sono state intercettate nel corso di una indagine sulla corruzione a Roma. Ciò che è vero nella capitale lo è in tutta Italia. Una dimostrazione di questa organizzazione è nello scenario, sempre lo stesso, che precede i soccorsi. A bordo delle carrette del mare partite dalla Libia, non c’è nulla da mangiare o da bere, non c’è miscela, ma c’è sempre un telefono satellitare per chiedere soccorso. Una dotazione ben troppo costosa per un trafficante. A terra i migranti forniscono una mano d’opera a buon mercato. Nell’agricoltura gli uomini, nella prostituzione le donne. Un vero e proprio traffico di schiavi, e gli schiavisti sono Africani e Italiani (11)”.
Le ricerche sulla discriminazione ritengono che una delle sue forme sia la discriminazione sistemica, vale a dire una discriminazione che è conseguenza di un sistema e non frutto di una deliberata decisione di discriminare. Possiamo prendere a prestito lo stesso concetto a proposito dei morti nel Mediterraneo. Certamente l’assassinio di questi migranti non è diretto. Ma è invece il risultato ineluttabile delle politiche dell’Unione Europea sia nei confronti dell’Africa che dei flussi migratori, e ciò vale per l’aumento della pressione migratoria e anche per la sua traduzione in morti su larga scala.
Note:
(1) http://www.unhcr.fr/54871a45c.html,
(2) Comunicato stampa, Non à la signature de l’Accord de Partenariat ةconomique UE-Afrique de l’Ouest par le Conseil de l’Union européenne !, 11 dicembre 2014, http://www.solidarite.asso.fr/IMG/p…,
(3) Jacques Berthelot, Il est urgent d’arrêter d’imposer les APE, 16 gennaio 2013, http://www.diplomatie.gouv.fr/fr/po…,
(4) Aimé Césaire, Le colonialisme n’est pas mort, La nouvelle critique, n° 51, gennaio 1954, p. 28.
(5) Conférer pour aller plus loin, Raphaël Granvaud, Que fait l’armée française en Afrique, Agone, Marseille, 2009.
(6) Frontex, le bras armé de l’Europe Forteresse, demain le Monde, n° 18, marzo-aprile 2013.
(7) Ibid.
(8) Frontex : guerre aux migrants » – il documento audio, http://www.liguedh.be/les-fichiers-…,
(9) Claire Rodier, Xénophobie Business, à quoi servent les contrôles migratoires, La Découvertes, Paris, 2012.
(10) Intervista a Claire Rodier, Libération, 1° ottobre 2012.
(11) Antonio Parrinello, Reuters 17 gennaio 2015.